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    Lovecraft cantore del Kali Yuga

    10 June 2009 (166) | Autore: Renzo Giorgetti

    Lovecraft era uno specchio. Egli riceveva e assimilava le influenze dell’ambiente circostante e, tramite le sue capacità letterarie, le rendeva, trasfigurate, nella sua poesia e nei racconti. Lucido e preciso, coglieva bene gli stati d’animo, le sensazioni e gli umori che pervadevano l’ambiente in quel momento storico, le correnti che influenzavano e formavano i pensieri degli uomini. Egli possedeva una grande erudizione che, abbinata al suo acuto intelletto, gli conferiva la non comune capacità di comprendere le varie situazioni del mondo che lo circondava.

    Ma non era solo questa la sua dote.

    Attraverso la lente deformante del sogno egli andava oltre, vedeva di più, captava le immagini significative e simboliche che costituivano la vera sostanza della realtà.

    Con questo suo particolarissimo strumento percettivo egli aveva la possibilità di spingersi là dove la logica non l’avrebbe mai potuto portare, oltre il “muro del sonno”, in una dimensione irraggiungibile a tutti gli altri, dove solo lui poteva vedere, sentire, capire. Egli coglieva per metafore, visioni e rivelazioni lo spirito dei tempi, l’anima onnicomprensiva che formava l’epoca sua e dei suoi contemporanei. E la sua esperienza onirica è più reale di quanto si possa comunemente credere; egli avrebbe voluto evadere, ma involontariamente finiva per descriverci il mondo. Senza l’appoggio della razionalità e della coscienza infatti, il suo pensiero vola e si perde in immagini mirabolanti e allucinate, in visioni dolci e selvagge, in regni arcaici e minacciosi. Ma il sogno è allegoria e la ragione, sempre limitata, viene trascesa dal libero volo immaginativo; ed osservando le miserie umane con la prospettiva particolare del sognatore queste risultano deformate, irriconoscibili, ma non per questo meno vere.

    Lovecraft, come uomo, conosceva sia i mali del suo tempo, sia il malessere esistenziale dei suoi simili, e in vari scritti pubblici e privati li coglie acutamente tutti: la forza come criterio di affermazione e di ragione, la velocità distruttrice e divoratrice, il macchinismo disumanizzante, il movimento insensato che travolge i sicuri baluardi faticosamente costituiti nel corso dei secoli, la logica del profitto, il bieco utilitarismo, il miraggio tecnico e produttivo, l’anonimato delle metropoli, il brulicare di immense masse umane e il loro agitarsi scomposto, il degrado dei rapporti umani, la bruttezza che si insinua dappertutto, il mescolìo delle razze, la perdita dell’ordine, della forma, dell’armonia.

    E al di sopra di tutto c’è il caos, incombente e minaccioso, sempre in procinto di irrompere nel mondo ma sempre trattenuto da una tenue e precaria difesa, data dall’illusione e dalle false certezze della ragione. Ed anche lo stesso materialismo di cui tanto faceva mostra, è forse da considerarsi una cura o una parte stessa del male?

    Più si trattiene la realtà nei suoi più stretti vincoli, più la si rinchiude in una prigione angusta e oppressiva, e più forte saranno il sentimento e la volontà di fuga. Ma se è “dalle acque stesse del materialismo” che “sorge la corrente mistica”, non ci si deve stupire che sia proprio da un materialista totale che nasca una produzione di miti senza uguali. E sono tutti miti reali, miti che utilizzano la realtà per esistere, ma che la superano poi nella loro capacità evocativa e nel loro potere di suggestione.

    Che accade nel mondo di Lovecraft?

    Potenti forze tornano a manifestarsi, misteriose, cieche e schiaccianti, emergendo da eoni lontanissimi, da lande remote, dalle acque oscure dell’inconscio. Dèi dimenticati, arconti osceni, governanti di antiche epoche che pretendono di nuovo il loro tributo di sangue. Una gnosi nera si impone con tutto il suo carico di orrori inconcepibili mentre potenze tenebrose, senza anima, assediano l’isola di tranquillità su cui l’uomo si è rifugiato con le sue illusorie certezze. Uomo che è piegato, prostrato, impotente di fronte a ciò che titanicamente lo sovrasta e gli si impone rendendo assurda persino la più piccola volontà di resistenza. A poco vale la sua razionalità, la sua logica, il suo scetticismo, le forze evocate non conoscono freno e non patiscono l’indifferenza, agendo anzi con più efficacia proprio contro chi più le ignora. E nulla possono nemmeno le antichissime e perdute divinità dell’età dell’oro, della fanciullezza umana, benevole ma sempre più lontane, poiché la crisi avanza e si manifesta con tutta la sua drammatica presenza, annunciando nuove e terribili leggi. Il male incombe, il decadimento è inarrestabile, l’uomo inizia a perdere tutto ciò che lo distingue e lo rende unico, incominciando proprio dalla sua umanità:

