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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    8 aprile 2014

    MARTEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE

    A Roma una volta la Stazione era nella chiesa del santo Martire Ciriaco, come è tuttora segnato nel Messale Romano; ma siccome questo antico tempio fu distrutto, ed il corpo del santo diacono fu trasferito da Alessandro VII (1655-1667) nella chiesa di S. Maria in Via lata, presentemente la Stazione ha luogo in quest'ultima.
    lettura (Dn 14,27-42). - In quei giorni: Si radunarono i Babilonesi contro il re e gli dissero: Dacci nelle mani Daniele che ha distrutto Bel e ha ucciso il dragone, altrimenti uccideremo te e la tua famiglia. Quando il re vide che lo assalivano con la violenza, costretto dalla necessità, abbandonò loro Daniele. Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, ove stette sei giorni. Nella fossa c'eran sette leoni ai quali davano ogni giorno due corpi e due pecore, che allora non furon date, affinché divorassero Daniele. V'era allora in Giudea il profeta Abacuc, il quale, cotto il companatico e fatte delle stiacciate in una teglia, andava al campo a portarle ai mietitori. L'Angelo del Signore disse ad Abacuc: Porta il desinare che hai, in Babilonia a Daniele, che è nella fossa dei leoni. Abacuc disse: Signore, io non ho visto Babilonia, e non conosco la fossa. Allora l'Angelo del Signore lo prese alla cima del capo, pei capelli della testa, e con la celerità dello spirito lo portò e lo posò a Babilonia sopra la fossa. Abacuc alzò la voce e disse: Daniele, servo di Dio, prendi il desinare che Dio t'ha mandato. Daniele esclamò: O Signore, ti sei ricordato di me, e non hai abbandonato chi ti ama. Poi Daniele s'alzò e mangiò, e l'Angelo del Signore subito riportò Abacuc al suo luogo. Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele. Arrivato alla fosse vi guardò dentro, e vide Daniele a sedere in mezzo ai leoni. Allora il re gridò ad alta voce ed esclamò: Tu sei grande, o Signore Dio di Daniele! E lo trasse fuori dalla fossa dei leoni. Poi fece gettar nella fossa tutti quelli che l'avevan voluto perdere, e questi in un momento furon divorati alla sua presenza. Allora il re disse: Gli abitanti di tutta la terra temano il Dio di Daniele, perché egli è colui che salva e fa segni e prodigi Sulla terra, e ha liberato Daniele dalla fossa dei leoni.
    Daniele modello dei Catecumeni.
    Questa lettura era destinata in modo speciale ai Catecumeni, che si preparavano ad iscriversi nella milizia cristiana; e perciò conveniva mettere sotto ai loro occhi gli esempi che dovevano studiare e mettere in pratica durante la loro vita. Daniele dato in pasto ai leoni per aver disprezzato e distrutto l'idolo di Bel, era il tipo del Martire. Aveva confessato il vero Dio in Babilonia, ucciso il dragone figura di Satana, al quale il popolo idolatra, dopo la distruzione di Bel, aveva rivolto i suoi onori superstiziosi; solo la morte del Profeta poteva calmare i pagani. Pieno di confidenza in Dio, Daniele si lasciò calare nella fossa dei leoni, dando così alle età cristiane l'esempio di quel coraggioso sacrificio che per ben tre secoli doveva portare la consacrazione del sangue per il consolidamento della Chiesa. La figura di questo profeta, attorniato da leoni, s'incontra ad ogni passo nelle Catacombe romane; e la maggior parte delle pitture che lo rappresentano risale ai tempi delle persecuzioni. In tal modo i Catecumeni potevano contemplare con gli occhi ciò che con le loro orecchie sentivano leggere; tutto parlava loro di prove e di sacrifici. La storia di Daniele mostrava sì, la potenza di Dio che interviene a strappare una preda innocente gettata in pasto ai leoni; ma i candidati al Battesimo sapevano in anticipo che la liberazione cui dovevano mirare non sarebbe loro stata accordata, se non dopo aver reso testimonianza col sangue. Di quando in quando si ripetevano prodigi perfino nelle arene; talvolta si videro leopardi lambire i piedi dei Martiri e frenare la loro voracità alla presenza dei servi di Dio; ma questi miracoli altro non facevano che sospendere l'immolazione delle vittime e suscitare degli imitatori.
    Lotta contro il mondo.
    Non il coraggio di Daniele, né la sua vittoria sui leoni, proponeva la Chiesa all'attenzione dei Catecumeni; ciò che importava per loro era l'avere impresso d'ora innanzi nella memoria il detto del Salvatore: "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima: temete piuttosto colui che può mandare in perdizione e l'anima e il corpo nell'inferno" (Mt 10,28). Noi siamo i discendenti di quelle prime generazioni della Chiesa; ma non abbiamo guadagnato allo stesso prezzo il privilegio d'essere cristiani. Non in faccia ai proconsoli abbiamo da confessare Gesù Cristo, ma in faccia a quell'altro tiranno ch'è il mondo. Che l'esempio dei Martiri dunque, ci fortifichi in questi giorni per la lotta che dovremo ancora sostenere contro le sue massime, le sue pompe, le sue opere. In questo tempo di raccoglimento e di penitenza v'è una specie di tregua fra lui e noi; ma non tarderà il momento che ci toccherà d'affrontarlo e mostrarci cristiani.
    VANGELO (Gv 7,1-13). - In quel tempo: Gesù andava per la Galilea, non volendo andare nella Giudea, perché i Giudei cercavano di farlo morire. Ed era imminente la festa dei Giudei, detta dei Tabernacoli. Gli dissero pertanto i suoi fratelli: Partiti di qua e vattene in Giudea, affinché anche quei discepoli tuoi vedano le opere da te fatte; che certo nessuno il quale cerchi di essere acclamato in pubblico fa di nascosto le opere sue: e se fai tali cose, fatti conoscere al mondo. Ora nemmeno i suoi fratelli credevano in lui. Ma Gesù disse loro: Non è ancora arrivato il mio tempo; ma il vostro è sempre pronto. Il mondo non può odiarvi, ma odia me, perché faccio vedere che le sue opere sono malvagie. Andate voi a questa festa, io non ci vengo, perché non è ancora compiuto il mio tempo. Ciò detto si trattenne in Galilea. Ma partiti i suoi fratelli, andò alla festa anche lui, non pubblicamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano nel giorno della festa e dicevano: Lui dov'è? E un grande sussurro si faceva di lui tra la gente. Chi diceva: È buono; chi: No, anzi, travia il popolo. Ma nessuno parlava pubblicamente di lui per timore dei Giudei.
    L'umiltà dell'Uomo-Dio.
    I fatti narrati in questo brano del santo Vangelo si riferiscono ad un'epoca un po' anteriore della vita di Gesù; ma la Chiesa ce li presenta oggi, per la relazione ch'essi hanno con quelli che abbiamo letti giorni fa. In esso notiamo che non solo all'avvicinarsi della Pasqua, ma fin dal tempo della festa dei Tabernacoli, in settembre, il rancore dei Giudei contro Gesù cospirava già la sua morte. Il Figlio di Dio era, così, costretto a viaggiare segretamente, e per recarsi sicuro a Gerusalemme, doveva prendere delle precauzioni.
    Adoriamo i diversi abbassamenti dell'Uomo Dio, che volle santificare tutte le congiunture, anche quella del giusto perseguitato e costretto a nascondersi agli sguardi dei nemici. Non gli sarebbe stato difficile abbagliare gli occhi dei suoi avversari con degl'inutili miracoli, come quelli che pretendeva Erode, e così forzare il loro culto e la loro ammirazione. Ma Dio non volle procedere così; non costringe, fa tutto palesemente davanti agli uomini; e se questi intendono riconoscere l'opera di Dio, si devono raccogliere, umiliare e far tacere le loro passioni. Soltanto allora si manifesta all'anima la luce di Dio: quest'anima ha visto abbastanza, ora crede e vuoi credere; la sua felicità, come il suo merito sta nella fede, ed ha la possibilità di attendere la manifestazione dell'eternità.
    La carne ed il sangue non la pensano così, perché questi amano il chiasso e lo splendore. Ma il Figlio di Dio, venendo sulla terra, non doveva abbassarsi per far mostra del suo potere infinito agli uomini: doveva sì, operare dei prodigi, per provare la sua missione; ma, come Figlio dell'Uomo, non tutto doveva essere un prodigio in lui. Gran parte della sua esistenza era riservata agli umili servigi della creatura; altrimenti, come poteva insegnare a noi col suo esempio ciò che avevamo tanto bisogno d'apprendere? I suoi fratelli (è noto come i Giudei davano il nome di fratelli a tutti i parenti in linea collaterale) avrebbero voluto aver parte nella stima popolare che desideravano per Gesù; e così gli diedero occasioni di pronunciare una parola che dobbiamo meditare in questo santo tempo, per ricordarcene più tardi: "Il mondo non può odiarvi, ma odia me". Guardiamoci dunque dal piacere al mondo, perché la sua amicizia ci separerebbe da Gesù Cristo.
    PREGHIAMO
    Concedi, o Signore, un perseverante servizio sotto la tua volontà; affinché ai nostri giorni il popolo a tè fedele cresca in merito e in numero.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 647-650

  2. #12
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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    9 aprile 2014

    MERCOLEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE
    La Stazione è, a Roma, nella chiesa di S. Marcello, Papa e Martire (308-310).

    LETTURA (Lv 19,11-19). - In quei giorni: Il Signore parlò a Mosè, dicendo: Parla a tutta l'adunanza dei figli d'Israele e di' loro: Io sono il Signore Dio vostro. Non ruberete. Non mentirete e nessuno ingannerà il suo prossimo. Non giurerai il falso nel mio nome, e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore. Non calunnierai il tuo prossimo, ne l'opprimerai con violenza. Il salario del tuo operaio non resterà presso di te fino al mattino. Non maledirai il sordo, e non porrai inciampo dinanzi al cieco; ma temerai il Signore Dio tuo: io sono il Signore. Non fare ciò che è iniquo, né giudicar contro giustizia. Non disprezzare il povero, né onorar la faccia del potente; ma giudica il tuo prossimo con giustizia; non accusare e non maledire tra il popolo. Non recarti contro il sangue del tuo prossimo. Io sono il Signore. Non odiare il fratello nel tuo cuore, e riprendilo in pubblico per non peccare. Non vendicarti, né serbar rancore contro i tuoi concittadini. Amerai il tuo amico come te stesso. Io sono il Signore. Osservate le mie leggi; poiché io sono il Signore Dio vostro.
    Dovere della carità fraterna.
    Oggi la Chiesa, presentandoci questo brano del Levitico, nel quale troviamo esposti con tanta chiarezza ed abbondanza i doveri dell'uomo verso il prossimo, vuoi far comprendere al cristiano con quale attenzione debba scrutare e riformare la sua vita sopra un punto di sì grande importanza. Qui è Dio stesso che parla e intima ordini. Guardate come replica ad ogni frase: "Io sono il Signore", per farci comprendere che si costituirà vendicatore del prossimo, che noi avessimo leso. Come un tale linguaggio doveva suonare nuovo alle orecchie dei Catecumeni, tolti dal mondo pagano, egoista e senza cuore, se non fosse mai stato loro detto che, essendo tutti gli uomini fratelli, Dio, Padre comune dell'immensa famiglia umana, esigeva da loro che s'amassero tutti di sincero amore, senza distinzione di razza e di condizione! In questi giorni di riparazione, procuriamo, noi cristiani, d'adempiere alla lettera la volontà del Signore Dio nostro; e ricordiamoci che tali precetti furono imposti al popolo israelita molti secoli prima della promulgazione della legge di misericordia. Ora, se il Signore imponeva ai Giudei un amore così sincero verso i fratelli, quando la legge non era scritta che su tavole di pietra, quanto più lo esigerà dal cristiano, che ora le legge nel cuore dell'Uomo-Dio, disceso dal ciclo e fattosi nostro fratello, per renderci ad un tempo più facile e più dolce l'adempimento del precetto della carità? Ormai l'umanità, unita nella sua persona alla divinità, è divenuta sacra, fatta oggetto delle compiacenze del Padre celeste; ed è per il fraterno amore verso di lei che Gesù si votò alla morte, insegnandoci col suo esempio ad amare così sinceramente i nostri, fratelli da "dare perfino la nostra vita per loro", se sarà necessario, e come c'insegna il discepolo prediletto, che lo apprese dal Maestro (1Gv 3,16).

