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Discussione: Sinfonia del Donbass

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    Predefinito Sinfonia del Donbass

    La grave crisi che sta attraversando l’Ucraina è stata analizzata dai più diversi punti di vista. Tuttavia, mentre le interpretazioni dei torbidi in corso come conflitto geopolitico (USA-Russia) e scontro interetnico (ucraini-russofoni) trovano molto spazio, di gran lunga minore visibilità hanno quelle letture che cercano di comprendere la situazione attuale alla luce dei rapporti di forza tra le classi sociali ucraine.
    È opportuno iniziare questa analisi “materialista” facendo i conti con la versione ufficiale che i media mainstream hanno dato della crisi ucraina. Nell’autunno del 2013 una folla di migliaia di giovani europeisti si sarebbe sollevata contro il dittatore filo-russo Yanukovich, che, dopo un tentativo di repressione, sarebbe stato rovesciato nel febbraio di quest’anno dalla classica “rivoluzione colorata” fatta per amore dell’Europa. Al netto di questo dozzinale romanticismo europeista, le cose sono andate diversamente. Le agitazioni di piazza che hanno portato alla caduta di Yanukovich, presidente democraticamente eletto, erano animate, da un lato, da piccoli proprietari e commercianti; dall’altro lato, da strati del sottoproletariato urbano, legati al mondo del tifo organizzato. Alla testa di questo movimento si sono presto collocati sigle e partiti dell’estrema destra nazionalista e antisemita (1). A livello di composizione di classe e d’ideologia politica, dunque, niente di molto distante dai “forconi” nostrani e dai bonnets rouges francesi. Si tratta, infatti, di manifestazioni del malessere della piccola borghesia che in tempi di crisi, stretta tra i processi di concentrazione del capitale e l’incubo della proletarizzazione, è storicamente facile preda delle sirene dell’estrema destra.
    Nel caso ucraino, a fare presa su questi strati sociali in fibrillazione sono stati soprattutto il partito neo-nazista Svoboda e l’organizzazione paramilitare Settore destro, che hanno giocato un ruolo fondamentale negli scontri di piazza. Questi “giovani europeisti” hanno tra i loro miti di riferimento, da un lato, Stepan Bandera, laeder fascista ucraino, collaboratore dei nazisti e cacciatore di ebrei durante la Seconda guerra mondiale; dall’altro lato, il così detto Holodomor, cioè quell’ineffabile “genocidio degli ucraini” che sarebbe stato perpetrato dai comunisti sovietici; in realtà, nient’altro che una carestia dovuta ai sabotaggi e alle distruzioni compiute dai medi e grandi proprietari terrieri ucraini di fronte alla collettivizzazione delle campagne, lanciata nel 1929 da Stalin alla testa dei braccianti e dei contadini poveri (2). Prima tappa, questa, di un processo straordinario, che in pochi anni avrebbe reso l’URSS una potenza militare in grado di sconfiggere da sola il grosso della macchina da guerra hitleriana. Le responsabilità dei kulaki ucraini nella carestia del 1930 furono opportunamente trasfigurate da Hitler prima e poi da Reagan per alimentare il separatismo ucraino in funzione antisovietica. È su questi riferimenti che si basa l’ideologia ferocemente russofoba, anticomunista e antisemita dell’ultranazionalismo ucraino - il vero protagonista dell’Euromaidan.
    Nel turbine delle violenze delle squadracce euro-fasciste, dopo che dei misteriosi cecchini inscenarono la repressione “violenta” del governo in carica (3), Yanukovich venne sostituito dalla giunta golpista ora al potere, la cui composizione rispecchia le due anime della rivolta. A capo dell’esecutivo e dei dicasteri economici siedono grigi tecnocrati incaricati dagli oligarchi ucraini e dalle istituzioni internazionali di realizzare, in cambio di prestiti multimiliardari, riforme strutturali neoliberiste, fatte di aumenti delle imposte sui consumi, tagli lineari ai (pochi) servizi sociali rimasti e privatizzazioni selvagge da dare in pasto agli oligarchi e al capitale finanziario multinazionale. Viceversa, i vertici del ministero della difesa, della magistratura inquirente e dei servizi segreti sono affidati ai gerarchi della destra neonazista, incaricati di dirigere la repressione del dissenso (4).
