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    Predefinito 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    1 giugno 2014: sant'Angela Merici

    Nacque a Desenzano del Garda verso il 1470. indossò l'abito del Terzo Ordine di San Francesco e radunò intorno a se gruppi di ragazze che educava nelle opere di carità. Nel 1535 fondò a Brescia l'Istituto femminile di sant'Orsola, finalizzato allo scopo di istuire alla vita cristiana le ragazze povere. Morì il 24 gennaio 1540 a Brescia. Fu beatificata nel 1768 da Papa Clemente XIII e canonizzata nel 1807 da Papa Pio VII.

    Dal "Testamento spirituale" di sant'Angela Merici
    Trattiamo con soavità come Dio
    Mie carissime madri e sorelle in Gesù Cristo, sforzatevi, coll'aiuto della grazia, di acquistare e conservare in voi tale intenzione e sentimento buono, da essere mosse alla cura e al governo della Compagnia solo per amore di Dio e per lo zelo della salute delle anime. Se tutte le vostre opere saranno così radicate in questa duplice carità, non potranno portare se non buoni e salutieri frutti. Perciò dice il Salvator nostro: "Un albero buono non può produrre frutti cattivi" (Mt 7, 18) come volesse dire che il cuore, quando è informato alla carità, non può produrre se non buone e sante opere. Onde ancora diceva sant'Agostino: Ama e fà quel che vuoi, come se dicesse chiaramente: La carità non può peccare.
    Vi supplico ancora di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figliuole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato ed ogni cosa loro. Il che non vi sarà cosa difficile, se le abbraccerete con viva carità. Anche le madri secondo la carne, se avessero mille figliuoli, tutti se li terrebbero nell'animo totalmente fissi ad uno ad uno, perché così opera il vero amore. Anzi pare che, quanti più ne hanno, tanto più cresca l'amore e la cura particolare per ciascuno. Maggiormente le madri secondo lo spirito possono e devono far questo, perché l'amore secondo lo spirito é, senza confronto, molto più potente dell'amore secondo la carne. Dunque, mie carissime madri, se amerete queste nostre figliuole con viva e sviscerata carità, sarà impossibile che non le abbiate tutte particolarmente impresse nella memoria e nel cuore.
    Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, e non imperiosamente né con asprezza; ma in tutto vogliate esser piacevoli. Ascoltate Gesù Cristo che raccomanda: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11, 29); e di Dio si legge che "governa con bontà eccellente ogni cosa" (Sap 8, 1). E ancora Gesù Cristo dice: il mio giogo é dolce e il mio carico leggero" (Mt 11, 30). Ecco perché dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poiché Dio ha dato ad ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia. Non dico però che alle volte non si debba usare qualche riprensione ed asprezza a tempo e luogo secondo l'importanza, la condizione e il bisogno delle persone, ma solamente dobbiamo essere mosse a questo dalla carità e dallo zelo delle anime.



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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    1 giugno 2014: Domenica infra l'Ottava dell'Ascensione

    GLORIFICAZIONE DELLA SANTA UMANITÀ DI CRISTO

    Gesù è salito al cielo. La sua divinità non ne era stata mai assente, ma oggi è l'umanità sua che vi viene intronizzata, e coronata di un diadema di splendore; ecco un altro aspetto del mistero dell'Ascensione.

    A questa santa umanità il trionfo non bastava; il riposo le era preparato sul trono stesso del Verbo eterno, al quale è unita in una medesima personalità, ed è là che deve ricevere l'adorazione di ogni creatura. Nel nome di Gesù, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio; di Gesù, assiso alla destra del Padre onnipotente, "ogni ginocchio si piegherà in cielo e sulla terra e negli inferni" (Fil 2,10).

