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Discussione: Avanti!

  1. #11
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    Predefinito Re: Avanti!

    Senatus Populusque Romanus




    Erano i due enti del potere romano, il Senato e il popolo. I patrizi e i plebei. Al Senato rimasero, anche dopo l’unità d’Italia, caratteri di rappresentanza particolari. Non era elettivo il Senato del regno d’Italia e la nomina era a discrezione del sovrano in base a supposti meriti acquisiti in vari campi. Dal 1948 il Senato è parte del potere democratico e repubblicano, fondato sul bicameralismo, eletto direttamente dal popolo. Nel dibattito sul Senato si scelse anche un metodo di elezione particolare, quello coi collegi uninominali (esaustivo a tal proposito l’intervento del giovane Antonio Giolitti nel dibattito alla Costituente), diversificandone il metodo da quello, con collegi proporzionali, assunto dal voto per la Camera. La rappresentanza regionale fu un criterio già deciso nel 1948, tanto che venne inserito in Costituzione.

    La decisione di supportare le deliberazioni della Repubblica attraverso due Camere con gli stessi poteri, che traeva motivazione dalla volontà di scongiurare i poteri assoluti (la Dc nel 1948 conquistò la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato e fu indotta a proporre una maggioranza di coalizione), da molti anni impedisce ai governi di governare, se non a base di decreti e di voti di fiducia, perché un disegno di legge, che deve essere approvato in maniera identica nelle due Camere, impiega un anno, quando non due. Giusto quindi riformare questo assurdo bicameralismo perfetto. Giusto, necessario accelerare il percorso legislativo. Chi non é d’accordo alzi la mano.
    Restano due problemi. Il primo è quello di scegliere se eliminare il Senato o se attribuirgli una funzione diversa da quella della Camera. Si è scelta questa seconda soluzione. Serviva un ampio consenso e lo si è trovato trasformando il Senato in Camera delle autonomie, con la partecipazione di sindaci e consiglieri regionali. Però si è nel contempo affidato a questo nuovo ente anche il potere delle riforme costituzionali, nonché quello di poter rivedere, sulla base di una richiesta di un numero di nuovi senatori, le leggi approvate dalla Camera. Altri poteri più ridotti sono stati delegati al nuovo Senato, che si dice, deve essere costituito senza oneri, il che vuole dire che i nuovi senatori, svolgendo anche attività di sindaci e di consiglieri regionali, non avranno uno stipendio, anche se qualcuno li rimborserà delle spese di vitto e di soggiorno a Roma.
    Quello del risparmio è un leit motiv che lascerei perdere per ora. Come per le province, anche per il nuovo Senato, il risparmio sarà solo relativo alla mancanza di gettoni e di stipendi per i nominati di domani. Un’inezia rispetto al costo dei vari baracconi, delle province e del Senato, che rimarranno sostanzialmente invariati. Al massimo la spesa si tenterà di spostarla su altri enti. Il secondo problema riguarda l’eleggibilità del nuovo Senato. Personalmente continuo a non capire l’intransigenza di Renzi su questo punto. Perché non si vuole un Senato eletto magari assieme ai consigli regionali, come pare proporre anche il movimento Cinque stelle? Perché? Cosa cambia? Se la legge restasse qual è perché mai dovrebbe cascare il mondo e magari anche la legislatura se passasse l’emendamento sul Senato elettivo? Questo Renzi dovrebbe spiegare agli italiani. Anche perché, dai Matteo, un Senato non eletto e una Camera di nominati, manco il tuo Machiavelli sarebbe riuscito a immaginarli…

    M.Del Bue

    Senatus Populusque Romanus | Avanti!
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    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #12
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    Predefinito Re: Avanti!

