L’Italia cinematografica è in tripudio per l’Oscar al film “la grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Evidentemente in tempi come quelli che stiamo vivendo una gratificazione del genere vale anche di più del fatto in se stesso e ben venga un riconoscimento all’industria cinematografica italiana che fa parte della cultura nostrana, anche se per me si tratta di un film ampiamente sopravvalutato, per il quale si stanno versando fiumi di parole per elogiarne i vari aspetti. Non c’è giornale che non ne parli entusiasticamente, e che non ci spieghi il perché e il per come di cose che potremmo e dovremmo capire da soli, se il film fosse veritiero. Già il fatto che tutti si diano da fare per spiegare il pèerché e il pwe copme della tramam del film significa o che noi spettatori siamo un po' stupidi se non possiamo capiro da soli, oppure che il film ha bisogno di spiegazioni (tipo note a piè di pagina, come se fosse la Divina Commedia) perché non si fa capire.
La grande bellezza" a me non è piaciuto per nulla. Probabilmente sono una voce solitaria a dire ciò, dentro un coro plaudente di “laudatores” sperticati del film di Sorrentino. Premetto che sono una che è cresciuta a pane e cinema fin dalla più tenera età, in quanto mia madre era una accanita frequentatrice di sale cinematografiche e che quindi portandomi con lei, mi ha trasmesso la stessa sua passione che ho continuato a coltivare da fin da giovane adulta anche autonomamente, e di cinema quindi credo di averne visto tanto fino ad averne fatto per un paio di lustri una professione, prima come costumista e poi come collaboratrice alla sceneggiatura.
Ma veniamo al punto. Che cosa è che fa di questi film un capolavoro? Personalmente me lo chiedo da quando il film è uscito, alcuni mesi fa… La trama? L’interpretazione degli attori? Francamente non saprei… Una trama vera non c’è neanche, gli attori sono mediamente bravi senza nessuna punta d’eccellenza e fanno quello che il regista dice loro di fare. Secondo i miei gusti e la mia visione del cinema, “la grande bellezza" È una orribile noiosa accozzaglia di situazioni e di personaggi disgustosamente ai limiti della banalità e della volgarità intellettuale, un affresco deformato e deformante di un mondo che nella maniera in cui ci viene proposto non esiste più da tempo e che forse non è mai esistito.
Il protagonista, che pure vanta un curriculum professionale di tutto rispetto, e che ho avuto modo di apprezzare in altre pellicole, è comunque un personaggio profondamente e volutamente antipatico nel suo disincantato cinismo, ma questo non significherebbe che il film non sia un buon film, ovviamente. Anche un genio come Orson Welles sapeva spesso mettere al centro delle sue storie personaggi odiosi e moralmente deleteri, facendi film importantissimi. Quello che mi ha fatto letteralmente detestare questo film è invece la rappresentazione parossistica di un mondo fatuo e falso, assai peggiorato rispetto ad una realtà che conosco piuttosto bene, per esserci stata in mezzo per non meno di una decina d’anni. E’ vero che il mondo del cinema, e dello spettacolo in genere, si presta facilmente alla mistificazione e che pochi sono i veri talenti (sia davanti che dietro alla macchina da presa), tuttavia il cinismo con il quale Sorrentino dipinge l’ambiente pseudo-culturale dei salotti romani è solo una minima parte di quel mondo, che però egli ha voluto mostrare come ingigantito, generalizzato e livellato da una diffusa povertà di contenuti e di significati, con un cattivo gusto ed una malafede che trovo davvero deprecabili. I personaggi sono tutti deformati, estremizzati, "mostrificati", come nel caso della nana direttrice di giornale, resi tutti al loro peggio, come fantocci pieni di segatura, che fingono ancora più nella vita che su un ipotetico schermo, di essere quello che non sono, senza nulla da dire e poco da fare. Anche l’aspetto estetico del film è orribile: scene spesso buie, troppo affollate con inquadrature spesso slegate fra loro. Ciò probabilmente per accentuare la differenza fra gli interni contraffatti e decadenti al confronto con la solare bellezza delle poche inquadrature che ritraggono il paesaggio esterno della città che diventa come uno splendido guscio che non contiene più nulla… Il messaggio del film è tutto qui, se di messaggio si tratta, un po’ poco per ritrarre una città come Roma e tutto un ambiente sociale.
