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  1. #1
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    Predefinito Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Un elogio dell’Uomo Selvatico
    ovvero "vita estiva di Vanni Fucci"

    Facea sovente pe’ boschi soggiorno
    Inculto sempre rigido in aspetto
    E l’volto difendea dal solar raggio
    Con ghirlanda di pino o verde faggio.


    A. Poliziano, La Caccia, Firenze, 1963, I, 29-33.


    L’estate sta per iniziare ed io sono felice. Durante il periodo estivo mi trasferisco in un bosco delle Alpi Liguri, ai piedi del Marguareis. Vivo nella foresta alpina “Senza neuna legge se non come bestia…”, vestito solo di una ghirlanda fatta con piccoli rametti di castagno intrecciati ai quali appendo, per abbellimento, delle piccole pigne e dei fiori di bosco che rinnovo quasi quotidianamente. Unica concessione alla modernità un paio di vecchi sandali, che calzo perché non sopporto i ricci delle castagne che mi si piantano nei piedi. Trascorro così, ingentilito e leggiadro, tre mesi circa. La mia tana è una piccola grotta, sconosciuta se non a me, nascosta dietro alcune rocce. Appena arrivo preparo un giaciglio di foglie per essere un po’ più comodo quando dormo. Ho chiamato questo posto “Bric del Sarvàn” (= vetta dell’uomo selvatico). Passo la maggior parte della giornata alla ricerca di cibo, perlopiù bacche e insetti crudi. Verso sera, al crepuscolo, imito il canto dell’usignolo e i cinghiali si avvicinano incuriositi. Io li faccio pascolare come se fossero capre o pecore. Essi mi seguono mansueti, e dopo un po’ si fidano completamente di me. Allora può succedere che munga una delle loro femmine - certo bisogna farlo con garbo - per bere un po’ di latte fresco. Centinaia d’anni fa, con questo latte imparai a farmi burro e formaggio. Pastori e malgari appresero da me quest’arte. Se i cinghiali si distraggono, mi nascondo per scherzo dietro una grossa pianta, di solito un faggio; loro si guardano intorno, con i musi stupiti chiedendosi dove diavolo sia finito. Quando ricompaio sorridendo, grugniscono come a dirmi: “Ma sei proprio un gran burlone!”. Ormai conosco il linguaggio degli scoiattoli e dei tassi con i quali discuto spesso dell’origine del mondo. Questi amabili animaletti riescono a conciliare la Creazione divina con la teoria dell’espansione dell’Universo, il Big Bang. Io invece propendo per l’esclusiva esistenza di un unico grande Artefice. A questo pensiero m’inducono la gioia, la solitudine e l’oscura notte del bosco. Ho cercato di convertirli al Cristianesimo, ma loro mi prendono in giro e dicono che non si è mai visto un messia tra i roditori e tantomeno tra i piccoli onnivori della foresta.
    A causa della mia estrema bruttezza nessuna donna mi ha mai voluto, perciò occasionalmente avvicino le femmine dei camosci e degli stambecchi - i maschi non sono gelosi di me - offro loro le mie bacche di mirtillo e le persuado ad accoppiarsi, a lasciarmi fare. Sono convinto che traggano dalla mia impetuosa e irrefrenabile sessualità persino piacere.
    Due anni fa, ad agosto, ebbi una tenera storia d’amore con la femmina di un muflone, specie assai rara da queste parti, pelosa e virtuosa. Stava quasi sempre in silenzio: “Femmina che tace, femmina che piace”. Passammo diverse serate al chiaro di luna a limonare come due adolescenti. Aaah, che mese indimenticabile! Fu lei a guidarmi, il giorno dell’Assunta, lungo un percorso impervio che s’apriva verso il cielo, sul fianco del canalone dei Genovesi, sino sulla cima della montagna. Da lì ebbi modo di osservare, ad ovest e a nord, oltre la grande pianura, gli antichi “Confini del Mondo”: le grandi montagne coperte in piena estate dalla neve ancora candida, eterna. Nessuno per millenni, né animale né uomo, mi spiegò la mia gentile caprona, osò mai superare quel confine.
    Purtroppo alla fine del mese, lei fuggì con un maschio della sua specie che aveva le corna degne di due rinoceronti. Dovetti rassegnarmi, e lo feci serenamente. Quando piove forte, mi rifugio nel mio buco coprendo l’ingresso con un ombrello fatto di rami di nocciolo con molte foglie larghe e verdi. Capita d’avere degli ospiti inattesi: topini o talpe. Si mettono anche loro a riposare sulle mie foglie. Cosa volete che faccia? Mi restringo sperando di non schiacciarli.
    Di notte, ci sono gufi, civette e allocchi. I primi tempi erano sospettosi ora mi conoscono ed hanno imparato a rispettare la mia presenza. Ogni tanto lasciano sul bordo della mia tana un piccolo omaggio silvestre: un coleottero un po’ più grande, un fiore particolare, un rametto d’aghi colto dal punto più alto di un pino. Perciò non temo il canto della civetta, il cattivo presagio.
    A settembre, i cercatori di funghi invadono il bosco ed io mi devo nascondere. Mi piace spiarli senza essere visto e imitarli goffamente scoreggiando mentre mi piego quando sono di nuovo solo. Ogni tanto una cercatrice si ferma a fare la pipì o la popò: donna giovane o vecchia, bella o brutta, queste particolari auspicate occasioni sono per me fonte di grande tripudio e godimento.
    Un secolo fa, la sera del sette settembre 1910, alcuni cacciatori mi catturarono e mi portarono su un carro, chiuso in una gabbia, alla grande fiera della Madonna del Santuario di Vicoforte (che inizia il giorno dopo, l’otto settembre, ricorrenza della Natività della Vergine. Ne parla anche Beppe Fenoglio nel racconto “La malora”) . Percorremmo la strada durante la notte. Lungo il tragitto, fuori dai portoni delle case, i nonni chiamavano i bambini: “Prest, curi a vardé Sarvanot! U pasa l’hom servai, Luu Ravas!”(= Presto, correte a vedere Sarvanot! passa l’uomo selvatico, Luu Ravas). Increduli di non essere in un sogno, tutti, bambini e adulti, stettero a guardarmi immobili con le bocche aperte e gli occhi spalancati. Lo stesso si ripeté il giorno della festa. Comunque, la notte successiva riuscii a fuggire. Finita la festa, gabbato il santo.
    L’ultima settimana di settembre sono triste perché devo rientrare. Questa favola bella, che illude perché tiene lontani il tempo e la storia, cessa e di nuovo si smarrisce nella mente. Dopo la stagione nel bosco, l’idea della televisione, degli ascensori, delle lavastoviglie, delle automobili, ecc., della giacca e cravatta, di casa e ufficio, delle belle donne che non mi muoiono dietro mi nausea. Passo ore morte, senza vita, a insaponarmi, a lavarmi le unghie e i denti con piccoli spazzolini, a leggere balle e l’eterna menzogna mal scritta sui giornali, a rifare il letto, a chiudere vasetti di marmellata, fare code nei supermarket, mangiare pizze e bere birre, a gettare i vuoti di bottiglie di barbera nella campane dei rifiuti differenziati.
    D’inverno, al tepore del termosifone, con la caldaia che s’accende quando la temperatura scende sotto i venti, ventuno gradi, leggo decine di libri e studio poesie, ma non m’importa nulla.
    Solo rimpiango il profumo della terra bagnata dalla rugiada, gli alberi inaccessibili, i fiori che sbocciano per la forza di un mito, le cinciarelle e i codirossi, il silenzio delle rocce e della volpe, i Confini del Mondo.
    L’anima e i modi dell’uomo capro.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:04