    Dalla democrazia del confronto all’oligarchia dell’insulto






    No, ha ragione Napolitano, non ci sono rischi di autoritarismo. Dopo la riforma del Senato non ci saranno i cosacchi o i colonnelli alle porte. Tuttavia un serio, sereno, pacato discorso sulla nostra democrazia va affrontato. La riforma del Senato implica una giusta e corretta trasformazione della seconda Camera e il conseguente superamento del bicameralismo perfetto che i nostri padri costituenti avevano immaginato essenziale per i bilanciare i poteri ed evitare qualsiasi tendenza al monocratismo. Tanto che avevano inserito in Costituzione la clausola secondo la quale il Senato deve essere “a base regionale” e approvato una specifica legge elettorale con collegi uninominali, che diversificava l’elezione del Senato da quella della Camera. Non da oggi si è fatto più urgente consentire ai governi di governare e al Parlamento di legiferare imponendo di diversificare i compiti delle due Camere. Niente da dire su questo e nemmeno sulla forte diminuzione dei senatori e sulla composizione prevalentemente territoriale e sui compiti limitati, anche se non sempre dopo le ultime correzioni introdotte. Il punto riguarda la mancata elezione diretta del Senato, unita al modo di voto introdotto, almeno per ora, dall’Italicum, a loro volta inseriti nel contesto delle modalità di elezione dei diverse istituzioni democratiche.
    Riepiloghiamo. I Consigli comunali si eleggono direttamente, in modo congiunto all’elezione dei sindaci. Ma le giunte sono nominate dal sindaco, assessori e consiglieri sono incompatibili, e i Consigli non hanno praticamente alcun potere strascinandosi solo in inutili discussioni di mozioni e interpellanze. I sindaci nominano i consigli degli enti di secondo grado senza neanche passare dalle giunte e dai Consigli. Le circoscrizioni non vengono più elette ma nominate, i consigli provinciali sono stati aboliti e anche le giunte e sostituiti entrambi da un ente di nominati composto dai sindaci. Più o meno lo stesso avviene per la Regioni, ove persistono in varie parti anche listini bloccati. La Camera, secondo l’Italicum, sarà nominata attraverso listini bloccati e il Senato anche, su designazione degli enti territoriali.
    Mi chiedo. È troppo sostenere, anche alla luce del fatto che i partiti sono praticamente scomparsi e ne esistono ormai solo due, ma entrambi di stampo leaderistico, l’esistenza del pericolo di creare una sistema di stampo oligarchico? Un sistema ove non è il popolo che decide i suoi rappresentanti, ma il capo. Anzi ove è il capo assieme ai suoi oligarchi che si sostituisce al popolo. Aggiungiamo poi che l’intreccio tra Italicum e riforma del Senato è esplosivo. Cioè chi conquista la minoranza alla Camera (il 37 per cento come coalizione, dunque anche molto meno se gli alleati non superano la soglia di sbarramento) si prende tutto. Dal presidente delle due istituzioni, al presidente della Repubblica, ai giudici eletti della Corte e del Csm. No, non c’è il rischio del colpo di Stato. Non esistono neanche i profili necessari. Ma che il sistema assuma una nuova forma di stampo oligarchico si.
    Aggiungiamo che all’oligarchia si prestano anche i grandi Comunicatori televisivi. I padroni dell’etere. I possessori dei Talk show dove solo i personaggi hanno accesso. I personaggi devono possedere due requisiti: o essere a capo di grandi partiti o essere dotati di carica esplosiva tale da incendiare il confronto e tramutarlo in spettacolo. Anche Internet non si presta all’approfondimento e allo studio dei problemi e al confronto delle posizioni, ma solo allo scontro, alla polemica, alla rissa, spesso all’insulto. Il match tra Travaglio e Ferrara sull’assoluzione di Berlusconi è risultato tra i più cliccati. L’oligarchia finisce così per diventare anche maleducata. Ed è quello che oggi è di fronte a noi. Stiamo trasformando una democrazia del confronto in una oligarchia dell’insulto. Napolitano è tropo colto, esperto, pacato per non essersene accorto.

    M.Del Bue

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  3. #13
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    Predefinito Re: Avanti!

    Ostruzionismo e democrazia



    Non mi scandalizzo né dell’ostruzionismo parlamentare né della decisione di contingentare i tempi degli interventi. Sono entrambe posizioni legittime e già sperimentate. Quando nel 1953 si discusse la cosiddetta legge truffa, che rispetto all’Italicum, ma anche al Porcellum, era una legge profondamente democratica, visto che attribuiva un premio di maggioranza solo alla coalizione che avesse superato il 50 per cento, scoppiò il finimondo. Non solo ci vollero mesi per arrivare all’approvazione di una legge che non era di natura costituzionale, ma si verificarono risse, tafferugli, lanci di oggetti, e ci furono contusi e anche feriti. Anche l’ultimo presidente del Senato Meuccio Ruini, che accettò per spirito di servizio di fare approvare la legge, dopo le dimissioni di due presidenti terrorizzati, fu costretto a ricorrere alle cure dei sanitari.

    Oggi siamo al fioretto. Rispetto ad allora manca l’ensprit de guerre, l’ascia e lo scudo cedono il posto alle tecnicalità, ai sorrisi ironici, alle battute alla buvette. L’irascibile Pajetta non è paragonabile con il malinconico Mineo. Eppure anche oggi si grida allo strappo, se non al colpo di Stato. È sbagliato. Ripeto, è legittimo il ricorso all’ostruzionismo, ma anche al contingentamento dei tempi. Quello che i ribelli contestano alla maggioranza Renzi-Berlusconi è la natura costituzionale delle decisioni che non può essere adottata senza un adeguato approfondimento. E soprattuto senza avere discusso e approvato alcuna proposta dell’opposizione. È vero, Renzi e Berlusconi stanno adottando una riforma costituzionale con un pacchetto di proposte a scatola chiusa.
    Si dice, dall’altra parte, che in commissione molte modifiche siano state approvate. Si cita sopratutto la modifica dell’assetto del Senato rispetto alla proposta originaria che prevedeva una massiccia presenza di sindaci. Ma questa modifica era necessaria sia dal punto di vista normativo, perché, contrariamente ai consiglieri regionali, i sindaci non hanno potestà legislative, sia dal punto di vista politico, perché la modifica era stata espressamente richiesta da Forza Italia. Poi ci sono le forzature, come la proposta della Boschi di procedere in qualsiasi caso al referendum confermativo. Bisognerebbe, una volta tanto, applicare le norme previste in Costituzione. Il referendum confermativo si può svolgere se nella doppia lettura Camera e Senato una legge costituzionale non raggiunge i due terzi dei voti. Siccome è chiaro che al Senato non sarà così l’ardita proposta Boschi è simile a quella di un mio professore che sosteneva che per essere promossi bisognava avere ottenuto la sufficienza.
    Un’ultima considerazione. La marcia sul Quirinale non riesco a capire cosa possa cambiare. Il presidente della Repubblica deve sovrintendere al processo legislativo affinché rientri nella norma prevista dalla Costituzione e dalle leggi e dai regolamenti vigenti. A me non pare che l’aver fissato un limite temporale al procedimento legislativo sulla riforma del Senato sia contra leges. Piuttosto è politicamente discutibile che una riforma costituzionale non si avvalga dei contributi di coloro che hanno idee costruttive se non erano presenti al magico banchetto del Nazareno, vedasi soprattuto l’eleggibilità del nuovo Senato che va messa in relazione con la nuova legge elettorale. È evidente che un doppio dispositivo che presuppone istituzioni di nominati e non di eletti e per di più in assenza di una legge costituzionale che cambi le modalità di elezione del presidente della Repubblica e dei laici di Csm e Corte, risulterebbe indigeribile, e questo sì profondamente antidemocratico. Una minoranza, dice Renzi, non può pretendere di legiferare. Giusto. Ma una minoranza, per di più di nominati, che diventa maggioranza grazie a un premio, non può pretendere di prendersi tutto, diventando assoluta.