    VANGELO (Gv 10,22-38). - In quel tempo: Si faceva in Gerusalemme la festa della Dedicazione, ed era d'inverno. E Gesù passeggiava nel tempio sotto il portico di Salomone. Gli si affollarono allora d'intorno i Giudei e gli dissero: Fino a quando ci terrai sospesi? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente. Rispose loro Gesù: Ve l'ho detto e non credete: le opere che faccio nel nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza. Ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. E dò loro la vita eterna, ed in eterno mai periranno, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me l'ha date, è più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io ed il Padre mio siamo una sola cosa. I Giudei diedero allora di piglio alle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: Molte buone opere vi mostrai per virtù del Padre mio, per quale di queste opere mi lapidate? Gli risposero i Giudei: Non ti lapidiamo per nessuna opera buona: ma per la bestemmia, perché tu che sei uomo, ti fai Dio. Replicò loro Gesù: Non è scritto nella vostra legge: Io dissi: Voi siete dei? Ora se dei chiamò quelli ai quali Dio parlò, e la Scrittura non può mancare, a me che il Padre ha consacrato e mandato al mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Son Figlio di Dio? Se non fo' le opere del Padre mio, non mi credete. Ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere; onde conosciate e crediate che il Padre è in me ed io nel Padre.
    La fede.
    Dopo la festa dei Tabernacoli venne quella della Dedicazione e Gesù rimase in Gerusalemme. L'odio dei nemici s'inaspriva sempre più; ed eccoli accalcarsi intorno a lui, per fargli dichiarare ch'era il Messia, e quindi accusarlo di usurpare una missione che non era la sua. Gesù si rifiuta di rispondere, e si appella ai prodigi, che hanno visto da lui operare e gli rendono testimonianza. Per la fede, soltanto per la fede, l'uomo può arrivare a Dio in questo mondo. Dio si manifesta con opere divine; l'uomo, conoscendole, deve credere a tali opere che attestano la verità; così credendo ha la certezza di ciò che crede ed il merito di credere. Ma il Giudeo superbo si ribella; vorrebbe dettare legge anche a Dio, e non capisce che questa sua pretesa è empia ed assurda.

    Unità del Padre e del Figlio.
    Tuttavia bisogna che la dottrina divina si faccia strada, anche se dovesse provocare lo scandalo degli spiriti perversi ; perché Gesù non parla solamente per loro: lo deve fare anche per quelli che crederanno. Quindi pronuncia quella grande parola, nella quale attesta non solo la sua qualità di Cristo, ma anche la divinità: "Io ed il Padre mio siamo una cosa sola". Sapeva bene che esprimendosi in tali termini li avrebbe accesi di rabbia; ma era necessario che si rivelasse sulla terra, per confondere anticipatamente l'eresia. Ario un giorno si leverà contro il Figlio di Dio e lo dirà la creatura più perfetta; ma la chiesa risponderà ch'egli è uno col Padre, consustanziale a lui; e dopo tante agitazioni ed errori, la setta ariana scomparirà e cadrà In oblio. Qui i Giudei sono i precursori di Ario: comprendono che Gesù si confessa Dio, e tentano di lapidarlo. Con un ultimo tratto di condiscendenza, Gesù cerca di provare loro questa verità, mostrando con le stesse Scritture che talvolta l'uomo può, in senso ristretto, essere detto Dio, in ragione delle funzioni divine che esercita; ma poi li porta di nuovo a riflettere sui prodigi che testimoniano tanto solennemente l'assistenza che gli dà il Padre, e con rinnovata fermezza ripete, che "il Padre è in lui e lui nel Padre". Ma niente può convincere questi cuori ostinati; e la pena del peccato che hanno commesso contro lo Spirito Santo pesa maggiormente su di loro.

    Docilità.
    Come però è differente la sorte delle pecorelle del Salvatore! "Esse ascoltano la sua voce, lo seguono; ed egli dà loro la vita eterna, e nessuno le strapperà dalle sue mani". Fortunate pecorelle! credono, perché amano; per l'amore, la verità risplende in esse; come per la superbia dello spirito le tenebre penetrano nell'anima dell'incredulo, e vi rimangono sempre. L'incredulo ama le tenebre, le chiama luce, e, bestemmiando, non s'accorge di bestemmiare. Il Giudeo arriva a crocifiggere il Figlio di Dio, credendo d'onorare Dio.

    PREGHIAMO
    Sii propizio, o Dio onnipotente, alle nostre suppliche; e a quanti dai la fiducia di sperare pietà, concedi benigno l'effetto della consueta misericordia.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 651-653

  3. #13
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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    10 aprile 2014

    GIOVEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE
    La Stazione è, a Roma, nella chiesa di S. Apollinare, primo Vescovo di Ravenna e Martire.
    LETTURA (Dn 3,25,34-45). - In quei giorni: Azaria pregò il Signore, dicendo: Signore, Dio nostro, non ci abbandonare per sempre; te ne scongiuriamo per amore del tuo nome, non distruggere il tuo testamento; non ritirare da noi la tua misericordia, per amore d'Abramo tuo amico, d'Isacco tuo servo, d'Israele tuo santo, ai quali parlasti, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come l'arena ch'è sul lido del mare. Ed ora invece, o Signore, noi siamo divenuti più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo annichiliti per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar la tua misericordia. Ma ricevici col cuore contrito e con lo spirito umiliato. Come un olocausto d'arieti e di tori; come un sacrificio di mille pingui agnelli, così sia il nostro sacrificio oggi nel tuo cospetto e ti sia gradito, giacché non possono star confusi quelli che in te confidano. Ed ora ti seguitiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo la tua faccia. Fa' che non restiamo confusi; trattaci secondo la tua benignità, secondo la grandezza della tua misericordia, salvaci coi tuoi prodigi, e glorifica, o Signore, il tuo nome. Sian confusi tutti coloro che minacciano i tuoi servi, sian confusi con tutta la tua potenza, sia annientata la loro fortezza, e conoscano che tu sei il Signore, il solo Dio, il glorioso sopra tutta la terra, o Signore Dio nostro.
    L'idolatria.
    Così Giuda, prigioniero in Babilonia, effondeva i suoi voti al Signore per bocca d'Azaria. La desolazione in Sion era giunta al colmo, privata com'era del suo popolo e delle sue celebrazioni; i suoi figli erano stati portati sopra una riva straniera, per morirvi uno dopo l'altro fino al settantesimo anno d'esilio; dopo di che Dio si sarebbe ricordato di loro e li avrebbe ricondotti a Gerusalemme per la mano di Ciro. Solo allora avrebbero potuto ricostruire il secondo tempio, che avrebbe visto il Messia. Quale delitto aveva dunque commesso Giuda per essere sottoposto ad una tale espiazione? Si era prostituito all'idolatria, rompendo il patto che lo legava al Signore. Tuttavia il suo delitto fu cancellato con la prigionia d'un limitato numero di anni; per cui Giuda, tornato alla terra dei padri, non s'abbandonò più al culto dei falsi dei. Era mondo d'idolatria, quando il Figlio di Dio venne ad abitare in mezzo a lui.
    Il deicidio.
    Ma non erano trascorsi quarant'anni dopo l'Ascensione di Gesù, che Giuda ritornava sul cammino dell'esilio; e non già portato schiavo in Babilonia, ma, dopo grandi massacri, disperso in tutte le nazioni della terra. Ora, non più da settant'anni, ma da diciannove secoli Giuda non ha più "principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né tempio". Deve, perciò, avere perpetuato un delitto ben più grande dell'idolatria, se dopo una sì lunga catena di sciagure ed umiliazioni, la giustizia del Padre non è ancora placata! Infatti, il sangue versato dal popolo giudeo sul Calvario non era solamente il sangue d'un uomo; era il sangue d'un Dio!
    Castigo e conversione.
    È bene che tutta la terra lo sappia e lo comprenda, solo nel costatare il castigo dei carnefici; e tale immensa espiazione d'un delitto infinito dovrà continuare fino agli ultimi giorni del mondo: solo allora il Signore si ricorderà d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, facendo scendere su Giuda una grazia straordinaria, tale, che il suo ritorno consolerà la Chiesa afflitta dalla defezione di moltissimi suoi figli. Lo spettacolo d'un intero popolo, colpito da maledizione in tutte le sue generazioni, per aver crocifisso il Figlio di Dio, fa riflettere il cristiano, che in tal modo impara a conoscere quanto è terribile la divina giustizia; e come il Padre domanderà conto del sangue del Figliol suo, fino all'ultima goccia, a coloro che l'avranno versato. Affrettiamoci a lavare in questo sangue prezioso il marchio di complicità che abbiamo avuto coi Giudei, e, con una totale conversione, imitiamo quelli fra loro che di tanto in tanto vediamo separarsi da quel popolo e venire al Messia: le sue braccia sono allargate sulla Croce per ricevere tutti quelli che si convertono a lui.
    VANGELO (Lc 7, 36-50). - In quel tempo: Uno dei Farisei pregò Gesù d'andare a desinare da lui. Ed entrato in casa del Fariseo, prese posto su un divano a tavola. Ed ecco una donna che era conosciuta nella città come peccatrice, appena seppe che egli era a mangiar in casa del Fariseo, portò un alabastro d'unguento; e stando ai piedi di lui, cominciò a bagnare i piedi, e coi capelli del suo capo li asciugava, e li baciava e li ungeva d'unguento. Vedendo ciò il Fariseo che l'aveva invitato, prese a dire dentro di sé: Costui se fosse un profeta, certo saprebbe che donna è costei che lo tocca, e com'è peccatrice. E Gesù, rivolgendosi a lui, disse: Simone, ho da dirti una cosa. Ed egli: Maestro, di' pure. Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento danari e l'altro cinquanta. Or non avendo quelli di che pagare, condonò il debito a tutte e due. Chi dunque di loro lo amerà di più? Simone rispose: Secondo me, colui al quale ha condonato di più. Gesù replicò: Hai giudicato rettamente. Poi, rivolto alla donna, disse a Simone: Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua, tu non hai dato acqua per i miei piedi, ma essa li ha bagnati con le sue lacrime e li ha riasciugati coi suoi capelli. Tu non mi hai dato il bacio; ma lei, da che è venuta, non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non hai unto di olio il mio capo, ma essa con l'unguento ha unto i miei piedi. Per questo ti dico: i suoi numerosi peccati sono stati perdonati, peché essa molto ha amato. Invece quello a cui poco si perdona, poco ama. Poi disse a lei: Ti son perdonati i peccati. E i convitati cominciarono a dire dentro di sé: Chi è costui che perdona anche i peccati? Ma Gesù disse alla donna: La tua fede ti ha salvata: va' in pace.
    Maria Maddalena.
    Ai tristi pensieri suggeriti dallo spettacolo della riprovazione d'un popolo deicida, la Chiesa s'affretta di far seguire quelli più consolanti che deve ispirare alle anime la storia della peccatrice del Vangelo. Anche questo tratto della vita di Gesù non si riferisce all'epoca della Passione; ma non sono i giorni, in cui siamo, i giorni della misericordia? e non è giusto che in essi glorifichiamo la mansuetudine e la tenerezza del cuore del Redentore, ch'è pronto a far discendere il perdono su un numero stragrande di peccatori di tutta la terra? Del resto, non è Maddalena la compagna inseparabile del suo crocifisso Maestro? Fra poco noi la vedremo ai piedi della Croce; studiarne questo personaggio d'amore, fedele fino alla morte, e consideriamo questo, ch'è il punto di partenza.
    Il suo pentimento.
    Maddalena aveva condotto una vita indegna; ci dice altrove il santo Vangelo che sette demoni avevano fissata in lei la loro dimora. Appena questa donna vede ed ascolta Gesù, immediatamente concepisce odio al peccato, ed un santo amore si rivela nel suo cuore; non ha che un desiderio, quello di riparare la sua vita passata. Ha peccato clamorosamente e perciò vuoi fare una ritrattazione clamorosa dei suoi traviamenti; ha vissuto nella lussuria: e d'ora in poi i suoi profumi saranno per il liberatore; era così vanitosa della sua capigliatura: con quella gli asciugherà i piedi; il suo volto non vorrà più saperne dei risi immodesti; gli occhi, coi quali seduceva le anime, s'immergono nelle lacrime. Dunque, per un impulso dello Spirito divino che la possiede, parte e viene a rivedere Gesù. Ma questi si trovava in casa del Fariseo, seduto ad un banchetto; perciò andrà a dar spettacolo di sé: che importa? s'avanza col suo vaso prezioso, e, in un attimo, è ai piedi del Salvatore; e là rimane, ad effondere il suo cuore e le sue lacrime. Chi potrebbe descrivere i sentimenti che si succedono nella sua anima? Lo stesso Gesù ce li rivelerà fra brevi istanti con una delle sue parole. Ma è facile scorgere dai suoi pianti quanto sia pentita; dalla profusione dei profumi e dallo sciogliersi dei suoi capelli, quanto sia riconoscente; e dalla sua predilezione per i piedi del Salvatore, quanto sia umile.
    Il suo perdono.
    Il Fariseo si scandalizza; per un moto di quella giudaica superbia che presto metterà in croce il Messia, ne trae occasione per porre in dubbio la missione di Gesù. "Se costui fosse un profeta, egli pensa, certo saprebbe che donna è costei". Ma se lui avesse lo spirito di Dio, riconoscerebbe il Messia promesso proprio dalla sua bontà condiscendente verso la creatura pentita. Con tutta la sua apparenza di virtù quanto è inferiore a questa donna peccatrice! Gesù si preoccupa a farglielo capire, facendo il parallelo tra la Maddalena e Simone il Fariseo; ma con questo paragone la Maddalena ne rimane avvantaggiata. Qual è dunque la causa che ha trasformato la Maddalena così da meritare non solo il perdono, ma anche gli aperti elogi di Gesù? Il suo amore: "essa ha amato il suo Redentore, lo ha molto amato"; e il perdono che ha ottenuto è in proporzione di quest'amore. Fino a poche ore fa aveva amato il mondo e la vita sensuale; ma il pentimento ha creato in lei un essere nuovo; quindi non cerca più, non vede più, non ama più nessuno che Gesù. D'ora innanzi seguirà i suoi passi, vorrà aiutarlo nei suoi bisogni; ma soprattutto lo vorrà vedere ed ascoltare; e quando, nel momento della prova, gli Apostoli saranno fuggiti, la Maddalena sarà là, ai piedi della Croce, a ricevere l'ultimo sospiro di colui al quale l'anima sua deve la vita.
    Quale motivo di Speranza per il peccatore, nel sentire Gesù che gli dice: "Si rimette di più a colui che ama di più"! Peccatori, pensate ai vostri peccati, ma soprattutto ad accrescere il vostro amore: che sia in proporzione della grazia del perdono che riceverete, e "i vostri peccati vi saranno rimessi".
    PREGHIAMO
    Deh! Signore, sii propizio al tuo popolo, e fa' che, rigettando ciò che non ti piace, sia ripieno delle delizie che gli procurano i tuoi comandamenti.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 654-658