    “Sarebbe stato facile capire quando fosse arrivato il momento, perché allora il genere umano sarebbe diventato come i Grandi Vecchi; libero, sfrenato e aldilà del bene e del male; avrebbe gettato alle ortiche leggi e morale, e tutti avrebbero urlato, ucciso e gioito. Allora gli Antichi, ormai liberi, avrebbero loro insegnato nuovi modi di gridare, uccidere, gioire e divertirsi, e tutta la Terra avrebbe fiammeggiato di un olocausto di estasi e libertà. ”

    E’ questa l’età oscura, il Kali Yuga, dove il disordine regna sovrano, la corruzione e la decadenza predominano incontrastati e l’umanità stessa, perduta la propria ragione, precipita in abissi di follia quasi senza accorgersene, compiacendosi anzi di una caduta che viene scambiata per volo. Epoca di oscurità, disordine e disorientamento, di debolezza e viltà, barbarie e violenza, in cui forze occulte si materializzano rendendosi visibili, mentre nel disfacimento finale fantasia e realtà iniziano a confondersi, uguali ma diverse, ognuna con il proprio frammento di verità; epoca di cui Lovecraft è il cantore principale, suo malgrado, nuovo aedo di un mondo che si dissolve e che scopre di non avere consistenza maggiore di un sogno, un incubo da cui il risveglio consolatore sembra essere ancora lontano.

    * * *

    Tratto, per gentile concessione dell’Autore, da Archetipi Lovecraftiani – L’India e i Miti di Cthulhu, Dagon Press, Teramo, 2009, pp.104-108.

    Renzo Giorgetti

    Lovecraft cantore del Kali Yuga | Renzo Giorgetti
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 29-12-09 alle 21:57

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Molto interessante. Proprio stamattina ho acquistato due libri di Lovecraft: "Le montagne della follia" e i "Miti di Cthulhu".
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: Lovecraft cantore del Kali Yuga


    Un bellissimo omaggio.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 29-12-09 alle 21:58

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da Dr. Caligari Visualizza Messaggio
    Molto interessante. Proprio stamattina ho acquistato due libri di Lovecraft: "Le montagne della follia" e i "Miti di Cthulhu".
    Ti consiglio i suoi "racconti del Necronomicon" ,a mio avviso una delle sue cose migliori,non che il resto sia da meno, "le montagne della follia" poi è un romanzo incredibilmente morboso,claustrofobico,senza via di scampo.

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Citazione Originariamente Scritto da Arthur Machen Visualizza Messaggio
    Ti consiglio i suoi "racconti del Necronomicon" ,a mio avviso una delle sue cose migliori,non che il resto sia da meno, "le montagne della follia" poi è un romanzo incredibilmente morboso,claustrofobico,senza via di scampo.
    Ok, grazie del gentile consiglio, annoto sul mio taccuino...
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Lovecraft è il mio autore preferito, tanto che gli ho dedicato la stesura della mia tesi di laurea...

    Se ciò che ha "inventato" si rivelasse ai nostri sensi come inoppugnabilmente vero tutte le nostre elucubrazioni, scientifiche, filosofiche, religiose, pratiche che siano, verrebbero distrutte mille volte e gettate nell'abisso da cui sono venute e da cui è emersa, forse per caso, forse per capriccio, l'umanità stessa.

    ... Forse dobbiamo sperare davvero che la nostra ragione illumini solamente piccole isole nell'oceano della realtà. Oppure che la follia che emerge dall'oceano dell'impensabile sommerga con l'oblio la nostra coscienza (e ci faccia rifugiare nella "pace e la sicurezza di un nuovo medioevo")...