    M.Del Bue

    Ostruzionismo e democrazia | Avanti!
    Ultima modifica di Frescobaldi; 26-07-14 alle 00:01
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  4. #14
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    Predefinito Re: Avanti!

    Con l’Unità chiude un pezzo della storia della sinistra


    Un’altra voce storica che viene meno. Il giornale fondato da Gramsci nel 1924 chiude il primo agosto. I liquidatori di “Nuova iniziativa editoriale spa”, società editrice de L’Unità, comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni e l’aggiornamento del sito web a partire dal primo agosto. L’annuncio è giunto dopo l’assemblea dei soci di oggi. È la “fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l’Unità”, si legge in una nota del Comitato di Redazione. “I lavoratori sono rimasti soli a difendere una testata storica – sottolinea il Cdr – gli azionisti non hanno trovato l’intesa su diverse ipotesi che avrebbero comunque salvato il giornale. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio un’ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi dell’editoria. I lavoratori – continua il Cdr – agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti. Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi è un giorno di lutto per la comunità dell’Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico”. Nel giorni scorsi i redattori del quotidiano avevano diffuso un video-appello al governo di Matteo Renzi. Appello evidentemente rimasto inascoltato. “E’ sorprendente – accusa il direttore del quotidiano Luca Landò – che il Pd non sia riuscito a trovare una soluzione per L’Unità”. Per Giovanni Rossi, presidente della Fnsi, si tratta di una “che non avremmo voluto ricevere e che è purtroppo arrivata: l’Unità dal primo agosto sospende le pubblicazioni e tutti i lavoratori – giornalisti, amministrativi e poligrafici – saranno posti in cassa integrazione a zero ore. I collaboratori perderanno il lavoro. Una svolta drammatica, purtroppo temuta e quasi annunciata in questi mesi di continui rinvii e di rimpallo di responsabilità tra azienda e politica. Ora – aggiunge Rossi – debbono essere fatti tutti gli sforzo “per tentare il ritorno in edicola e per salvaguardare i diritti dei lavoratori dipendenti, che da tre mesi non ricevono gli stipendi, e dei collaboratori. Il sindacato nazionale dei giornalisti, assieme alle associazioni regionali, esprime solidarietà a tutti i lavoratori del giornale e conferma che intende affiancare i colleghi de l’Unita’ nelle azioni che si renderanno necessarie per tutelarne i diritti” Chiude quindi un altro pezzo di storia della sinistra e dell’Italia intera.

    Redazione Avanti!

    Con l?Unità chiude un pezzo della storia della sinistra | Avanti!
    Ultima modifica di Frescobaldi; 30-07-14 alle 18:07
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    Predefinito Re: Avanti!

    Tutti in lutto per l’Unità, ma per l’Avanti?




    Anche noi vogliamo augurarci che quella di oggi non sia l’ultima giornata de l’Unità prima del definitivo silenzio. Anche noi vogliamo solidarizzare coi lavoratori che perdono il posto. Ci mancherebbe. Quando chiude un giornale è sempre un momento triste. Quando poi chiude un giornale che rappresenta una storia lo è ancora di più. Dispiace che un giornale fondato da Antonio Gramsci chiuda i battenti, che se ne vada forse per sempre una testata che per quasi un secolo ha rappresentato istanze di giustizia sociale. E qualche volta anche in dissenso col partito di riferimento.

    Però.. Non riesco a non dire fino in fondo quel che penso. Non riesco a rimanere imprigionato dei dettami dell’ipocrisia. E allora parto da noi, dall’Avanti, una testata più antica dell’Unità. Un giornale che dal Natale del 1896 costituiva la voce del movimento dei lavoratori italiani. L’Avanti di Bissolati, di Nenni, di Pertini, di Lombardi. Venne chiuso nel 1993 per debiti nell’indifferenza generale, poi si lasciò che quel nome, anche per colpa di qualche dirigente ex socialista, finisse nelle mani di un malfattore. E adesso che ha ripreso le sue pubblicazioni online non ha sponsor, finanziatori, sostenitori che non siano qualche migliaio di appassionati lettori. Nessuno che abbia fatto appelli, richiami, che abbia mostrato o mostri tuttora disponibilità a condividere con forme di sostegno una testata così significativa. Non imprenditori legati alla sinistra (cosa sarà andato a fare Delrio da De Benedetti?), non il movimento cooperativo, non i sindacati.
    Contrariamente a l’Unità che dispone di ottanta giornalisti e tecnici pagati e che oggi rischiano il posto di lavoro, l’Avanti ha un direttore volontario a cui non si rimborsano neppure le telefonate, qualche giornalista a cui si pagano rimborsi ridicoli. Tutto qua. Anche l’Unità dovrebbe riprendere le sue pubblicazioni online. L’Unità come l’Avanti potrebbero tornare così a diventare fratelli. E magari a collaborare. In fondo l’Unità è figlio dell’Avanti, che aveva registrato tra i suoi più alti collaboratori proprio lo stesso dirigente politico che fondò il giornale comunista. È troppo supporre che questo modo diverso di ricordare e considerare i due giornali si inserisca nel diverso carattere genetico del Pd? Socialista in Europa, ma vicino alla tradizione comunista in Italia (esaltazione di Berlinguer, dell’Unità e vedremo il prossimo mese cosa si dirà di Togliatti). E piuttosto indifferente rispetto a quella socialista italiana. Avrei preferito che si salvasse l’Unità e non si esaltasse la sua storia…