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    11 aprile 2014

    VENERDÌ
    DELLA SETTIMANA DI PASSIONE

    A Roma la Stazione è nella chiesa di S. Stefano, sul monte Celio. In questo giorno che doveva essere consacrato a Maria, la Regina dei Martiri, è commovente il dover ammettere che, per una specie di presentimento profetico, tale chiesa dedicata al primo Martire era, fin dalla più remota antichità, destinata alla riunione dei fedeli.
    EPISTOLA (Ger 17,13-18). - In quei giorni: Geremia disse: Signore tutti quelli che t'abbandonano saran confusi, quelli che s'allontanano da te saranno scritti in terra; perché hanno abbandonato la sorgente delle acque vive, il Signore. Guariscimi, o Signore, e sarò guarito; salvami, e sarò salvato: la mia gloria sei tu. Ecco essi stanno a dirmi: Dov'è la parola del Signore? S'adempia! Tu lo sai: non mi son turbato, ho seguito te, mio pastore, e non ho desiderato la vendetta. Quello che usci dalle mie labbra fu retto dinanzi a te. Non mi diventare causa di spavento tu, mia speranza nel giorno dell'afflizione. Sian confusi i miei persecutori e non io, tremino essi non tremi io; fa' piombare su loro il giorno dell'afflizione, percuotili con doppio flagello, o Signore Dio nostro.
    Geremia, figura del Messia.
    Geremia è una delle principali figure di Gesù Cristo nell'Antico Testamento, dove rappresenta specialmente il Messia perseguitato dai Giudei. Per questo la Chiesa nelle due settimane consacrate alla Passione del Salvatore, ha voluto scegliere le sue Profezie a soggetto delle lezioni del Mattutino. Abbiamo udita una delle lamentazioni che il giusto rivolge a Dio contro i suoi nemici; e parla in nome di Cristo. Ascoltiamo dai suoi accenti come viene dipinta, nello stesso tempo, la malizia dei Giudei e quella dei peccatori che perseguitano Gesù Cristo in seno allo stesso cristianesimo. "Essi, dice il Profeta, hanno abbandonato la sorgente delle acque vive". Difatti Giuda ha perso la memoria della roccia del deserto, dove zampillarono le acque che spensero la sua sete; e quand'anche se ne ricordasse, non sa che quella roccia misteriosa significava il Messia.
    Gerusalemme, immagine dei peccatori.
    Ciò nonostante, Gesù è là, a Gerusalemme, che grida: "Chi ha sete venga a me e beva, e si disseti". La bontà, la dottrina, le opere sue meravigliose e gli oracoli adempiutisi in lui dicono abbastanza che si deve credere alla sua parola. Ma Giuda è sordo al suo invito; e parecchi cristiani lo imitano. Ve ne sono di quelli che dopo aver gustato della "sorgente delle acque vive", si sono allontanati per andare a dissetarsi ai ruscelli fangosi del mondo; e la loro sete s'è irritata di più. Tremino costoro alla vista del castigo dei Giudei, perché, non ritornando al Signore loro Dio, cadranno negli ardori eterni che li divoreranno, e là invocheranno una goccia d'acqua, che sarà loro rifiutata. Per bocca di Geremia il Signore predice "un giorno d'afflizione" che piomberà sui Giudei; e più tardi, quando verrà in persona, li previene che la tribolazione cadrà sopra Gerusalemme, in punizione del suo deicidio, e sarà così spaventosa "quale non fu dal principio del mondo fino ad ora, né mai sarà" (Mt 24,21). Ma se il Signore ha vendicato con tanta severità il sangue del Figlio suo contro una città, che fu per tanto tempo sgabello dei suoi piedi, e contro un popolo che aveva preferito a tutti gli altri, come potrà risparmiare il peccatore che, disprezzando i richiami della Chiesa, s'ostina a rimanere nel suo indurimento? Giuda ebbe la disgrazia di colmare la misura delle sue iniquità; anche noi abbiamo tutti un limite al male che la giustizia di Dio non permetterà mai d'oltrepassare. Affrettiamoci dunque a rimuovere il peccato; preoccupiamoci di colmare un'altra misura, quella delle buone opere; e preghiamo pei peccatori che non vogliono convertirsi. Domandiamo che il sangue divino, ch'essi ancora una volta disprezzeranno, e dal quale sono ancora protetti, non ricada sopra di loro.
    VANGELO (Gv 11,47-54). - In quel tempo: I prìncipi dei Sacerdoti ed i Farisei radunarono il consiglio contro Gesù, e dicevano: Che facciamo? Quest'uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e stermineranno il nostro paese e la nazione. Allora uno di loro chiamato Caifa, che era in quell'anno pontefice, disse loro: Voi non capite nulla, e non pensate come vi torni conto che un uomo solo muoia per il popolo, e non perisca tutta la nazione. E questo non lo disse di suo, ma essendo pontefice di quell'anno profetò che Gesù doveva morire per la nazione, e non per la nazione soltanto, ma anche per raccogliere insieme i figli dispersi di Dio. E da quel giorno proposero di dargli la morte. Gesù adunque non conversava più in pubblico tra i Giudei; ma si ritirò in una regione vicina al deserto in una città, chiamata Efrem, dove si tratteneva coi suoi discepoli.
    Il Consiglio del Sinedrio.
    La vita del Salvatore è più che mai minacciata. Il consiglio della nazione s'è riunito per vedere come disfarsi di lui. Sentite questi uomini; spinti a radunarsi dalla più vile delle passioni, la gelosia, non negano i miracoli di Gesù; sono dunque in grado di dare un giudizio sulla sua missione, e questo giudizio dovrebbe essere favorevole. Non sono però convenuti per questo scopo, ma per intendersi sui mezzi di farlo perire. Che cosa diranno a se stessi? Quali sentimenti esprimeranno in comune accordo per legittimare una tale sanguinaria risoluzione? Avranno il coraggio di mettere avanti la politica e l'interesse della nazione: se Gesù, infatti, continua a mostrarsi al popolo e ad operare prodigi, presto la Giudea vorrà proclamarlo suo Re, e non tarderanno a venire i Romani a vendicare l'onore del Campidoglio oltraggiato dalla più debole nazione ch'esiste nell'Impero. Insensati; essi non comprendono, che se il Messia avesse dovuto essere un re terreno, tutte le nazioni della terra sarebbero rimaste senza forza contro di lui! Perché non si ricordano piuttosto della predizione di Daniele, che durante la settantesima settimana di anni, a partire dal decreto per la riedificazione del tempio, il Cristo sarebbe stato messo a morte, ed il popolo che l'avrebbe rinnegato non sarebbe stato più il suo popolo? (Dn 9,25) che, dopo quest'eccesso, verrà un popolo guidato da un capo militare, e metterà a soqquadro la città ed il tempio? ed entrerà nel santuario l'abbominazione della desolazione e la desolazione s'insedierà a Gerusalemme, e vi rimarrà fino alla fine? (ivi, 26-27). Non capiscono che, facendo perire il Messia, contemporaneamente annienteranno la patria.
    La profezia del Gran Sacerdote.
    Frattanto, l'indegno pontefice che presiede negli ultimi giorni della religione mosaica, rivestito dell'efod, ha profetizzato, e la sua profezia risponde a verità. Non ce ne stupiamo, perché il velo del tempio non s'è ancora spaccato, ed ancora non è rotta l'alleanza tra Dio e Giuda. Caifa è un sanguinario, un vile, un sacrilego; ma è pontefice, quindi Dio parla ancora per la sua bocca. Sentiamo che cosa dice questo nuovo Balaam: "Gesù dovrà morire per la nazione, e non per la nazione soltanto, ma anche per raccogliere insieme i figli dispersi di Dio". Così la moribonda Sinagoga è costretta a profetizzare la nascita della Chiesa per l'effusione del sangue di Gesù! Qua e là sulla terra esistono figli di Dio che lo servono, in mezzo alla gentilità, come il centurione Cornelio; ma non c'è un legame visibile che li unisca.
    S'avvicina l'ora in cui l'unica, la grande Città di Dio apparirà sul monte, "e tutte le genti vi accorreranno" (Is 2,2). Dopo che sarà sparso il sangue dell'alleanza universale, ed il sepolcro ci avrà reso il vincitore della morte, passeranno cinquanta giorni, e la Pentecoste non convocherà più i Giudei al tempio di Gerusalemme, ma chiamerà tutti i popoli alla Chiesa di Gesù Cristo. Caifa si dimentica dell'oracolo ch'egli stesso aveva proferito, e fa restaurare il velo del Santo dei Santi, che s'era spezzato in due, nel momento che Gesù spirava sulla Croce; ma questo velo non copre più che un ridotto deserto. Non è più là il Santo dei Santi; ora "in ogni luogo si sacrifica un'ostia pura" (Ml 1,11,) non ancora sono apparsi, sul monte degli Olivi, i vendicatori del deicidio, con le loro aquile, che i suoi sacrificatori hanno sentito tuonare, in fondo al ripudiato santuario, una voce che diceva: "Usciamo via di qui.
    PREGHIAMO
    A noi che cerchiamo la grazia della tua protezione, concedi, o Dio onnipotente, di servirti con animo tranquillo e libero da ogni male.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 658-661

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    11 aprile 2014: I SETTE DOLORI DI MARIA SANTISSIMA


    La compassione della Madonna.

    La pietà degli ultimi tempi ha consacrato in una maniera speciale questo giorno alla memoria dei dolori che Maria provò ai piedi della Croce del suo divin Figliolo. La seguente settimana è interamente dedicata alla celebrazione dei Misteri della Passione del Salvatore, e sebbene il ricordo di Maria che soffre insieme a Gesù sia sovente presente al cuore del fedele, il quale segue piamente tutti gli atti di questo dramma, tuttavia i dolori del Redentore e lo spettacolo della giustizia divina che s'unisce a quello della misericordia per operare la nostra salvezza, assillano troppo la mente, perché sia possibile onorare come merita il mistero della compassione di Maria ai patimenti di Gesù. Conveniva perciò che fosse scelto un giorno, nell'anno, per adempiere a questo dovere; e quale giorno meglio si addiceva del Venerdì della presente settimana, ch'è di per se stesso interamente dedicato al culto della Passione del Figlio di Dio?

    Storia di questa festa.

    Fin dal XV secolo, nel 1423, un arcivescovo di Colonia, Thierry de Meurs, inaugurava tale festa nella sua chiesa con un decreto sinodale [1]. Successivamente si propagò, sotto diversi nomi, nelle regioni cattoliche, con tolleranza della Sede Apostolica; fino a che il Papa Benedetto XIII, con decreto del 22 agosto 1727, non l'inserì solennemente nel calendario della Chiesa universale, sotto il nome di Festa dei sette Dolori della Beata Vergine Maria. In tal giorno dunque la Chiesa vuole onorare Maria addolorata ai piedi della Croce. Fino all'epoca in cui il Papa non estese all'intera cristianità la Festa, col titolo suindicato, essa veniva designata con differenti nomi: La Madonna della Pietà, La Madonna Addolorata, La Madonna dello Spasimo; in una parola, questa festa era già sentita dalla pietà del popolo, prima che fosse consacrata dalla Chiesa.

    Maria Corredentrice.

    Per ben comprendere l'oggetto, e meglio compiere in questo giorno, verso la Madre di Dio e degli uomini i doveri che le sono dovuti, dobbiamo ricordare che Dio, nei disegni della sua sovrana Sapienza, ha voluto in tutto e per tutto associare Maria alla restaurazione del genere umano. Tale mistero ci mostra un'applicazione della legge che rivela tutta la grandezza del piano divino; ed ancora una volta ci fa vedere il Signore sconfiggere la superbia di Satana col debole braccio di una donna. Nell'opera della salvezza, noi costatiamo tre interventi di Maria, tre circostanze, nelle quali è chiamata ad unire la sua azione a quella stessa di Dio.

