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Discussione: Avanti!

  1. #151
    ___La Causa del Popolo___
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    Predefinito Re: Avanti!

    Citazione Originariamente Scritto da Ernesto Visualizza Messaggio
    Per quello che mi concerne i termini socialismo e liberale cozzano assolutamente tra loro, sono ossimori.
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

  2. #152
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    Predefinito Re: Avanti!

    Citazione Originariamente Scritto da Ernesto Visualizza Messaggio
    Per quello che mi concerne i termini socialismo e liberale cozzano assolutamente tra loro, sono ossimori.

    (…) Teoricamente, il rapporto fra liberalismo e socialismo può essere posto (…) in questi termini: il liberalismo è principalmente un metodo, il socialismo è principalmente un ideale. Il nesso fra l’uno e l’altro sta nell’essere quell’ideale raggiungibile per Rosselli soltanto con quel metodo. La violenza può essere giustificata soltanto come risposta alla violenza altrui. Ne deriva una condanna dei “barricadieri”, la cui idealizzazione della violenza rivoluzionaria è generalmente un ricordo libresco, e del massimalismo diciannovista che, dopo avere inneggiato alla rivoluzione con l’unico risultato di suscitare la reazione degli avversari minacciati di sterminio, si limitò a erigere barricate di schede e di ordini del giorno. Ma l’ammonimento più grave è venuto dalla Russia, ove la dittatura, condannata ormai anche da Trockij in esilio, ha dimostrato il valore essenziale, non storico o contingente, delle istituzioni democratiche. La superiorità del metodo democratico, e quindi del liberalismo, dipende dall’essere fondato su quella visione antagonistica della storia che è la più alta espressione della civiltà moderna, una visione che, avendo ripudiato ogni finalismo e ritenendo più importante il movimento verso il fine che non il fine medesimo, non permetta di sacrificare il fine al metodo. Di conseguenza le regole del gioco dovranno essere rispettate “anche e soprattutto quando sarà padrona del governo una stabile maggioranza socialista, anche quando i punti essenziali del programma riformatore saranno sulla via di essere realizzati”.
    Tuttavia, il socialismo liberale non coincide in tutto e per tutto con la socialdemocrazia, anche se Rosselli non nasconde la sua simpatia per i partiti socialdemocratici, in modo particolare per i laburisti inglesi. A precludere questa identificazione interviene il modo con cui giudica il rapporto fra liberalismo e socialismo dal punto di vista storico. In genere i socialdemocratici, considerandosi prima socialisti che non democratici, ritengono di essere l’antitesi della tradizione liberale. Al contrario, per lui il movimento socialista è la “logica conseguenza” o “l’erede” (sono espressioni che ricorrono spesso) del liberalismo. In che senso? Nel senso che posto come problema essenziale della storia umana il problema della libertà, ed è il problema posto dal liberalismo come filosofia della libertà, il socialismo è il grandioso movimento storico che tende a rimuovere altri ostacoli alla libertà oltre quelli rimossi dalle rivoluzioni borghesi contro l’assolutismo. E questo fine non si raggiunge certo con la collettivizzazione, soprattutto se è forzata, ma con la democratizzazione del regime di fabbrica, che è una misura di libertà. Certo, se per socialismo s’intende il collettivismo, socialismo e liberalismo sono agli antipodi. Ma se per socialismo s’intende, come il movimento operaio adulto intende, meno privilegi e più libertà, il socialismo è storicamente lo sviluppo conseguente del liberalismo. È appunto in nome della libertà, ossia del valore supremo introdotto nella storia dal liberalismo, che i socialisti lottano per la fine dei privilegi.
    Infine da un punto di vista più strettamente politico, il rapporto fra socialismo e liberalismo si può configurare come rapporto fra teoria e prassi. Il liberalismo è la teoria “la forza ideale ispiratrice”, il socialismo, impersonato dal movimento operaio, dal proletariato alleato di volta in volta con l’ala più avanzata della borghesia, è la prassi, “la forza pratica realizzatrice”. La borghesia, raggiunti i propri scopi, ha cessato di essere una classe progressiva, anzi è diventata, e sempre più diventerà, conservatrice e tenterà di arrestare il moto storico verso la libertà da essa stessa iniziato. Il liberalismo è stato ed è tuttora una grande forza rivoluzionaria, e come tale è destinato ad attuarsi “in tutte le forze attive, rivoluzionarie della storia”. Non c’è dubbio che oggi la forza attiva e rivoluzionaria della storia sia il proletariato. Dunque il socialismo, in quanto riconosce come suo soggetto storico il movimento operaio, non solo è rispetto al liberalismo l’erede storico, ma è anche concretamente il nuovo esecutore dello spirito liberale. Chi si muove fiduciosamente in favore degli oppressi si muove “nello spirito del liberalismo e nella pratica del socialismo”.
    (…) Non è del tutto esatto che Socialismo liberale sarebbe stato uno sorta di seconda redazione della tesi di laurea [sul sindacalismo, che Rosselli aveva discusso nel luglio 1921 all’Istituto di scienza sociali “Cesare Alfieri” di Firenze], come del resto osservò a suo tempo Garosci, secondo cui anche “se Socialismo liberale è la maturazione, o la correzione, o la ripresa della tesi giovanile…, esso non ne costituisce però una continuazione e un rifacimento… Anche se con nuovi e sicuri limiti scientifici, Socialismo liberale resterà un libro non di storia, ma di affermazione, di fede, di azione”. Ciò nonostante, non si può non essere sorpresi nel leggere in questo lavoro giovanile (quando lo scrisse Rosselli aveva ventidue anni) brani in cui è già chiaramente contenuto il germe del suo pensiero più maturo. Ne cito due: Il socialismo. Parola oscura, paurosa, utopistica, per gli uni, chiara e luminosa, reale e realizzabile, per gli altri. Ma in che cosa consista il processo socialista nessuno lo sa. Non vi sono che i materialisti gretti, che con parole chiare e precise ce lo definiscono e ce lo analizzano in tutti i suoi elementi; ma essi del socialismo non vedono che un lato solo, l’economico, il fatale, l’inderogabile. La parte morale, pur non disprezzandola, viene riposta dai più al secondo piano, o completamente trascurata”; “È inutile affannarsi a negare il carattere religioso del socialismo; esso è; la massa convinta lo rende tale. Inutile affermare che il carattere essenziale del socialismo è l’economico; quando esso penetra nel popolo, sia pure facilitato nella penetrazione da questo suo innegabile carattere economico, si trasforma, si allarga. Il vero socialista è un religioso; il socialismo è fede”.
    Norberto Bobbio - Dalla “Introduzione” a “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli, Einaudi, Torino 1979
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  3. #153
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    Predefinito Re: Avanti!