    M.Del Bue


    Tutti in lutto per l?Unità, ma per l?Avanti? | Avanti!
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  6. #16
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    Predefinito Re: Avanti!

    Il glorioso Avanti! fucilato, come ai tempi di B. Beccaris









    Mauro del Bue ha fatto un parallelismo inevitabile tra le triste vicenda dell’Unità e la scomparsa dell’Avanti!, nel tragico 1993. Tragico per il partito socialista, per il suo quotidiano, ma anche per la democrazia. Credo che questo parallelismo sia balzato alla mente (e al cuore) immediatamente a tutti i militanti socialisti di quel periodo. Condivido, come quasi sempre mi accade, al cento per cento le sue considerazioni. Posso aggiungere un unico contributo: la ricostruzione precisa di come sparì il più carico di storia tra i quotidiani italiani. Lo faccio perché l’Avanti! sparì nel più completo silenzio dei media, del mondo politico e culturale. Così che soltanto gli addetti ai lavori hanno allora saputo cosa sia in verità accaduto. Poi, lo hanno saputo quanti (fortunatamente non pochi) hanno letto il mio libro sulla storia del quotidiano socialista (“Avanti!, un giornale, un’epoca”). Per chi non lo ha letto, ripropongo le ultimissime pagine di questo libro. Dalle quali si possono trarre molte riflessioni sull’oggi. Innanzitutto quelle che ha avanzato il direttore dell’Avanti! on line Del Bue. Un Avanti! che ci ha riscattato dalla vergogna di quello fasullo, finito come sappiamo. Che ha un meritato, crescente successo. Che ha conservato, pur nella situazione politica completamente diversa, lo spirito dell’Avanti! cartaceo scomparso e dei suoi padri fondatori. Ecco, dunque, la cronaca di come quell’Avanti! morì. “Tangentopoli colpisce infatti al cuore i partiti e i loro giornali, al punto che in Parlamento si ricorre a mezzi estremi, senza curarsi della loro impopolarità. Il Corriere della Sera, nel luglio 1993, titola infatti. “Al Senato calci e monetine. Bossi attacca Scalfaro: elezioni, poi si dimetta. Bagarre durante il voto sulla cassa integrazione ai partiti. I missini vanno fuori”. La politica ottiene dunque, dunque, come un settore industriale in crisi, la cassa integrazione, ma non per questo si salva. Sino a che può, Craxi rassicura. Morto Balzamo (l’amministratore del PSI e dell’Avanti! stroncato da un infarto dopo aver saputo di essere inquisito dai magistrati di Milano.ndr), riunisce i dipendenti in via del Corso, fa loro i conti e sdrammatizza. In fondo, mentre si parla di migliaia di miliardi per i costi della politica, la macchina organizzativa di via del Corso ha un bilancio simile al fatturato di un grande magazzino o di un importante negozio del centro. Che sarà mai? Non dice che i negozi periferici costituiti dalle federazioni provinciali sono più piccoli, ma tanti e fuori controllo. Non dice che la rivoluzione in corso ha deciso di far chiudere innanzitutto il negozio più ribelle alla rivoluzione stessa: quello socialista.
    “Gli uffici del PSI lasciano la sede storica di via del Corso (all’angolo con via della Frezza), si restringono e si trasferiscono in via Tomacelli, accanto all’Avanti!, che soffre ancora di più e quindi cade prima nel precipizio. E’ infatti pur sempre una azienda, deve pagare non solo gli stipendi, ma anche la carta, la tipografia, i fornitori. Si avvia verso la chiusura paradossalmente proprio nel momento in cui il suo passivo si è ridotto grazie all’innovazione tecnologica che consente in pratica di cancellare le spese tipografiche di composizione e impaginazione. Il giornale si è caricato di debiti per gli investimenti necessari, ma i mutui con le banche sono a lungo termine e ormai la perdita annua di esercizio si è ridotta a tre, quattro miliardi (una frazione di quella dell’Unità). Purtroppo, il partito può versare sempre meno. Si sparge l’allarme tra i creditori che corrono a battere cassa minacciando azioni legali.
    Le banche non solo bloccano nuovi crediti, ma chiedono rapidi rientri per quelli erogati sino al giorno prima. La mazzata finale la dà palazzo Chigi, che blocca l’erogazione di sette-otto miliardi di arretrati dovuti per la legge sull’editoria e già conteggiati a bilancio. Si tratta dei contributi per i giornali di partito e le cooperative. Negli anni 2000, sarebbero stati elargite decine di milioni di euro a giornali praticamente sconosciuti e mai visti nelle edicole, nati al solo scopo di incassare i fondi dello Stato. Adesso, i contributi dovuti vengono negati a una testata quasi secolare, che ha fatto la storia del paese e che lotta per sopravvivere. L’amministratore Longo, chiuso nel suo ufficio circondato dai creditori, si difende sino a che può, poi si dimette, sostituito dal direttore generale Zoppo che purtroppo dovrà accollarsi il compito di pilotare il fallimento ormai alle porte. I giornalisti non prendono più lo stipendio, ma continuano a far uscire regolarmente un quotidiano che si sente assediato come ai tempi del fascismo nascente. D’altronde, i militanti missini non assaltano più con le armi le sedi e i giornali socialisti come negli anni ’20, ma li assediano con cori e lanci di monetine. Le assemblee di redazione si trasformano in un comitato permanente straordinario per salvare la testata. La Federazione della Stampa, la Federazione degli Editori e soprattutto la CGIL dove il segretario dei poligrafici Epifani fa l’impossibile, cercano di aiutare come possono. Il debito complessivo accumulato dal giornale è di circa 60 miliardi, ma 30 sono di mutui a lunga scadenza, i creditori si sono fatti sotto per incassare subito gli altri 30 solo perché spaventati dall’improvvisa crisi del partito. Il bilancio è in fondo quello di una squadra di serie B, che gli imprenditori locali salverebbero al volo con una piccola cordata. Basterebbero pochi miliardi, una piccola frazione dello stipendio di un calciatore del Milan, per salvare un pezzo della storia nazionale. I redattori non si arrendono anche perché sembra loro impossibile che qualcuno non intervenga di fronte all’enormità della sproporzione. Ma i potenti non muovono un dito. E le sottoscrizioni tra i militanti non bastano. Con l’estate, le pubblicazioni vengono sospese. La vecchia testata socialista ormai morente si rialza e riprende il cammino a settembre, con volontà e orgoglio disperato, sino a che, domenica 21 novembre, crolla di schianto, questa volta senza risollevarsi. Non un giornale difende i colleghi socialisti, nessuno fa un appello o ricorda la storia gloriosa del quotidiano socialista. La morte dell’Avanti! avviene mentre tutti sono troppo impegnati a celebrare la rivoluzione trionfante.