    Resurgens

  7. #7
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    Gianfranco de Turris - Sebastiano Fusco

    BIOGRAFIA DI UN RAZIONALISTA SOGNATORE





    L'immagine più nota di Howard Phillips Lovecraft — una fotografia scattata nel 1934, quando aveva 44 anni, a tre dalla morte, ed inclusa nella prima edizione originale rilegata delle sue opere (1939) — lo raffigura ripreso di tre quarti, facendone risaltare il viso affilato, il naso lungo e sottile, le labbra strette su una mascella dal profilo forte ancorché non sporgente, il mento caratteristico. Messosi in posa, lo scrittore non aveva fissato l'obiettivo: perciò, i suoi occhi non sono puntati in avanti, verso chi osserva l'immagine, ma sembrano piuttosto guardare un punto esterno alla foto, come se stessero valutando un oggetto a loro solo discernibile, o stessero seguendo un evento al di fuori della portata visiva d'ogni altro osservatore.
    Quest'ansia costante di puntare lo sguardo oltre il mondo sensibile, d'individuare i connotati di un'altra realtà, è il dato essenziale dal quale si muove la poetica di Lovecraft, che per tutta la vita tentò l'incerta impresa di violare quelle che una volta defini «le intollerabili costrizioni del tempo e dello spazio».

    Razionalista, non aveva la fede cieca del mistico e si rendeva ben conto che l'universo fittizio creato dalla sua immaginazione rappresentava soltanto uno pseudo-rifugio, non raggiungibile né praticabile. D'altro canto, la sua sensibilità, acuita dalla solitudine e dal regime di vita, gli fece comprendere presto che il mondo della fantasia, in quanto creazione spontanea individuale, non poteva non avere un preciso influsso sul suo stesso creatore. Il viaggio immaginario nel suo universo complementare, nel suo reale integrativo, creato per puro piacere estetico, si risolse cosi in un viaggio all'interno dell'uomo: viaggio che, a mano a mano che ci si cala nelle profondità della coscienza, assume le caratteristiche di una catàbasi, di una vera e propria «discesa agli inferi» che — come tale — trasforma chi la subisce. E se la volontà di crearsi un rifugio fittizio mediante uno sforzo dell'immaginazione è un atteggiamento tipico del razionalista che per indole o carattere prova ripulsa di fronte alla realtà quotidiana, la disponibilità a rimodellare la propria esistenza su tali immagini è invece l'impulso del mistico, il quale attua un deliberato cambiamento di valenza tra il reale e il fantastico.

    È dalla saldatura di questi due atteggiamenti che nasce il fascino dell'opera lovecraftiana. Non è un caso che essa attiri oggi in tutto il mondo, al di là dei suoi possibili limiti letterari, in specie i giovani intellettuali, i lettori dotati d'una preparazione culturale non elementare. Nel «solitario di Providence» (come è stato chiamato) essi vedono infatti riprodursi il dissidio essenziale in cui vive la civiltà dell'Occidente contemporaneo: divisa, dopo la «crisi del '68», fra la tendenza al materialismo e la rinascita d'una spiritualità deviata; combattuta tra il consumismo e crescenti complessi di colpa nati da cattiva coscienza; in bilico sullo stretto crinale fra il trascendente e l'immanente, incerta ancora sulla via da prendere per il futuro. […]
    Colin Wilson, nella sua lunga introduzione al volume The Necronomicon (1978), afferma che «l'impulso fondamentale alla base dell'opera di Lovecraft era il desiderio di sottrarsi alla realtà della vita quotidiana... anzi di vendicarsi in qualche modo di tale realtà che lo disgustava tanto».