    Nasce o muore la Sinistra italiana?

    Nasce il cantiere della sinistra che ritiene Renzi e il suo Pd un partito di centro, se non addirittura di destra. Le domande che mi sorgono spontanee sono tre. Che sinistra si intende fondare, e con chi? C’è spazio con questa legge elettorale per un polo, o partito, che si collochi alla sinistra del Pd? E, infine, si può pensare che un partito socialista ne faccia parte? Vengo a rispondere naturalmente esponendo opinioni mie. La sinistra che si vuole fondare non è mai stata una sinistra stimolante. Si basa sul tentativo di rivedere le nostre revisioni, riportandoci a un vecchio linguaggio che pare si debba dedurre dalla crisi economica e finanziaria. Unisce i suoi fondatori la lotta al cosiddetto liberismo, a cui si dovrebbe contrapporre una nuova, ma in realtà vecchia, idea vetero socialista. Non a caso i suoi levatori sono oggi vecchi sindacalisti, esponenti di Sel e soprattutto ex democratici che si oppongono a Renzi in nome della conservazione e addirittura ex dirigenti di Rifondazione in cerca di un approdo per il loro comunismo.

    Si tratta di un misto di reducismo e di massimalismo conservatore che ha qualche fautore in Europa. Ma in realtà un solo recente precedente, e cioè quello di Tspiras, poi sconfessato anche lui, e del partito degli scissionisti ellenici che però sono stati beffardamente sconfitti alle recenti elezioni. Personalmente ritengo invece che proprio la crisi rilanci il socialismo liberale, un’idea nuova di società solidale, una strategia di forte compenetrazione tra pubblico e privato, un nuovo orizzonte di responsabilità anche diretta dei lavoratori nella conduzione delle imprese, lo spostamento di risorse verso le nuove opportunità di lavoro per i giovani. E qui introduco il secondo ragionamento. E cioè quello relativo allo spazio di una formazione del genere a fronte del nostro sistema elettorale che è ancora più rigido di quello greco. Certo una posizione di questo tipo, vedasi la Rifondazione di Bertinotti, aveva sfiorato in Italia il 10 per cento. Poi, però, la stessa formazione, unita ad altri alleati, nel 2008 non ha raggiunto il quorum ed è rimasta esclusa dal Parlamento. Si è trattato di una conseguenza del cosiddetto voto utile. Cioè in presenza di una legge che propone uno scontro tra due poli, quello posto più alla sinistra, ma varrebbe anche per quello posto più alla destra, viene giudicato inutile e anzi dannoso perché il voto a questa posizione favorisce inevitabilmente l’avversario più lontano. Fanno naturalmente eccezione a questa regola i grillini che non sono né di destra, né di sinistra. Il voto a loro è consapevolmente contro la destra e la sinistra. È un voto volutamente dannoso per entrambi.
    A maggior ragione questo schema funzionerà con l’Italicum, che per ora non prevede le coalizioni, e dunque porrebbe questa lista ancora più necessariamente in conflitto con quella del Pd e funzionale a facilitare la vittoria dei grillini o del centro-destra, nel nostro nuovo sistema tripolare. Ma anche se l’Italicum venisse cambiato e fossero reintrodotte le coalizioni costoro dovrebbero o collocare la loro lista all’interno di un’alleanza di aperto sostegno a Renzi, contro il quale si sono mossi e stanno fondando la sinistra che non c’è, o ugualmente presentarsi in autonomia con le controindicazioni prima richiamate. L’ultima domanda merita una risposta breve. Non ho mai pensato che i socialisti italiani potessero recuperare, in una posizione di collaborazione, coloro che hanno vissuto come un disastro la caduta del muro di Berlino. Peraltro senza aderire al socialismo europeo, ma alle posizioni dell’estrema sinistra alla La Fontaine che nulla hanno a che fare con la socialdemocrazia europea. Non penso che lì, come ho già detto alla conferenza programmatica del Psi, si possa verificare un risorgimento del socialismo italiano, ma invece il suo opposto, e cioè una decadenza dal socialismo europeo e di quello rappresentato dal Psi che noi abbiamo conosciuto e frequentato.

