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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    9 FEBBRAIO 2014SAN CIRILLO ALESSANDRINOVESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA
    L'inimicizia fra la donna e il serpente.
    "Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno (Gen 3,15). La parola che fu pronunciata contro il serpente, e che la Chiesa in questi giorni richiama alla mente dei suoi figli domina tutta la storia del mondo. La donna, caduta per la prima, per l'astuzia di Satana, in Maria viene per la prima rialzata. Nella sua immacolata Concezione, nel parto verginale e nell'offerta che fece a Dio del nuovo Adamo sul monte Calvario, la novella Eva mostrò all'antico nemico la potenza del suo piede vittorioso. Persino l'angelo ribelle, divenuto il principe del mondo per la complicità dell'uomo (Gv 12,31), sin d'allora, contro la donna che doveva trionfare su di lui, convogliò tutte le forze della duplice schiera delle legioni infernali e dei figli delle tenebre che dipendono da lui. Maria, in cielo, prosegue la lotta che cominciò sulla terra. Regina degli spiriti beati e dei figli della luce, ella stessa guida alla battaglia, come un solo esercito, le falangi celesti e le schiere della Chiesa militante. Il trionfo di queste truppe fedeli è quello della loro sovrana: il continuo schiacciamento del capo del padre della menzogna mediante la disfatta dell'errore e l'esaltazione della verità rivelata, del figlio di Maria e figlio di Dio.
    Cirillo e Atanasio.
    Però, mai l'esaltazione del Verbo divino parve più intimamente connesso al trionfo dell'augusta sua Madre, come nel memorabile combattimento, in cui il pontefice che oggi viene presentato ai nostri riconoscenti omaggi ebbe una parte così gloriosa. Cirillo d'Alessandria è il Dottore della divina Maternità; come il suo predecessore Atanasio lo fu della consustanzialità del Verbo; l'Incarnazione si poggia sui due misteri, che, a un secolo di distanza, furono l'oggetto della loro confessione e delle loro lotte. Quale Figlio di Dio Cristo doveva essere consustanziale al Padre, perché la semplicità infinita dell'essenza divina esclude ogni idea di divisione o di parte; negare in Gesù, Verbo divino, l'unità di sostanza col suo principio, era negare la sua divinità. Quale figlio dell'uomo, al tempo stesso cheDio vero da Dio vero (Simbolo di Nicea), Gesù doveva nascere quaggiù da una figlia d'Adamo, e restare tuttavia, nella sua umanità, una medesima persona col Verbo consustanziale al Padre: negare in Cristo questa unione di persona delle due nature era lo stesso che misconoscere la sua divinità; ciò significava proclamare nel medesimo tempo che la Vergine benedetta, venerata fino allora per aver generato Dio nella natura assunta per salvarci, non era che la madre d'un uomo.
    Ario.
    Tre secoli di persecuzione avevano tentato invano di indurre la Chiesa al rinnegamento della divinità del Cristo. Il mondo aveva appena assistito al trionfo dell'Uomo-Dio, e già il nemico traeva vantaggio da questa vittoria; approfittando del nuovo stato createsi intorno al cristianesimo e della sicurezza da parte dei persecutori, si sforzava d'ottenere sul terreno della falsa scienza quel rinnegamento che non era riuscito a conseguire nell'arena del martirio. L'accanito zelo degli eretici nel riformare la credenza della Chiesa serviva all'inimicizia del serpente, e contribuiva allo sviluppo della sua razza maledetta più che non l'avessero fatto le defezioni degli apostati. Degno d'essere, per la sua superbia, il primo nell'era della pace, di questi dottori infernali, Ario spinse la sua controversia persino nelle profondità dell'essenza divina, rigettando, sulla base di testi astrusi, il termine consustanziale. Sullo scorcio d'un secolo in cui il principale elemento di forza era stato l'appoggio delle potenze di questo mondo, l'arianesimo cadeva, conservando le radici solo presso quelle nazioni che, battezzate di recente, non avevano dovuto versare il loro sangue per la divinità del Figlio di Dio. Allora Satana fece sorgere Nestorio.
    Nestorio.
    Abile a trasformarsi in angelo di luce (2Cor 11,14), l'eterno nemico rivestì il suo apostolo d'una duplice bugiarda aureola di santità e di scienza; l'uomo che più d'ogni altro doveva manifestare l'odio del serpente contro la donna ed il suo seme, si assise sulla cattedra episcopale di Costantinopoli col plauso di tutto l'Oriente, che si riprometteva di veder rivivere in lui l'eloquenza e le virtù d'un nuovo Crisostomo. Ma l'esultanza dei buoni fu di breve durata perché nello stesso anno dell'esaltazione dell'ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell'immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall'alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: "Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità".
    Difesa della fede.
    A queste parole la moltitudine fremette inorridita; interprete della generale indignazione Eusebio di Doriles, un semplice laico si levò in mezzo alla folla a protestare contro l'empietà. In seguito, a nome dei membri di questa desolata Chiesa fu redatta una più esplicita protesta, diffusa in numerosi esemplari, anatemizzando chiunque avesse osato dire: "Altro è il Figlio unico del Padre, altro quello nato dalla Vergine Maria". Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l'elogio dei Concili e dei Papi! Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede, i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch'è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l'altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l'ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono, per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro.
    Roma e Alessandria.
    Ciò nonostante, lo scandalo provocato dalle bestemmie di Nestorio mise in agitazione tutto l'Oriente e presto raggiunse Alessandria. La cattedra fondata da Marco in nome di Pietro e, per volontà di questo capo delle Chiese, ornata dell'onore di seconda sede, era allora occupata da Cirillo. Come l'armonia che regnò fra Atanasio ed i pontefici romani aveva, nel secolo precedente, vinto l'arianesimo; così l'unione costante di Alessandria con Roma doveva ancora una volta abbattere l'eresia. Se non che il nemico, edotto dall'esperienza, aveva escogitato una precauzione diabolica. Quando il futuro rivendicatore della Madre di Dio saliva sulla sede di sant'Atanasio non esisteva più quell'alleanza tanto temuta dal demonio. Infatti Teofilo, l'ultimo patriarca e autore principale della condanna di san Giovanni Crisostomo nel conciliabolo detto "ad Quercum", dal luogo dove fu tenuta la riunione, aveva sempre impedito fino alla fine, di favorire la riabilitazione della sua vittima con la Sede Apostolica, per cui Roma ruppe i rapporti con la sua figlia primogenita. Ora Cirillo, nipote di Teofilo, ignorava affatto le ragioni inconfessabili dello zio in questa dolorosa faccenda; abituato fin dall'infanzia a venerare in lui il legittimo superiore, il suo benefattore e il suo maestro nella sacra scienza, Cirillo, divenuto a sua volta patriarca, non ebbe la minima idea di mutare le decisioni di colui che considerava come un padre: così Alessandria rimase separata dalla Chiesa romana. Perciò Satana, veramente simile al serpente, che con la sua bava avvelena tutto ciò che tocca, aveva rivolto a suo profitto contro Dio i più nobili sentimenti. Però Maria Santissima, tanto amica dei cuori retri, non abbandonò il suo paladino. Dopo alcuni anni, in cui diversi avvenimenti fecero conoscere al giovane patriarca gli uomini, un santo monaco, Isidoro di Pelusa, aprì completamente gli occhi di Cirillo alla luce, il quale ormai convinto, non esitò a rimettere nei dittici sacri il nome di Giovanni Crisostomo. La trama ordita dall'inferno era sventata, e per le nuove lotte della fede che stavano per sorgere in Oriente, Roma ritrovava sulle sponde del Nilo un nuovo Atanasio.
    La fede dei monaci.
    Ricondotto da un monaco sui sentieri della santa unità, Cirillo nutrì per i solitari un affetto pari a quello di cui li aveva circondati il suo illustre predecessore, e al primo rumoreggiare dell'empietà nestoriana, li elesse a confidenti delle sue angoscie, illuminando, in una lettera rimasta celebre, la loro fede sul pericolo che minacciava la Chiesa. "Poiché, scrive loro (I Lettera ai monaci), tutti coloro che hanno abbracciato in Cristo l'invidiabile e nobile vostra vita, devono anzi tutto rifulgere dello splendore d'una fede inequivocabile e indefettibile, e su questa fede innestare la virtù; dopo ciò, devono impiegare tutta la loro diligenza nell'approfondire in loro la conoscenza del mistero di Cristo, tendendo con ogni sforzo ad acquistarne l'intelligenza più perfetta. Così io intendo, soggiunge il santo Dottore, il modo di arrivare all'uomo perfetto di cui parla l'Apostolo, e alla misura dell'età piena di Cristo" (Ef 4,13).
    Il liberalismo.
    Né il patriarca d'Alessandria si contentò d'effondere la sua anima con coloro il cui consenso gli era stato garantito in anticipo. Con lettere in cui la sua mansuetudine non cede se non alla forza ed all'ampiezza dell'esposizione dottrinale, Cirillo tentò di ricondurre Nestorio sulla retta via. Ma l'ostinato settario si mostrò contrario, e, in mancanza di argomento, si lamentò dell'ingerenza del patriarca. Come sempre avviene in tali circostanze, s'imbatté in uomini amanti del quieto vivere che, senza condividere l'errore, pensavano ch'era meglio non rispondere, per timore d'inasprire Nestorio e aumentare lo scandalo, in una parola, d'offendere la carità. A questi uomini, che non si spaventavano dell'audacia dell'eresia e non si preoccupavano di affermare la fede cristiana, a questi partigiani della pace e a qualunque costo, Cirillo rispondeva una buona volta: "Come?! Nestorio osa lasciar dire in sua presenza nell'assemblea dei fedeli: anatema chiunque chiami Maria Madre di Dio! e per bocca dei suoi partigiani colpisce d'anatema noi e tutti gli altri vescovi dell'universo, e gli antichi Padri che ovunque e in ogni epoca unanimemente hanno riconosciuto ed onorato la santa Madre di Dio! E noi non avremo il diritto di ritorcergli la frase e dire: Se qualcuno nega che Maria sia Madre di Dio, sia anatema? Questa parola, però, io non l'ho ancora pronunciata contro di lui" (Lettera 8.a o 6.a).
    La paura.