  2. #2
    Papessa
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Citazione Originariamente Scritto da vanni fucci Visualizza Messaggio
    L’anima e i modi dell’uomo capro.
    Oh... un vero "Salvàdego"!...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:13
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
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  3. #3
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    E' una figura conosciuta in tutta l'Europa e appellata in diverse maniere, ma la sostanza è sempre quella. :sofico:
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:13
    Zurück zur Natur

  4. #4
    Papessa
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Citazione Originariamente Scritto da Lebensreform Visualizza Messaggio
    E' una figura conosciuta in tutta l'Europa e appellata in diverse maniere, ma la sostanza è sempre quella. :sofico:
    Quant'è vero! E' sempre lui...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:14
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
    (Sutra di diamante)

  5. #5
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Bello...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:14
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  6. #6
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Una figura che si avvicina ad Alecchino e porta con sé anche residui del culto di Ercole. L'uomo dei boschi di molti scrittori; da non dimenticare la descrizione di Fulcanelli nelle "Dimore Flosofali".
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:14

  7. #7
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    Una figura che si avvicina ad Alecchino e porta con sé anche residui del culto di Ercole. L'uomo dei boschi di molti scrittori; da non dimenticare la descrizione di Fulcanelli nelle "Dimore Flosofali".
    Alechino e anche Ercole; senza dimenticare il culto di Bacco, allevato dalle Pleiadi nel folto del bosco.
    Le faggete del Marguareis sono ancora tra le più belle e incontaminate d'Italia; in quella zona si possono anche trovare, semidimenticati dal mondo, alcuni Menhir.