    Abitanti della terra, lassù sta quella natura umana che un tempo ci apparve nell'umiltà delle fasce; che percorse la Giudea e la Galilea, senza avere dove riposare la testa; che, da mani sacrileghe, fu stretta in catene, flagellata, coronata di spine, inchiodata sulla croce. Ma mentre gli uomini, che l'avevano disconosciuta, la calpestavano come un verme della terra, essa, con una completa sottomissione, accettava il calice di dolore e si univa alla volontà del Padre; divenuta vittima, acconsentiva a risarcire la gloria divina, dando tutto il suo sangue per il riscatto dei peccatori. Questa natura umana, generata da Adamo per mezzo di Maria Immacolata, è il capolavoro della potenza di Dio. Gesù, "il più bello dei figli degli uomini" (Sal 44,3), è l'oggetto dell'ammirazione degli Angeli; sopra di Lui si è posata la compiacenza della Santissima Trinità; i doni della grazia posti in Lui sorpassano ciò che è stato accordato a tutti gli uomini ed a tutti gli Spiriti celesti uniti insieme; ma Dio l'aveva destinato alla via della prova, e Gesù, che avrebbe potuto riscattare l'uomo con minore sacrificio, si è immerso volontariamente in un mare di umiliazioni e di dolore per pagare sovrabbondantemente il debito dei suoi fratelli. Quale ne sarà la ricompensa? L'Apostolo ce lo dice: "Si è fatto ubbidiente fino alla morte, e sino alla morte di croce. E perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome, che è al di sopra di ogni altro nome" (Fil 2).

    O voi, dunque, che compatite quaggiù i dolori, per mezzo dei quali ci ha riscattato; voi, che amate seguirlo nelle varie stazioni del suo pellegrinaggio fino al Calvario, oggi alzate la testa e guardate in alto, fino al più alto dei cieli. Eccolo: "per aver sofferto la morte lo rimiriamo coronato di gloria e di onore" (Ebr 2,9). Più si è annientato sotto forma di schiavo, lui che nell'altra sua natura poteva, senza ingiustizia, dirsi uguale a Dio (Fil 2,6-7), più al Padre piace di elevarlo in gloria ed in potenza. La corona di spine che ha portato quaggiù, è rimpiazzata dal diadema di onore (Sal 20,4). La croce che si lasciò mettere sulle spalle, è, d'ora in avanti, il segno del suo principato (Is 9,6). Le piaghe che i chiodi e la lancia hanno impresso sul suo Corpo, risplendono come soli. Gloria sia dunque resa alla giustizia del Padre, verso Gesù suo Figlio! ma rallegriamoci anche di vedere in questo giorno "l'Uomo dei dolori" (ivi 53,3) divenuto il Re di gloria; ripetiamo con trasporto l'osanna che la corte celeste fece risonare al suo arrivo.

    Il giudice universale.

    Non crediamo però che il Figlio dell'uomo, stabilito ormai sul trono della divinità, resti inattivo nel glorioso riposo. È una sovranità, ma una sovranità attiva che il Padre gli ha concesso. Prima di tutto lo ha designato "giudice dei vivi e dei morti" (At 10,42), "e noi dobbiamo tutti comparire davanti al suo tribunale" (Rm 14,10). Appena la nostra anima avrà abbandonato il corpo, si troverà trasportata ai piedi di questo tribunale sul quale oggi si è assiso il Figlio dell'uomo, e sentirà uscire dalla sua bocca la sentenza che avrà meritato. O Salvatore, oggi incoronato, sii a noi misericordioso in quest'ora decisiva per l'eternità. Ma la magistratura esercitata da Gesù non si limiterà all'esercizio silenzioso di questo sovrano potere; gli Angeli oggi ce l'hanno detto: Egli dovrà mostrarsi di nuovo sulla terra, ridiscendere attraverso l'aere, nello stesso modo come vi era salito, e si terranno allora le solenni sedute di tribunale, davanti alle quali tutto il genere umano comparirà. Assiso sulle nubi del cielo, circondato dalle angeliche milizie, il Figlio dell'uomo apparirà alla terra in tutta la sua Maestà. Gli uomini vedranno "colui che hanno trafitto" (Zc 12,10) e le cicatrici delle sue ferite, che ne aumenteranno ancora la sua bellezza, saranno per gli uni oggetto di terrore, per gli altri sorgente di ineffabile consolazione. Pastore, egli separerà le sue pecorelle dai capri, e la sua voce sovrana, che la terra non aveva più inteso da tanti secoli, risuonerà per comandare ai peccatori impenitenti di scendere all'inferno, e per invitare i giusti di venire ad occupare, in corpo ed anima, la dimora delle delizie eterne.

