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    Predefinito Inchiesta sul Mose di Venezia: "Così rubavano i fondi al Sud"

    Così rubavano i fondi al Sud

    Le intercettazioni tra Milanese e un faccendiere mentre al ministero dell'Economia c'era Nicola Cosentino



    Il Mose, la barriera idraulica di protezione per Venezia

    NAPOLI - Una montagna di soldi. E un gruppo potente, una cricca in grado di manipolare miliardi di euro di fondi pubblici, influendo ai massimi livelli sul governo. C'è un capitolo dell'inchiesta della Procura di Venezia sul Mose — il sistema di protezione di Venezia dall'acqua alta — che scrive una pagina nuova nella storia della corruzione: soldi destinati alle aree sottosviluppate del Sud Italia che vengono dirottati al Nord.SOLDI A VENEZIA - Quattrocento milioni di euro, per la precisione, che finiscono per oliare gli ingranaggi della più grande opera in costruzione in Italia, quella del Mose, nel Veneto produttivo. È successo nel 2010, secondo la ricostruzione del Tribunale di Venezia, quando il sottosegretario all'Economia del governo Berlusconi era il casalese Nicola Cosentino. Il Consorzio Venezia Nuova (Cvn) ha bisogno di soldi, centinaia di milioni, che una norma sui fondi del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) vincolava al Sud: l'85% per le aree sottosviluppate del Mezzogiorno, il restante 15% per il Nord. Ma i 400 milioni di cui aveva assolutamente bisogno il Cvn «avrebbero sforato tale percentuale - scrive il gip di Venezia - e non sarebbero stati registrati dalla Corte dei Conti». Nessuna possibilità di deroga. Sempre se non si hanno i contatti giusti. È a questo punto che si attiva il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, un uomo con «solidi e concreti collegamenti e contatti» con uomini chiave al ministero dell'Economia, allora retto dall'on. Giulio Tremonti, e a quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato allora dall'on. Altero Matteoli.
    L'UFFICIO ROMANO - C'è un ufficio «speciale» del Consorzio Venezia Nuova, che il consorzio veneziano usava per curare i contatti romani: una sede strategica a Roma dalla quale partivano la maggior parte delle telefonate verso i funzionari della capitale, uomini introdotti ad altissimi livelli nei ministeri, tanto da trasformare il Consorzio - scrivono i magistrati - in «una vera e propria lobby o gruppo di pressione per ottenere modifiche normative». E c'è un mediatore, Roberto Meneguzzo, a capo di una finanziaria milanese con sede operativa a Vicenza - la Palladio Corporate Finance Spa - legato a doppio filo a Marco Milanese, consigliere del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Sono loro, al momento giusto, i soggetti in grado di interloquire con le alte sfere romane per sbloccare la situazione. All'ufficio di Roma del Consorzio - gestito, pare, da una segretaria di Mazzacurati - il 29 aprile 2010 arriva una telefonata del dott. Lorenzo Quinzi, direttore dell'Ufficio di gabinetto del ministro dell'Economia, diretta al manager del consorzio veneziano: «Ieri (Quinzi, ndr) ha avuto una riunione con Incalza per i 400 nostri - spiega la segretaria al capo - e ci sono dei problemi, adesso glielo passo così le spiega bene». Mazzacurati e Quinzi studiano la strategia giusta. Per cambiare la norma e sbloccare i fondi vincolati al Sud è troppo tardi, e «lei capisce che ritarda tutto…tutti i termini dell'operazione insomma», argomenta il dott. Quinzi. La situazione è in stallo.
    L'INCONTRO CON LETTA - Mazzacurati si muove, il 29 aprile 2010 incontra a Palazzo Chigi Gianni Letta (non indagato), allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E tramite Meneguzzo quello stesso giorno incontrerà anche Milanese, braccio destro di Tremonti. Si rivelerà il contatto decisivo. I tentativi con Letta, infatti, non daranno i risultati sperati. Anche al ministero delle Infrastrutture non sono abbastanza veloci: «Però pure questi delle Infrastrutture… - si lamenta con Mazzacurati la segretaria dell'ufficio romano del Consorzio - Sono mesi che gli dico che bisogna fare 'sta norma, e non la fanno. E mio Dio. E non capisco, qua». A prendere in mano la situazione è Meneguzzo della Palladio Spa, che invita Mazzacurati a interrompere i rapporti con il ministero delle Infrastrutture: ormai è Milanese che si occupa della questione. In effetti il 13 maggio il Cipe adotta una delibera, la 31/2010, in cui «si stabilisce che il residuo disponibile del fondo infrastrutture, 1.424,2 milioni di euro, sia assegnato…ad una serie di opere prioritarie, tra le quali opere di difesa idraulica in ambiti urbani di rilevanza sovranazionale», tra cui rientrava il Mose. Il gioco è quasi fatto. Basta un altro intervento del ministero dell'Economia in Consiglio dei Ministri introdurre una deroga rispetto all'85% dei fondi per le aree sottosviluppate del Sud. E la delibera puntualmente arriva, il 25 maggio 2010, preannunciata da un sms di Milanese al mediatore Meneguzzo («Ciao Roberto…al consiglio di domani sera c'è la norma per il Mose! Avverti il ns amico e tranquillizzalo!!!!»).
    LA «PROVVISTA» - A questo punto i contatti tra Mazzacurati e gli altri imprenditori del consorzio si fanno frenetici. Quello stesso giorno si tiene a Venezia una riunione «importante» al Consorzio «per preparare la provvista - scrivono i giudici - da dare a Milanese e Meneguzzo». I 400 milioni arrivano al Mose. Quasi il 30% dei fondi del Cipe: il doppio di quelli che sarebbero stati destinati al Nord Italia.
    12 giugno 2014


    Così rubavano i fondi al Sud - Corriere del Mezzogiorno
    Ultima modifica di Napoli Capitale; 12-06-14 alle 13:10

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    Predefinito Re: Inchiesta sul Mose di Venezia: "Così rubavano i fondi al Sud"


 

 

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