    M. Del Bue

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  4. #154
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    Predefinito Re: Avanti!

    La canna del gas di Nardella


    In un’intervista al Corriere il sindaco di Firenze Dario Nardella, figlio naturale della cerchia renziana doc, ha sostenuto la necessità di aprire un discorso serio col centro per costruire una sorta di partito della Nazione, quello che alla nostra conferenza programmatica è stato definito il partito tricolore: bianco, rosso e Verdini. Ha sostenuto infatti che la socialdemocrazia sarebbe alla canna del gas. Oddio, a guardare dai risultati alle regionali francesi non sembra proprio. Una certa quantità di ossigeno risulta essere stata assicurata. Per non parlare del Spd tedesca che è al governo con la Merkel senza annunciare la sua prossima morte per asfissia. I laburisti sono vivi e vegeti e la polemica tra Corbyn e Benn è sintomo di uno stato tutt’affatto catatonico. Perfino il buon Papandreu ha dato segni di rinascita con le ultime consultazioni. Respira. Poi emerge una domanda scontata. Perché Nardella ha approvato l’ingresso del Pd nel Partito socialista europeo? Voleva forse soffocare anche lui?

    M. Del Bue

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  5. #155
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    Predefinito Re: Avanti!

    Condannati all’oblio

    Non è da oggi che si intende oscurare la storia del socialismo riformista e liberale italiano: quello che va da Turati a Rosselli, fino a Nenni e Saragat, per raggiungere il Psi di Craxi. Siamo ormai abituati, e molte versioni del Pd lo testimoniano, al recupero di altre due tradizioni. Da un lato quella che, partendo da Togliatti, del quale pure si riconoscono errori, arriva a Berlinguer, dall’altro quella che, dalla sorgente di De Gasperi, che di Togliatti fu feroce avversario, si congiunge alla foce di Moro e Fanfani, attraverso gli affluenti di Dossetti e La Pira. Quest’ultima peraltro pare oggi quella più in voga nel gruppo dirigente renziano. L’altra sembra più confinata in soffitta, ma tutelata.

    Quel che è avvenuto l’altro giorno in Consiglio comunale di Reggio Emilia in occasione della celebrazione del settantesimo anniversario del consesso repubblicano é un’altra perla della stessa catena. Si è scelto di trattare il contributo dei liberali, dei repubblicani, degli ex missini, dei verdi e anche dei leghisti, con il suo esponente Gabriele Fossa presente in camicia verde, tutti chiamati al tavolo dei relatori, assieme al fratello di Prodi, Quintilio, in rappresentanza della Dc. Dei socialisti solo un’anziana militante degli anni cinquanta a testimoniare la sua vocazione unitaria. Si é completamente ignorato il grande conflitto-collaborazione tra socialisti e comunisti che ha animato la storia di questo cinquantennio, e in particolare ha costituito il cuore della politica reggiana ed emiliana dal 1980 al 1990. La questione socialista ha animato il confronto politico, culminato con la rottura della giunta Pci-Psi nel dicembre del 1982, poi con la costituzione della giunta pluralista Pci, Psi, Psdi e Verdi del 1987 e infine con la perdita della maggioranza assoluta del Pci e col successo socialista del 1990.
    Anche nelle immagini dei protagonisti che sono apparse nel corso dell’iniziativa ci sono dimenticanze emblematiche. Lasciamo perdere la mia che pure non ho dato un contributo marginale in diciotto anni di presenza in Consiglio, compresi quelli da vice sindaco, poi negli ultimi cinque da assessore, ma anche quella di personaggi storici comunisti e democristiani. E ahimè perfino dell’ex sindaco Antonella Spaggiari, completamente oscurata e solo ricordata con una citazione nel corso delle conclusioni del sindaco Vecchi, dopo la sua rottura col Pd. Ignoranza, supponenza, volontà di colpire gli eretici? Non saprei. Io sono stato ricordato come storico e forse in questa dimensione è giusto che non demorda e continui a battermi perché la storia sia storia di verità e non di manipolazioni ad uso e consumo di chi comanda.
    Perché la storia socialista viva ancora, nonostante tutte le dimenticanze passate (nella Costituente si ricordano sempre, nella mia città, Nilde Iotti che ebbe un ruolo marginale, e Giuseppe Dossetti, quasi mai Meuccio Ruini, che svolse invece una funzione fondamentale, e mai il socialista democratico Alberto Simonini che nella Costituente assunse il ruolo di leader politico) vale ancora la pena impegnarsi. Si è celebrato Camillo Prampolini e nell’apposito comitato del 2008 solo una durissima polemica ha indotto le autorità a permettere una presenza socialista. Potrei continuare. Di una cosa sono certo. Finché avrò voce non smetterò di battermi per denunciare questa assurda e violenta, continua discriminazione. Perché chi non ha il coraggio della memoria, anche quando la memoria è dura da digerire, non può avere la forza di costruire il futuro.