    Il Re delle nazioni.

    Aspettando la conclusione finale dei destini dell'umano genere, Gesù oggi riceve anche dal Padre l'investitura visibile del potere legale su tutte le nazioni della terra. Avendoci riscattati col prezzo del suo sangue, noi gli apparteniamo; che Egli, dunque, d'ora in avanti sia il nostro Signore. E lo è infatti, ed il suo titolo è quello di Re dei re e Signore dei signori (Ap 19,16). I sovrani della terra non regnano legittimamente che per Lui e non per la forza, o in virtù di un preteso fatto sociale, la cui sanzione non sarebbe che di quaggiù. I popoli non appartengono a loro stessi: sono suoi. La sua legge non si discute; deve librarsi al disopra di tutte le leggi umane, quale loro regola, e loro padrona: "A che pro cospirano le genti e le nazioni brontolano vanamente? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro Dio e contro il suo Messia: 'spezziamo i loro legami e scotiamo da noi le loro catene'" (Sal 2,1-3). Inutili sforzi! poiché, come ci dice l'Apostolo, "è necessario che egli regni finché non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici" (1Cor 25,25), finché non apparisca una seconda volta per abbattere la potenza di Satana e l'orgoglio degli uomini.

    Così dunque il Figlio dell'uomo, incoronato nella sua Ascensione, dovrà regnare sul mondo finché egli ritorni. Ma, direte voi, regna dunque in un tempo in cui i principi confessano che l'autorità è venuta loro da un mandato dei popoli; in cui i popoli stessi, sedotti da quel prestigio che chiamano libertà, hanno perduto financo il senso dell'autorità? Sì, egli regna, ma nella giustizia, visto che gli uomini hanno tenuto in disprezzo l'essere guidati per mezzo della bontà. Essi hanno scancellato la sua legge dai loro codici, hanno accordato il diritto di cittadinanza all'errore ed alla bestemmia; allora egli li ha abbandonati al loro senso assurdo e menzognero. Presso di essi, quel potere effimero che la santa unzione non rende più sacro, sfugge ad ogni momento da quelle mani che si sforzano di trattenerlo; e quando i popoli, dopo essere precipitati negli abissi dell'anarchia, cercano di ricostruirlo, sarà per vederlo crollare di nuovo, perché principi e popolo vogliono tenersi fuori del dominio del Figlio dell'uomo. E sarà sempre così, finché principi e popoli, stanchi della loro impotenza, lo richiameranno per regnare su di essi; finché non abbiano ripreso quella divisa dei loro padri: "Cristo vince! Cristo regna! Cristo comanda! Si degni Cristo di preservare il suo popolo da ogni disgrazia!".

    In questo giorno della tua incoronazione, ricevi dunque gli omaggi dei fedeli, o nostro Re, nostro Signore, e nostro Giudice! Noi che, per i peccati, fummo causa delle umiliazioni e delle sofferenze avute durante il corso della tua vita mortale, ci uniamo alle acclamazioni che gli spiriti celesti ti tributarono nel momento in cui il diadema reale fu posto sul tuo Capo divino. Noi non possiamo che intravedere i tuoi splendori; ma lo Spirito Santo che ci hai promesso finirà di rivelarci tutto ciò che possiamo sapere quaggiù sul tuo sovrano potere, di cui vogliamo essere, per sempre, sudditi umili e fedeli.