    Dubbio e inquietudine, disagio esistenziale e precarietà d'ideali favoriscono da sempre l'evasione nel sogno. Il rifugio indicato nemmeno mezzo secolo fa da Lovecraft sembra ormai l'unica valvola di sicurezza per il malessere della nostra cultura: i mass media favoriscono il tessuto dei sogni collettivi, e l'evasione è a buon mercato. Ma il sogno, quando viene turbato da fermenti che si agitano nel profondo, si muta in incubo. Se ne rende facilmente conto chi legge i servizi di cronaca sui quotidiani, i titoli delle riviste e dei libri, chi vede il cinema e la televisione. Allo stesso modo, il viaggio di Lovecraft nell'universo dell'immaginazione e della fantasia, iniziatosi con serene visioni fiabesche, si conclude angosciosamente con la comparsa di mostri risvegliati dagli abissi dell'inconscio. Con questo, di nuovo il cerchio si chiude: e si scopre che la realtà fittizia, tanto faticosamente elaborata per fungere da sicuro asilo alla nostra ansia e alla nostra paura, non è altro che l'immagine sapientemente alterata (e alla fine giustificata) proprio di quell'ansia e di quella paura.
    In questo, Lovecraft si mostra nostro contemporaneo, ed in ciò — crediamo — si trova la ragione dell'odierno successo della sua opera. In lui, nelle allegorie della sua narrativa, nelle vicende reali della sua vita, si riflettono le certezze e le contraddizioni, i sogni e i terrori, le preoccupazioni e le speranze che sono poi le nostre. La sua rivolta contro il mondo (a lui) contemporaneo, è la stessa rivolta di tanti uomini di cultura dei nostri giorni; le sue motivazioni identiche. La sua contemporaneità, l'attualità del suo pensiero sono tali da farne passare qualche volta in secondo piano la fama di narratore.

    Quando mori, non ancora quarantasettenne, alle prime ore dell'alba del 15 marzo 1937, in una stanza del «Jane Brown Memorial Hospital» di Providence nella Nuova Inghilterra dove era stato ricoverato per una sospetta nefrite poi rivelatasi cancro intestinale, Howard Phillips Lovecraft non meritava ancora la qualifica di «scrittore». Aveva pubblicato, si, col proprio nome una sessantina di racconti più o meno lunghi, ed una ventina d'altri ne aveva composti su commissione per conto terzi: ma di tutta questa produzione, ben poco aveva raggiunto il cosiddetto «grande pubblico» essendo stata ospitata su riviste popolari (i pulps) o su periodici amatoriali di ristrettissima circolazione, entrambi comunque indegni d'attenzione da parte dei critici letterari. Malgrado ciò, fra gli appassionati di narrativa fantastica Lovecraft aveva un certo nome e, soprattutto, aveva una schiera di amici epistolari (ben pochi dei quali l'avevano incontrato di persona) che lo tenevano in altissima stima. Nessun organo d'informazione, peraltro, diede notizia della sua scomparsa, che i vari conoscenti sparsi negli Stati Uniti appresero soltanto grazie alle lettere che si scambiarono l'un l'altro.
    Da quel giorno sono trascorsi più di quarant'anni, e oggi H.P. Lovecraft gode di una fama quale lui stesso non aveva mai sperato né, in fondo, cercato. Il suo posto nella letteratura americana, e precisamente in quel filone, cosi ricco di grandi scrittori, che da Hawthorne e Poe conduce ai moderni romanzi dell'inquietudine, appare, anche se innegabilmente non di primissimo piano, sempre più preciso e certo non minore.

    Da Howard Phillips Lovecraft – Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco
    (collana Il castoro, La Nuova Italia – pag. 7 e seguenti)

  8. #8
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    Predefinito Rif: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Citazione Originariamente Scritto da Silvia Visualizza Messaggio
    Da Howard Phillips Lovecraft – Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco
    (collana Il castoro, La Nuova Italia – pag. 7 e seguenti)
    Altro volume...

    H. P. Lovecraft
    L'orrore della realtà - La visione del mondo del rinnovatore della narrativa fantastica

    a cura di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco

    http://books.google.it/books?id=fzfX...age&q=&f=false


    Immagine tratta dal sito Fortunaty.net
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 30-12-09 alle 01:39
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  9. #9
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    Predefinito Rif: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Devo cominciare a farmi una cultura approfondita su questo scrittore. Dovunque ne sento parlare ne tessono le lodi.

    Che libro mi potete consigliare per iniziare? di quale Edizione? (possibilmente evitare la Mondadori) :giagia:

    Atlantideo
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-01-10 alle 01:58

  10. #10
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    Predefinito Rif: Lovecraft cantore del Kali Yuga

    Citazione Originariamente Scritto da Atlantideo Visualizza Messaggio
    Devo cominciare a farmi una cultura approfondita su questo scrittore. Dovunque ne sento parlare ne tessono le lodi.

    Che libro mi potete consigliare per iniziare? di quale Edizione? (possibilmente evitare la Mondadori) :giagia:

    Atlantideo
    Io ho il cofanetto della Newton Compton: "Tutti i romanzi e i racconti", a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Per cominciare, mi sembrerebbe ottimo.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-01-10 alle 01:58
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

 

 
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