    “Il calvario di molti giornalisti e dipendenti (che hanno lavorato nove mesi senza prendere lo stipendio) proseguirà con la disoccupazione e le ristrettezze economiche. Quello dei suoi dirigenti con un processo penale per bancarotta fraudolenta, che coinvolgerà tutti i consiglieri di amministrazione, sindaci e revisori dei conti succedutisi negli anni. Anch’io sono stato uno di questi, come ricordato nelle pagine precedenti. Pur senza capire nulla di bilanci, ero tranquillo perché da anni la società Deloitte li certificava, la presidenza del Consiglio li approvava prima di versare i contributi e soprattutto l’amministratore del partito e dell’Avanti! erano la stessa persona: Vincenzo Balzamo. A testimoniare la totale identificazione tra i due e quindi la totale credibilità dell’impegno del partito a colmare il passivo di esercizio. Nel 1996, riceverò un avviso di garanzia per “bancarotta fraudolenta”, appunto, supportato da un voluminoso fascicolo riguardante “Ugo Intini e altri”. La guardia di Finanza aveva setacciato per mesi montagne di carte nella sede dell’Avanti!, quasi fosse una organizzazione criminale, senza trovare la benché minima irregolarità, grazie alla correttezza e al rigore degli amministratori succedutisi nei decenni. Nessuno aveva sottratto una lira, né mai è stato accusato di averlo fatto. E dunque? Dunque, sostiene l’accusa, i bilanci sono falsi e di qui deriva, automaticamente, il reato di bancarotta fraudolenta. E perché mai sono falsi? Semplicemente perché vi si ascrivono a credito le somme dovute dal partito socialista per colmare il passivo di esercizio, pur sapendo che non pagherà mai il suo debito. Ma il partito per quasi un secolo ha sempre coperto il deficit dell’Avanti! con questa procedura. Un deficit è normale in tutti i quotidiani politici , che vengono pubblicati non per realizzare profitti, ma per fare, appunto, politica. Il PSI non ha più finanziato il suo giornale perché in modo imprevedibile, e comunque imprevisto, è morto come il suo amministratore. Nessuno ci ascolta. Per oltre un decennio (secondo i tempi della giustizia italiana) rimane incombente la spada di Damocle di una condanna sino a dieci anni per un reato gravissimo come la bancarotta fraudolenta, abitualmente contestato a delinquenti che spolpano le proprie aziende mettendosi in tasca milioni di euro. Ironia e paradosso della sorte, dei socialisti rischiano di andare in galera per l’Avanti! come ai tempi di Bava Beccaris e del fascismo. Fortunatamente, ci sono dei giudici a Berlino, ma anche a Roma Nel 2007, in primo grado, verremo assolti e il Pubblico Ministero non presenterà neppure ricorso. “Così finisce la storia dell’Avanti! iniziata nel Natale di 97 anni prima. I giornalisti e i dipendenti che, dal capo redattore al fattorino, hanno lottato nel 1993 con le unghie e con i denti sino all’ultimo per evitare la chiusura hanno difeso il loro posto di lavoro, certo. Ma non solo. In tutti c’era la consapevolezza di essere gli eredi di una grande tradizione. In molti, c’era anche di più. L’orgoglio di servire una testata che, dopo quasi cento anni, continuava ad essere, ormai morente, esattamente ciò che era stata nei suoi primi anni di vita. Forse avevano torto, forse era un wishfull thinking, ovvero la volontà disperata di credere ciò che non è, auto convincendosi di una illusione consolatoria. E’ certo tuttavia che nell’ultima sua battaglia, quella contro la rivoluzione giustizialista, l’Avanti! è ritornato, come quasi un secolo prima, a dire ciò che nessun altro quotidiano diceva, a essere l’unico fuori dal coro e controcorrente. Mentre tutti, da destra e da sinistra, applaudivano la rivoluzione che preparava la seconda repubblica, un solo giornale, l’Avanti!, ancorché assolutamente isolato, da solo, non applaudiva, ma criticava.
    “Fin qui, è un dato di fatto. Il wishfull thinking aggiungeva però un’altra similitudine, questa discutibile, discussa e, ancora negli anni 2000, prevalentemente negata. Nella redazione si voleva credere, a torto o a ragione, che l’Avanti! morente continuasse a essere una voce (l’unica) per la libertà: per il garantismo di fronte a una giustizia autoritaria; per i diritti umani e degli individui di fronte al rullo compressore dell’intolleranza, sospinto da quel magma irrazionale e ribellista tante volte sprigionato dalla società italiana e spesso citato in questo libro, destinato a spingere verso estremismi di destra e di sinistra, ma mai verso qualcosa di buono. Questo pensavano molti giornalisti del quotidiano socialista mentre conducevano l’ultima battaglia, che sapevano già persa in partenza, perché le giungevano solidarietà sempre più esigue, sussurrate da colleghi e amici intimiditi, quasi clandestine. Psicologicamente, si sentivano anche impotenti, umiliati, persino obsoleti come i redattori loro predecessori che, asserragliati con Nenni nel 1926 nella sede del giornale, vedevano cadere pezzo dopo pezzo il loro futuro e le loro speranze sotto i colpi del fascismo. Il vecchio leader ripeteva spesso. “Ricordate che la libertà è un bene mai definitivamente acquisito. Che va conquistato e riconquistato giorno dopo giorno”.
    E le sue parole sembravano adesso profetiche. La similitudine con il 1926 che cresceva nel cuore di molti giornalisti dell’Avanti! era suggerita dal dolore e dall’isolamento forse più che dalla realtà. Ma una similitudine, triste e assolutamente reale, stava per concretarsi. L’Avanti! di Nenni, allora, se ne andò e scomparve (non per sempre), senza dire una parola di saluto agli amici e ai lettori, come qualunque giornale che cessa le pubblicazioni. Se ne andò così, in silenzio, semplicemente perché non sapeva che le “leggi fascistissime”, il giorno dopo, ne avrebbero impedito l’uscita. L’Avanti! del 1993 se n’è andato allo stesso modo, senza preavviso e senza commiato. Perché non sapeva che la morte per inedia sarebbe arrivata, non prevista, il giorno dopo. Come un vecchio che non mangia da tempo e improvvisamente trapassa, così è finito l’Avanti! In quel momento, senza un necrologio e un commento. Ma dopo aver molto vissuto. Dopo una storia che, credo, valeva la pena di raccontare”.