    La domenica dopo l'Ascensione, a Roma, nel medio Evo, era chiamata Domenica delle rose, perché vigeva l'uso, in quel giorno, di spargere rose sul pavimento delle Basiliche, quale omaggio a Cristo che si era innalzato al cielo nella stagione dei fiori. Si godeva allora in tutte le armonie del creato. La festa dell'Ascensione, già così ridente e piena di giubilo, quando si considera sotto il suo principale aspetto, ossia il trionfo del Redentore, veniva ad abbellire le giornate radiose della primavera. Si dimenticavano per un momento le tristezze della terra, per non rammentarsi che della parola che Gesù disse ai suoi Apostoli, affinché ci venisse ripetuta: "se mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre" (Gv 14,28).

    Imitiamo questo esempio; offriamo, a nostra volta, la rosa a colui che l'ha creata per abbellirci questo soggiorno, e impariamo a servirci della sua bellezza e del suo profumo per elevarci fino a Lui, che ci dice nella divina cantica: " Io sono un narciso del piano, un giglio delle valli" (Ct 2,1). Volle essere chiamato Nazareno, affinché questo nome misterioso risvegliasse in noi il ricordo che racchiude: il ricordo dei fiori, di cui egli non ha sdegnato di trarre il simbolo per esprimere l'incanto e la soavità che trovano in Lui coloro che l'amano.

    MESSA

    EPISTOLA (1Pt 4,7-11). - Carissimi: Siate prudenti e vegliate nelle preghiere. Soprattutto però abbiate continuamente tra voi stessi la mutua carità, perché la carità copre la moltitudine dei peccati. Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorazioni. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Se uno parla, parli come chi espone gli oracoli di Dio; se uno esercita un ministero, lo faccia per la virtù comunicata da Dio, il quale è glorificato in tutto per Gesù Cristo nostro Signore.

    Carità e prudenza.

    Mentre i discepoli sono riuniti nel Cenacolo, ormai di un cuore e un'anima sola; mentre aspettano la venuta dello Spirito Santo, il principe degli Apostoli, che presiede questa santa assemblea, si rivolge a noi, che pure aspettiamo il medesimo favore, e ci raccomanda la carità fraterna. Ci promette che questa virtù coprirà la moltitudine dei nostri peccati: quale magnifica preparazione per ricevere il dono del cielo! Lo Spirito Santo scenderà, affinché gli uomini si riuniscano in una sola famiglia. S'interrompano, dunque, tutte le nostre dispute, preparandoci a quella fraternità universale che dovrà stabilirsi nel mondo con la predicazione del Vangelo. Aspettando la discesa del Consolatore promesso, l'Apostolo ci dice che dobbiamo essere prudenti e sobri per dedicarci alla preghiera. Accogliamo la la lezione: la prudenza consisterà nell'allontanare dai nostri cuori ogni ostacolo che respingerebbe il divino Spirito; e, in quanto alla preghiera, sarà essa che li aiuterà ad aprirsi, affinché egli li riconosca e vi si stabilisca.



    VANGELO (Gv 15,26-27; 16,1-4). - In quel tempo: Gesù disse ai suoi Discepoli: Quando sarà venuto il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e voi pure mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin da principio. V'ho detto questo affinché non vi scandalizziate. Vi cacceranno dalle sinagoghe, anzi è per venire l'ora in cui chi vi uccide crederà di onorare Dio. E così vi tratteranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma questo ve l'ho detto, affinché quando avverrà vi rammentiate che ve n'ho parlato.

    Lo Spirito di fortezza.