    La prima, nell''Incarnazione del Verbo, il quale non assume carne in lei se non dopo averne ottenuto il consenso con quel solenne FIAT che salvò il mondo; la seconda, nel Sacrificio di Gesù Cristo sul Calvario, ove ella assiste per partecipare all'offerta espiatrice; la terza, nel giorno della Pentecoste, quando riceve lo Spirito Santo come lo ricevettero gli Apostoli, per potere adoperarsi efficacemente alla fondazione della Chiesa. Nella festa dell'Annunciazione esponemmo la parte ch'ebbe la Vergine di Nazaret al più grande atto che piacque a Dio intraprendere per la sua gloria, e per il riscatto e la santificazione del genere umano. In seguito avremo occasione di mostrare la Chiesa nascente che si sviluppa e s'ingigantisce sotto l'influsso della Madre di Dio. Oggi dobbiamo descrivere la parte che toccò a Maria nel mistero della Passione di Gesù, spiegare i dolori che sopportò presso la Croce, ed i nuovi titoli che ivi acquistò alla nostra filiale riconoscenza.

    La predizione di Simeone.

    Il quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, la Beata Vergine venne a presentare il Figlio al Tempio. Questo fanciullo era atteso da un vegliardo, che lo proclamò "luce delle nazioni e gloria d'Israele". Ma, volgendosi poi alla madre, le disse: "(Questo fanciullo) è posto a rovina e risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; anche a te una spada trapasserà l'anima" (Lc 2,34-35). L'annuncio dei dolori alla madre di Gesù ci fa comprendere che le gioie natalizie erano cessate, ed era Venuto il tempo delle amarezze per il figlio e per la madre. Infatti, dalla fuga in Egitto fino a questi giorni in cui la malvagità dei Giudei va macchinando il più grave dei delitti, quale fu lo stato del figlio, umiliato, misconosciuto, perseguitato e saziato d'ingratitudini? Quale fu, per ripercussione, il continuo affanno e la costante angoscia del cuore della più tenera delle madri? Noi oggi, prevenendo il corso degli eventi, facciamo un passo avanti ed arriviamo subito al mattino del Venerdì Santo.

    Maria, il Venerdì Santo.

    Maria sa che questa stessa notte suo figlio è stato tradito da un suo discepolo, da uno che Gesù aveva scelto a suo confidente, ed al quale ella stessa, più d'una volta, aveva dato segni della sua materna bontà. Dopo una crudele agonia, s'è visto legare come un malfattore, e la soldatesca l'ha condotto da Caifa, suo principale nemico. Di là l'hanno portato al governatore romano, la cui complicità era necessaria ai prìncipi dei sacerdoti e ai dottori della legge, perché potessero versare, secondo il loro desiderio, il sangue innocente. Maria si trova allora a Gerusalemme, attorniata dalla Maddalena e da altre seguaci del Figlio; ma esse non possono impedire che le grida di quel popolo giungano fino a lei. Del resto, chi potrebbe far scomparire i presentimenti nel cuore d'una tal madre? In città non tarda a spargersi la voce che Gesù Nazareno è stato consegnato al governatore per essere crocifisso. Si terrà forse in disparte Maria, in questo momento in cui tutto un popolo s'è mosso per accompagnare coi suoi insulti fino al Calvario, questo Figlio di Dio che ha portato nel suo seno ed ha nutrito del suo latte? Ben lungi da tale viltà, si leva e si mette in cammino, fino a portarsi al passaggio di Gesù.

    L'aria risuonava di schiamazzi e di bestemmie. La moltitudine che precedeva e seguiva la vittima era composta da gente feroce od insensibile; solo un gruppetto di donne faceva sentire i suoi dolorosi lamenti, e per questa compassione meritò d'attirare su di sé gli sguardi di Gesù. Poteva Maria, dinanzi alla sorte del suo figlio dimostrarsi meno sensibile di queste donne, che avevano con lui solo legami di ammirazione o di riconoscenza? Insistiamo su questo punto, per dimostrare quanto abbiamo in orrore il razionalismo ipocrita che, calpestando tutti i sentimenti del cuore e le tradizioni della pietà cattolica ha tentato, sia in Oriente che in Occidente, di mettere in dubbio la verità della Stazione della Via dolorosa, che segna il punto d'incontro del figlio e della madre. Questa setta che non osa negare la presenza di Maria ai piedi della Croce, perché il Vangelo è troppo esplicito al riguardo, piuttosto di rendere omaggio all'amore materno più devoto che mai sia esistito, preferisce dare ad intendere che, mentre le figlie di Gerusalemme si mostrarono intrepide al passaggio di Gesù, Maria si recò al Calvario per altra via.

    Lo sguardo di Gesù e di Maria.

    Il nostro cuore di figli tratterà con più giustizia la donna forte per eccellenza. Chi potrebbe dire il dolore e l'amore che espressero i suoi sguardi, quando s'imbatterono in quelli del figlio carico della Croce? e dire con quale tenerezza e con quale rassegnazione rispose Gesù al saluto della madre? e con quale affetto Maddalena e le altre sante donne sostennero fra le loro braccia colei che doveva ancora salire il Calvario, per ricevere l'ultimo respiro del suo dilettissimo figlio? Il cammino è ancora lungo sulla Via dolorosa, dalla quarta alla decima Stazione, e se fu irrigato dal sangue del Redentore, fu anche bagnato dalle lacrime della madre sua.

    La Crocifissione.

    Gesù e Maria sono giunti sulla sommità della collina che servirà da altare al più augusto dei sacrifici; ma il divino decreto ancora non permette alla madre d'accostarsi al figlio; solo quando sarà pronta la vittima, s'avanzerà colei che deve offrirla. Mentre aspetta questo solenne momento, quali scosse per la Vergine ad ogni colpo di martello che inchioda sul patibolo le delicate membra del suo Gesù! E quando finalmente le sarà permesso d'avvicinarsi a lui col prediletto Giovanni, la Maddalena e le compagne, quali indicibili tormenti proverà il cuore di questa madre nell'alzare gli occhi e nello scorgere, attraverso il pianto, il corpo lacerato del figlio, stirato violentemente sul patibolo, col viso coperto di sangue e imbrattato di sputi, e col capo coronato da un diadema di spine!

    Ecco dunque il Re d'Israele, del quale l'Angelo le aveva preannunziato le grandezze; ecco il figlio della sua verginità, colui che ella ha amato come suo Dio e insieme come frutto benedetto del suo seno! Per gli uomini, più che per sé, ella lo concepì, lo generò, lo nutrì; e gli uomini l'hanno ridotta in questo stato! Oh, se, con uno di quei prodigi che sono in potere del Padre celeste, potesse essere reso all'amore di sua madre, e se la giustizia alla quale s'è degnato di pagare tutti i nostri debiti volesse accontentarsi di ciò che egli ha sofferto! Ma no, deve morire, ed esalare lo spirito in mezzo alla più crudele agonia.

    Il martirio di Maria.

    Dunque Maria è ai piedi della Croce per ricevere l'addio del figlio, che sta per separarsi da lei; fra qualche istante, di questo suo amatissimo figlio non le resterà che un corpo inanimato e coperto di piaghe. Ma cediamo qui la parola a san Bernardo, del cui linguaggio si serve oggi la Chiesa nell'Ufficio del Mattutino: "Oh, Madre, egli esclama, considerando la violenza del dolore che ha trapassata l'anima tua, noi ti proclamiamo più che martire, perché la compassione che hai provato per tuo figlio, sorpassa tutti i patimenti che il corpo può sopportare. Non è forse stata più penetrante d'una spada per la tua anima quella parola: Donna ecco il figlio tuo? Scambio crudele! in luogo di Gesù, ricevi Giovanni; in luogo del Signore, il servo; in luogo del Maestro, il discepolo; in luogo del figlio di Dio, il figlio di Zebedeo: un uomo, insomma, in luogo d'un Dio! Come poté la tua anima sì tenera non essere ferita, quando i cuori nostri, i nostri cuori di ferro e di bronzo, si sentono lacerati al solo ricordo di quello. che dovette allora soffrire il tuo? Perciò non vi meravigliate, fratelli miei, di sentir dire che Maria fu martire nella sua anima. Di nulla dobbiamo stupirci, se non di colui che avrà dimenticato ciò che san Paolo annovera tra i più gravi delitti dei Gentili, l'essere stati disamorati. Ma un tale difetto è lungi dal cuore di Maria; che sia lungi anche dal cuore di coloro che l'onorano!" (Discorso delle dodici stelle).

    Nella mischia dei clamori e degl'insulti che salgono fino al figlio elevato sulla Croce, nell'aria, Maria ascolta quella parola che scende dall'alto fino a lei e l'ammonisce che d'ora in poi non avrà altro figlio sulla terra che quello di adozione. Le gioie materne di Betleem e di Nazaret, gioie così pure e sì spesso turbate dalla trepidazione, sono compresse nel suo cuore e si cambiano in amarezza. Era la madre d'un Dio, e suo figlio le è stato tolto dagli uomini! Alza per un'ultima volta i suoi sguardi al caro Figlio, e lo vede in preda ad un'ardentissima sete, e non può ristorarlo; contempla i suoi occhi che si spengono, il capo che si reclina sul petto: tutto è consumato!

    La ferita della lancia.

    Maria non s'allontana dall'albero del dolore, all'ombra del quale è stata trattenuta fino adesso dal suo amore materno; ma quali crudeli emozioni l'attendono ancora! Sotto i suoi occhi, s'avvicina un soldato a trapassare con una lanciata il costato del figlio suo appena spirato. "Ah, dice ancora san Bernardo, il tuo cuore, o madre, è trapassato dal ferro di quella lancia ben più che il cuore del figlio tuo, che ha già reso l'ultimo suo anelito. Non c'è più la sua anima; ma c'è la tua, che non può distaccarsene" (Ibidem).

    L'invitta madre rimane immobile a custodire i sacri resti del figlio; coi suoi occhi lo vede distaccare dalla Croce; e quando alla fine gli amici di Gesù, con tutte le attenzioni dovute al figlio ed alla madre, glielo rendono così come la morte l'ha ridotto, ella lo riceve sulle sue ginocchia, che una volta furono il trono sul quale ricevette gli omaggi dei prìncipi dell'Oriente. Chi potrà contare i sospiri ed i singhiozzi di questa madre, che stringe al cuore la spoglia esamine del più caro dei figli? Chi conterà le ferite, di cui è coperto il corpo della vittima universale?

    La sepoltura di Gesù.

    Ma l'ora passa; il sole declina sempre più verso il tramonto: bisogna affrettarsi a rinchiudere nel sepolcro il corpo, di colui ch'è l'autore della vita. La madre di Gesù raccoglie in un ultimo bacio tutta la forza del suo amore, ed oppressa da un dolore immenso come il mare, affida l'adorabile corpo a chi, dopo averlo imbalsamato, lo distenderà sulla pietra della tomba. Chiuso il sepolcro, accompagnata da Giovanni suo figlio adottivo, dalla Maddalena, dai due discepoli che hanno assistito ai funerali e dalle altre pie donne, Maria rientra nella città maledetta.

    La novella Eva.

    Vedremo noi, in tutti questi fatti, solo lo spettacolo delle sofferenze sopportate dalla madre di Gesù, vicino alla Croce del figlio? Non aveva forse Dio una intenzione, nel farla assistere di persona alla morte del Figlio? E perché non la tolse da questo mondo, come Giuseppe, prima del giorno della morte di Gesù, senza causare al suo cuore materno un'afflizione superiore a quella di tutte la madri prese insieme, che si sarebbero succedute da Eva in poi, lungo il corso dei secoli? Dio non l'ha fatto, perché la novella Eva aveva una parte da compiere ai piedi dell'albero della Croce. Come il Padre celeste attese il suo consenso prima d'inviare sulla terra il Verbo eterno, così pure richiese l'obbedienza ed il sacrificio di Maria per l'immolazione del Redentore. Non era il bene più caro di questa incomparabile madre, quel figlio che aveva concepito solo dopo aver accondisceso alla divina proposta? Ma il cielo non poteva riprenderselo, senza che lei stessa lo donasse.