    Ugo Intini


    Il glorioso Avanti! fucilato, come ai tempi di B. Beccaris | Avanti!
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  7. #17
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    Predefinito Re: Avanti!

    comunque i giornali non finiscono per inchieste o altro... finiscono perchè i lettori smettono di acquistarli.

  8. #18
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    Predefinito Re: Avanti!

    Quando l’Unità voleva liquidare l’Avanti




    Abbiamo dichiarato piena e convinta solidarietà ai lavoratori de l’Unità che rischiano di perdere il posto di lavoro e sostenuto che quando chiude un giornale, e per di più un giornale che rappresenta una storia, questo è un momento triste. Eppure la storia bisognerebbe conoscerla. Anche quella che l’Unità per tanti anni ha rappresentato. E soprattutto conoscere i propositi politici della nascita di uno strumento di comunicazione politica così significativa. Abbiamo scovato, a tale proposito, un saggio di Fidia Sassano, che nel 1924 era un giovane comunista, peraltro proprio nel febbraio di quell’anno inviato a Leningrado in una scuola di partito. Il saggio è pubblicato su “Il mulino” del settembre-ottobre 1924 e tratta proprio della fondazione de l’Unità di Gramsci fino alle leggi speciali di Mussolini, seguite al suo attentato di Bologna del novembre del 1926, quando le leggi speciali del regime sospesero la pubblicazione di tutti i giornali antifascisti.