    Alla vigilia di mandarci il suo Spirito, Gesù ci annunzia gli effetti che questo Consolatore produrrà nelle anime nostre. Nell'ultima Cena, indirizzandosi agli Apostoli, dice che questo Spirito renderà testimonianza per Lui, ossia che li istruirà sulla sua divinità e sulla fedeltà che gli dovranno, fino alla morte. Ecco dunque ciò che produrrà in quelle anime quest'Ospite divino che il Maestro, prossimo a salire al cielo, designava loro col nome di Virtù dall'Alto. Prove gravissime li attendevano, alle quali avrebbero dovuto resistere fino a dare il loro sangue. Chi sosterrà questi uomini così deboli? Lo Spirito che sarà venuto a riposarsi in loro. Per mezzo suo vinceranno, e il Vangelo si propagherà in tutto il mondo. Adesso sta per venire di nuovo, questo Spirito del Padre e del Figlio; e quale sarà lo scopo della sua venuta se non quello di armare anche noi contro le battaglie della vita, e di renderci forti per la lotta? Nell'uscire dal Tempo Pasquale, durante il quale i più venerati misteri c'illuminano e ci proteggono, noi ci ritroveremo di fronte al demonio infuriato, al mondo che ci attendeva, alle passioni che, calmatesi per un momento, vorranno risvegliarsi. Se saremo "rivestiti della Virtù dell'alto" non avremo nulla da temere; aspiriamo, dunque, alla venuta del celeste Consolatore, prepariamoci ad accoglierlo in maniera degna della sua Maestà, e, quando l'avremo ricevuto, conserviamolo gelosamente; Egli, come fece con gli Apostoli, ci assicurerà la vittoria.
    PREGHIAMO

    O Dio onnipotente ed eterno, fa' che abbiamo una volontà sempre a te devota e serviamo alla tua maestà con cuore sincero.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 229-234

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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    2 giugno 2014

    Marcellino e Pietro, santi, martiri di Roma, nel 1256 loro resti furono adoperati da papa Alessandro IV per consacrare l’altare maggiore della chiesa a loro dedicata. Sempre loro reliquie non insigni vennero utilizzate per la riconsacrazione dell’altare il 28 aprile 1754 dal cardinale titolare Vincenzo Malvezzi. I due martiri erano venerati dai pellegrini del VII secolo nel cimitero "ad duas lauros", al terzo miglio della Via Labicana; la loro cripta fu scoperta nel 1896 (ingresso in via Casilina, n.641). I resti vennero trafugati nell’827 da quattro monaci francesi per conto di Eginardo e portati prima in Francia, poi in Germania a Seligenstadt. A titolo di riparazione furono donati a S. Pio V i corpi dei martiri Servanzio e Lamberto vescovo. Le reliquie di Marcellino e di Pietro, nella seconda metà del XVIII secolo, risultavano anche in una chiesa a loro intitolata a Cremona.
    M.R.: 2 giugno - A Roma il natale dei santi Martiri Marcellino Prete e Pietro Esorcista, i quali, sotto Diocleziano, ammaestrando in prigione molti nella fede, dopo crudele prigionia e moltissimi tormenti, dal Giudice Sereno furono decapitati nel luogo, detto Selva Nera, che poi, in onore dei Santi, cambiato nome, fu chiamato Selva Candida. I loro corpi furono sepolti nelle catacombe, vicino a san Tiburzio, e il loro sepolcro fu poi adornato con versi da san Damaso Papa.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

    Sant'Erasmo

    Originario di Antiochia, fu costretto durante la persecuzione di Diocleziano a nascondersi sul monte Libano. Arrestato e torturato fu miracolosamente liberato. Si recò in Illiria dove operò numerose conversioni. Nuovamente arrestato su ordine dell'imperatore Massimiano, sarebbe stato ancora liberato dall'arcangelo Michele che lo avrebbe condotto a Formia dove divenne vescovo e dove subì il martirio.