    Altri uomini, che pure in ogni tempo esistono, palesavano il vero motivo delle loro esitazioni, quando, gridando a tutti i venti i vantaggi della concordia e la loro antica amicizia per Nestorio, ricordavano timidamente il credito di cui egli godeva e il pericolo che si poteva incontrare nel contraddire un avversario così potente. "Potessi io, rispondeva Cirillo, perdendo tutti i miei beni, soddisfare il vescovo di Costantinopoli e placare l'asprezza del mio fratello! Ma qui si tratta della fede; lo scandalo dilaga in tutte le Chiese e ciascuno cerca d'informarsi della nuova dottrina. Se noi, che abbiamo ricevuta da Dio la missione d'insegnare, non portiamo rimedio a così grandi mali, il giorno del giudizio non saranno per noi riservate moltissime fiamme? Già non mi sono mancate calunnie e ingiurie; ma io dimentico tutto questo: resti unicamente salva la fede, e non mi lascerò sorpassare da nessuno nell'amare ardentemente Nestorio. Ma se, per colpa di qualcuno, ne viene a soffrire la fede, non vi può essere ombra di dubbio: noi non vogliamo perdere la nostra anima, anche se la stessa morte pende sulla nostra testa. Se il timore di qualche disagio vincesse sullo zelo della gloria di Dio, e ci facesse tacere la verità, con quale coraggio potremmo celebrare alla presenza del popolo cristiano i santi Martiri, quando ciò che costituisce unicamente il loro elogio è l'aver realizzato la parola (Eccli 4,33): Per la verità, combatti fino alla morte?" (Lettera 9.a o 7.a).
    La lotta coraggiosa.
    Quando finalmente la lotta divenne inevitabile, organizzò la santa milizia che doveva combattere a suo fianco, chiamando vicino a sé vescovi e monaci. Non contenendo più il sacro entusiasmo che l'animava, Cirillo scriveva ai suoi chierici residenti nella città imperiale: "Quanto a me, soffrire, vivere e morire per la fede di Gesù Cristo è il mio sommo desiderio. Come è scritto, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempia (Sal 131,4-5), finché non abbia ingaggiata battaglia necessaria alla salvezza di tutti. Pertanto, compenetrati del nostro pensiero, siate forti, sorvegliate il nemico, informateci sulle minime sue mosse. Alla prima occasione v'invierò uomini scelti fra tutti per pietà e saggezza, vescovi e monaci; fin d'ora vi preparo le debite lettere, come il caso richiede. Ho deciso di lavorare senza tregua per la fede di Cristo e di sopportare tutti i tormenti, anche i più terribili, fino a subire la morte, che mi sarà così dolce per una tal causa" (Lettera 10.a o 8.a).
    Santa Pulcheria.
    Informato dal patriarca d'Alessandria circa l'agitazione delle Chiese, san Celestino I, che occupava allora la Sede Apostolica, condannò la nuova eresia e incaricò Cirillo di detronizzare il vescovo di Costantinopoli in nome del Romano Pontefice, se non veniva a resipiscenza. Ma gl'intrighi di Nestorio dovevano prolungare la lotta. A questo punto, vicino a Cirillo nel trionfo della donna sull'antico nemico, ci appare l'ammirabile figura d'una donna, d'una santa, che per quarant'anni fu il terrore dell'inferno, e per due volte, nel nome della Regina del cielo, schiacciò il capo all'odioso serpente. In un secolo di rovine, Pulcheria dovendo reggere a quindici anni le redini dell'impero, con la prudenza nel consiglio e con l'energia nell'azione, arginò i torbidi all'interno, al punto che, con la sola forza del suo divino salmodiare insieme alle sorelle, anch'esse vergini, riuscì a contenere i barbari. Quando l'Occidente si agitava nelle convulsioni di un'ultima agonia, l'Oriente ritrovava nel genio della sua imperatrice la prosperità dei suoi giorni migliori. Ora, nel vedere la nipote del grande Teodosio consacrare le proprie ricchezze a moltiplicare fra le sue mura le chiese alla Madre di Dio, Bisanzio apprese da lei il culto di Maria, che doveva costituire la sua salvaguardia in tanti tristi giorni, e le valse dal Signore, Figlio di Maria, mille anni di misericordia e d'incomprensibile pazienza. Salutata dai Concili ecumenici come la custode della fede ed il baluardo dell'unità (Labbe, Conc. iv, 464), santa Pulcheria ebbe dopo san Leone la parte principale di tutto ciò che si fece nel suo tempo contro gli avversari della verità divina (Lettera 31.a o 27.a). Due palme sono nelle sue mani, due corone cingono il suo capo, dice questo grande Papa, perché la Chiesa deve a lei la propria vittoria sull'empietà di Nestorio e di Eutiche, i quali, divisi nell'attacco, si congiungevano per lati opposti nel medesimo fine: la negazione dell'Incarnazione e quella del ruolo della Vergine-Madre nella redenzione del genere umano (ivi e Lettera 79.a o 59.a).
    VITA. - San Cirillo, ancor giovane, fu fatto vescovo d'Alessandria nel 412. Infiammato di zelo per la salvezza delle anime, s'adoperò a conservare intatta la fede del suo gregge. Con un ardore e con una scienza ammirevoli egli difese contro Nestorio il dogma della Maternità divina e, quale legato al Concilio di Efeso (431), confuse e condannò l'eretico. Mori nel 434. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa universale.
    La divina Maternità e V Immacolata Concezione.
    Santo Vescovo, si rallegrino i cieli ed esulti la terra (Sal 95,11) al ricordo del combattimento in cui la Regina della terra e del cielo volle trionfare per tuo mezzo dell'antico serpente. L'Oriente sempre ti onorò quale suo luminare; l'Occidente saluta in te sin dagli antichi tempi il difensore della Madre di Dio; ed ecco che oggi la solenne commemorazione ch'essa consacra alla tua memoria, nei fasti dei Santi, non basta più alla sua riconoscenza. Infatti, un nuovo fiore è sbocciato sulla corona di Maria nostra Regina; e questo fiore splendente è germogliato dal medesimo suolo che irrorasti coi tuoi sudori. Tu, proclamando nel nome di Pietro e di Celestino Papa la divina Maternità, preparavi alla Madonna un altro trionfo, conseguenza del primo: la Madre d'un Dio non poteva che essere immacolata. Pio IX, definendo tale dogma, non faceva che completare l'opera di Celestino e la tua, perciò le date del 22 giugno del 431 e dell'8 dicembre del 1854 risplendono in cielo con un medesimo fulgore, alla stessa maniera che produssero sulla terra le medesime manifestazioni di giubilo e di amore.
    Dottore della Chiesa.
    L'Immacolata imbalsama il mondo dei suoi profumi, ed è per questo, o Cirillo, che tutta quanta la Chiesa, a quattordici secoli di distanza, si rivolge a te, e giudicando compiuta l'opera tua, ti proclama Dottore, affinché d'ora in poi nulla manchi agli omaggi che ti deve la terra. Così, o Pontefice prediletto del cielo, il culto che ti è attribuito si completa con quello della Madre di Dio; la stessa tua glorificazione è una nuova estensione della gloria di Maria. Te fortunato, o suo paladino, che nessun altro onore potrebbe mai procurarti un tale avvicinamento alla Sovrana del mondo e del suo cavaliere.
    Preghiera alla Madre di Dio.
    Pertanto, comprendendo che il miglior modo di onorarti, è l'esaltare Colei la cui gloria divenne la tua, noi vogliamo ripetere gli accenti infiammati che lo Spirito Santo ti suggerì per cantare le sue grandezze all'avvenuto trionfo di Efeso: "Noi ti salutiamo, o Maria Madre di Dio, gioia fulgente dell'universo, lampada inestinguibile, corona di verginità, scettro dell'ortodossia, tempio indistruttibile e che racchiude l'immenso, o Vergine e Madre, per la quale ci fu dato il benedetto dei santi Evangeli, colui che viene nel nome del Signore. Salve a te, il cui seno verginale e sempre puro portò l'Infinito, per la quale è glorificata la Trinità, e la preziosissima Croce è onorata e adorata in tutta la terra; letizia del ciclo, serenità degli Arcangeli e degli Angeli, che mette in fuga i demoni; per merito tuo il tentatore è caduto dal cielo, così come per merito tuo la creatura decaduta si rialza e risale al cielo. L'insania degl'idoli chiudeva come in una morsa il mondo, e tu apristi i suoi occhi alla verità; a te i credenti devono il santo battesimo, a te l'olio dell'allegrezza; in ogni angolo della terra tu fondasti le Chiese e riconducesti le nazioni alla penitenza. Che dire di più. Per te il Figlio unico di Dio brillò come la luce di coloro che giacevano nelle tenebre e nell'ombra della morte; per te i Profeti predissero l'avvenire, gli Apostoli predicarono la salvezza alle nazioni, i morti risuscitano e regnano i re per la Ss. Trinità. Chi mai potrà celebrare Maria, la creatura degna d'ogni lode, in maniera adeguata alla sua dignità?" (4.a Omelia).
    Preghiera a san Cirillo.
    Se la dignità della Madre di Dio realmente supera ogni lode, o Cirillo, fa' almeno ch'ella susciti in mezzo a noi uomini capaci di celebrare come te le sue grandezze. Che la potenza di cui ella si degnò arricchirti contro i suoi nemici mai venga meno a coloro che devono sostenere ai nostri giorni la lotta incominciata dall'origine del mondo fra la Donna e il Serpente. L'avversario è cresciuto in audacia; il nostro secolo è andato più lontano, nel negare Cristo, che Nestorio, che lo stesso Giuliano, questo principe apostata, contro il quale pure difendesti la divinità del Figlio della Vergine Madre. O te, che hai colpito l'errore così fortemente, mostra ai sapienti dei nostri tempi come si vince: ch'essi sappiano appoggiarsi come te su Pietro, e non restino indifferenti per tutto ciò che viene a toccare la Chiesa, e considerino sempre propri nemici, e loro soli nemici, i nemici del regno di Dio. Nei tuoi scritti sublimi i pastori apprenderanno la vera scienza, quella dei Libri Sacri, senza la quale il loro zelo sarà inefficace. I cristiani impareranno alla tua scuola che non potranno mai crescere nella virtù, senza progredire sopra tutto nella fede e senza approfondire in essi la conoscenza del mistero dell'Uomo-Dio. In un tempo in cui la superficialità delle nazioni basta a tante anime, a tutti ripetete che "solo l'amore del vero porta alla vita" (1.a Omelia).All'avvicinarsi della santa Quarantena, noi ci ricordiamo ogni anno, in questi stessi giorni, di queste Lettere pasquali, che, con l'annuncio della Solennità delle solennità, esortavano alla penitenza; penetra i nostri cuori dell'importanza della vita cristiana, eccitali ad entrare coraggiosamente nel sacro tempo in cui essi dovranno ritrovare la pace con Dio mediante il trionfo sulla carne e sui sensi.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 793-802