    Quale terribile conflitto scoppiò allora in quel cuore sì amante! L'ingiustizia e la crudeltà degli uomini stanno per rapirle il figlio: come può lei, la madre, ratificare, col suo assenso la morte di chi ama d'un duplice amore, come suo figlio e come suo Dio? D'altra parte, se Gesù non viene immolato, il genere umano continua a rimanere preda di Satana, il peccato non è riparato, ed invano lei è divenuta la madre d'un Dio. Per lei sola sarebbero gli onori e le gioie; e noi saremmo abbandonati alla nostra triste sorte. Che farà, allora, la Vergine di Nazaret, dal cuore così grande, la creatura sempre immacolata, i cui affetti non furono mai intaccati dall'egoismo che s'infiltra così facilmente nelle anime nelle quali è regnato il peccato originale? Maria, per la sua dedizione unendosi per gli uomini al desiderio di suo figlio, che non brama che la loro salvezza, trionfa di se stessa: una seconda volta pronuncia il suo FIAT, ed acconsente all'immolazione del figlio. Non è più la giustizia di Dio che glielo rapisce, ma è lei che lo cede: e, quasi a ricompensa, viene innalzata a un piano di grandezza che mai la sua umiltà avrebbe potuto concepire. Un'ineffabile unione si crea fra l'offerta del Verbo incarnato e quella di Maria; scorrono insieme il sangue divino e le lacrime della madre, e si mescolano per la redenzione del genere umano.

    La fortezza di Maria.

    Comprendete ora la condotta di questa Madre ed il coraggio che la sostiene. Ben differente da quell'altra madre di cui parla la Scrittura, la sventurata Agar, la quale dopo aver cercato invano di spegnere la sete d'Ismaele, ansimante sotto la canicola solare del deserto, fugge per non vedere morire il figlio, Maria inteso che il suo è condannato a morte, si alza, corre sulle sue tracce fin che non lo ritrova e l'accompagna al luogo ove dovrà spirare. Ed in quale atteggiamento rimane ai piedi della Croce di questo figlio? La vediamo forse venir meno e svenire? L'inaudito dolore che l'opprime l'ha forse fatta cascare al suolo, o fra le braccia di quelli che l'attorniano? No; il santo Vangelo risponde con una sola parola a tutte queste domande: "Maria stava (in piedi) accanto alla Croce". Come il sacrificatore sta eretto dinanzi all'altare, così Maria, per offrire un sacrificio come il suo, conserva il medesimo atteggiamento. Sant'Ambrogio, che col suo tenero spirito e la profonda intelligenza dei misteri, ci ha tramandato preziosissimi trattati del carattere di Maria, esprime tutto in queste poche parole: "Ella rimase ritta in faccia alla Croce, contemplando coi suoi occhi il figlio, ed aspettando, non la morte del caro figlio, ma la salvezza del mondo" (Comment. su san Luca. c. xxiii).

    Maria, madre nostra.

    Così la Madre dei dolori lungi dal maledirci, in un simile momento, ci amava e sacrificava a nostra salvezza perfino i ricordi di quelle ore di felicità che aveva gustate nel figliol suo. Facendo tacere lo strazio del suo cuore materno, ella lo rendeva al Padre come una sacro deposito che le aveva affidato. La spada penetrava sempre più nell'intimo dell'anima sua; ma noi eravamo salvi: da semplice creatura, essa cooperò insieme col figlio alla nostra salute. Dopo di ciò, ci meraviglieremo sé Gesù scelse proprio questo momento per eleggerla Madre degli uomini, nella persona di Giovanni che rappresentava tutti noi? Mai, come allora, il Cuore di Maria era aperto in nostro favore. Sia dunque, ormai, l'Eva novella, la vera "Madre dei viventi". La spada, trapassando il suo Cuore immacolato, ce ne ha spalancata la porta. Nel tempo e nell'eternità, Maria estenderà anche a noi l'amore che porta a suo figlio, perché da questo momento ha inteso da lui che anche noi le apparteniamo. A riscattarci è stato il Signore: a cooperare generosamente al nostro riscatto è stata la Madonna.

    Preghiera.

    Con tale confidenza, o Madre afflitta, oggi noi veniamo con la santa Chiesa, a renderti il nostro filiale ossequio. Tu partoristi senza dolore Gesù, frutto dal tuo ventre; ma noi, tuoi figli adottivi, siamo penetrati nel tuo Cuore per mezzo della lancia. Con tutto ciò amaci, o Maria, corredentrice degli uomini! E come potremmo noi non cantare all'amore del tuo Cuore sì generoso, quando sappiamo che per la nostra salvezza ti sei unita al sacrificio del tuo Gesù? Quali prove non ci hai costantemente date della tua materna tenerezza, tu che sei la Regina di misericordia, il rifugio dei peccatori, l'avvocata instancabile di tutti noi miseri? Deh! o Madre, veglia su noi; fa' che sentiamo e gustiamo la dolorosa Passione di tuo figlio. Non si svolse, essa, sotto i tuoi occhi? non vi prendesti parte? Facci dunque penetrare tutti i misteri, affinché le nostre anime, riscattate dal sangue di Gesù, e lavate dalle tue lacrime, si convertano finalmente al Signore e perseverino d'ora innanzi nel suo santo servizio.



    [1] Labbe, Concilies, t. XII p. 365. - Il decreto esponeva la ragione dell'istituzione di tale festa: "Onorare l'angoscia che provò Maria quando il Redentore s'immolò per noi e raccomandò questa Madre benedetta a Giovanni, ma soprattutto affinché sia repressa la perfidia degli empi eretici Ussiti".



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 661-669

  6. #16
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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    11 aprile 2014: San Leone I Magno, Papa, confessore e dottore della Chiesa

  7. #17
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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    12 aprile 2014
    SABATO
    DELLA SETTIMANA DI PASSIONE

    Oggi cominciamo, col santo Vangelo, a contare esattamente i giorni che dovranno trascorrere prima dell'immolazione del divino Agnello. Questo Sabato è il sesto giorno prima di Pasqua, secondo il computo di san Giovanni al capitolo dodicesimo.
    L'unzione di Betania.
    Gesù si trova a Betania, dove si tiene un festino in suo onore. Lazzaro risuscitato è presente al banchetto, che ha luogo in casa di Simone il Lebbroso. Mentre Marta si occupa nel servirli, Maria Maddalena, alla quale lo Spirito Santo fa quasi presentire l'avvicinarsi della morte e della sepoltura del suo amato Maestro, ha preparato un profumo e lo viene a spandere sopra di lui. Il santo Vangelo, che conserva sempre un misterioso riserbo sulla Madre di Gesù, non ci dice ch'era presente anche lei quel giorno a Betania ma non si può metterlo in dubbio; pure gli Apostoli presero parte al banchetto. Mentre nel villaggio di Betania, situato a due chilometri da Gerusalemme, gli amici del Signore si stringevano così intorno a lui, sulla città infedele il cielo andava sempre più ottenebrandosi. Tuttavia, Gesù, domani vi farà una sua apparizione; e i discepoli ancora non lo sanno. Il cuore di Maria è triste; Maddalena è tutta assorta in lugubri pensieri; tutto presagisce la fine imminente.
    Storia di questo giorno.
    La Chiesa ha però riservato il passo del Vangelo di san Giovanni che narra questi fatti, per la Messa del Lunedì prossimo. La ragione di questo particolare sta nel fatto che, fino al XII secolo, non c'era, ancora, una Stazione a Roma. Il Papa preludeva con una giornata di riposo alle fatiche della grande Settimana, le cui solenni funzioni cominceranno domani. Ma se egli non presiedeva all'assemblea dei fedeli, non trascurava di compiere in questo giorno due tradizionali prescrizioni che avevano la loro importanza negli usi liturgici della Chiesa Romana.
    Nel corso dell'anno, il Papa costumava mandare ogni Domenica una porzione della santa Eucarestia, ch'egli consacrava, a ciascun sacerdote che era addetto ai titoli presbiteriali, che erano le chiese parrocchiali della città. Questo invio, o meglio distribuzione, aveva luogo da oggi per tutta la Settimana Santa, forse perché l'ufficiatura di domani non avrebbe permesso d'effettuarla comodamente. Gli antichi documenti liturgici di Roma c'informano, che la consegna del pane consacrato si faceva nel Concistoro del Laterano; il Cardinal Tommaso e Benedetto XIV inclinano a credere che i Vescovi delle Chiese suburbucarie vi prendessero parte. Abbiamo altre prove, dall'antichità, che talvolta i Vescovi s'inviavano scambievolmente la santa Eucarestia, in segno della comunione che li univa. Quanto ai sacerdoti preposti ai Titoli presbiteriali della città, ai quali ogni settimana veniva consegnata una porzione dell'Eucarestia consacrata dal Papa, essi se ne servivano all'altare, mettendo una picco*la parte di questo pane consacrato nel calice, prima di comunicarsi.
    L'altra usanza di questo giorno consisteva in una elemosina generale alla quale presiedeva il Papa, e che senza dubbio, nella sua abbondanza, aveva lo scopo di supplire a quella che non avrebbe potuto aver luogo durante la Settimana Santa, troppo occupata negli Uffici divini e nelle altre cerimonie. I Liturgisti del Medio Evo spiegano la commovente relazione tra il Pontefice Romano, che esercita di persona le opere di misericordia verso i poveri, e Maria Maddalena, che pure oggi imbalsama coi suoi profumi i piedi del Salvatore.
    Posteriormente al XII secolo, venne fissata una Stazione, la quale ha luogo nella chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, che, secondo la tradizione, sorge sul luogo dove il Discepolo prediletto per ordine di Domiziano sarebbe stato immerso in una caldaia d'olio bollente.
    LETTURA (Ger 18,18-23). - In quei giorni: Degli empi Giudei dissero fra di sé: Venite, facciamo una congiura contro il giusto, perché la legge non può mancare al sacerdote, il consiglio al sapiente, la parola al profeta. Venite, abbattiamolo con la lingua, senza dar retta a tanti suoi discorsi. Signore, rivolgiti verso di me, ascolta quanto dicono i miei avversari. Si rende forse il male, per il bene giacché essi hanno scavato una fossa all'anima mia? Ricordati che io sono stato nel tuo cospetto, per parlare in loro favore, per allontanare da essi il tuo sdegno. Per questo abbandona i loro figli alla fame, falli cadere sotto la spada; le loro mogli restino senza figli e vedove, i loro mariti siano messi a morte, i loro giovani siano trafitti dalla spada in battaglia. Si sentano le grida uscir dalle loro case: Manderai adunque all'improvviso, addosso a loro il ladrone, perché essi hanno scavato la fossa per prendermi, han teso dei lacci ai miei piedi. Ma tu, o Signore, ben conosci quanto tramano contro di me per farmi morire; non perdonare la loro iniquità, non si cancelli dinanzi a te il loro peccato, siano calpestati e maltrattati nel tempo del tuo furore, Signore Dio nostro.
    Anatemi contro i peccatori.
    Non si possono leggere senza fremere gli anatemi che Geremia, figura di Gesù Cristo, indirizza ai Giudei, suoi persecutori. Questa predizione, che s'avverò alla lettera fin dalla prima rovina di Gerusalemme, per mano degli Assiri, ebbe una conferma ancora più terribile nella seconda visita dell'ira di Dio sulla maledetta città. Non era solo un profeta, Geremia, che i Giudei avevano perseguitato col loro odio e con indegni trattamenti; ma lo stesso Figlio di Dio, che avevano rigettato e messo in croce: al loro Messia avevano "ricambiato il bene col male". Quindi, non era stato solo Geremia "a pregare il Signore che facesse la grazia d'allontanare da essi il suo sdegno": l'Uomo-Dio in persona aveva sempre interceduto per loro; e se alla fine loro furono abbandonati alla giustizia divina, questo avvenne dopo ch'ebbero esaurite tutte le vie della misericordia e del perdono. Ma tanto amore era rimasto sterile; e l'ingrato popolo, sempre più irritato contro il suo benefattore, nell'impeto del suo odio gridava: "Che il suo sangue ricada sopra di noi e sui nostri figli!" Quale sentenza Giuda attirava a proprio danno, formulando un tale augurio! Dio l'intese e se ne ricordò.
    Il peccatore, ahimé, che conosce Gesù Cristo ed il prezzo del suo sangue, e che continua a versare a suo piacimento un sangue sì prezioso, non s'espone forse agli stessi rigori di quella giustizia, che si mostrò così tremenda verso Giuda? Tremiamo e preghiamo, implorando la divina misericordia per tanti ciechi volontari e cuori ostinati che corrono alla rovina; e con le suppliche incessanti che rivolgeremo al Cuore misericordioso del Redentore di tutti, facciamo sì che sia revocato il decreto ch'essi hanno meritato e si tramuti in una sentenza di perdono.
    VANGELO (Gv 12,10-36). - In quel tempo: I prìncipi dei sacerdoti deliberarono di ammazzare anche Lazzaro; perché molti per causa di lui abbandonavano i Giudei e credevano in Gesù. Il giorno dopo, una gran folla, accorsa alla festa, avendo sentito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e andò ad incontrarlo, gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore: il Re d'Israele. E Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion; ecco il tuo Re viene seduto sopra un puledro d'asina. I suoi discepoli non compresero allora queste cose; ma glorificato che fu Gesù, si ricordarono ch'erano state scritte di lui, e che gli erano state fatte. E la folla ch'era con lui quando chiamò Lazzaro fuori del sepolcro e lo risuscitò dai morti, ne rendeva testimonianza. Anche per questo gli andò incontro la turba, perché aveva sentito che egli aveva fatto quel miracolo. I Farisei allora dissero: Vedete che non concludiamo nulla? Ecco, tutto il mondo gli va dietro. Or fra quelli accorsi ad adorare per la festa, v'erano alcuni Gentili. Questi, accostatisi a Filippo, che era di Betsaida della Galilea, lo pregarono dicendo: Signore, desideriamo vedere Gesù. Filippo andò a dirlo ad Andrea e Andrea e Filippo lo dissero a Gesù. E Gesù rispose loro: È venuta l'ora nella quale dev'essere glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane infecondo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perderà e chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna. Se uno mi vuol seguire mi segua; e dove son io, ci sarà pure il mio servo. Se uno mi serve l'onorerà mio Padre. Ma ora l'anima mia è conturbata. E che dico? Padre, salvami da quest'ora. Ma per questo son giunto a questo momento. Padre, glorifica il tuo nome. E dal cielo venne questa voce: E l'ho glorificato, e di nuovo lo glorificherò. Or la folla ch'era presente, e udì, disse ch'era stato un tuono. Altri dicevano: Un angelo gli ha parlato. E Gesù prese a dire: Non per me, ma per voi è venuta questa voce. Or si fa giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Ed io quando sarò innalzato da terra trarrò tutti a me. Ciò diceva per significare di qual morte doveva morire. Gli rispose la gente: Noi abbiamo appreso dalla legge che il Cristo vive in eterno. Or come dici tu che il Figlio dell'uomo dev'essere innalzato? Chi è questo Figlio dell'uomo? Disse allora Gesù ad essi: Ancora un poco la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, affinché non vi sorprendano le tenebre; e chi cammina al buio non sa dove vada. Finché avete luce, credete nella luce, per essere figli della luce. Queste cose disse Gesù; poi se ne andò (a Betania coi dodici) e si nascose da loro.
    L'odio dei Giudei.
    I nemici del Salvatore sono giunti a tal segno di follia da perdere la ragione. È davanti a loro Lazzaro risuscitato; ma invece di riconoscere in lui la prova schiacciante della divina missione di Gesù, ed arrendersi finalmente davanti all'evidenza, pensano di far perire questo testimone incontestabile, come se Chi lo aveva risuscitato una volta non potesse di nuovo ridargli la vita. La trionfale accoglienza che il popolo fa al Signore in Gerusalemme li spinge ad inasprire la loro stizza ed il loro odio. "Vedete che non concludiamo nulla? essi mormorano; ecco che tutto il mondo gli va dietro". Ahimé! ad una momentanea ovazione succederà immediatamente uno di quei voltafaccia ai quali il popolo è troppo abituato. Ma intanto, ecco che anche i Gentili si fanno avanti per vedere Gesù. È il preludio del prossimo avveramento della profezia del Salvatore: "Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti" (Mt 21,43). Sarà quello il momento che "il Figlio dell'Uomo sarà glorificato" e che tutte le nazioni protesteranno il loro umile omaggio al Crocifisso, contro l'accecamento dei Giudei. Ma prima bisognerà che il divino " Frumento caduto in terra, muoia"; poi quando verrà il tempo della mietitura, darà il cento per uno.
    La Redenzione.
    Tuttavia Gesù non può non risentire nella sua umanità un istantaneo turbamento al pensiero di questa morte. Non è ancora l'agonia dell'Orto; ma un brivido l'assale. Ecco come grida: "Padre! salvami da quest'ora". Cristiani, è il nostro Dio ch'è preso da paura, nel prevedere ciò che fra poco comincerà a soffrire per noi; e domanda che s'allontani il destino ch'egli ha previsto e voluto. "Ma, soggiunge, per questo son venuto al mondo; Padre, glorifica il tuo nome". Ora il suo spirito è sereno, e torna ad accettare le condizioni della nostra salute. Sentite anche questa parola di trionfo: "Il principe di questo mondo sarà cacciato fuori": cioè Satana sarà detronizzato, in virtù del Sacrificio che egli sta per offrire.
    Ma non è solamente la disfatta del demonio, il frutto dell'immolazione del Redentore: questo essere terreno e pervertito che è l'uomo sta per distaccarsi dalla terra ed innalzarsi al cielo; e sarà il Figlio di Dio, quale amante celeste, che lo attirerà a sé: "Quando sarò innalzato da terra trarrò tutti a me". Non si preoccupa più dei patimenti, della terribile morte che poco fa lo spaventava; non vede più che la rovina del nostro nemico, e la nostra salvezza e glorificazione per la sua Croce. In queste parole noi abbiamo tutto il Cuore del Redentore; meditiamole, perché bastano da sole a disporre le nostre anime a gustare i misteri di cui è piena la grande Settimana che si apre domani.
    PREGHIAMO
    La tua destra, o Signore, difenda e, dopo averlo purificato, istruisca degnamente il popolo che prega; affinchè mediante la consolazione presente avanzi verso i beni futuri.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 669-674

