Centrodestra, cercasi leader disperatamente
L'ala moderata cerca una figura carismatica da contrapporre a Renzi nuovo leader anti-Renzi. Ma Berlusconi non vuole saperne di abdicare. E manda tutti allo sbando
di Marco Damilano
09 giugno 2014
Follow the money, consigliava la gola profonda del Watergate, seguire i soldi per capire che succede, «segua i soldi», ripete oggi la gola profonda azzurra, e sia, in Forza Italia si parla di questo, non della leadership futura. Segui i soldi per capire perché Sandro Bondi se n’è andato e adesso appare sollevato da un peso. Segui i soldi, perché ora che la cassa è vuota e «siamo con l’acqua alla gola», s’è doluto Silvio Berlusconi, la tesoreria del partito è finita in mano a Maria Rosaria Rossi, la badante del Capo. Segui i soldi per decifrare le mosse di Denis Verdini, il senatore toscano amico di vecchia data di Matteo Renzi: lui più ancora che il partito, è a corto di liquidi.
Non ha più la banca, alcune società sono sotto sequestro, dopo mesi di feroci litigi si è ricongiunto alla Rossi e a Francesca Pascale, per stare vicino a Berlusconi e ai suoi affetti più cari, la cassa. Per ottenere l’obiettivo ha mollato Raffaele Fitto, autonomo e super-votato candidato forzista alle europee, il nuovo nemico del cerchio magico di Arcore. E pazienza se la ricerca di un anti-Renzi nel centrodestra non risulta neppure cominciata. Fosse per Verdini e chissà, per Berlusconi, non inizierebbe mai.
Scene di un pomeriggio a Montecitorio. Il leghista Matteo Salvini, insolitamente a Roma, conferisce con Umberto Bossi in cortile, ed è un’oasi di tranquillità nel panorama terremotato del centro-destra. In fondo, Salvini ha combattuto la sua battaglia, ha messo in minoranza il padre fondatore travolto dallo scandalo e guarda alle prossime tappe. Mentre in Forza Italia si accapigliano su congressi, primarie, senza spezzare il tabù: basta con Berlusconi. Si prepara l’ufficio di presidenza per il prossimo 10 giugno, dopo i ballottaggi, l’inquieto Fitto lo vorrebbe trasmettere in streaming, l’unica volta che è successo andò malissimo, con Gianfranco Fini in piedi a gridare «che fai, mi cacci?» contro il Cavaliere, l’inizio del disastro. Eppure era un Pdl vincente che aveva conquistato quasi tutte le principali regioni e governava il Paese con la sinistra dilaniata, figuriamoci ora che le parti sono rovesciate. E che al posto dei finiani ci sono i fittiani.
«Bisognerebbe uscire dal nostro psicodramma, aprirci all’esterno, fare i conti con la novità Renzi che cambia tutto. E invece siamo in una dinamica di corte. Sciacallaggio», sospira la gola profonda azzurra che come sempre in questi casi non è una sola persona ma un sentire collettivo. I numeri delle elezioni europee del 25 maggio sono stati catastrofici per le due anime dell’ex armata berlusconiana, di lotta e di governo. A Brescia, una roccaforte, la città dell’ex ministro Mariastella Gelmini, Forza Italia ha conquistato un misero 14 per cento e l’Ncd di Angelino Alfano il 3,8, mentre il Pd è a un passo dalla maggioranza assoluta, il 46 per cento. A Roma città, le due liste degli ex berlusconiani insieme non fanno il 16 per cento. Meglio al Sud, ma a trainare la lista di Forza Italia c’era l’odiato Fitto, mentre l’Ncd è una costola dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, i 378mila voti raccolti sono merito dei centristi, senza l’apparentamento il partito di Alfano sarebbe andato sotto il due per cento.
Chi si azzarda a parlare di anti-Renzi, in questo momento? A frenare la marcia trionfale del premier ci pensa Roberto Calderoli, con il suo carrello di migliaia di emendamenti sul testo di riforma del Senato, la Lega nell’attuale Parlamento è minuscola ma rinvigorita dal risultato elettorale, Salvini mira a egemonizzare il corpaccione berlusconiano con i referendum e il suo movimentismo, è pronto a correre alle primarie per la leadership della coalizione se mai si faranno, non ha più bisogno dell’emendamento salva-Lega nella legge elettorale, come appena due mesi fa. Ad averne disperata necessità, semmai, sono gli alfaniani. Con quelle percentuali, se vigessero ancora le regole della vecchia politica, difficilmente potrebbero conservare tre ministeri-chiave come l’Interno, le Infrastrutture e la Salute. Invece non succede nulla, per Renzi il problema è superato in partenza, mai in tre mesi di governo si è fatto fotografare accanto a un ministro dell’Ncd, mai Alfano ha messo piede nella sala delle conferenze stampa di Palazzo Chigi. Quando il premier ha visitato l’Expo milanese Maurizio Lupi era a distanza, e meno male che i rapporti personali tra i due sono ottimi.
La caccia all’anti-Renzi vede fuori gioco, almeno per ora, Alfano, indeciso se tornare a casa, ad Arcore, o rassegnarsi a un destino da cespuglio di destra del renzismo. L’operazione Ncd è fallita, alle prossime elezioni rientreranno in pochi fortunati, qualcuno è governativo per convinzione (Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo), il resto dei peones torna a guardare in direzione di Forza Italia, dove si spera nel fatto nuovo, un colpo di scena, una classe dirigente più accogliente di quella che circonda Berlusconi. Il triumvirato composto da Francesca Pascale, Mariarosaria Rossi e Alessia Ardesi, la portavoce della fidanzata di Silvio, con il contorno del racconto sulle imprese di Dudù «che sta facendo finire la nostra storia nel ridicolo», impreca un deputato forzista, e dei veleni a mezzo stampa verso i pretendenti al trono azzurro. A partire da Fitto, su cui si abbatte la maledizione di Berlusconi: «Mi vuole commissariare, mi giudica morto». L’idea di votare su un documento firmato da Berlusconi e di creare, per la prima volta nella storia del partito azzurro, una maggioranza e una minoranza non ha seguito neppure tra i critici, «perché da noi le minoranze non hanno mai avuto vita lunga», sospira un fittiano.
Servirebbe un’abdicazione modello Juan Carlos, e senza indicazione dell’erede, una stagione repubblicana nel centro-destra per scegliere una strategia e un leader che contrasti Renzi-pigliatutto. E invece i sudditi si ribellano, ma il monarca di Arcore preferisce trattare in prima persona la resa con Renzi, una rendita di posizione che gli consenta di atteggiarsi a padre della patria, indispensabile per riscrivere la Costituzione. Apprezza le bordate del premier contro la Rai, lui non avrebbe saputo fare di meglio, a beneficiarne è la sua Mediaset. Un ritorno all’ispirazione originaria, venti anni fa era entrato in politica per questo motivo. Non ha più la forza di uscire dall’angolo, ma è ancora in grado di bloccare i candidati alla successione: Salvini è un’altra generazione, Alfano si è distaccato, con Fitto è rottura, da Giorgia Meloni si sente distante ideologicamente, di facce nuove come il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo non si fida. L’unico anti-Renzi che l’ex Cavaliere concepisce è se stesso. Ma con un avversario così il premier fiorentino può durare vent’anni. E il berlusconismo si chiude con un’altra anomalia: dopo aver bloccato per due decenni l’elettorato moderato ora rischia di consegnarlo alla sinistra. E a una nuova stagione di democrazia bloccata.
Centrodestra, cercasi leader disperatamente