  2. #12
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    9 FEBBRAIO 2014SANTA APOLLONIA, VERGINE E MARTIRE
    Dio padrone della vita.
    La Chiesa d'Alessandria c'invita oggi a venerare la vergine santa Apollonia, che insieme alle sorelle Agata e Dorotea viene a rianimare i nostri cuori. La presente vita non fu niente ai suoi occhi. Guidata dallo Spirito Santo, la vediamo salire sul rogo senza aspettare d'esservi gettata dalla mano dei carnefici. Non è raro ai nostri giorni, che uomini stanchi della vita o compromessi dalla loro superbia si diano in pasto alla morte per sottrarsi ai doveri. Apollonia corre, sì, a gettarsi nel bracere, ma per dimostrare in questa maniera l'odio per il più grande dei delitti. Più d'una volta, ai tempi delle persecuzioni, lo Spirito divino suggerì il medesimo comportamento ad altre vergini che temevano per la loro fede o per il loro onore. Tali esempi, tuttavia, sono rari; ma comprovano che padrone della nostra vita è Dio, e che noi dobbiamo essere disposti a restituirgliela quando a lui piaccia.
    Santa protettrice.
    Una circostanza del martirio di sant'Apollonia attira l'attenzione dei fedeli. Per punire la libertà con la quale la santa predicava Gesù Cristo, i carnefici giunsero al punto di spezzare furiosamente i denti nella sua bocca ispirata. Una pia fiducia, spesso ricompensata, portò i cristiani ad implorare da sant'Apollonia il sollievo nel mal di denti. È infatti volontà del Signore che possiamo contare sulla protezione dei suoi santi, non solo nei bisogni spirituali, ma anche nelle necessità corporali.
    VITA. - Ecco l'elogio che la Chiesa, nella liturgia, consacra alla memoria di sant'Apollonia.Apollonia, vergine d'Alessandria, era già molto avanzata in età, quando sotto l'impero di Decio, fu trascinata davanti agli idoli e costretta ad adorarli. Ella diede loro soltanto segni di disprezzo, dichiarando altamente che si doveva adorare Gesù Cristo, vero Dio. Allora le ruppero e le strapparono tutti i denti; e gli empi carnefici, acceso un rogo, la minacciarono di bruciarla viva, se non avesse detestato il Cristo e adorato gli dei. Apollonia rispose ch'era pronta a sostenere la morte per la fede di Gesù Cristo. Allora s'impossessarono di lei per bruciarla; ma, fermandosi un istante, come per deliberare su ciò che dovesse fare, ella si liberò dalle mani che la tendevano e, divorata nell'intimo dell'anima dall'ardore dello Spirito Santo, si precipitò nel braciere ardente che stava preparato per lei. In poco tempo il suo corpo fu consumato, e l'anima purissima volò al cielo a ricevere l'eterna corona del martirio (349).(Racconto autentico desunto da una lettera di Dionigi Alessandrino a Fabiano d'Antiochia e riportato da Eusebio).
    Timore dell'inferno.
    Quale ardore avesti, o Apollonia! La fiamma del rogo, lungi dallo spaventarti, ti attira e corri là come a un luogo di delizie. Di fronte al peccato la morte ti è dolce, e non aspetti che la barbara mano degli uomini ti getti in pasto ad essa. Un tal coraggio confonde la nostra debolezza; quantunque il braciere che preferisti all'apostasia, e che in pochi istanti doveva farti nascere alla felicità senza fine, non sia nulla in confronto del fuoco eterno che il peccatore affronta a ogni momento, perché non ne è ancora scottato. Egli osa sfidare queste fiamme vendicatrici ed esporvisi per una soddisfazione effimera. Per questo i mondani si scandalizzano dei santi, trovandoli esagerati, impulsivi, fanatici, perché i santi vedono più lontano di loro. Risveglia in noi il timore del peccato, che può divorare eternamente coloro che muoiono in stato di peccato. Se il fuoco ci pare spaventoso l'orrore della sua sofferenza e distruzione serva almeno a tenerci lontani dal male che trascina gli uomini in quell'abisso, in fondo al quale, come dice san Giovanni (Ap 14,11), il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli. Moviti a compassione di noi, o Vergine, e prega per i peccatori, apri loro gli occhi sui pericoli che li minaccia; fa' che temiamo Dio, affinché possiamo evitare la sua giustizia e cominciamo anzi ad amarlo.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 802-804