    M. Del Bue

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  6. #156
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    Predefinito Re: Avanti!

    Gelli, Renzi e la P2 – Interviste a Claudio Martelli e Rino Formica


    Il Mattino
    giovedì 17 dicembre 2015

    Martelli: «Sulla P2 molte pagine oscure. E anche oggi legami sospetti»

    Di Antonio Marzo


    Onorevole Claudio Martelli, lei ha conosciuto Gelli e ne è stato anche vittima. Cosa resta, 35 anni dopo, di quel ciclone politico-istituzionale che fu suscitato nel maggio del 1981 dalla pubblicazione della lista degli iscritti alla Loggia P2, sequestrata due mesi prima, a Castiglion Fibocchi nella villa di Licio Gelli?
    «Trentacinque anni dopo c’è ancora un tramestio di legami sospetti, coperti, tra gruppi di interesse, grande finanza e politici. Poi, a parte, ci sono delle continuità locali, per esempio in Toscana. Penso anche all’articolo con cui Ferruccio de Bortoli si è congedato dal Corriere della Sera con l’accenno, tutt’altro che mascherato, all’odore stantio di logge massoniche. Dunque, uno dei più autorevoli giornalisti italiani ci dice che, trentacinque anni dopo, i vertici del potere politico puzzano di massoneria, deviata o non deviata che sia».
    Torna la massoneria che dirige tutto e tutti?
    «Intendiamoci, c’è massoneria e massoneria. La Francia ne è piena, come l’America, la Spagna, l’Inghilterra. Non è il caso di confondere la massoneria, anche quella italiana, con Licio Gelli o con quell’odore stantio di cui parlava de Bortoli. Bisogna capire che quella riservatezza che in realtà è segretezza, è arma di reclutamento e di ricatto al tempo stesso. A chi viene blandito, adescato e reclutato si promette la segretezza della sua adesione ma in realtà proprio questo diventa strumento di ricatto».
    Lei non era iscritto alla P2. Ha incontrato Gelli tre volte, in quei primi anni Ottanta. Poi lo stesso Gelli l’ha incastrato nel processo della maxitangente del Conto Protezione.
    «Non mi incastrò, mi diffamò come sentenziarono i giudici di Roma dopo la mia querela. Viceversa, i magistrati di Milano che a loro volta avevano condannato Gelli per calunnia nei loro confronti, gli credettero quando si trattò di me».
    Pagarono tutti per la P2?
    «C’è stato chi se l’è cavata alla grande e chi ha pagato molto, al di là delle sue responsabilità. C’erano carte di gran lunga più compromettenti che non fecero scandalo. Ad esempio, quelle che riguardavano il patto di spartizione della stampa italiana, patto siglato tra Licio Gelli e Caracciolo, editore di Repubblica ed Espresso, interessatissimo all’acquisizione del Messaggero».
    Chi copriva politicamente Gelli?
    «Il riferimento politico di Gelli era Giulio Andreotti. Intendiamoci, a quei tempi e fino a Castiglion Fibocchi, Gelli era riverito e cercato da molti e da molti politici. Il Corriere della Sera dedicò una intera pagina a una sua intervista firmata da Maurizio Costanzo. Nell’intervista Gelli si definiva come il grande burattinaio dell’Italia. Mi ricordo uno spassosissimo articolo di Indro Montanelli che andò all’hotel Excelsior di Roma volendo incontrare Gelli. Gli avevano detto di chiedere dell’ingegner Lombardi. Montanelli, perso nei corridoi dell’hotel, chiese ad una cameriera: dov’è l’ingegner Lombardi? E la cameriera: ma quale Lombardi, se cerca Gelli sta in quella stanza. Il potere di Gelli era il segreto di Pulcinella dell’Italia dell’epoca. E il suo piano era più che noto. Lo sintetizzò il direttore del Corriere della Sera del tempo, Di Bella, che scrisse: ”Ci vuole un governo con presidente il generale Dalla Chiesa e ministro dell’Interno Giancarlo Pajetta (leader di spicco del Pci di allora)”. La P2 fu anche una sorta di compromesso storico in salsa gelliana. Del resto, il trasversalismo e le ammucchiate sono l’ambiente ideale per i poteri opachi e oscuri».
    Ci fu persino chi, all’epoca, sostenne che le liste di Gelli non fossero vere o fossero inattendibili. Fu l’ultima diga che tentò di innalzare tutto il gruppo di potere reale gestito da Gelli e i suoi o c’era anche qualcosa di vero su una sorta di processo politico imperniato sulla massoneria deviata?
    «Gran parte delle carte erano vere, ma alcuni nomi furono cancellati per carità di patria. C’è un aspetto stupefacente di quei giorni. Gelli era indagato però ebbe il tempo di scappare portandosi via dodici valigie. Ne lasciò a casa solo due, quelle in cui c’erano le liste con annotazioni oltre che le carte del Banco Ambrosiano. I pm dissero che fu un raid improvviso, è probabile. Ma su questo si innestò un’operazione politica».
    Quando lei divenne nemico di Gelli?
    «Quando lo chiamai pubblicamente lestofante. Furibondo, prima tentò di tirare dentro Craxi e me, ma riuscimmo a difenderci. Poi tornò alla carica con i suoi metodi ricattatori. Tra le carte della P2 spiccavano quelle sul Banco Ambrosiano. Tra queste carte c’erano fogli compromettenti per il Psi, per De Benedetti e per lo stesso Scalfari. Secondo gli appunti di Gelli, in cambio del silenzio stampa, Calvi avrebbe garantito un miliardo a settimana al gruppo editoriale Caracciolo. In istruttoria il giudice Squillante escluse responsabilità di Scalfari».
    I 120 volumi degli atti della commissione parlamentare d’inchiesta che stroncò Gelli furono definiti come letteratura di caccia alle streghe con fogli acchiappa fantasmi, perché anche tanto livore contro il lavoro d’inchiesta parlamentare?
    «È bene rileggere Tina Anselmi, meglio ancora rileggere la relazione di minoranza di Massimo Teodori. C’è chi fu danneggiato da quell’inchiesta parlamentare: penso ad esempio a Fabrizio Cicchitto che aderì per errore, per ingenuità, in quel gorgo di ricatti che Gelli aveva creato. Ma ci furono anche tanti che la scamparono».

