Originariamente Scritto da
Edmond Dantès
Un tempo, alcuni decenni fa, quando la magistratura era una istituzione autorevole, giacché chi veniva ammesso in questo corpus aveva superato un severo concorso e possedeva una solida formazione professionale e culturale nonché un robusto equilibrio psico-attitudinale, le sue sentenze, pronunciate nel nome del Popolo Italiano, erano rispettate e non erano discusse se non nelle uniche sedi in cui la censura era possibile: quelle delle impugnazioni.
Oggi, grazie alle "innovative" modifiche (riforma 1989 del cpp) ed alla indubbia collusione tra procure e media, frutto di una consolidata corruttela politica, le sentenze si pronunciano prima sulla stampa e nel nome di repubblica quando sono appena stati iscritti i nomi degli indagati nel registro dei reati. Solo successivamente a queste pubbliche anticipazioni, la magistratura inquirente, prendendo atto del gradimento mediatico e dirigendo le indagini dove vuole, consegna al giudicante i "rei" per il dibattimento. La sentenza pronunciata nel nome del Popolo Italiano, già ampiamente discussa sui media, sarà in linea con quanto politicamente stabilito.
A rispettare le sentenze di questa cupola mafiosa, di questa consorteria, sono solo i "datori di lavoro" degli attuali magistrati reclutati a mezzo dei concorsi truccati ai quali vengono garantite impunità dagli errori, immunità (lati sensu), privilegi di casta ed intoccabili prebende senza controllo e tutto coperto dal drappo funebre della "indipendenza".
Nel nome di chi pronunciano le sentenze questi signori? E come possono pretendere costoro che il Popolo Italiano, il cui nome così sfacciatamente imbrattano, possano rispettare sentenze farlocche pronunciate da gente come Esposito? Come osano, i "magistrati", solo pronunciare il nome del Popolo Italiano mentre leggono la sentenza appena "sfornata" senza arrossire di vergogna consapevoli di avere assolto un colpevole o condannato un innocente?
Quale rispetto potrà mai pretendere un siffatto ordine giudiziario deprivato di quella autorevolezza e di quel prestigio che, un tempo, a ragione, rendevano fulgide persino le aule in cui si svolgevano i processi?