  3. #13
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    9 febbraio 2014
    DOMENICA QUINTA

    DOPO L'EPIFANIA
    MESSA
    EPISTOLA (Col 3,12-17). - Fratelli: Rivestitevi come eletti di Dio, santi ed amati, di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di modestia, di pazienza, sopportandovi a vicenda, e perdonandovi scambievolmente, se alcuno ha di che dolersi d'un altro; come il Signore ci ha perdonati, così fate anche voi. Ma soprattutto abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati in un solo corpo, trionfi nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi nella sua pienezza con ogni sapienza. Istruitevi ed esortatevi tra di voi con salmi, inni e cantici spirituali, dolcemente a Dio cantando nei vostri cuori. Qualsiasi cosa diciate o facciate, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, ringraziando Dio Padre per Gesù Cristo nostro Signore.
    Ammaestrato alla scuola dell'Uomo-Dio che si è degnato di abitare su questa terra, il cristiano deve esercitarsi nella misericordia verso i suoi fratelli. Questo mondo, purificato dalla presenza del Verbo incarnato, diventerà per noi l'asilo della pace, se sapremo meritare i titoli che ci da l'Apostolo, dieletti di Dio, santi e prediletti. Questa pace deve riempire innanzitutto il cuore di ogni cristiano, e porlo in un continuo gaudio che trova gusto ad effondersi nel canto delle lodi di Dio. Ma soprattutto la Domenica i fedeli, unendosi alla santa Chiesa, nei suoi salmi e nei suoi cantici, adempiono quel dovere così caro al loro cuore. Nella pratica quotidiana della vita, ricordiamoci anche del consiglio che ci da l'Apostolo al termine di quest'Epistola, e pensiamo a fare tutto in nome di Gesù Cristo, per essere accetti in tutto al nostro Padre celeste.
    VANGELO (Mt 13,24-30). - In quel tempo: Gesù propose alle turbe questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma nel tempo che gli uomini dormivano, sen venne il suo nemico a seminare del loglio nel suo campo e se ne andò. Come poi il seminato germogliò e granì» allora apparve anche il loglio. E i servi del padrone di casa andarono a dirgli: Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Come mai dunque c'è il loglio ? Ed egli rispose loro: Qualche nemico ha fatto questo. E i servi dissero: Vuoi che andiamo a sterparlo ? Ma egli: No, che, cogliendo il loglio, non sbarbiate con esso anche il grano. Lasciate che l'uno e l'altro crescano fino alla mietitura: e al tempo della messe, dirò ai mietitori: Raccogliete prima il loglio e legatelo in fasci, per bruciarlo; il grano poi riponetelo nel mio granaio.
    Il regno dei cieli di cui parla qui il Salvatore è la Chiesa militante, la società di coloro che credono in lui. Tuttavia, quel campo che egli ha coltivato con tanta cura, è seminato di zizzania; vi sono scivolate le eresia, vi si moltiplicano gli scandali. Dobbiamo dubitare per questo della provvidenza di Colui che tutto conosce, e senza il cui permesso nulla può accadere? Lungi da noi questo pensiero! Il maestro ci dice egli stesso che dev'essere così. L'uomo ha ricevuto la libertà del bene e del male: spetta a lui usarne, come spetta a Dio far rivolgere tutto alla sua gloria. Spunti dunque l'eresia come una pianta maledetta: sappiamo che verrà il giorno in cui sarà sradicata; più d'una volta, anzi, la si vedrà seccare sul suo stesso tronco, nell'attesa del giorno in cui dovrà essere tolta e gettata nel fuoco. Dove sono oggi le eresie che desolarono la Chiesa nei suoi primi tempi? E lo stesso è avvenuto per gli scandali che sorgono nel seno stesso della Chiesa. Questa zizzania è un flagello, ma è necessario che noi siamo provati. Il padre di famiglia non vuole che si tolga l'erba parassita, perché non si abbia a nuocere anche al grano. Perché? Perché la convivenza dei buoni e dei cattivi è un utile esercizio per i primi, insegnando ad essi a non tener conto dell'uomo, ma ad elevarsi più in alto. Di più: la misericordia del Signore è tanta, e quanto è zizzania può a volte, per la grazia divina trasformarsi in grano. Abbiamo dunque pazienza; ma poiché il nemico semina zizzania solo durante il sonno dei custodi del campo, preghiamo per i pastori, e chiediamo per essi al loro divino Capo quella vigilanza che è la principale garanzia della salvezza del gregge, e che è indicata, come la prima loro dote, dal nome stesso che la Chiesa loro impone.
    PREGHIAMO
    Custodisci, Signore, con inesauribile pietà la tua famiglia; che si basa solo sulla speranza della grazia celeste, affinché sia sempre munita della tua protezione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 246-247

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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    10 FEBBRAIO 2014SANTA SCOLASTICA VERGINE
    Il martirio e la verginità.
    Oggi la nostra gioia ci viene dalla dolce presenza della sorella del Patriarca dei monaci d'Occidente, santa Scolastica. La vergine claustrale ci appare a fianco della martire: entrambe spose di Gesù, entrambe coronate, perché entrambe combatterono e riportarono la palma. Una la colse in mezzo agli aspri assalti del nemico, in un momento che esigeva la vittoria sulla morte; l'altra sostenne per tutta la vita una lotta quotidiana, che si prolungò, per così dire, fino all'ultimo momento [1]. Apollonia e Scolastica sono sorelle, unite insieme per l'eternità nel cuore del comune Sposo.
    Sorella e discepola di san Benedetto.
    Conveniva che la grande ed austera figura di san Benedetto ci apparisse addolcita dagli angelici tratti della sorella, che nella sua profonda sapienza, la divina Provvidenza volle accanto a lui per esserne la fedele cooperatrice. La vita dei santi presenta spesso tali contrasti, come se il Signore volesse farci intendere che, al di sopra delle regioni della carne e del sangue, esiste un legame per le anime che le unisce e le rende feconde, le tempra e le completa. Così, nella patria celeste, gli Angeli delle diverse gerarchie sono congiunti da mutuo amore, di cui il Signore è il nodo, e godono eternamente le dolcezze d'una tenera fratellanza.La vita di Scolastica trascorse quaggiù senza lasciarci altra traccia che il suggestivo ricordo della colomba, che, levandosi verso il cielo, avverti san Benedetto che lo precedeva di alcuni giorni nella eterna felicità. È l'unico episodio che ci resta di questa Sposa di Cristo, unitamente al racconto che ci fa san Gregorio Magno, in cui riproduce il colloquio avvenuto tra fratello e sorella tre giorni prima che questa fosse chiamata alle nozze celesti [2]. Ma quali meraviglie ci rivela questa scena incomparabile! Chi non comprenderà facilmente l'anima di Scolastica dalla graziosa semplicità dei suoi desideri, dalla dolce e forte fiducia in Dio, dall'ineffabile felicità con la quale trionfa sul fratello, chiamando Dio stesso in suo aiuto?
    La potenza dell'amore.
    Ma dove, dunque, la fragile vergine attinse quella forza che la rese capace di resistere all'insistenza del fratello, nel quale essa riveriva il suo maestro e il suo oracolo? chi l'avvertì che la sua preghiera non era temeraria, e che poteva esservi in quel momento qualcosa di meglio della severa fedeltà alla Regola che Benedetto aveva scritta e doveva osservare con l'esempio? Ci risponde san Gregorio: "Non meravigliamoci, egli osserva, che una sorella che da tanto tempo ardeva dal desiderio di vedere il fratello, abbia avuto in quel momento più potere di lui sul cuore di Dio; poiché, secondo la parola di san Giovanni, Dio è amore, ed era giusto che colei che amava di più si mostrasse più potente di quegli che amava di meno".
    La carità fraterna.
    Santa Scolastica, perciò, sarà in questi giorni l'apostola della carità fraterna. Ella ci spingerà all'amore dei nostri simili, che Dio vuole risvegliare in noi, mentre noi c'industriamo a ritornare a lui. La solennità pasquale ci chiamerà a uno stesso banchetto, dove ci nutriremo della medesima vittima della carità. Prepariamo subito la veste nuziale, perché colui che ci invita vuole vederci tutti uniti nella sua casa (Sal 67).
    Semplicità della colomba.
    Come fu rapido il tuo volo, quando, staccandoti da questa terra d'esilio, ti slanciasti verso Dio. L'occhio del fratello ti seguì per un istante; poi ti perdette di vista; ma l'intera corte celeste trasalì di gioia nel vederti entrare. Ora tu sei alla sorgente di quell'amore che sovrabbondava nel tuo cuore: dissetati eternamente a questa fonte di vita, e che il tuo soave candore sia sempre più puro e rifulgente, in compagnia delle altre vergini che formano la corte dell'Agnello.Ricordati, però, di quella terra che fu per te, come è per noi, il luogo della prova dove meritasti tanto onore. Timida davanti agli uomini, semplice e innocente, tu ignoravi a che punto "feristi il cuore dello Sposo". Trattavi con lui con l'umiltà e la confidenza di un'anima mai turbata da rimorso alcuno, ed egli s'arrendeva ai tuoi desideri con amabile condiscendenza. Benedetto, carico d'anni e di meriti, assuefatto a vedere la natura obbediente ai suoi comandi, fu vinto da te, in una lotta in cui la semplicità aveva visto più lontano della profonda saggezza.
    Grandezza dell'amore.
    Chi dunque ti aveva svelato, o Scolastica, il senso sublime che in quel giorno ti fece apparire più saggia di quel grande uomo scelto da Dio ad essere la regola vivente dei perfetti? Fu quegli stesso che elesse Benedetto come una delle colonne della Religione. E lo fece per mostrarci che la pura carità vale molto di più ai suoi occhi della più rigorosa fedeltà alle leggi. Queste non sono fatte che per essere di aiuto a guidare gli uomini al fine cui il tuo cuore già mirò. Benedetto, l'amico di Dio, comprese, e ben presto, riprendendo la celeste conversazione, le vostre anime si fusero nella dolcezza di quell'amore increato, che s'era rivelato a voi con tanta meraviglia e tanta gloria di sé. Ma tu eri ormai matura per il cielo; il tuo amore non aveva più nulla di terreno: ti attirava in alto. Ancora poche ore, e la voce del Signore ti farà sentire le parole della Cantica, che lo Spirito Santo sembra aver dettate per te: "Alzati, affrettati, o mia diletta, o mia colomba, o mia bella, e vieni; mostrami il tuo viso, risuoni la tua voce nelle mie orecchie, che la tua voce è soave e leggiadro il tuo viso" (Ct 2,10,14).
    Preghiera per tutti...
    Nel lasciare questa terra non dimenticarci! Le anime nostre sono destinate a seguirti, sebbene sian prive del medesimo incanto agli occhi del Signore. Meno fortunate della tua, esse dovranno purificarsi per lungo tempo prima d'essere ammesse nel soggiorno ove contempleranno la tua beatitudine. La tua preghiera obbligò le nubi del cielo a piovere sulla terra: ch'essa ci ottenga le lacrime della penitenza. Le tue delizie consistevano nella conversazione intorno alle cose eterne: rimuovi le nostri futili e nocive: facci gustare quelle nelle quali le anime nostre aspirano ad unirsi a Dio. Tu trovasti il segreto di quella fraterna carità, il cui sentimento è un profumo di virtù che allieta il cuore di Dio: apri i nostri cuori all'amore verso i fratelli; elimina la loro freddezza e indifferenza, onde possiamo scambievolmente amarci come Dio vuole che ci amiamo.
    ... per l'ordine monastico.
    Ricordati dell'albero sotto i cui rami si rifugiò la tua vita. Il chiostro benedettino t'invoca non solo come la sorella, ma anche come la figlia del suo augusto Patriarca. Dall'alto dei cieli contempla i resti dell'albero, un tempo sì vigoroso e fecondo, all'ombra dei quale le nazioni dell'Occidente si riposarono per lunghi secoli. In ogni parte la scure distruggitrice dell'empietà si divertì a colpire: rami e le radici. Ovunque sono rovine, che coprono il suolo dell'Europa intera. Ciò nonostante, sappiamo ch'esso dovrà rivivere e che germoglierà di nuovi rami, perché il Signore ha voluto legare la sorte di questo antico albero agli stessi destini della Chiesa. Prega, affinché riviva in esso la prima linfa, proteggi con materne cure le tenere gemme che produce; difendile dalle tempeste, benedicile e rendile degne della fiducia che in esse ripone la Chiesa.