Ma quello che più mi ha dato noia è l’accostamento di questa pellicola vuota e volgare ad un capolavoro come “la dolce vita” di felliniana memoria. La Roma descritta da Fellini nel 1959, che mostrava i primi segni di una decadenza incipiente, era vista dal regista comunque con un profondo affetto per quella città che mostrava… I dubbi e le scontentezze del protagonista Mastroianni erano dubbi e scontentezze vere che gli intellettuali vivevano realmente, dopo le grandi speranze del dopo guerra, ma senza cinismo, con una ricerca interiore di purezza perduta , difficile da ritrovare, ma non impossibile e che era comunque una istanza, una promessa di qualcosa di buono, anche nella finzione di una vita di cartapesta. L'ultima scena che mostrava la adoleswcente immagine di Valeria Ciagottini sll'alba sulla spiaggia era una speranza di un altro futuro. Ne “la grande bellezza” invece c’è solo la malafede e il cinismo generalizzato di gente fallita, corrotta e cattiva… Un quadro desolante che non corrisponde al vero se non in minima parte. Il difetto peggiore del film sta proprio nell’antipatia che suscita il cinismo che impregna tutti e tutti (lasciandfne fuori. forse solo il personaggio della Ferilli), dal protagonista in poi, incapace di uscire dalla mediocrità non per impossibilità oggettiva ma per pigrizia intellettuale, perché il degrado etico è assai più comodo dello sforzo di tirarsene fuori. I personaggi sguazzano fino al collo nella cattiveria, nella sporcizia della falsità e della mistificazione consapevoli della loro stessa pochezza, il che li rende tutto tanto odiosi. Se Sorrentino pensa davvero tutto questo del mondo in cui lavora, vive e che ritrae con tanto disgusto, mi chiedo come possa rassegnarsi a farne parte, perché per stare in mezzo a tale scempio deve pur adeguarcisi… La differenza sostanziale fra Fellini e Sorrentino e che Fellini quella Roma che descriveva anche nei suoi difetti, lui l’amava profondamente e voleva salvarla, mentre Sorrentino sembra detestarla soltanto, senza alcuna possibolità di riscatto.
Al di là del significato, per altro abbastanza banale e scontato, pur nella sua mistificazione, sulla falsità del mondo della celluloide e dell’intellettualità romana in genere, “la grande bellezza” è un film volutamente pessimista, volutamente cattivo e senza speranza e che non tiene conto delle forza nuove che cercano di emergere e di apportare nuova linfa là dove il film nega che ci sia. Sorrentino descrive invece un mondo vecchio, di gente corrotta e vecchia dentro. Non a caso il protagonista è un sessantenne male invecchiato, malgrado gli impeccabili completi di sartoria che indossa, in un ambiente asfittico e malsano, come il regista molto soggettivamente, lo vede. Certamente chi non conosce veramente Roma e i luoghi deputati romani della cultura, salotti e terrazze a parte, ne avrà una visione ripugnante e dispiace che un film che denigra cosi profondamente il lavoro e la passione di tante persone che in quell’ambiente lavorano alacremente, siano indotte e credere che esso sia davvero quella cloaca magna che Sorrentino descrive. I premi che ci hanno dato non sono un fiore in petto, ma una sorta di marchio d’infamia per ciò che non siamo, se non in minima parte, e che stiano facendo credere al mondo essere una verità assoluta. “La grande bellezza” è in sostanza un brutto film, mistificatorio, che ci fa una gran brutta pubblicità, specialmente oltreoceano dove chi non conosce l’Europa e l’Italia in particolare, beve qualunque cosa gli venga proposta. Non ci facciamo certo una gran bella figura, ma dirlo non sta bene, è d'uopo applaudire comunque e dire che il film è un capolavoro, altrimenti sei tu a farci una figuraccia...