    Per facilitare le cose, la giunta golpista ha provveduto fin dai suoi primi giorni di attività a sostituire dall’alto i governatori locali eletti dal popolo direttamente con gli oligarchi, che usano il pugno di ferro contro la popolazione, assoldando dei veri e propri squadroni della morte per attaccare e terrorizzare le uniche forze di opposizione attive, e cioè i sindacati e il Partito comunista. Il culmine delle violenze squadristiche perpetrate da questa santa alleanza tra neonazismo e liberismo è stato raggiunto con il massacro di Odessa (2 maggio 2014), dove i fascisti hanno incendiato la Casa dei sindacati, uccidendo una quarantina tra militanti comunisti e delegati sindacali (5). Insomma, al di là della sua retorica antiborghese e anti-imperialista, la destra sedicente “sociale” conferma, da un lato, la sua natura di classe e il suo ruolo di braccio armato dei capitalisti e della troika; dall’altro lato, che gli “opposti” politici non si attraggono: si combattono.
    La resistenza popolare alla giunta nazi-liberista al potere non ha tardato a svilupparsi, specialmente nella regione sud-orientale del Donbass, altamente industrializzata e popolata da una classe lavoratrice numerosa, concentrata in grandi impianti, ben organizzata e consapevole di sé. Nelle roccaforti operaie di questa regione i siderurgici e i minatori si sono resi protagonisti di una serie di sollevazioni antifasciste, cacciando gli oligarchi nominati dalla giunta di Kiev e instaurando delle Repubbliche popolari dai marcati tratti socialisti. Particolarmente interessante è il caso della Repubblica popolare di Donetsk, capoluogo del Donbass. La dichiarazione d’indipendenza del 7 aprile, proclamata sulle note dell’inno sovietico e dell’Internazionale, prevede a chiare lettere che "la Repubblica offre le condizioni per il libero sviluppo e la tutela delle forme di proprietà costituzionalmente riconosciute, che escludono l’appropriazione dei risultati del lavoro altrui, con priorità alle forme di proprietà collettive” (6). Il 15 maggio, falliti i tentativi di mediazione con il governo centrale diretti a indire un referendum per il federalismo, la Repubblica popolare si consolida, adottando un ordinamento costituzionale in cui il Soviet Supremo, organo legislativo eletto a suffragio universale, esprime il presidente del suo Presidium, che svolge le funzioni di Capo dello Stato. Pochi giorni dopo, il presidente della Repubblica popolare Denis Pushilin annuncia un piano di nazionalizzazioni delle proprietà degli oligarchi (7): fine della “ricreazione” delle privatizzazioni liberiste. Insomma, è chiaro che nell’attuale crisi ucraina, accanto alle contraddizioni geopolitiche e interetniche, sta svolgendo un ruolo fondamentale anche il conflitto tra capitale e lavoro: uno spettro si aggira per il Donbass, verrebbe da dire…
    Tutto ciò non è stato privo di conseguenze, dato che il FMI ha subordinato la concessione dei suoi prestiti alla riconquista del Donbass, che produce circa il 20% del PIL ucraino (8). Le prime offensive lanciate dalla giunta si sono sfaldate nel segno di diserzioni ed insubordinazioni. A rimediare, nell’ultima, sanguinosa offensiva lanciata il 26 maggio dall’oligarca e neopresidente ucraino Poroshenko, ci hanno pensato i paramilitari nazisti, inquadrati nella “guardia nazionale”, e i mercenari dei Paesi NATO, entrambi finanziati a pioggia da oligarchi e Stati Uniti. Dall’altro lato della barricata stanno le milizie popolari del Donbass, con una massiccia presenza di operai sindacalizzati e militanti comunisti, sostenuti da brigate internazionali e volontari russi; con Putin, però, probabilmente non molto entusiasta della piega sociale che ha preso l’insurrezione nel sud-est e in odore di accordi con il nuovo presidente. Il destino della resistenza operaia del Donbass contro la giunta di Kiev è oggi quanto mai incerto. Certo è, invece, che per comprendere appieno la crisi ucraina non si può fare astrazione (come fanno i media nostrani) dal conflitto in atto tra l’oligarchia economica al potere e il proletariato ucraino.