    [1] Secondo una tradizione che rimonta a san Bertario, abate di Monte Cassino (+ 884), san Benedetto e santa Scolastica erano gemelli. Consacrati a Dio sin dall'infanzia, si crede che la sorella raggiungesse il fratello a Subiaco; quindi si stabilisse presso Cassino, a Plumbariola, dove presto fu circondata da una famiglia di vergini.
    [2] Il corpo di santa Scolastica fu trasportato, fra il 686 e il 707, da Monte Cassino, dove l'aveva fatto seppellire san Benedetto, a Mans, e posto in un monastero di monaci che d'allora portò il suo nome. Nell'874, Richilde, moglie di Carlo il Calvo, ottenne le ossa delle braccia e delle gambe per il monastero di Javigny. Un incendio del 1134 distrusse la parte di reliquie ch'erano rimaste a Mans: i pochi resti che ne scamparono sono conservati nella chiesa parrocchiale di S. Benedetto e S. Scolastica. La Santa è Patrona della città di Mans, la quale diverse volte, ed anche recentissimamente, nel 1944, esperimentò gli effetti della sua protezione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 804-808

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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    11 FEBBRAIO 2014
    APPARIZIONE DELL'IMMACOLATA VERGINE MARIA
    Il messaggio di Lourdes.
    Nelle nubi comparirà il mio arco, ed io mi ricorderò del mio patto con voi (Gen 9,14-15). Nell'Ufficio dell'11 febbraio 1858 (giovedì di Sessagesima) le lezioni liturgiche ricordavano queste parole alla terra, quando il mondo apprese che in quello stesso giorno Maria era apparsa più bella del segno della speranza, che al tempo del diluvio fu la sua meravigliosa figura.
    Era il tempo in cui si moltiplicavano per la Chiesa i sintomi forieri di un avvenire che oggi s'è fatto presente e che ben conosciamo. La vecchia umanità sembrava fosse sul punto di sommergere in un diluvio peggiore dell'antico.
    IO SONO L'IMMACOLATA CONCEZIONE, dichiarò la Madre della divina grazia all'umile fanciulla scelta in quel momento a recare il suo messaggio ai custodi dell'arca della salvezza. Alle tenebre che salivano dall'abisso ella opponeva, come un faro, l'augusto privilegio che, tre anni prima, il supremo nocchiero aveva proclamato come dogma in sua gloria.
    Infatti se, come afferma Giovanni il prediletto, è la nostra fede che possiede quaggiù le promesse della vittoria (1Gv 5,4); e, se la fede si alimenta di luce: qual dogma meglio di questo che racchiude e proclama tutti gli altri, li rischiara allo stesso tempo di sì soave splendore? Sul capo della trionfatrice temuta dall'inferno, esso è veramente la regale corona su cui, come nell'arca vincitrice delle tempeste, convergono i diversi splendori del cielo.
    Tuttavia occorreva aprire gli occhi dei ciechi a queste bellezze, incoraggiare i cuori angosciati dalle audaci negazioni dell'inferno, rialzare dall'impotenza a formulare l'atto di fede tante intelligenze debilitate dall'educazione delle scuole moderne. Convocando le folte sul luogo benedetto della sua apparizione, l'Immacolata veniva incontro, con fortezza e soavità, alle anime deboli guarendo i corpi; sorridendo alla pubblicità e accettando ogni controllo, confermava, con l'autorità del miracolo permanente, la propria parola e la definizione fatta dal Vicario del Suo Figliolo.
    Come il Salmista celebrava le opere di Dio che narrano in ogni lingua la gloria del creatore (Sal 18,2-5); come san Paolo tacciava d'insania, nonché d'empietà, chiunque non credeva alla loro testimonianza (Rm 1,18-32): altrettanto si può dire degli uomini del nostro tempo, che sono inescusabili, se non riconoscono dalle opere sue la SS. Vergine. Ella potrebbe moltiplicare i suoi benefici, aver compassione dei più gravi infermi: ma queste anime malate che, nel timore inconfessato di importune conclusioni, ricusano di vedere oltre; o lottando apertamente contro la verità, spingono al paradosso il proprio pensiero, avvolgono nelle tenebre i loro cuori, come dice l'Apostolo (Rm 1,21), e fanno temere che il senso depravato, il cui castigo portavano nella carne i pagani (ivi 28), abbia leso la loro ragione.
    Appello alla penitenza.
    "O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi!" È la preghiera che, dall'anno 1830, voi stessa c'insegnaste contro le minacce dell'avvenire. In seguito, nel 1846, i due pastorelli della Salette ci rammentavano le vostre esortazioni e le vostre lacrime. "Pregate per i poveri peccatori e per il mondo così sconvolto", ci ripete oggi da parte vostra la veggente della grotta di Massabielle : "Penitenza! penitenza! penitenza!".
    Noi vogliamo obbedirvi, o Vergine benedetta, vogliamo combattere in noi e dovunque l'universale e unico nemico, il peccato, male supremo donde derivano tutti i mali. Lode all'Onnipotente, che si degnò preservarvi da ogni contaminazione e specialmente riabilitare in voi la nostra natura umiliata! Lode a voi che, non avendo alcun debito, rimetteste i nostri con le materne lacrime e col sangue del Figlio! vostro, riconciliando la terra col cielo e schiacciando la testa al serpente (Gen 3,15)!
    Preghiera ed espiazione! Non era questa, sin dai primi tempi, dai tempi degli Apostoli, in questi giorni di avvicinamento più o meno immediato alla Quaresima, l'insistente raccomandazione della Chiesa? O Madre nostra del Cielo, siate benedetta per essere venuta sì opportunamente ad armonizzare la vostra voce con quella della grande Madre della terra. Il mondo ormai rifiutava, non comprendeva più l'infallibile e indispensabile rimedio, offerto dalla misericordia e dalla giustizia di Dio alla sua miseria; sembrava aver dimenticato per sempre il monito:Se non fate penitenza perirete tutti (Lc 13,3-5).
    La vostra pietà, o Maria, ci desta dal nostro torpore! Conoscendo la nostra debolezza, voi accompagnate con mille dolcezze il calice amaro, e per indurre l'uomo ad implorarvi i beni eterni, gli prodigate quelli del tempo. Noi non vorremo essere come quei fanciulli che ricevono volentieri le carezze materne e trascurano gl'insegnamenti e le correzioni che quelle carezze avevano lo scopo di fare accettare. D'ora innanzi sapremo, con voi e con Gesù, pregare e soffrire; durante la santa Quarantena, col vostro aiuto, ci convertiremo e faremo penitenza.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 808-810