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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    13 aprile 2014
    SECONDA DOMENICA DI PASSIONE
    O DOMENICA DELLE PALME
    La partenza da Betania.
    Di primo mattino, Gesù lascia a Betania Maria sua madre, le due sorelle Marta e Maria Maddalena, con Lazzaro, e si dirige a Gerusalemme in compagnia dei discepoli. Trema la Vergine, nel vedere così il Figlio avvicinarsi ai suoi nemici, che bramano versare il suo sangue; però oggi, Gesù, non va incontro alla morte a Gerusalemme, ma al trionfo. Bisogna che il Messia, prima d'essere sospeso alla croce, sia, in Gerusalemme, proclamato Re dal popolo; e che di fronte alle aquile romane, sotto gli occhi dei Pontefici e dei Farisei rimasti muti per la rabbia e lo stupore, la voce dei fanciulli, mescolandosi con le acclamazioni della cittadinanza, faccia echeggiare la lode al Figlio di David.
    Avveramento della Profezia.
    Il profeta Zaccaria aveva predetta l'ovazione preparata dalla eternità al Figlio dell'uomo, alla vigilia delle sue umiliazioni: "Esulta grandemente, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme; ecco viene a te il tuo Re, il Giusto, il Salvatore: egli è povero, e cavalca un'asina e un asinello" (Zc 9,9). Vedendo Gesù ch'era venuta l'ora del compimento di questo oracolo, prende in disparte due discepoli, e comanda loro di portargli un'asina ed un puledro d'asina che troveranno poco lontano di lì. Mentre il Signore giungeva a Betfage, sul monte degli Olivi, i due discepoli s'affrettano ad eseguire la commissione del loro Maestro.
    I due popoli.
    I santi Padri ci han data la chiave del mistero di questi due animali. L'asina figura il popolo giudeo sottoposto al giogo della Legge; "il puledro sul quale, dice il Vangelo, nessuno è ancora montato" (Mc 11,2), rappresenta la gentilità, non domata da nessuno fino allora. La sorte di questi due popoli sarà decisa da qui a pochi giorni: il popolo giudaico, per aver respinto il Messia, sarà abbandonato a se stesso e in suo luogo Dio adotterà le nazioni che, da selvagge che erano, diventeranno docili e fedeli.
    Il corteo del trionfo.
    I discepoli stendono i mantelli sull'asinello; allora Gesù, perché fosse adempita la figura profetica, monta su quell'animale (ivi 11,7) e s'accinge così ad entrare nella città. Nel contempo si sparge la voce in Gerusalemme che arriva Gesù. Mossa dallo Spirito divino, la moltitudine dei Giudei, convenuta d'ogni parte nella santa città per celebrare la festa di Pasqua, esce ad incontrarlo, agitando palme e riempiendo l'aria di evviva. Il corteo che accompagnava Gesù da Betania si confonde si confonde con quella folla trasportata dall'entusiasmo: ed alcuni stendono i loro mantelli sulla terra che Gesù dovrà calcare, altri gettano ramoscelli di palme al suo passaggio. Echeggia un grido: Osanna!E la grande nuova per la città è, che Gesù, figlio di David, vi sta facendo il suo ingresso come Re.
    Regalità del Messia.
    In tal modo Dio, con la potenza che ha sui cuori, approntò un trionfo al Figliol suo in questa città, che di lì a poco doveva a gran voce reclamare il suo sangue. Questo giorno fu un momento di gloria per Gesù; e la santa Chiesa vuole che tutti gli anni noi rinnoviamo tale trionfo dell'Uomo-Dio. Al tempo della nascita dell'Emmanuele, vedemmo arrivare i Magi dal lontano Oriente e cercare e chiedere, in Gerusalemme, del Re dei Giudei per offrirgli i loro doni; oggi è la stessa Gerusalemme che si muove al suo incontro. Questi due fatti sono in rapporto ad un unico fine: riconoscere la regalità di Gesù Cristo: il primo da parte dei Gentili, il secondo da parte dei Giudei. Mancava che il Figlio di Dio, prima di soffrire la Passione, ricevesse l'uno e l'altro omaggio insieme: e l'iscrizione che presto Pilato farà collocare sul capo del Redentore, Gesù Nazareno, Re dei Giudei, esprimerà il carattere indispensabile del Messia. Invano i nemici di Gesù si sforzeranno in tutti i modi di far cambiare i termini di quella scritta; non ci riusciranno. "Quel che ho scritto ho scritto", risponderà il governatore romano, che, senza saperlo, di sua mano dichiarò l'adempimento delle Profezie. Oggi Israele proclama Gesù suo Re; domani Israele sarà disperso in punizione del suo rinnegamento; ma Gesù da lui oggi proclamato Re, tale rimane nei secoli. Così s'adempiva esattamente l'oracolo dell'Angelo che parlò a Maria, annunciandole le grandezze del figlio che doveva nascere da lei: "Il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe" (Lc 1,32-33). Oggi comincia Gesù il suo regno sulla terra; e se il primo Israele non tarderà a sottrarsi al suo scettro, un nuovo Israele, sorto dalla porzione fedele dell'antico, e formato da tutti i popoli della terra, offrirà a Cristo un impero più vasto, che mai conquistatore sognò.
    Tale è il mistero glorioso di questo giorno, in mezzo alla tristezza della Settimana dei dolori. La santa Chiesa oggi vuole che siano sollevati i nostri cuori da un momento di allegrezza, e che salutiamo Gesù nostro Re. Ella ha perciò disposto il sevizio divino di questa giornata, in modo da esprimere insieme la gioia, unendosi agli evviva che risuonarono nella città di David; la tristezza, tornando subito a gemere sui dolori del suo Sposo divino. Tutta la funzione è suddivisa come in tre atti distinti, di cui successivamente spiegheremo i misteri e le intenzioni.
    La benedizione delle palme.
    La benedizione delle palme, o dei rami, è il primo atto che si svolge sotto i nostri occhi; e se ne può giudicare l'importanza dalla solennità di cui fa pompa la Chiesa. Si disse per tanto tempo, che il Sacrificio veniva offerto con l'unico intento di celebrare l'anniversario dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. L'Introito, la Colletta, l'Epistola, il Graduale, il Vangelo e lo stesso Prefazio si succedevano come a preparare l'immolazione dell'Agnello senza macchia; ma arrivati al triplice: Sanctus! Sanctus! Sanctus! la Chiesa sospendeva queste formule solenni, e per mezzo dei suo ministro procedeva alla santificazione dei rami che sono lì accanto.
    Dopo la recente riforma, appena cantata l'antifona Osanna, questi rami, oggetto della prima parte della funzione, ricevono, in virtù di una sola preghiera seguita dall'incensazione e dall'aspersione di acqua benedetta, una forza che li eleva all'ordine soprannaturale e li rende capaci di santificare le anime, di proteggere i nostri corpi e le nostre case. Durante la processione, i fedeli devono tenere rispettosamente in mano questi rami e portarli poi nelle loro case come segno della loro fede e promessa dell'aiuto divino.
    Antichità del rito.
    È superfluo spiegare al lettore, che le palme ed i ramoscelli di olivo che ricevono in questo momento la benedizione della Chiesa, stanno a ricordare quelle con le quali il popolo di Gerusalemme onorò l'entrata trionfale del Salvatore; ma è opportuno aggiungere qualche parola sull'antichità di questa tradizione. Essa cominciò presto in Oriente, probabilmente dalla pace della Chiesa a Gerusalemme. Nel IV secolo san Cirillo, vescovo di questa città, pensava che ancora esistesse nella valle del Cedron il palmizio che fornì i rami al popolo che andò incontro a Gesù (Catechesi, x); quindi, niente di più naturale che prendere da ciò occasione per istituire una commemorazione anniversaria di questo avvenimento. Nel secolo seguente si vede questa cerimonia, non solo fissata nelle chiese d'Oriente, ma anche nei monasteri, di cui erano popolate le solitudini dell'Egitto e della Siria. Arrivata la Quaresima, molti santi monaci ottenevano il permesso dal loro abate d'internarsi nel deserto, per passare questo tempo in un profondo ritiro; ma dovevano rientrare al monastero per la Domenica delle Palme, come sappiamo dalla vita di sant'Eutimio, scritta dal suo discepolo Cirillo. In Occidente, questo rito non si stabilì così presto; la prima traccia la riscontriamo nel Sacramentarlo di san Gregorio: il che equivale alla fine del VI secolo, od all'inizio del VII. Man mano che la fede si propagava verso il Nord, non era più possibile solennizzare tale cerimonia in tutta la sua integrità, poiché in quei climi non crescevano né palmizi né oliveti. Fu giocoforza sostituirli con rami d'altri alberi; però la Chiesa non permise di cambiare nulla delle orazioni che erano prescritte nella benedizione di questi rami, perché i misteri che si espongono in queste belle preghiere si fondano sull'olivo e sulla palma del racconto evangelico, figurati dai nostri rami di bossolo o di lauro.
    La processione.
    Il secondo rito di questa giornata è la celebre processione che segue alla benedizione delle palme. Essa ha lo scopo di rappresentare al vivo l'avvicinarsi del Salvatore a Gerusalemme ed il suo ingresso in quella città; appunto perché nulla manchi all'imitazione del fatto descritto nel santo Vangelo, le palme benedette vengono portate da tutti quelli che prendono parte a detta processione. Presso i Giudei, tenere in mano dei rami d'albero significava allegria; e la legge divina sanzionava loro quest'uso. Dio aveva detto nel libro del Levitino, stabilendo la festa dei Tabernacoli: "Nel primo giorno prenderete i frutti dell'albero più bello, dei rami di palma e dell'albero più frondoso, dei salici del torrente, e vi rallegrerete dinanzi al Signore Dio vostro" (Lv 23,40). Fu dunque con l'intenzione di manifestare l'entusiasmo per l'arrivo di Gesù fra le loro mura, che gli abitanti di Gerusalemme, compresi i bambini, ricorsero a tale gioiosa dimostrazione. Andiamo incontro anche noi al nostro Re, e cantiamo Osanna al vincitore della morte ed al liberatore del suo popolo.
    Nel Medio Evo, in molte chiese, si portava in processione il libro dei santi Vangeli, che per le parole che contengono rappresentano Gesù Cristo. A un punto stabilito e preparato per una stazione, la processione si fermava: allora il diacono apriva il sacro libro e cantava il passo ov'è narrato l'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Quindi si scopriva la croce, fino allora rimasta velata; e tutto il clero veniva a prostrarsi solennemente in adorazione, depositando ciascuno ai suoi piedi un frammento di ramoscello che teneva in mano. Poi la processione ripartiva preceduta dalla croce, che rimaneva senza velo, fino a che il corteo non fosse rientrato in chiesa.
    In Inghilterra e in Normandia, nell'XI secolo, si praticava un rito che rappresentava ancora più al vivo la scena di questo giorno a Gerusalemme. Alla processione veniva portata in trionfo la santa Eucaristia. Difatti a quest'epoca era scoppiata l'eresia di Berengario contro la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia; ed un tale trionfo della sacra Ostia doveva essere un lontano preludio dell'istituzione della Festa e della Processione del Ss. Sacramento.