    Note
    (1) The contradictions of the Euromaidan uprising in Ukraine | ROAR Magazine
    (2) Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo europeo
    (3) L'altra verità sui cecchini: "Non erano del regime, volevano scatenare il caos" - IlGiornale.it
    (4) Tutti gli uomini della giunta di Kiev, chi sono gli individui sostenuti da USA e UE | Hurricane_53 | Il Cannocchiale blog
    (5) La strage di Odessa e la stampa italiana: censura di guerra? | Daniele Scalea
    (6) ????????? ???????? ???????? ?????????? - ??????? ??
    (7) ????-????: ????????????? ???????? - ??????????? ??????????????? ???????? ?????????? ?????? ?????? ??????? ??????????????
    (8)Ucraina, i miliardi del FMI e l' offensiva nel Sud Est
    Sinfonia del Donbass - la Clessidra

  2. #2
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    Predefinito Re: Sinfonia del Donbass

    I minatori del Donbass si mobilitano contro l’offensiva degli oligarchi

    I minatori della regione di Donetsk hanno incrociato le braccia il 27 maggio, dando il via ad uno sciopero ad oltranza contro l’offensiva in corso da parte dell’esercito ucraino e per la fine dell’“operazione anti-terrorismo” (ATO) nella regione; hanno già preso parte allo sciopero molte miniere del Donbas e sembra che la mobilitazione si stia diffondendo ad altre ancora.