  6. #16
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    12 FEBBRAIO 2014
    I SETTE SANTI FONDATORI
    dell'Ordine dei Servi della B. V. Maria

    La Passione e la Compassione.
    Il cielo della Chiesa si oscura. Tutto ormai annuncia il giorno in cui l'Emmanuele apparirà nello stato in cui l'hanno ridotto i nostri peccati. Dunque così presto Betlemme chiama il Calvario? Ai piedi della Croce ritroveremo la Madre della divina Grazia; Maria allora concepirà nelle lacrime i fratelli del primogenito, la cui nascita fu piena di dolcezze. Come gustammo le sue gioie, così sapremo con lei piangere e soffrire.
    Prendiamo a modello i beati da onorare in questo giorno. La loro vita si consumò nella contemplazione delle sofferenze della Vergine; e l'Ordine che fondarono ebbe per missione di propagare il culto dei suoi dolori. Era il tempo in cui san Francesco d'Assisi al mondo intiepidito rievocava il segno del divin Crocifisso. Nel ripristino dell'opera della salvezza, non meno del Venerdì della grande Settimana, Gesù non poteva non mostrarsi alla terra senza Maria; i Serviti completarono a loro volta l'opera del patriarca dei Minori; e l'umanità derelitta ritrovò la fiducia, meditando la Passione del Figlio e la compassione della Madre.
    Quale posto occupino nell'economia della redenzione i dolori della Vergine SS., è ciò che ci diranno a suo tempo due diverse feste dedicate a questo mistero. Ma sin d'ora uniamo la nostra gratitudine a quella della Chiesa per la famiglia religiosa dei Serviti; a questa il mondo deve il suo avanzamento nella conoscenza e nell'amore verso la Madre di Dio, divenuta nostra madre al prezzo di sofferenze che nessun'altra figliolanza conosce.

    VITA. - Dal 1183 Firenze possedeva una confraternita dedicata alla Vergine, allo scopo di contenere il dilagare dell'eresia càtara. Verso il 1330 tale confraternita annoverò fra i suoi membri sette dell'aristocrazia. Il 15 agosto 1233, mentre erano in preghiera, ebbero la stessa ispirazione di abbandonare ogni cosa per meglio servire Dio e la SS. Vergine. Si ritirarono perciò in un romitaggio, col proposito di non ammettere nessuno in loro compagnia. Ma il miracolo della vigna che produsse dei frutti in tempo di Quaresima, mostrò loro che dovevano accogliere dei discepoli. I loro cenobi si moltiplicarono rapidamente in Italia, in Germania ed in Francia; e Benedetto XI approvò l'Istituto nel 1304. Dediti alla contemplazione della Passione di Cristo e alle sofferenze della Madre, i Serviti dovevano promuovere il culto dei dolori di Maria.
    Nell'occasione del suo giubileo sacerdotale, Leone XIII canonizzò i sette Fondatori dei Serviti, la cui festa si celebra il 13 febbraio.

    La vigna della Madonna.
    Come voi faceste propri i dolori di Maria, così ella ora vi partecipa i suoi eterni gaudi. Ma la vigna i cui grappoli maturati anzi tempo presagivano la vostra fecondità, esala ancora la sua fragranza in questo nostro esilio; ed i fedeli altamente apprezzano i frutti che continua a produrre. Voi vi compiacete dell'oscurità in cui pure la Regina dei Santi trascorse la sua vita mortale. Ma in un secolo in cui la gloria di Maria dissipa ogni nube, non vi sono più ombre che possano privare i suoi servi dello splendore che rifulse nella loro augusta Genitrice.
    Che i vostri benefici siano sempre più palesi! non cessate di riscaldare il cuore di un mondo decrepito, allo stesso focolare, in cui il vostro seppe accendere tanto vigoroso amore, che lo fece trionfare del male e immolarsi a Dio. Cuore di Maria, la cui spada di dolore fece divampare fiamme, siate per noi modello, asilo e ristoro, finché non giunga l'ora che porrà termine alle nostre sofferenze e alle nostre lacrime.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 810-811


  7. #17
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    14 FEBBRAIO 2014
    SAN VALENTINO PRETE E MARTIRE

    La Chiesa oggi onora la memoria di questo santo prete di Roma, che subì il martirio verso l'anno 270. Ci sfuggono i maggiori particolari della sua vita e ben poche notizie abbiamo sui suoi patimenti. Nondimeno, il culto di san Valentino non è meno celebre nella Chiesa, e noi dobbiamo ritenerlo uno dei nostri protettori nella stagione liturgica in cui il suo nome e i suoi meriti vengono ad arricchire quelli di tanti altri martiri, per incoraggiarci a cercare Dio, al prezzo di tutti i sacrifici che ci possono rimettere in grazia sua.
    Prega, perciò, o santo Martire, per i fedeli che da tanti secoli conservano viva la tua memoria. Nel giorno del giudizio i nostri occhi ti riconosceranno dal fulgore di gloria che i tuoi combattimenti ti meritarono; ottienici col tuo aiuto che siamo posti alla destra ed associati al tuo trionfo.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 81

  8. #18
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    15 febbraio 2014
    DOMENICA SESTA (anticipata)