    La Stampa

    giovedì 17 dicembre 2015

    Rino Formica: “Incarnava lo Strapaese che puntava alla Stracittà”
    “In questo ci sono similitudini col renzismo”

    di Fabio Martini


    Col proverbiale gusto per le battute, Rino Formica scandisce il suo ultimo aforisma: «Quaranta anni fa, era il 1975, Gelli dava inizio alla scalata della P2 e quello stesso anno nasceva Matteo Renzi. Un passaggio di testimone, simbolico naturalmente, ma c’è qualcosa che unisce due destini toscani da parvenu: è lo Strapaese che vuole conquistare la Stracittà…». Ottantotto anni, lucidità e acume persino acuiti dall’età, già ministro socialista, Rino Formica ha vissuto da protagonista gli ultimi 25 anni della Prima Repubblica e da un ventennio segue la politica con una curiosità e una libertà di pensiero che ne fanno uno degli osservatori meno conformisti.
    L’interpretazione della figura di Licio Gelli è oscillata per decenni: potente per caso e pasticcione di provincia o terminale di poteri fortissimi, massonici e americani?
    «Gelli ha gestito per anni una casella postale. Un episodio per capirne il ruolo. Nella lista P2 c’era, tra i tanti, un capo dei Servizi, il generale Miceli che a suo tempo dichiarò davanti al Parlamento di avere rifiutato il nulla-osta di sicurezza al presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Se un capo dei Servizi fa un simile rifiuto, aveva bisogno di stare sotto Gelli?».
    Però la P2 è riuscita a condizionare la storia del Paese, come ha fatto?
    «Alla P2 aderivano personaggi che avevano alte responsabilità, ma che non rispondevano alle istituzioni del proprio Paese e semmai ad istituzioni sovranazionali. Personaggi spregiudicati, a cominciare da Gelli».
    Al di là dei singoli episodi chi è stato Licio Gelli?
    «Uno che diceva ai suoi interlocutori: io gestisco sta’ casella e voi fatemi fare affari…».
    E gli interlocutori cosa chiedevano in cambio?
    «Bassi servizi, lavori sporchi. Per esempio la gestione del terrorismo nero»
    In cosa Gelli ha cambiato la storia del Paese?
    «Il ruolo di Gelli e della P2 si spiega così: nel dopoguerra l’Italia diventa terra di frontiera, l’Ovest aveva interesse che la frontiera fosse ben presidiata, l’Est che fosse più slabbrata possibile. L’Italia, utilizzando gli accorgimenti di chi presidia la frontiera, doveva essere garbato con entrambi e sgarbato di volta in volta con l’uno o con l’altro. In questa alternanza ogni tanto usciva dalle righe e si aprivano spazi per i mestatori. Poi con l’89 è finita la birra»
    Alla fin fine con la scoperta delle carte di Gelli, finisce anche il suo potere?
    «Sulle carte non c’è una grande chiarezza. Alcune sono state trovate, altre no. Erano a difesa di Gelli, non sono mai servite per accusarlo. Lui teneva la “riserva” e infatti è morto nella sua villa».
    Lei è arrivato ad immaginare Renzi come il prosecutore di una certa idea della politica di Gelli: non è troppo?
    «Pur in tempi così diversi, mi limito ad osservare una certa similitudine tra due clan della provincia toscana, dove la politica si continua a fare nelle sale da barba, i traffici immobiliari nello studio del notaio, i matrimoni in parrocchia. Clan con i loro vizietti, che vanno alla conquista di un grande centro di potere mondiale come Roma. Tra le due epoche c’è una certa differenza: non presidiamo più la frontiera e sul piano economico non siamo eccezionali più in nulla. Per essere competitivi, non basta aver scoperto la frutta e verdura! E quanto al piano politico la differenza è decisiva: questo governo non fa una elaborazione ex ante, ma ex post. Il riformismo modernizzatore anticipa non si limita ad adattarsi all’emergenza».

