Noi i figli li facciamo, li alleviamo, li amiamo ma non è obbligatorio che li si debba difendere anche quando sbagliano, perché questo significa che ci sentiamo, inconsciamente, colpevoli anche noi per il loro errore, colpevoli di non aver dato, con l’esempio e con l’educazione, il modo di capire quello che è lecito e quello che non lo è.
Il ragazzino di dodici anni che a Roma ha preso a pedate la sua professoressa non è stato denunciato dalla stessa perché la preside della scuola l’ha consigliata di non farlo perché “tanto sarebbe inutile, i suoi genitori gli darebbero ragione in ogni caso”.
Uno dei genitori dei tre ragazzi che a Niscemi hanno tempo fa massacrato Lorena, massacrata al punto che il padre ha faticato a riconoscerla, è arrivato a minacciare lo stesso padre con una frase da barbaro” ti scippo la testa se fai del male a mio figlio”, e questo dà la misura dell’ambiente in cui quei ragazzi sono cresciuti. Ma l’assurdo, o meglio quello che sembrerebbe un assurdo, è la frase che uno dei tre assassini ha rivolto al giudice dopo aver, con distacco e molta freddezza(come hanno detto gli inquirenti), confessato il delitto. Chiedere al giudice “posso andare a casa ora che ho detto tutto?” dimostra quanto le colpe di noi genitori ricadano sui nostri figli. In quella frase c’è l’assoluta dissociazione tra la psiche e il corpo, c’è la dimostrazione di come questa cultura permissiva, protettiva, in certi casi adorativa del nostro prodotto, come se il figlio che abbiamo fatto noi sia sempre e in ogni caso IL FIGLIO, carne della nostra carne, quindi qualcosa che va al di sopra perfino delle leggi, dell’educazione, dell’etica, sia la causa vera del male che a questa carne della nostra carne può cadere in testa nel corso della vita. Per mancanza di regole, per mancanza di limiti: perché nessuno glieli ha insegnati. Perché spesso è più facile dire “si va bene, fallo” che non stare a spiegare al ragazzino che cresce PERCHE’ quella cosa non si deve fare, o non si può avere.
Ora i tre ragazzi vivranno una vita da assassini, e saranno marchiati per anni come tali. Ma io guardo alla casa dei loro genitori e mi chiedo come si sentono oggi, che domande si fanno, che rimorsi sentono.
Dicono, certi genitori, che si tratta del “normale” amore che si DEVE avere per i figli. Ora AMORE è un termine importante, perché rappresenta la dimensione emotiva dell’istinto vitale che si esprime con il desiderio e il conseguente erotismo. Noi trascendiamo la nostra solitudine con l’esigenza di amare e di essere amati, e fin qui nulla da eccepire. Quello però che molti genitori obiettano è che l’amore per i figli trascende, supera anche l’amore per la donna o l’uomo con il quale dividiamo la nostra vita. Ed è qui che nasce l’errore, qui è la radice del male che viene fatto ai nostri bambini. Io non sono uno psicologo ma qualcuno che lo è, anche importante, ha parlato dell’amore per il figlio come dell’amore per ser stessi, innanzi tutto. Il figlio è la MIA perpetuazione nella vita, è ME STESSO dopo la mia morte, quindi in buona sostanza si tratta di un amore egoistico.
Il guaio nasce in questo amore per noi stessi, questo darci sempre ragione, darcele tutte vinte riverberato sui nostri figli è l’origine della loro immaturità, e del male che andranno a fare, agli altri e a loro stessi.
Come diceva Spinoza, senza la candela non ci potrebbe essere la fiamma.