    DOPO L'EPIFANIA
    MESSA
    EPISTOLA (1Ts 1,2-10). - Fratelli: Noi rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, facendo continuamente memoria di voi nelle nostre orazioni, ricordandoci, davanti a Dio e Padre nostro, dell'opera della vostra fede, dei sacrifizi della vostra carità e della ferma vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, sapendo, o fratelli da Dio amati, che siete degli eletti. Infatti il nostro Vangelo tra di voi non fu solo a parole, ma anche nelle virtù e nello Spirito Santo e in molto accertamento; voi del resto ben sapete quali siamo stati fra di voi per vostro bene. E voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore avendo ricevuto la Parola in mezzo a molte tribolazioni con la gioia dello Spirito Santo, fino a divenire modello a tutti i credenti nella Macedonia e nell'Acaia. Infatti da voi la parola di Dio si è divulgata, non solamente per la Macedonia e per l'Acaia, ma da per tutto si è propagata anche la fama della fede che voi avete in Dio, e tanto che non abbiamo bisogno di parlarne; perché la gente stessa parla di noi, raccontando in che modo siamo venuti da voi e per aspettare dai cieli il suo Figliolo, che egli ha risuscitato da morte, Gesù, il quale ci ha salvati, dall'ira ventura.
    L'elogio che fa qui san Paolo della fedeltà dei cristiani di Tessalonica alla fede che avevano abbracciata, elogio che la Chiesa oggi ci pone nuovamente sotto gli occhi, sembra piuttosto un rimprovero per i cristiani dei nostri giorni. Quei neofiti, dediti ancora, la vigilia, al culto degli idoli, si erano lanciati con ardore nella via del cristianesimo, tanto da meritare l'ammirazione dell'Apostolo. Molte generazioni di cristiani ci hanno preceduti, siamo stati rigenerati fin dal nostro ingresso, in questa vita, abbiamo succhiato per così dire con il latte la dottrina di Gesù Cristo: e tuttavia la nostra fede è ben lontana dall'essere viva e i nostri costumi puri come quelli di quei primi fedeli. Tutto il loro impegno consisteva nel servire il Dio vivo e vero, e nell'attendere la venuta di Gesù Cristo; la nostra speranza è la stessa che faceva palpitare i loro cuori: perché dunque non imitiamo la generosa fede dei nostri antenati? Il fascino del presente ci seduce. L'incertezza di questo mondo passeggero ci è dunque ignota? E non abbiamo timore di trasmettere alle generazioni che ci seguiranno un cristianesimo fiacco e sterile ben diverso da quello che Gesù Cristo ha istituito, che gli Apostoli hanno predicato e che i pagani dei primi secoli abbracciarono a costo di qualunque sacrificio?
    VANGELO (Mt 13,31-35). - In quel tempo: Gesù propose alle turbe questa parabola: È simile il regno dei cieli a un chicco di senapa che un uomo prese e seminò nel suo campo: esso è certamente il più piccolo dei semi, ma cresciuto che sia, è il maggiore di tutti gli erbaggi e diviene albero, tanto che gli uccelli del cielo vanno a posarsi tra i suoi rami.
    Disse loro un'altra parabola: Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina finché tutto fermenta. Tutte queste cose Gesù le disse alle turbe in parabole, e non parlava loro che in parabole, affinché s'adempisse quanto era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose occulte fin dal principio del mondo.
    Nostro Signore ci presenta oggi due simboli molto espressivi della sua Chiesa, che è il suo regno e che ha inizio sulla terra per avere il compimento in cielo. Che cosa è quel grano di senapa, nascosto nell'oscurità del solco, nascosto ad ogni sguardo, e che riappare quindi come un germe appena percettibile ma che cresce sempre fino a diventare un albero? Non è forse la divina parola diffusa oscuramente nella terra di Giudea, soffocata per qualche istante dalla malizia degli uomini fino ad essere posta in un sepolcro, e che poi si leva vittoriosa e si estende presto su tutto il mondo? Non era passato ancora un secolo dalla morte del Salvatore, e già la sua Chiesa contava membri fedeli molto al di là dei confini dell'Impero romano. Da allora, ogni genere di tentativi è stato fatto per sradicare quel grande albero; la violenza, la potenza, la falsa sapienza vi hanno perso il proprio tempo. Tutto quello che hanno potuto fare è stato di strappare qualche ramo, che la linfa vigorosa dell'albero ha subito sostituito. Gli uccelli del cielo che vengono a cercare asilo e ombra sotto i suoi rami, sono - secondo l'interpretazione dei Padri - le anime che, attratte dalle cose eterne, aspirano ad un mondo migliore. Se siamo degni del nome di cristiani ameremo quell'albero, e non troveremo pace e sicurezza che sotto la sua ombra protettrice.
    La donna di cui si parla nella seconda parabola, è la Chiesa, madre nostra. È essa che, ai primordi del cristianesimo, ha nascosto, come un lievito segreto e salutare, la divina dottrina nella massa dell'umanità. Le tre staia di farina che ha fatto lievitare per formarne un pane delizioso sono le tre grandi famiglie della specie umana, uscite dai tre figli di Noè e alle quali risalgono tutti gli uomini che abitano la terra. Amiamo questa madre, e benediciamo quel lievito celeste per il quale siamo diventati figli di Dio, diventando figli della Chiesa.
    PREGHIAMO
    Fa', o Dio onnipotente, che noi, meditando sempre cose spirituali, compiamo con le parole e coi fatti ciò che ti è gradito.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 247-249

  9. #19
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    15 FEBBRAIO 2014
    SANTI FAUSTINO E GIOVITA, MARTIRI

    Gloria dei Martiri.
    Due fratelli martiri patirono all'inizio del secondo secolo dell'era cristiana; e la loro memoria s'è conservata in onore nella Chiesa. Passa rapidamente la gloria dei conquistatori e degli uomini di stato, e presto i loro nomi vengono cancellati dalla memoria dei popoli. Si passino in rassegna i sapienti onde sapere se a quell'epoca ne sono esistiti, e quali furono le loro azioni. Brescia, la capitale della Cenomania italiana, appena si ricorda di quelli che la governarono o la illustrarono nel secondo secolo. Ecco invece due dei suoi cittadini, il cui ricordo durerà quanto il mondo. Glorifichiamoli in questi giorni in cui i loro esempi ci parlano con tanta eloquenza della fedeltà che il cristiano deve a Dio.

    VITA. - Faustino e Giovita nacquero a Brescia. Durante la persecuzione di Traiano furono arrestati e trascinati in molte città d'Italia, soprattutto a Milano e a Roma, dove subirono i più gravi tormenti per la fede cristiana. Finalmente ebbero troncata la testa a Brescia, all'inizio del regno di Adriano.
    I loro Atti sono opera d'uno scrittore che visse molto tempo dopo il loro martirio (fine VIII - principio IX secolo), il quale si propose di far opera di edificazione inventando pie leggende, piuttosto che attenersi alla realtà storica.

    Preghiera.
    Martiri di Gesù Cristo, quando paragoniamo le nostre prove alle vostre, le vostre lotte con quelle che dobbiamo noi sopportare, quale riconoscenza non dobbiamo a Dio che ha tanto risparmiato la nostra debolezza! Noi, così pronti a violare la legge del Signore, sì pigri a rialzarci quando siamo caduti, come avremmo potuto sopportare i tormenti che doveste attraversare voi per giungere al riposo eterno? Eppure, siamo in cammino verso la stessa mèta alla quale voi siete già arrivati. Anche a noi è riservata una corona, cui non ci è lecito rinunciare. Rialzate il nostro coraggio, o santi Martiri! armateci contro il mondo e le cattive inclinazioni, affinché non solo con la bocca, ma anche con le opere e con gli esempi confessiamo Gesù Cristo e testimoniamo d'essere cristiani.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 812-813


  10. #20
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    Predefinito re: 28 febbraio 2014: Venerdì di Sessagesima

    16 febbraio 2014
    DOMENICA DI SETTUAGESIMA

    Il peccato e le sue conseguenze.
    La Santa Chiesa oggi c'invita a ricordare insieme con lei la storia della caduta del nostro progenitore. Una simile rovina già ci mostra l'epilogo della vita mortale. del Figlio di Dio fatto uomo, il quale si degnò addossarsi l'espiazione della prevaricazione originale e di tutte le colpe future. Per essere in grado d'apprezzarne il rimedio, è necessario che guardiamo in fondo la piaga. Perciò dedicheremo l'intera settimana a meditare la gravità del primo peccato e il cumulo delle sventure che attirò sull'umanità.
    Una volta la Chiesa leggeva nel Mattutino di questa domenica il racconto di Mosè che preparava tutte le generazioni a questo grande avvenimento. L'attuale Liturgia rimanda questa lettura al Mattutino del Mercoledì di questa settimana, mentre i giorni che lo precedono sono consacrati ai sei giorni della creazione. Tuttavia è bene che ce ne occupiamo ugualmente subito, perché è la storia più importante ed è la base di tutti gl'insegnamenti della settimana.

    Dal libro del Genesi (Gen 3,1-19)
    Ora il serpente era il più astuto di tutti gli animali della terra che il Signore aveva fatti. Ed esso disse alla donna: "Perché Dio v'ha comandato di non mangiare del frutto di tutte le piante del paradiso?" E la donna gli rispose: "Del frutto delle piante che sono nel paradiso ne mangiamo; ma del frutto dell'albero che è nel mezzo del paradiso Dio ci ordinò di non mangiarne, e di non toccarlo, ché forse non s'abbia a morire". Ma il serpente disse alla donna: "No, voi non morrete. Anzi Dio sa bene che , in qualunque giorno ne mangerete, si apriranno i vostri occhi, e sarete come Dei, avendo la conoscenza del bene e del male". Or la donna, vedendo che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto, lo colse e ne mangiò e ne diede al suo marito, che ne mangiò.
    Allora si apersero gli occhi ad ambedue, ed essendosi accorti d'esser nudi, cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Ed avendo udito la voce del Signore Dio che passeggiava nel fresco del paradiso al fresco della sera, Adamo con la sua moglie si nascose dal cospetto del Signore Dio in mezzo agli alberi del paradiso. E il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: "Dove sei?" Ed egli rispose: "Ho sentito nel paradiso la tua voce, ed avendo paura, perché nudo, mi son nascosto". E Dio gli disse: "Chi ti ha fatto conoscere d'essere nudo, se non l'aver mangiato il frutto del quale ti avevo comandato di non mangiare?". Adamo rispose: "La donna che mi desti per compagna mi ha dato il frutto e io ne ho mangiato". E il Signore Dio disse alla donna: "Perché hai fatto questo?". Ed essa rispose: "Il serpente mi ha sedotta, ed io ne ho mangiato".
    Allora il Signore Dio disse al serpente: "Perché hai fatto questo, sei maledetto fra tutti gli animali e le bestie della terra, tu striscerai sul tuo ventre e mangerai terra tutti i giorni della tua vita. Ed io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno". E alla donna disse: "Io moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze: con dolore partorirai i tuoi figlioli, sarai sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà". Ad Adamo poi disse: "Perché hai dato ascolto alla voce della tua moglie, ed hai mangiato del frutto del quale io t'avevo comandato di non mangiare, la terra è maledetta per causa tua, con fatica ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Essa ti produrrà triboli e spine, e tu mangerai l'erba dei campi. Col sudore della tua fronte mangerai il pane, finché non tornerai nella terra dalla quale fosti tratto; perché tu sei polvere, e in polvere ritornerai".
    Ecco la terribile pagina della storia umana, che sola può spiegare la condizione attuale dell'uomo sulla terra e per mezzo della quale noi impariamo come comportarci con Dio. Ne faremo l'oggetto principale delle nostre riflessioni nei prossimi giorni. Frattanto veniamo alla spiegazione della Liturgia odierna.

