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adry571
La Stampa - La mentalità irresponsabile che ha partorito le baby pensioni
Ecco una fotografia del mondo delle baby pensioni che compaiono nel nostro ordinamento con un decreto che entrò in vigore il 29 dicembre 1973. Si prevedeva la possibilità per i dipendenti del settore pubblico di andare in pensione con 14 anni sei mesi e un giorno per le donne con prole, 19 anni sei mesi e un giorno per gli uomini, e 24 anni sei mesi e un giorno per i dipendenti degli enti locali.
Secondo i dati di Inps e Inpdap, al primo gennaio del 2011 le pensioni destinate a persone che hanno cominciato a usufruirne quando erano sotto i cinquant’anni sono poco più di 531.000, concentrate nel Nord,
per un costo complessivo di 9 miliardi e mezzo l’anno. 107.000 sono erogate dall’Inps (poco più di 2 miliardi di costo annuo), 425.000 dall’Inpdap, dall’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici.
In queste 425.000 pensioni (costo 7,4 miliardi all’anno) sono incluse anche quelle di invalidità. Ma il grosso riguarda normali pensionamenti anticipati.
Secondo un calcolo effettuato qualche mese fa da Confartigianato, i baby pensionati italiani (pubblici e privati) rispetto al pensionato medio hanno ricevuto un trattamento più lungo di quasi sedici anni. Questo significa che a valori 2010 la differenza (cioè il costo in più rispetto a un normale trattamento pensionistico) varrebbe 148,6 miliardi di euro.
Si tratta di persone che in un calcolo medio restano in pensione per quasi 41 anni. Se si guarda la tabella elaborata dall’ufficio studi di Confartigianato, per esempio, quasi 17.000 di queste pensioni riguardano persone che hanno lasciato il lavoro a 35 anni di età, dunque si tratta in gran parte di ex pubblici. Considerando che l’età media stimata è salita a 85,1 anni, si tratta di più di 50 anni di pensione.
Significa che ci sono cittadini che hanno riscosso in assegni pensionistici il triplo di quanto hanno versato in contributi.