    Gelli, Renzi e la P2 ? Interviste a Claudio Martelli e Rino Formica | Avanti!



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  7. #157
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    Predefinito Re: Avanti!

    1992 a La7: cosa avrei detto io

    Enrico Mentana ha ripreso il film di Sky sul 1992, concludendolo con un lungo dibattito al quale hanno partecipato Di Pietro, Feltri, Gori e il nostro Bobo Craxi. Se avessi avuto la possibilità di intervenire avrei posto le seguenti questioni, oltre a quelle trattate da Bobo:


    1) A Di Pietro avrei obiettato la legittimità dei diversi processi che si sono conclusi dopo interrogatori svolti attraverso il ricorso al carcere preventivo degli imputati, negato dalla legge se non in tre esclusivi ed eccezionali casi. E per Craxi utilizzando il teorema del “non poteva non sapere”, negato per gli altri segretari politici, poi comminando al leader del Psi condanne a decine di anni di carcere. Craxi è stato l’unico leader politico italiano condannato al carcere, praticamente all’ergastolo, mentre tutti gli altri leader politici italiani di un sistema dal finanziamento irregolare ed illegale, potevano stare in libertà. Alcuni condannati, altri nemmeno indagati. Potremmo citare Forlani, Andreotti, La Malfa, Altissimo, per non parlare di Occhetto e D’Alema. E’ stato tutto questo equo, equilibrato, obiettivo?


    2) Sui processi a Craxi è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha sentenziato non esservi stato il crisma del giusto processo. Per di più le tre sentenze sul primo capo di imputazione riferite alla Metropolitana milanese sono state tutte emesse in pochi mesi, caso unico nel sistema giudiziario italiano.


    3) Sulle dichiarazioni di Di Pietro, che ha sostenuto la tesi dell’arricchimento a fini personali del leader del Psi e degli altri uomini politici della Prima Repubblica, avrei rinviato alla lettura di una intervista di Gerardo D’Ambrosio, che era parte attiva del Pool Mani pulite, in cui si sosteneva, almeno per Craxi, esattamente il contrario. E cioè che i finanziamenti erano a scopo politico. Di Pietro e D’Ambrosio avevano notizie differenti? Non sono in grado di dire chi dei due abbia detto la verità. Solo di mettere in contrasto le due opinioni.


    4) Mi spiace che non sia masi stato citato il libro di Niccolò Amato, che smantella punto per punto tutte le accuse e le sentenze, che appaiono invero di stampo politico, che hanno coinvolto Craxi. E soprattutto che non sia stata citata la prefazione di Vittorio Feltri che, contrariamente a quello che ha sostenuto in televisione, ha scritto di essere stato ad Hammamet a chiedere scusa a Craxi per i suoi articoli scritti ai tempi dell’Indipendente. Altro che beatificare Di Pietro le sue “ottime inchieste”, come ha dichiarato egli stesso nel corso del dibattito.


    5) Infine avrei insistito sulle tesi sostenute dall’ambasciatore americano Bartholomew, sulle sue preoccupazioni attorno alla legittimità dell’operazione Mani pulite e sulle ammissioni del console Semler che ha ricordato invece i suoi molteplici incontri con Di Pietro che gli avrebbe riferito mesi prima dell’obiettivo di colpire Craxi. Perché questi rapporti tra un magistrato e una potenza straniera?