  4. #4
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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    2 giugno 2014: infra l'Ottava dell'Ascensione

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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    3 giugno 2014: infra l'Ottava dell'Ascensione

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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    4 giugno 2014: San Francesco Caracciolo, confessore

    Nato il 13 ottobre 1563 a Villa S. Maria di Chieti e trasferitosi a Napoli a ventidue anni di età per completarvi gli studi teologici. Gli anni della sua giovinezza erano trascorsi senza che nulla di particolare facesse presagire in lui la straordinaria attività apostolica che nella pur breve vita (morì a 45 anni) avrebbe svolto. Con i due committenti si recò all'eremo di Camaldoli per l'elaborazione della Regola, che papa Sisto V approvò il 10 luglio 1588. A Francesco Caracciolo si deve l'inserimento di un quarto voto, oltre ai consueti di castità, povertà e obbedienza: quello di non accettare alcuna dignità ecclesiastica. L'anno dopo Ascanio Caracciolo emetteva i voti religiosi assumendo il nome di Francesco. Nel 1593 la piccola congregazione, che aveva preso dimora in un'angusta casa nei pressi della Chiesa della Misericordia, tenne il primo capitolo generale e Francesco dovette accettare per obbedienza la carica di preposito generale. Intanto la giovane congregazione approdava a Roma, alla chiesa di S. Agnese in piazza Navona. Scaduto il suo mandato, tornò in Spagna dov'era stato già nel 1593 e vi fondò una casa religiosa a Valladolid e un collegio ad Alcalà. Fu maestro dei novizi a Madrid e di nuovo proposito della casa di S. Maria Maggiore di Napoli. Le molteplici attività avevano fiaccato la sua già debole fibra. Durante un soggiorno ad Agnone, presso i padri dell'Oratorio, cadde gravemente ammalato e morì il 4 giugno 1608. Il suo corpo, trasportato a Napoli, fu sepolto nella chiesa di S. Maria Maggiore. Il primo dei suoi tanti miracoli, la guarigione di uno storpio proprio durante i funerali, fu la scintilla che accese il gran fuoco della devozione dei napoletani verso questo santo "oriundo", canonizzato da Pio VII il 24 maggio 1807 ed eletto nel 1840 compatrono della città partenopea.


  7. #7
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    4 giugno 2014: infra l'Ottava dell'Ascensione

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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    5 giugno 2014: San Bonifacio, vescovo e martire

    Senza l'opera missionaria di Bonifacio non sarebbe stata possibile l'organizzazione politica e sociale europea di Carlo Magno. Bonifacio o Winfrid sembra appartenesse a una nobile famiglia inglese del Devonshire, dove nacque nel 673 (o 680). Professò la regola monastica nell'abbazia di Exeter e di Nurslig, prima di dare inizio all'evangelizzazione delle popolazioni germaniche oltre il Reno. Dopo le prime difficoltà in tre anni percorse gran parte del territorio germanico. Convocato a Roma, ebbe dal papa l'ordinazione episcopale e il nuovo nome di Bonifacio. Prima di organizzare la Chiesa sulla riva destra del Reno pensò alla fondazione, tra le regioni di Hessen e Turingia, di un'abbazia, che divenisse il centro propulsore della spiritualità e della cultura religiosa della Germania. Nacque così la celebre abbazia di Fulda. Come sede arcivescovile scelse la città di Magonza. Morì nel 754.

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    5 giugno 2014: Ottava dell'Ascensione

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    Predefinito re: 30 giugno 2014: Commemorazione di San Paolo

    6 giugno 2014


    San Norberto è il fondatore, nel 1121, di un antico ordine monastico, che però si dedicò anche all'evangelizzazione "ad extra", anticipando così l'avvento degli ordini mendicanti: i Premostratensi. Il nome viene dalla valle francese di Prémontré, nei pressi di Laon, dove il santo si era fermato insieme ad alcuni compagni. Norberto era nato a Xanten, in Germania, tra il 1080 e il 1085. Fece vita mondana, ma poi un evento lo sconvolse e lo indusse a cambiare. Un fulmine gli cadde vicino, per fortuna solo tramortendolo. Divenne prete, fondò l'ordine - che presto si diffuse in Europa e anche in Palestina - dal 1126 fu vescovo di Magdeburgo. Morì nel 1134 ed è santo dal 1582.

 

 
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