    M E S S A
    La Stazione è, a Roma, in S. Lorenzo fuori le Mura.
    Gli antichi liturgisti notavano la relazione esistente fra il giusto Abele, il cui sangue sparso dal fratello forma l'oggetto d'un Responsorio dell'odierno Mattutino, e il Martire sulla tomba del quale la Chiesa Romana apre la Settuagesima.

    EPISTOLA (1Cor 9,24-27; 10,1-15). - Fratelli: Non sapete che nelle corse dello stadio corrono sì tutti, ma uno solo ottiene il premio? Anche voi correte in modo da ottenerlo. Tutti i lottatori si sottopongono a ogni sorta di astinenze, e lo fanno per una corona corruttibile; ma noi lo facciamo per ottenere una corona eterna. Io poi corro in questa maniera e non come a caso: così combatto, non come chi batte l'aria: ma tratto duramente il mio corpo e lo costringo a servire, affinché dopo aver predicato agli altri, non diventi reprobo io stesso. Non voglio lasciarvi ignorare, o fratelli, che i padri nostri furono tutti sotto la nuvola, e tutti attraversarono il mare, e tutti furon battezzati per Mosè nella nube e nel mare, e tutti mangiarono dello stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale (bevevano alla pietra spirituale che li accompagnava, e questa pietra era Cristo). Ma non in gran numero di essi Dio si compiacque.
    Coraggio e generosità.
    L'energica parola dell'Apostolo raddoppia la nostra emozione al pensiero dei grandi eventi che si collegano a questo giorno. Il mondo è un'arena dove tutti dobbiamo correre; ma il premio sarà di coloro che corrono agili e liberi. Guardiamoci quindi da tutto ciò che potrebbe ritardare la nostra corsa e farci perdere la corona. Non illudiamoci: non v'è nessuna sicurezza per noi, finché non saremo arrivati al termine. È stata forse la nostra conversione più sincera di quella di san Paolo, e le nostre opere più sante e meritorie delle sue? Tuttavia egli confessa che non s'è spento nel suo cuore il timore di divenire reprobo per cui castiga il suo corpo e lo tiene schiavo.
    Allo stato attuale l'uomo non ha più quella retta volontà di Adamo prima del peccato, che del resto ne seppe usare così male: una tendenza fatale ci trascina verso l'abisso, al punto che possiamo conservare l'equilibrio solo sacrificando il corpo allo spirito. Sembra, questa una dottrina dura ai più, tanto che molti non giungeranno al traguardo, né potranno aver parte alla ricompensa loro destinata. Come gli Israeliti di cui parlava l'Apostolo, essi meriteranno d'essere seppelliti nel deserto e non vedranno mai più la terra promessa. Eppure s'erano realizzate sotto i loro occhi le stesse meraviglie di cui furono testimoni Giosuè e Caleb; ma non esiste rimedio che possa guarire l'indurimento d'un cuore che si ostina a riporre ogni speranza nelle cose presenti, come non si rivelassero ad ogni momento vane e pericolose.
    Se invece il nostro cuore confida in Dio e si conforta pensando che non mancherà il suo aiuto a chi l'implora, non s'arresterà mai la corsa del nostro pellegrinaggio e giungeremo felicemente alla mèta. Gli occhi del Signore sono sempre rivolti a chi lavora e soffre (Dal Graduale della Messa).

    VANGELO (Mt 20,1-16). - In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: È simile il regno dei cieli a un padrone che allo spuntar del giorno uscì a prendere ad opera dei lavoratori per la sua vigna. E pattuito coi lavoratori un denaro al giorno, li mandò alla sua vigna. Ed uscito verso l'ora terza, vide altri stare sulla piazza sfaccendati, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna e vi darò quel che sarà giusto. E quelli andarono. Di nuovo uscì verso l'ora sesta e nona, e fece lo stesso. Uscito poi verso l'undecima, trova altri sfaccendati, e dice loro: Perché vene state tutto il giorno qui senza far nulla? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli a loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta poi la sera, il padrone della vigna dice al suo fattore: Chiama i lavoratori e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Essendo dunque venuti quelli dell'undecima ora, ebbero un denaro per uno. Venuti poi anche i primi, pensavano di ricevere di più: ma ebbero anch'essi un denaro per uno. E, presolo, mormoravano contro il padrone, dicendo: Questi ultimi han fatto un'ora sola, e li hai trattati come noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo. Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto: non hai pattuito con me per un denaro? Piglia il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. E non posso fare del mio quel che voglio? È forse maligno il tuo occhio perché io son buono? Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi. E molti sono i chiamati, pochi gli eletti.
    La chiamata delle nazioni.
    Notiamo la grande importanza di cogliere il senso giusto di questo brano evangelico e valutarne i motivi per cui la Chiesa ce lo propone in questo giorno.
    Anzitutto consideriamo le circostanze nelle quali il Salvatore pronuncia tale parabola e il fine istruttivo che in essa ci viene esplicitamente dichiarato. Si tratta di avvertire i Giudei che s'avvicina la fine della loro legge, la quale deve lasciare il posto alla legge cristiana, e di disporli ad accogliere favorevolmente l'idea che i Gentili saranno chiamati a stringere alleanza con Dio. Difatti la vigna di cui si parla è la Chiesa, nei suoi differenti aspetti, dall'inizio del mondo fino al giorno in cui il Signore s'abbassò a venire in mezzo agli uomini e costituì, in una forma visibile e permanente, la società dei credenti in lui. L'alba di questo mondo era durata da Adamo fino a Noè; l'ora terza si estese da Noè ad Abramo; l'ora sesta cominciò da Abramo e giunse fino a Mosè; l'ora nona fu l'epoca dei Profeti, fino all'avvento del Signore. Finalmente l'ora undecima, quando cioè il mondo sembrava volgere alla completa rovina, apparve il Messia. Le più grandi misericordie furono riservate a questa ultima età, nella quale la sua salvezza doveva estendersi ai Gentili per mezzo della predicazione degli Apostoli.
    Con quest'ultimo mistero Gesù vuol confondere la superbia dei Giudei e far notare l'invidia dei Farisei e dei Dottori della Legge vedendo estendersi, fino alle nazioni pagane, l'adorazione del Padre: il che apparve chiaramente dalle rimostranze egoistiche degli operai invitati per primi, al Padre di famiglia. Ma la loro ostinazione sarà debitamente punita, perché Israele che lavorava prima di noi sarà riprovato per la durezza del suo cuore, e noi Gentili ch'eravamo gli ultimi, diventeremo i primi figli del Padre, perché saremo membri della Chiesa Cattolica, Sposa del Figlio di Dio.

    La vocazione d'ogni uomo.
    Questa è l'interpretazione che fanno della parabola i santi Padri, specialmente sant'Agostino e san Gregorio Magno. Ma l'insegnamento del Salvatore contiene senza dubbio un altro importante significato, non meno sottolineato dall'autorità dei due santi Dottori, e consiste nella chiamata che Dio rivolge a ciascuno di noi per invitarci a meritare il Regno eterno con la fatiche di questa vita.
    Il mattino fu la nostra infanzia. L'ora terza, secondo il costume antico di contare, è quella della prima ascesa del sole verso il cielo, cioè l'età della giovinezza. L'ora sesta, mezzogiorno, è l'età virile. Finalmente l'undecima, che precede di pochi istanti il tramonto, è la vecchiaia. Il Padre di famiglia chiama operai a tutte le ore, ed essi devono rispondere non appena odono la sua voce; non è lecito ai primi chiamati attardarsi al lavoro, col pretesto che ci andranno a una seconda chiamata del Padrone: chi li assicura che vivranno fino all'ultima ora? quando sarà l'ora terza, può uno presumere di arrivare anche alla sesta ora? Il Signore chiamerà alle ultime ore di lavoro i superstiti di questo mondo; ma non s'è mai impegnato a rinnovare l'invito a chi una volta lo rifiutò.

    P R E G H I A M O
    Esaudisci, Signore, le preghiere del tuo popolo e fa' che noi giustamente afflitti per i nostri peccati, siamo misericordiosamente liberati a gloria del tuo nome.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 427-431

 

 
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