    In dialetto ligure l'uomo selvatico è detto "U' servegu".
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 06-06-10 alle 17:22

  8. #8
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Citazione Originariamente Scritto da zucchetta Visualizza Messaggio
    Alechino e anche Ercole; senza dimenticare il culto di Bacco, allevato dalle Pleiadi nel folto del bosco.
    E il dio Pan, forse il predecessore assoluto dell'Uomo selvatico, quasi un'antropomorfizzazione della natura.
    L'uomo-capro che, con la sua irrefrenabile sessualità, simboleggia la forza generatrice della natura.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:15

  9. #9
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    Predefinito Rif: Breve elogio dell'Uomo Selvatico

    Sono le origini dell'uomo che, come gli archetipi, condizionano il comportamento umano ma soprattutto sono alla base del sacro.
    Divinità e immagini complesse che emergono dagli abissi della mente e, per quanto l'uomo sia volto verso la modernità, dovrà sempre farvi riferimento.
    Nelle nostre profondita (nekuia) rimarranno eternamente immagini, divinità ed esseri che attraverso il loro aspetto ci parlano delle nostre origini, della vita e della morte.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-05-10 alle 03:16

  10. #10
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    Predefinito

    Massimo Centini


    LA «SAPIENZA» DELL'UOMO SELVATICO

    Ritornando al mondo pastorale, dove la vita è scandita da sistemi lineari definiti da una tradizione duratura, ci accorgiamo che l'Uomo Selvatico assolve la doppia funzione di razionale e attento lavoratore e di «mago» della natura, quasi uno sciamano. Il suo totale allontanamento dalle regole, la sua capacità di apparire in un luogo, di familiarizzare, per fuggire lasciando solo flebili tracce, sono caratteristiche che avvolgono il personaggio in un'aura densa di magia, dove i poteri soprannaturali e l'alone di mistero tipico delle creature selvatiche diventano parte di una maschera oltre la quale non è possibile vedere se non con il bene illimitato della fantasia.

    Nell'economia pastorale l'Uomo Selvatico accresce ulteriormente la propria forza magica, poiché è padrone di tecniche casearie che sono frutto di un prodotto naturale carico di implicazioni simboliche, che si potrebbe dire, quasi, esplichi una funzione sacerdotale. Il latte è infatti anche strumento di passaggio tra i due mondi. Nutrirsi di latte di qualche animale selvatico (es. la cerva) denota una capacità di accedere all'altro mondo, è una pratica d'iniziazione sciamanica diffusa, secondo le credenze, anche tra gli asceti d'Anatolia: anche l'Uomo Selvatico si nutre, data la sua dimestichezza con gli animali dei monti, di latte di camoscio, il che gli dona una particolare agilità nella corsa. [1]
    In quest'ottica quindi, l'elemento magico-rituale dell'azione produttiva è amplificato dalla genesi sconosciuta dell'eroe, che in questo modo si isola ulteriormente dal gruppo umano, per consolidare con maggiore forza la propria appartenenza alla mitologia alpina.



    Homo Selvadego di Sacco in Valtellina (affresco, 1464)



    E interessante notare come quelle conoscenze superiori non siano state demonizzate dal pastore e dal contadino, ma poste in un ambito sistemato oltre i limiti del magico e considerate patrimonio di una creatura non umana, comunque non appartenente all'universo del mostruoso. Caso opposto a ciò che, nella tradizione popolare, si dice in relazione alle streghe o ad altri esseri dotati di poteri soprannaturali," acquisiti con l'ausilio di sistemi anomali e poi trasmessi generazionalmente, attraverso un percorso pedagogico ristretto a pochi adepti. Nell'Uomo Selvatico, invece, le conoscenze sembrerebbero acquisite attraverso un'attenta osservazione del mondo naturale, e con il contributo di una sensibilità certamente capace di risuonare alla stessa frequenza dello spazio circostante.

    Per quanto riguarda il selvatico, tratti riconducibili a quelli dell'eroe culturale sono quindi presenti a livello di immagine, mentre trova sempre più consistenza sul piano comportamentale il riferimento all'eroe civilizzatore. Una presenza che nelle culture di natura "non si riduce a essere un semplice prodotto dell'immaginazione letteraria. Piuttosto ci troviamo in presenza di un essere segnato dal destino, nato agli albori dei tempi. Fu lui, quando l'umanità si era appena svegliata, a fornire agli uomini le loro istituzioni culturali e il loro patrimonio materiale e spirituale. È stato lui, in tempi ancor più remoti, a trasformare il mondo all'indomani della creazione o a secondare il dio supremo al momento dell'atto creativo. A volte capita addirittura che soppianti completamente in questo ruolo l'Essere supremo." [...] [2]

    Più di qualsiasi altra figura mitologica, egli si trova così a rappresentare la natura un po' capricciosa, pericolosa e a volte maligna del sovrannaturale.


    1. G. Plazio, La cera, il latte, l'uomo dei boschi. Mitologia e realtà sociale in una comunità prealpina, Torino, 1979, p. 128
    2. AA.VV., Storia delle religioni. I popoli senza scrittura, Bari, 1978, pp. 195-196



    Massimo Centini - L'Uomo selvatico. Dalla "creatura silvestre" dei miti alpini allo Yeti nepalese (Mondadori, pag. 91 e 92)
    Ultima modifica di Silvia; 30-05-10 alle 16:34

 

 
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