    Dico tutto questo non rinunciando alle mie posizioni di allora. Vedevo (fui all’epoca anche commissario del Psi di Pavia) le distorsioni della politica soprattutto nell’area milanese e compresi le ragioni dell’affermazione della Lega in quelle zone, dovute al progressivo distacco del paese reale, che poi si consumò più drasticamente a seguito delle indagini. Ne fu conseguenza, non causa, come Mentana sostiene. E aggiungo che l’errore fondamentale di Craxi fu quello di non capire il significato di rottura dell’ottantanove. Per questo non seppe anticiparne gli effetti sul sistema italiano. Ma il mio dissenso non si trasformò mai né in indifferenza, né in mancanza di solidarietà, atteggiamenti assunti invece da molti di quelli che avevano silenziosamente accettato tutte le scelte do Craxi. Ci tengo molto a sottolineare il mio comportamento che mi portò, sia pure da posizioni diverse (ero stato all’opposizione nel Psi, con Claudio Martelli) a votare alla Camera contro le autorizzazioni a procedere, firmando così la condanna nel 1994 del tavolo dei progressisti, il tribunale politico della gioiosa macchina da guerra.

    M. Del Bue

    1992 a La7: cosa avrei detto io | Avanti!
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  8. #158
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    Predefinito Re: Avanti!

    Orizzonti di gloria?

    Qualche considerazione politica su di noi. Leggo in giro un insieme di generose, o strumentali, illusioni. Ci sono coloro che lanciano la crociata della presentazione ovunque del simbolo socialista, dunque. Tranne naturalmente nel comune dove si candidano. Ragioniamo. Questa legge elettorale, che forse cambierà e forse no, prevede la fine delle coalizioni e il premio alla lista. Se non cambia dovremmo presentare una lista del Psi fuori da tutto. Esattamente come nel 2008. Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché dovrebbe prendere più voti oggi?

    Non l’abbiamo presentata quando le coalizioni erano previste e lo sbarramento era solo del 2% con possibilità di recuperare la prima lista sotto il due. Tabacci con lo 0,5 elesse sette deputati. Fu un errore? Io mi schierai allora a favore della presentazione della lista. La maggioranza di coloro che oggi lanciano lo slogan “O lista socialista o morte” allora si schierò a favore della presentazione di candidati nelle liste del Pd. E qualcuno di loro fu anche candidato. Mi spiegate perché oggi sarebbe invece naturale presentare una lista socialista quando non è possibile coalizzarla e lo sbarramento è salito al 3%?
    Qualora la legge cambiasse, o anche se non dovesse cambiare, potremmo invece puntare a una lista di coalizione con altri segmenti o movimenti o partiti del centro-sinistra che ci consenta di poter realisticamente puntare a raggiungere il quorum previsto. La ritengo l’unica via per evitare l’ingresso, come nel 2013, di nostri candidati nelle liste del Pd. Lo spettro può essere analizzato a tutto campo e abbiamo tutto il tempo per poterne ragionare insieme. Quello che mi sfugge è la ragione di accapigliarci, mentre tra pochi mesi si voterà per le amministrative nelle principali città italiane, sul “che fare” e con chi alle politiche del 2018. Si tratta di una evidente forma di distonia o di un bisogno di polemica in vista del congresso? Siamo una piccola formazione politica che non credo abbia subìto più di tanto la recente separazione di qualche dirigente in rotta sul Pd o di qualche altro ripiegato su Vendola. Siamo una piccola formazione politica che tutto abbisogna tranne che di polemiche distruttive.
    Possono, queste ultime, favorirne una crescita e un rilancio? Se questo fosse il vero intento allora perché non incoraggiare, anche attraverso la critica che personalmente non ho mai ovattato dalle pagine dell’Avanti, una generale e costruiva riflessione sulle nostre mancanze, sui nostri limiti, su talune nostre colpevoli distrazioni? Ad esempio, su uno sviluppo non pienamente soddisfacente della nostra conferenza programmatica che pure aveva sfornato decine di idee e animato un corpo di partito tutt’altro che rassegnato. Perché non aiutare l’Avanti e Mondoperaio che con immani sacrifici stiamo tenendo in piedi? Perché non partecipare più attivamente alle attività di elaborazione politica a cominciare dall’associazione Interessi comuni che abbiamo messo in campo ben prima che esplodesse lo scandalo delle quattro banche?
    Si preferisce parlar d’altro. Cioè delle elezioni del 2018, che magari si terranno in ben altra condizione politica e istituzionale. Cioè di un pacco vuoto senza preoccuparsi di ciò che contiene e senza occuparci del più prossimo impegno. Scrutiamo il futuro immaginando orizzonti di gloria senza vedere il presente nel quale rischiamo di impigliarci. Lo ritengo un errore. E come sempre mi permetto di segnalarlo.

    M. Del Bue

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  9. #159
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    Predefinito Re: Avanti!