    A Gerusalemme, nella Processione delle Palme, si pratica anche un'altra usanza, sempre allo scopo di rinnovare la scena evangelica. L'intera comunità dei Francescani, che sta alla custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a Betfage, ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti pontificali, monta un asinello adorno di vestiti e, accompagnato dai religiosi e dai cattolici di Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l'ingresso nella città e smonta alla porta della chiesa del Santo sepolcro, dove si celebra la Messa con la maggiore solennità.
    Abbiamo qui riuniti, secondo il nostro costume, i differenti fatti che possono servire ad elevare il pensiero dei fedeli ai diversi misteri della Liturgia. Queste manifestazioni di fede li aiuteranno a comprendere come nella Processione delle Palme, la Chiesa intenda onorare Gesù Cristo, presente al trionfo che oggi gli tributa. Cerchiamo dunque con amore "quest'umile e mite Salvatore che viene a visitare la figlia di Sion", come dice il Profeta. Egli è qui in mezzo a noi: a lui s'indirizzi l'omaggio delle nostre palme, insieme a quello dei nostri cuori; egli viene a noi per diventare nostro Re: accogliamolo anche noi, dicendo: Osanna al figlio di David!
    L'entrata in chiesa.
    La fine della processione, prima della recente riforma, si distingueva per una cerimonia improntata al più alto e profondo simbolismo. Al momento di rientrare in chiesa, il corteo trovava le porte serrate. S'arrestava la marcia trionfale; ma non venivano sospesi i canti di gioia; un lieto ritornello risuonava nell'inno speciale a Cristo Re, fino a che il Suddiacono batteva con l'asta della croce la porta; questa s'apriva, e la folla, preceduta dal clero, rientrava in chiesa, glorificando colui che, solo, è la Risurrezione e la Vita.
    Questa scena sta ad indicare l'entrata del Salvatore in un'altra Gerusalemme, di cui quella della terra è soltanto la figura. Quest'altra Gerusalemme è la patria celeste, di cui Gesù ci ha aperte le porte. Il peccato del primo uomo le aveva chiuse; ma Gesù il Re della Gloria, ce le ha riaperte in virtù della Croce, alla quale non hanno potuto resistere.
    Il canto in onore di Cristo Re è stato conservato, mentre invece è stato soppresso il particolare della porta chiusa. Continuiamo pertanto a seguire i passi del Figlio di David; egli è pure Figlio di Dio e ci invita a partecipare al suo regno.
    Nella Processione delle Palme, commemorazione dell'avvenimento realizzatosi in questo giorno, la santa Chiesa solleva la nostra mente al mistero dell'Ascensione col quale termina, in cielo, la missione del Figlio di Dio sulla terra. Ma, ahimé, i giorni che separano l'uno dall'altro questi due trionfi del Figlio di Dio, non sono sempre giorni di gioia; infatti, è appena terminata la processione con la quale la Chiesa s'è liberata per un attimo della sua tristezza, che già iniziano i gemiti e i lamenti.
    La Messa.
    La terza parte della funzione odierna è l'offerta del santo Sacrificio. Tutti i canti che l'accompagnano esprimono desolazione e per completare la tristezza che è caratteristica della giornata, la Chiesa ci fa leggere il racconto della Passione del Redentore. Da cinque o sei secoli fa, la Chiesa ha adottato un particolare recitativo per la lettura di questo brano evangelico, che diventa così un vero dramma. Si sente prima lo storico raccontare quei fatti in tono grave e patetico; le parole di Gesù hanno un accento nobile e dolce, che contrastano in una maniera penetrante col tono elevato degli altri interlocutori e coi gridi della plebaglia giudaica.
    Nel momento in cui, nel suo amore per noi, si lascia calpestare sotto i piedi dei peccatori, noi dobbiamo proclamarlo più solennemente nostro Dio e nostro Re.
    Questi sono in genere i riti della grande giornata. Non ci rimane che inserire nel corso delle sacre letture, secondo il solito, quei dettagli che crederemo necessari per completare il significato.
    Nomi dati a questa Domenica.
    Oltre al nome liturgico e popolare di Domenica delle Palme, essa è chiamata ancheDomenica dell'Osanna, per il grido di trionfo col quale i Giudei salutarono l'arrivo di Gesù. Anticamente i nostri padri la chiamarono Domenica della Pasqua fiorita, perché la Pasqua dalla quale ci separano solo otto giorni, oggi si considera in fiore, e i fedeli possono, fin da oggi, adempiere il dovere della comunione annuale. Per il ricordo di tale denominazione gli Spagnoli, avendo scoperta, la Domenica delle Palme del 1513, quella vasta regione che confina col Messico, la chiamarono Florida. Questa domenica la troviamo chiamata anche Capitilavium, cioè lava-testa, perché nei secoli della media antichità, quando si rinviava al Sabato Santo il battesimo dei bambini nati nei mesi precedenti, che potevano aspettare questo tempo senza pericolo, i genitori lavavano oggi il capo dei loro neonati, affinché il prossimo sabato si potesse fare con decenza l'unzione del Sacro Crisma. In epoca più remota tale Domenica, in certe chiese, veniva chiamata la Pasqua dei Competenti, cioè dei Catecumeni ammessi al santo battesimo. Questi si riunivano oggi in chiesa, e si faceva loro una spiegazione particolare del Simbolo che avevano ricevuto nello scrutinio precedente. Nella chiesa gotica di Spagna lo si dava solo oggi. Infine, presso i Greci, tale Domenica è designata col nome diBifora, cioè Porta Palme.
    M E S S A
    La Stazione è a Roma, nella Basilica Lateranense, la chiesa Madre e Matrice di tutte le chiese. Ai nostri giorni, però, la funzione papale ha luogo a S. Pietro; ma tale deroga non arreca pregiudizio ai diritti dell'Arcibasilica la quale, anticamente, aveva oggi l'onore della presenza del Sommo Pontefice, ed ha tuttora conservate le indulgenze accordate a quelli che oggi la visitano.
    Alla Messa solenne, il Sacerdote si porta all'altare, e dopo aver tralasciato il salmoIudica me, Deus, e il Confiteor, sale i gradini e lo bacia nel mezzo e lo incensa.
    EPISTOLA (Fil 2,5-11) – Fratelli: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale, esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua uguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilò se stesso, prendendo la forma di servo, e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo; umiliò se stesso fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo però anche Dio lo esaltò e gli donò un nome, che è sopra ogni altro nome, tale che nel nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno, ed ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre.
    Umiliazione e gloria di Gesù.
    La santa Chiesa prescrive di genuflettere al punto dell'Epistola dove l'Apostolo dice, che ogni ginocchio si deve piegare nel pronunciare il nome di Gesù; e noi ne abbiamo seguito il comando. Dobbiamo comprendere che, se vi è un'epoca dell'anno in cui il Figlio di Dio ha diritto alle nostre più profonde adorazioni è soprattutto in questa Settimana, nella quale è lesa la sua maestà, e lo vediamo calpestato sotto i piedi dei peccatori. Indubbiamente i nostri cuori saranno animati da tenerezza e compassione alla vista dei dolori che sopporta per noi; ma non meno sensibilmente dobbiamo risentire gli oltraggi e le bassezze di cui è fatto segno, lui che è uguale al Padre e Dio come lui. Con le nostre umiliazioni, rendiamo a lui, per quanto ci è possibile, la gloria di cui egli si sveste per riparare la nostra superbia e le nostre ribellioni; ed uniamoci ai santi Angeli che, testimoni di tutto ciò che Gesù ha accettato per il suo amore verso l'uomo, s'annientano più profondamente, nel vedere l'ignominia alla quale è ridotto.
    Ma è ormai tempo d'ascoltare il racconto della Passione del Signore. La Chiesa ne legge la narrazione secondo i quattro Vangeli, nei quattro differenti giorni della Settimana. Oggi comincia col racconto di san Matteo, che per primo scrisse i fatti della vita e della morte del Redentore.
    Le lacrime di Gesù.
    Terminiamo questa giornata del Redentore a Gerusalemme, richiamando alla memoria gli altri fatti che la segnalarono. San Luca c'informa, che fu durante la sua marcia trionfale verso questa città che Gesù, vicino ad entrarvi, pianse su di lei e manifestò il suo dolore con queste parole: "Oh se conoscessi anche tu, e proprio in questo giorno quel che giova alla tua pace! Ora invece è celato agli occhi tuoi. Ché verranno per te i giorni nei quali i nemici ti stringeranno con trincee, ti chiuderanno e ti assedieranno d'ogni parte, e distruggeranno te e i tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata" (Lc 19,42-44).
    Qualche giorno fa il santo Vangelo ci mostrò Gesù che piangeva sulla tomba di Lazzaro; oggi lo vediamo spargere nuove lacrime sopra Gerusalemme. A Betania piangeva pensando alla morte del corpo, conseguenza e castigo del peccato; ma questa morte non è senza rimedio. Gesù è "la risurrezione e la vita; chi crede in lui non rimarrà nella morte eterna" (Gv 11,25). Ma lo stato dell'infedele Gerusalemme rappresenta la morte dell'anima; ed una tale morte è senza risurrezione, se l'anima non ritorna tempestivamente all'autore della vita. Ecco perché sono tanto amare le lacrime che sparge oggi Gesù. Il suo cuore è triste, proprio in mezzo alle acclamazioni che fanno accoglienza al suo ingresso nella città di David: perché sa, che molti "non conosceranno il tempo che furono visitati". Consoliamo il cuore del Redentore, e siamogli una Gerusalemme fedele.
    Gesù torna a Betania.
    Sappiamo da san Matteo che il Signore andò a chiudere la giornata a Betania. Naturalmente la sua presenza dovette sospendere le materne inquietudini di Maria e tranquillizzare la famiglia di Lazzaro. Ma in Gerusalemme nessuno si presentò ad offrire ospitalità a Gesù; almeno il Vangelo non fa alcuna menzione a questo riguardo. Le anime che meditarono la vita del Signore si sono soffermate su questa considerazione: Gesù onorato la mattina con solenne trionfo, alla sera è ridotto a cercarsi il nutrimento e il riposo fuori della città che lo aveva accolto con tanti applausi. Nei monasteri dei Carmelitani della riforma di santa Teresa esiste una consuetudine che si propone d' offrire a Gesù una riparazione, per l'abbandono in cui fu lasciato dagli abitanti di Gerusalemme. Si presenta una tavola in mezzo al refettorio e vi si serve un pasto; dopo che la comunità ha finito di cenare, quel pasto offerto al Salvatore del mondo, viene distribuito ai poveri, che sono le sue membra.
    PREGHIAMO
    O Dio onnipotente ed eterno, che per dare al genere umano esempio d'umiltà da imitare, hai deciso l'incarnazione del Salvatore e la sua passione in croce; concedici propizio d'imitarlo nella sofferenza per poter poi partecipare alla risurrezione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 674-683