    In quel saggio Sassano, che poi lascerà il Pcdi e diverrà un militante socialista, precisa testualmente: “L’Unità nasceva per conseguire questi obiettivi: 1) La conquista al Pcdi del proletariato milanese in particolare e più in generale della classe operaia del Nord. 2) La liquidazione, fra gli strati popolari, del Partito socialista e del suo giornale Avanti, portando a compimento l’opera di distruzione della grande tradizione libertaria e socialista compiuta dal fascismo, nella certezza che il terrore fascista mai avrebbe conquistato i lavoratori. 3) L’impostazione di una politica di fronte unico volta a realizzare questi scopi, superando però lo smaccato settarismo bordighiano, che quella stessa politica svuotava in partenza, donde la necessità di bolscevizzare il partito e di vincere l’infantilismo di sinistra che ancora lo caratterizzava. 4) L’impostazione di una politica di alleanza fra i contadini del Sud e gli operai del Nord sotto la guida dei comunisti”.
    Bisogna precisare a tale proposito che il 1924, oltre ad essere l’anno della scomparsa di Lenin, rappresenta la fase in cui vengano assorbite le nuove linee strategiche lanciate dal quarto congresso dell’Internazionale comunista, contestate da Bordiga e dalla maggioranza dei comunisti italiani, contraria alla politica del fronte unico e del governo operaio e rinserrati in un estremismo dogmatico ed elitario. Gramsci era l’uomo dell’Internazionale comunista in Italia e l’ordine di fondare il nuovo quotidiano “per controbilanciare l’influenza dell’Avanti sulle masse” viene impartito dal Presidium dell’Internazionale comunista, con lettera a firma Otto Kuusinen, in data “Mosca 5 settembre 1923″ e indirizzata al Comitato centrale del Pcdi.
    Nella lettera, oltre a sostenere la necessità di controbilanciare il peso dell’Avanti, si sosteneva: “Il giornale che deve apparire senza un’etichetta di partito sarà redatto in comune da appartenenti al Pdci e alla corrente fusionista del PSI”. Era chiaro il riferimento a Serrati e a quanti avevano in testa la liquidazione del PSI a cui si contrapporrà proprio nel 1924 Pietro Nenni. Abbiamo voluto ricordare questo avvio del giornale comunista non certo per rinfocolare polemiche di novant’anni fa. Ci mancherebbe. Il 1989 ha fatto piazza pulita delle ragioni e dei torti, anche se in Italia pare che le ragioni siano diventati torti e viceversa. Lo abbiamo fatto solo per amore di verità. E perché, quando si parla di storia, si abbia la modestia di studiarla. Ogni riferimento a Renzi é puramente casuale.

    M.Del Bue

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  9. #19
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    Predefinito Re: Avanti!

    Ma che novità. Un bel dibattito sul terrorismo




    Gli intellettuali di sinistra non si smentiscono mai. Trasformano in teoria anche i drammi più semplici e li interpretano alla luce dei soliti vecchi schemi. Hanno bisogno di elevare a concetti anche le decapitazioni. Capita così che dopo l’infelice battuta di Di Battista che coi tagliatori di teste vorrebbe il dialogo, anche in Sel e sul Manifesto si discuta sul significato del sostantivo “terrorista”. Qualcosa era già emerso nel corso del dibattito in commissione, tra una Sel che intendeva attendere le mosse dell’Onu prima di tentare di evitare altri omicidi, stupri, esecuzioni, quella dei pentastellati che immaginavano di dialogare con quell’assassino incappucciato che brandiva un coltellaccio da cucina prima di infilzare il collo di un uomo, fino alla Lega che, siccome noi accogliamo troppi extracomunitari, allora ritiene che ci meritiamo Al Bagdadi.

    Siamo un paese che rischia il ridicolo. Lasciamo stare i leghisti e i pentastellati. Ma la sinistra francese non si sarebbe mai posta questi interrogativi. E sapete perché? Perché in alcuni settori della sinistra italiana pesa ancora una tradizione fatta di anti americanismo e di anti occidentalismo. Il professor Angelo d’Orsi sul Manisfesto si chiede se non esista un nesso “tra ingiustizia sociale e terrorismo” e ricorda che anche i partigiani vennero definiti terroristi dai nezifascisti e che anche noi “se fossimo oppressi da un nemico infinitamente più potente” magari faremmo ricorso a quel che si definisce terrorismo. Per fortuna Angela Sgrena, che il terrorismo islamico lo ha conosciuto sulla sua pelle, ribatte a dovere.
    Partiamo da un altro presupposto. Se gli invasati che vogliono sottomettere gli altri alla loro religione, che uccidono chi non lo fa, che stuprano le loro donne, che decapitano i giornalisti, fossero guerriglieri di un esercito fascista dell’America del sud d’antan, questi professori parlerebbero allo stesso modo? La verità é che per taluni i criteri interpretativi dei fenomeni internazionali rimangono quelli della lotta di classe e del conseguente conflitto tra imperialismo e lotte di liberazione. E siccome qui c’entra fino a un certo punto l’America il loro cuore non può battere per chi si oppone ai nuovi barbari. Come una volta quel cuore malato stava dalla parte di Mao e di Pol Pot. Quello che costoro non riescono ad afferrare è che il tema oggi è quel che richiama sul Corriere Angelo Panebianco e cioè l’esistenza di una guerra di religione e di civiltà. Gli sceicchi e i settori dell’Arabia saudita che finanziano l’Isis non sono i conquistatori del palazzo d’inverno, ma i fanatici proprietari di petrolio che, per interesse e per fede, vogliono instaurare il califfato.
    Possiamo anche far finta di non averlo capito. Ma questa guerra di religione e di civiltà è cominciata. Noi dobbiamo attrezzarci per combattere nel modo migliore. Ci sono due ragazze italiane in mano a quegli assassini. Facciamo di tutto perché vengano liberate. Con azioni militari, con iniziative varie, ma non possiamo accettare un altro video, altri coltellacci, altre teste. Obama ieri sera ha riunito il pentagono. Non so se gli Usa abbiano sbagliato a invadere l’Iraq, come ho sempre pensato, o ad abbandonarlo. Ma ancora una volta sono gli americani che devono muoversi. Troppo comodo. E l’Europa, e l’Italia? Stanno a guardare. Anzi in Italia si parla del significato della parola terrorista, mentre la gente muore disperata. Faccio ricorso a una trovata di Filippo Turati in un assemblea socialista svolta nella capitale lombarda subito dopo Caporetto, quando pareva che gli austriaci potessero arrivare a Milano. Egli domandò ai presenti: “Voi non volete combattere e dunque volete gli austriaci a Milano”. E l’assemblea rispose di no. “Allora volete combattere per non farli arrivare”. Ancora no. “E allora non sapete quel che volete….”