    Nel frattempo i portavoce del governo di Kiev e le forze armate ucraine minacciano un ulteriore giro di vite e il responsabile-stampa dell’ATO Alexei Dmitrashkovsky ha dichiarato che “l’operazione andrà avanti fino a quando tutti i terroristi non saranno stati distrutti o non si saranno arresi”.
    Questi avvenimenti sono successivi alle presidenziali in Ucraina, che hanno visto l’elezione dell’oligarca pro-Maidan Petro Poroshenko. Nonostante il tentativo di mantenere la facciata dello statista moderato e ragionevole, la repressione militare ha smascherato le sue vere intenzioni e non ha fatto altro che ribadire l’inflessibile posizione di Kiev verso le regioni del Sud-Est del Paese. La classe dominante ucraina, vale a dire gli oligarchi, è stata portata all’esasperazione dalla crisi attuale ed è disposta a fare qualche concessione. Poroshenko, a differenza del suo più diretto rivale alle elezioni Yulia Tymoshenko, non ha basato la propria campagna elettorale sulla promessa dell’adesione dell’Ucraina alla NATO, e si dice disposto, per il momento, ad accettare il mantenimento dello status di Paese non-allineato per l’Ucraina, come concessione a Putin (Financial Times 27/05/14), così come si dichiara disposto ad aprire dei negoziati con Mosca. In cambio il Cremlino ha già abbassato i toni e il ministro degli esteri Lavrov ha annunciato che la Russia rispetterà l’esito delle elezioni ucraine.
    L’approccio rassicurante e diplomatico di Kiev è segno di una disponibilità riluttante ma obbligata a prendere atto degli interessi della Russia nella regione. In cambio questo fornisce a Poroshenko il via libera per intensificare la repressione nelle regioni orientali ribelli senza dover temere l’intervento diretto della Russia, al fine di restituire a Kiev il controllo sulla regione e difendere le proprietà degli industriali ucraini. Quest’ultima è una questione pressante per Kiev, dal momento che questi industriali sono proprietari di vasti insediamenti minerari, di impianti siderurgici e di acciaierie nel Donbas, che i leader delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk hanno minacciato più volte di espropriare.
    Questa prospettiva di un cauto riavvicinamento alla Russia si è già tradotta in una ripresa di fiducia da parte della borghesia ucraina. Forbes Ucraina ha invocato la necessità di una figura simile a quella di Pinochet per instaurare una “dittatura delle riforme” in grado di portare avanti da un lato una repressione decisa e sanguinosa nelle regioni ribelli e dall’altro l’attuazione della radicale “terapia d’urto” neo-liberista per porre fine a qualsiasi “parassitismo sociale” rimasto in Ucraina.
    Sebbene Poroshenko non sia sicuramente un nuovo Pinochet e ami usare assieme alle baionette anche la diplomazia, sembra che la classe dominante ucraina sposi nel complesso la strategia di cui sopra. Il governo si è già imbarcato in un grandioso programma di austerità, con tagli alle pensioni e a decine di migliaia di posti di lavoro nel settore pubblico, insieme ad un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità come alimentari e gas. L’attuazione di queste riforme neo-liberiste fa parte del piano di salvataggio per l’Ucraina del FMI.
    Cosa ancora più importante in questo momento, l’operazione militare contro le regioni ribelli dell’Est è in pieno svolgimento. Come abbiamo riportato in precedenza, per colpire le città insorte sono stati usati artiglieria, aerei da combattimento ed elicotteri, in particolare contro Donetsk e Sloviansk, causando la morte di molti civili e la distruzione di intere aree residenziali. La violenta battaglia per l’aeroporto di Donetsk è stata l’episodio principale di questa operazione, e al riguardo il portavoce dell’ATO Dmitrashkovsky ha cinicamente vantato più di 200 morti tra le fila della Repubblica Popolare. È a seguito di questi avvenimenti che i minatori del Donbass hanno intrapreso uno sciopero ad oltranza, chiedendo la fine della repressione e il ritiro delle forze armate ucraine.
    È bene ricordare che sin dall’inizio della crisi la classe dominante ha tentato varie volte di attirarsi la simpatia dei lavoratori o quantomeno di mantenere l’apparenza di un sostegno da parte dei lavoratori mettendo in scena i cosiddetti “scioperi” formalmente pro-Maidan e in favore del nuovo governo. Nel periodo immediatamente precedente il rovesciamento di Yanukovich vari “scioperi” sono stati completamente artefatti o comunque comandati direttamente dai direttori delle aziende. Più di recente, Rinat Akhmetov, il più ricco oligarca ucraino e padrone di molte delle industrie del Sud-Est, ha chiesto ai propri dipendenti di mobilitarsi contro la Repubblica Popolare che lo sta minacciando di espropriazione, richiesta miseramente caduta nel vuoto.
    Oggi invece, al contrario, vediamo un vero sciopero per iniziativa dei minatori del Donbass. Questa mobilitazione segue la falsa riga dello sciopero di aprile dei minatori di Luhansk, che chiedeva aumenti salariali oltre al reintegro dei lavoratori licenziati per avere partecipato alle proteste.
    Dopo il lancio dello sciopero martedì 27, la mattina di mercoledì 28 maggio diverse centinaia di minatori hanno sfilato in corteo a Donetsk, sventolando le bandiere della Repubblica Popolare di Donetsk e scandendo slogan come “No al fascismo nel Donbas!”; viene citata la frase di un manifestante: “non vogliamo vedere soldati qui. I nostri bambini hanno paura di uscire fuori casa. Sono stati uccisi dei nostri concittadini pacifici, e non possiamo restare fermi a guardare”.
    Un altro ha dichiarato: “Voglio la pace e la possibilità di lavorare e guadagnare. Voglio che i soldati occupanti se ne vadano e se ne tornino a Kiev”. Alcuni funzionari del “Sindacato Indipendente dei Minatori”, come Mykola Volynko, che non è solo un burocrate sindacale ma anche un ex candidato parlamentare del partito nazionalista “Batkivshchyna” (Patria) alle elezioni del 2012, hanno fatto di tutto per prendere le distanze da quanto sta accadendo e sono ansiosi di sottolineare la loro estraneità all’organizzazione di queste azioni. Questo dimostra come questo sindacato “indipendente” sia diventato uno strumento delle politiche capitaliste, legato in particolare al partito “Patria” della Tymoshenko, piuttosto che di rappresentanza della classe operaia.
    Questi scioperi hanno una natura chiaramente politica, e dimostrano il rifiuto da parte dei lavoratori per le autorità ultra-nazionaliste e neo-liberiste radicali di Kiev che per loro significano solo tagli, peggioramento delle condizioni di vita e attacchi di bande fasciste contro le organizzazioni dei lavoratori.
    Questo è uno sviluppo di enorme importanza. Se questa mobilitazione si allargasse a strati più ampi della classe operaia costituirebbe un punto di svolta cruciale negli eventi. In questo momento il compito più importante è quello di spingere ulteriormente in avanti questi sviluppi, perché la classe operaia traduca in fatti le parole della Repubblica Popolare sugli espropri e le nazionalizzazioni. L’espropriazione degli oligarchi, a cominciare da Akhmetov, sarebbe fonte di ispirazione per i lavoratori di tutta l’Ucraina risanando così la frattura tra Est e Ovest.
    28 maggio 2014
    Ucraina - I minatori del Donbass si mobilitano contro l?offensiva degli oligarchi

 

 

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