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    Predefinito re: 30 aprile 2014: Santa Caterina da Siena, vergine e patrona d'italia

    14 aprile 2014: LUNEDÌ SANTO
    Il fico maledetto.
    Gesù si reca anche oggi a Gerusalemme, di buon mattino, coi discepoli. Partì digiuno, e il Vangelo ci dice ch'ebbe fame durante il tragitto (Mt 21,18). S'avvicinò ad un fico; ma questo albero non aveva che foglie. Allora Gesù, volendoci dare un insegnamento, maledisse quel fico, che inaridì all'istante. Voleva significare con tale castigo la sorte di coloro che hanno solo dei buoni desideri, sui quali però non si coglie mai il frutto della conversione. Non era meno incisiva l'allusione a Gerusalemme; questa città tanto zelante per l'esteriorità del culto divino aveva il cuore cieco e duro, tanto che fra poco rigetterà e metterà in croce il Figlio del Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe.
    La giornata trascorse in gran parte nel Tempio, ove Gesù ebbe lunghe discussioni coi prìncipi dei sacerdoti e con gli anziani del popolo; e parlò con più forza che mai, sventando le insidie delle loro questioni. Si può vedere, specialmente nei capitoli 21, 22, 23 di san Matteo, il dettaglio dei discorsi del Signore, che diventando sempre più veementi, con energia sempre crescente denunciano ai Giudei la loro infedeltà e la terribile vendetta da essa provocata.
    Il castigo di Gerusalemme.
    Infine, Gesù uscì dal Tempio e si diresse verso Betania. Giunto sul monte degli Olivi, dal quale si dominava la città, si sedette un po'. I suoi discepoli approfittarono di questo momento di riposo per domandargli in qual tempo si dovevano avverare i castighi da lui ora predetti contro il Tempio. Allora Gesù, riunendo in uno stesso quadro profetico il disastro di Gerusalemme e la distruzione del mondo alla fine dei tempi, essendo la prima di queste calamità la figura della seconda, annunciò ciò che accadrà quando sarà colma la misura del peccato. Per quanto concerne la rovina di Gerusalemme in particolare, ne fissò la data con queste parole: "In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò non avvenga" (Mt 24,34). Infatti, solo dopo appena quarant'anni l'esercito romano, accorso per sterminare il popolo deicida, minacciava dall'alto dello stesso monte degli Olivi, e dallo stesso posto dove oggi è seduto Gesù, l'ingrata e sdegnosa Gerusalemme. Gesù, dopo aver parlato ancora a lungo sul giudizio divino, che un giorno dovrà revisionare tutti i giudizi degli uomini, rientra in Betania per consolare con la sua presenza il cuore afflitto della sua santissima madre.
    Oggi la Stazione, a Roma, è nella chiesa di S. Prassede. Questa chiesa, nella quale, nel IX secolo, il Papa san Pasquale I depose duemila e trecento corpi di Martiri estratti dalle Catacombe, possiede la colonna alla quale fu legato Nostro Signore durante il supplizio della flagellazione, un'insigne reliquia della Croce, tre spine della santa Corona date da san Luigi e le reliquie di san Carlo Borromeo.
    LETTURA (Is 50,5-10). - In quei giorni: Isaia disse: Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio, ed io non resisto, non mi ritiro indietro. Ho abbandonato il mio corpo ai percotitori, le mie guance a chi mi strappava la barba, non ho allontanata la faccia da chi mi oltraggiava e da chi mi sputacchiava. Il Signore Dio è mio aiuto, per questo non sono stato confuso, per questo ho ridotto la mia faccia come pietra durissima, e so di non rimanere confuso. Mi sta vicino colui che mi giustifica: chi mi contraddirà? Presentiamoci insieme! Chi è il mio avversario? Si accosti a me! Ecco, il Signore Dio è mio aiuto. Chi è che possa condannarmi? Ecco tutti saran consumati come un vestito, li mangerà la tignola. Chi è tra voi che tema il Signore e ascolti la voce del suo servo? Chi cammina nelle tenebre ed è senza luce speri nel Signore e a lui s'appoggi.
    Le prove del Messia.
    Oggi è Isaia, questo Profeta così preciso ed eloquente dei dolori del Messia, che ci rivela le sofferenze del Redentore e la pazienza che oppone agl'iniqui maltrattamenti dei suoi nemici. Accettata la missione di Vittima universale, Gesù non indietreggia davanti a nessun dolore, a nessuna umiliazione. "Non ritira la sua faccia da chi la schiaffeggia e la copre di sputi". Quali riparazioni non dobbiamo fare alla sovrana Maestà che, per salvarci, s'è esposta a simili oltraggi? Guardate come sono vigliacchi e crudeli i Giudei, che non tremano più davanti alla loro vittima! Prima, nell'Orto degli Olivi, una sola parola della sua bocca li fa cadere tramortiti al suolo; ma poi si lascia legare e trascinare in casa del gran sacerdote. Lo si accusa, elevando schiamazzi; ed egli, a mala pena, risponde qualche parola. Gesù di Nazaret, il dottore, il taumaturgo, ha perduto ogni prestigio; tutto è lecito osare contro di lui. Alla stessa maniera si tranquillizza il peccatore, quando sente scoppiare la folgore che non lo fulmina. Ma i santi Angeli si sprofondano nel loro nulla, davanti all'augusto volto che quei miserabili hanno contuso ed imbrattato; pure noi prostriamoci con essi e propiziamolo, perché anche i nostri peccati hanno maltrattato la divina vittima.
    Ma ascoltiamo le ultime parole del nostro Salvatore, e ringraziamolo. "Chi cammina nelle tenebre, egli dice, ed è senza luce, speri nel Signore". Questi è il pagano, che vive affogato nel vizio e nell'idolatria ed ignora ciò che succede in questo momento a Gerusalemme; egli non sa che la terra possiede un Uomo-Dio, e che questo Uomo-Dio è, in questa medesima ora, messo sotto i piedi da un popolo che aveva eletto e colmato di favori; ma presto la luce del Vangelo arriverà ad illuminare coi suoi raggi l'infedele, il quale crederà, si sottometterà, ed amerà il suo liberatore fino a rendergli vita per vita, sangue per sangue. Allora s'avvererà la profezia dell'indegno pontefice che, suo malgrado, annunciò la salvezza dei Gentili mediante la morte di Gesù; predisse, nei suoi ultimi giorni, che questa morte stava per unire in un'unica famiglia i figli di Dio dispersi sulla faccia della terra.
    VANGELO (Gv 12,1-9). - Sei giorni prima di Pasqua Gesù andò a Betania, dov'era Lazzaro, il morto che Gesù aveva risuscitato. Ed ivi gli fecero una cena: e Marta serviva a tavola: Lazzaro poi era uno dei commensali. Or Maria, presa una libbra d'unguento di nardo puro e di pregio, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò coi suoi capelli, e la casa fu ripiena del profumo d'unguento. Disse allora uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota, il quale stava per tradirlo: E perché tale unguento non si è venduto per trecento denari e dato ai poveri? Ciò disse, non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro, e tenendo la borsa, portava via quel che ci mettevan dentro. Disse adunque Gesù: Lasciatela fare: e ciò le valga pel giorno della mia sepoltura. Ché i poveri li avete sempre con voi, me però non sempre mi avrete. Or molta gente dei Giudei venne a sapere come Gesù fosse in Betania, e vi andarono non per Gesù soltanto, ma anche per vedere Lazzaro, da lui risuscitato da morte.
    L'unzione di Betania.
    Abbiamo già notato che il fatto evangelico ora letto si riferisce al Sabato, vigilia della Domenica delle Palme, e fu inserito nella Messa odierna, perché anticamente questo Sabato mancava della Stazione. La santa Chiesa ha voluto attirare la nostra attenzione su questo episodio degli ultimi giorni del Redentore, per farci cogliere l'insieme delle circostanze che si verificano in quel momento intorno a lui.
    Maria Maddalena, la cui conversione era, qualche giorno fa, l'oggetto della nostra ammirazione, occupa un posto nelle scene della Passione e della Risurrezione del suo Maestro. Tipo dell'anima purificata, e quindi ammessa ai favori celesti, c'interessa seguirla nelle diverse fasi che la grazia divina le fa percorrere. L'abbiamo vista seguire i passi del Salvatore e soccorrerlo nei suoi bisogni; altrove il santo Vangelo ce la fa vedere preferita a Marta sua sorella, per aver scelto la parte migliore; nei giorni in cui siamo, ella soprattutto c'interessa per il suo tenero attaccamento a Gesù. Ella sa che lo cercano per farlo morire: e lo Spirito Santo, che la conduce interiormente attraverso stati sempre più perfetti che si susseguono in lei, vuole che oggi compia una funzione profetica in ciò ch'ella teme maggiormente.
    Dei tre doni offerti dai Magi, uno significava la morte del Re divino, che questi uomini fedeli erano venuti a salutare dal lontano Oriente: era la mirra, un profumo funerario che fu adoperato con tanta profusione nella sepoltura del Signore. Abbiamo visto la Maddalena, nel giorno della sua conversione, testimoniare il suo mutamento di vita con l'effusione del suo più prezioso profumo sui piedi di Gesù. Oggi ella ricorre ancora una volta a questo segno del suo amore. Il suo divin Maestro è a tavola in casa di Simone il Lebbroso; Maria sta con lui, come anche i discepoli; Marta attende a servirli; tutto è calmo nella casa; ma tristi presentimenti si nascondono nei loro cuori. All'improvviso compare la Maddalena, recando tra le mani un vaso ripieno d'unguento di nardo, del più pregevole. Si accosta a Gesù, s'attacca ai suoi piedi e li unge con quel profumo; ed anche questa volta li asciuga coi suoi capelli.
    Gesù stava adagiato sopra uno di quei divani che adoperano gli Orientali, quando pranzano nei festini; era dunque agevole, per la Maddalena, arrivare ai piedi del Maestro. Due degli Evangelisti, di cui san Giovanni ha voluto completare la narrazione troppo succinta, ci dicono ch'ella sparse l'odoroso unguento anche sul capo del Salvatore. La Maddalena sentì, forse, in questo momento, tutta la grandezza dell'azione che lo Spirito divino le ispirava? Il Vangelo non lo dice; ma Gesù ne rivelò il mistero ai discepoli; e noi, che abbiamo raccolte le sue parole, apprendiamo da questo fatto che la Passione del Redentore è, per così dire, incominciata, poiché la Maddalena l'ha già imbalsamato per la tomba.
    L'odore soave e penetrante del profumo aveva riempito tutta la sala. Allora uno dei discepoli, Giuda Iscariota, ardisce protestare contro ciò ch'egli chiama uno sperpero. La bassezza di quest'uomo e la sua avarizia l'hanno reso indelicato e senza pudore. Ma intanto anche la voce di altri discepoli s'unisce alla sua: tanto erano ancora volgari i loro sentimenti! Gesù permette tale indegna protesta per diversi motivi: prima di tutto per annunciare prossima la sua morte a coloro che lo circondavano, svelando loro il segreto manifestato con questa effusione di profumo sul suo corpo; poi anche per glorificare la Maddalena, che aveva un amore così tenero ed insieme così ardente. Difatti annunciò allora che la fama di questa illustre santa si sarebbe propagata per tutta la terra, lontano, ovunque fosse penetrato il Vangelo. Infine, Gesù intendeva consolare fin d'allora quelle anime pie che, mosse dal suo amore, avrebbero profuse larghezze intorno ai suoi altari, e rivendicare le meschine critiche cui spesso sarebbero andate incontro.
    Raccogliamo questi divini insegnamenti e procuriamo d'onorare amorosamente Gesù nella sua persona e nei suoi poveri. Onoriamo anche la Maddalena, e seguiamola, quando fra breve la vedremo così assidua al Calvario ed al Sepolcro. Infine, prepariamoci ad imbalsamare il nostro Salvatore, mettendo insieme per la sua sepoltura la mirra dei Magi, che figura la penitenza, ed il prezioso nardo della Maddalena, che rappresenta l'amore generoso e compassionevole.
    PREGHIAMO
    Aiutaci, o Dio nostro Signore, e concedici di venire con gioia a celebrare i benefici, coi quali ti sei degnato rinnovarci.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 683-688

  10. #20
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