    M.Del Bue

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  10. #20
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    Predefinito Re: Avanti!

    Il Fantasma di via Arenula cinquant’anni dopo

    Ieri, 21 agosto, ricorreva l’anniversario della scomparsa di Palmiro Togliatti padre padrone del Pci, che morì improvvisamente mentre trascorreva le vacanze nella sua amata Yalta nell’estate di cinquant’anni fa. A Roma, al Cimitero del Verano, dove riposa, si è svolta una malinconica commemorazione con una pattuglia di nostalgici trinariciuti guidata dall’immarcescibile Ugo Sposetti, l’ultimo giapponese, a cui hanno partecipato il papà di Sabrina Ferilli da Fiano Romano con un manipolo di vecchi irriducibili comunisti duri e puri ed Emanuele Macaluso (!) che, per giustificare una presenza poco coerente con i sermoni sul riformismo a cui si è convertito che da anni propina alla sinistra con risultati non eccelsi, ha affermato, ricordando la svolta di Salerno, che con Nenni e De Gasperi ,Togliatti fu uno dei padri della repubblica. Vero che la svolta di Salerno fu importante ma, decontestualizzandola, Macaluso ha omesso di ricordare il Togliatti precedente e quello successivo. Dall’abbandono (eufemismo) di Gramsci al proprio destino nelle carceri fasciste, al ruolo che rivestì negli anni 30, risiedendo nel sinistro Hotel Lux di Mosca, quale membro del Politburo del Comintern (foto), nelle purghe che il sanguinario sinedrio di Stalin di cui Il Migliore era componente autorevole, ordiva quotidianamente contro gli stessi comunisti, sovietici ed esuli di altri paesi (italiani compresi) che, a milioni furono spediti nei gulag o sbrigativamente, dopo i processi farsa, liquidati nei sotterranei della Lubianka. E ancora: il ruolo che il compagno Ercoli svolse, nella veste di commissario politico del Comintern, durante la guerra di Spagna in cui i comunisti, sotto la sua luminosa guida si preoccuparono, piuttosto che di combattere i falangisti sostenuti dall’Italia fascista, di dare la caccia agli anarchici o ai trotzkisti del Poum. Infine, l’ipocrita posizione assunta dall’ On. Palmiro Togliatti, segretario generale del Pci, dopo la divulgazione in occidente del rapporto Krusciov al XX Congresso del Pcus in cui furono denunciati al mondo comunista il culto della personalità e soprattutto i crimini del dittatore georgiano (di cui peraltro entrambi furono complici) a cui seguì il sostegno politico che il Pci offrì all’invasione del 1956 dell’Ungheria con la striscia di sangue e le feroci repressioni che ne derivarono. Giova ricordare che, durante il ventennio fascista e fino alla caduta di Mussolini, mentre lo zelante stalinista Togliatti se ne stava a Mosca collaborando attivamente con sinistri figuri come Vishinsky, Dimitrov, Ezov e Beria, Pietro Nenni, e con lui molti antifascisti non comunisti, campava di stenti, braccato dall’Ovra nel sud della Francia e i fratelli Rosselli furono accoppati, sempre in terra transalpina, da sicari fascisti. E magari vale anche ricordare che la figlia del leader socialista Vittoria morì internata ad Auschwitz nel 1943. La vita e le malefatte di Togliatti sono state ampiamente documentate da storici di chiara fama e fa davvero specie che, in questa estate in cui sembrano farla da padroni i ripetenti di terza liceo, vi sia ancora qualcuno che, associando il leader comunista a De Gasperi e a Nenni, ne tessa l’elogio post mortem. In particolare che si eserciti in codesta maldestra rivisitazione storico-politica il quarantacinquenne Guardasigilli Andrea Orlando che, al pari di un suo non rimpianto predecessore (Oliviero Diliberto), risiedendo pro tempore nella stanza che Togliatti occupò nei primi governi repubblicani a Via Arenula, sede del ministero, sembra essere stato colpito dalla sindrome del Migliore e abbia avvertito il bisogno di recarsi a rendere omaggio al defunto, definito, pure con le “contraddizioni” (sic!)della sua biografia “una figura decisiva nell’edificazione della nostra democrazia”. Andrea Orlando sarà una delle personalità che parteciperanno alla festa nazionale del Psi in programma a Marina di Carrara dall’11 al 14 settembre. Sarà forse il caso che qualcuno, con il dovuto garbo pari alla fermezza che contraddistinguono i socialisti, lo interroghi e approfondisca il senso di tali affermazioni che suonano, quantomeno, molto ma molto intempestive.

    Emanuele Pecheux


    Il Fantasma di via Arenula cinquant?anni dopo | Avanti!
    Ultima modifica di Frescobaldi; 22-08-14 alle 23:57
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