    Al Congresso

    Il congresso nazionale si terrà in aprile. Il 20 febbraio il Consiglio Nazionale avvierà la macchina. Vi parteciperanno oltre 22.000 iscritti e, tra questi, il numero più alto di amministratori e di sindaci dell’ultimo quinquennio. Il 2015 è stato infatti un anno di adesioni significative da parte di eletti locali, provenienti sia da liste civiche che dal Pd. Lavoreranno con noi a partire dalla prossima primavera.
    Ora, un congresso si tiene per rinnovare i gruppi dirigenti, fissare alleanze, proporre temi di lavoro. Insomma, una strategia, come una forza politica autonoma deve fare. In queste settimane abbiamo presentato proposte di legge per modificare la legge elettorale (allargare il premio di maggioranza alla coalizione vincente) e sul nodo ‘migranti’. Entrambe terranno banco anche nei giorni a venire. Ma, prima di trattare singole questioni, conviene soffermarsi per dare risposta a una domanda: se c’è sintonia politica, come intuisco dalla preparazione della campagna elettorale per le amministrative di giugno, conviene dividersi in sede di congresso? Conviene far prevalere vecchie ruggini? No. Non conviene affatto. Colgo in una dichiarazione di Bobo Craxi un intento non dissimile. Se è così, occorre lavorare in questa direzione. Se poi verificheremo distanze siderali su alleanze e strategie che i socialisti dovranno coltivare, allora, e solo allora, ognuno prenderà la sua strada.


    Riccardo Nencini

    Al Congresso | Avanti!
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  10. #160
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    Predefinito Re: Avanti!

    I regali di Roma al Msi e al Pci-Pds-Ds-Pd…

    Siamo chiari. Se un Comune, come quello di Roma, regala di fatto una sede al Msi e applica un afflitto di 14mila euro l’anno alla sezione più prestigiosa del Pci-Pds-Ds e poi Pd, che non sono mai stati pagati, tutto questo non si configura nei fatti come finanziamento illecito? Per di più a scapito delle casse comunali, dunque pubbliche, dunque pagato direttamente dai cittadini. Ogni giorno la vicenda degli immobili del comune di Roma, regalati o quasi a singoli, a famiglie, a enti si accresce di nuovi inquietanti particolari. Siamo adesso arrivati ai partiti. Quali partiti? Non tutti, certo. Adesso emergono i partiti che più erano vicini alle ultime amministrazioni, quelle dei sindaci Alemanno e Marino.
    Possibile che nessuno se ne sia accorto prima? Ieri sottolineavo il fatto che alle negligenze del comune si siano accompagnate le tante accondiscendenze private. Non abbiamo più parole, oggi che emergono i particolari che si riferiscono a queste due sezioni di orientamento politico opposto. Quella del Msi, con sede a Colle Oppio, una delle culle della destra romana, esiste dal 1947 e il contratto d’affitto è rimasto fermo per settant’anni. Sapete a quanto ammonta anche adesso? A ben 154,92 euro l’anno. Dunque circa 13 euro al mese. Oggi la sede è frequentata dai giovani di Fratelli d’Italia e lì ha preso le prime mosse la stessa Giorgia Meloni. S’ode a destra uno squillo? Ecco che risponde subito eguale squillo a sinistra.
    La sede del Pci, poi Pds, Ds e infine Pd di via dei Giubbonari, alle spalle di Campo dei fiori, è sempre stata il simbolo della Roma rossa. Ma è diventata oggi il simbolo della sinistra al verde. Perché la sezione che fu di Achille Occhetto e Sandro Curzi e alla quale si iscrisse anche Giorgio Napoitano, non ha mai pagato l’affitto che ammonta a 14.910,48 euro l’anno. Così non pagando un anno, poi due e poi dieci si è arrivati ad accumulare un debito col Comune di Roma di ben 170mila euro. Il commissario del Pd romano, e presidente nazionale del Pd, Matteo Orfini dichiara oggi che da quando ha assunto l’incarico ha cercato “di risolvere la questione”. Peccato che ancora non abbia tirato furori un soldo e che l’immobile sia ancora sede della sezione.
    Perché denuncio queste anomalie? Perché non sono disposto a tacere su abnormi trattamenti di favore, visto che verso di noi vent’anni fa venne usata, con spietato clangore, la scure della strumentale questione morale e mentre le nostre sedi sono oggi ricavate spesso dai sottoscala dei condomini di periferia. Aggiungo anche che prima o poi si capirà che la politica costa e che i partiti se vogliono fare politica, avere sedi e funzionari e giornali, denunciano spese che i soli iscritti e qualche donazione privata non riescono a coprire interamente. Come avviene in mezzo mondo esiste il finanziamento pubblico. Per farsi belli costoro l’hanno praticamente abolito. Poi approfittano dei favori di sindaci e giunte per gravare le loro spese sui conti pubblici. Non è moralmente peggio?

    M. Del Bue

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