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Discussione: Avanti!

  1. #241
    Partito d'Azione
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    Predefinito Re: Avanti!

    Tutto cambia



    Non è il migliore dei mondi possibili. Addirittura, dopo il risultato nel referendum del 4 dicembre e i tagli imposti alla legge elettorale dalla Corte, è tramontato lo scenario di un bipolarismo di tipo tradizionale. Intendiamoci bene: la presenza stabile di tre blocchi ne aveva già logorate le basi. Chi non crede, si rilegga i risultati delle politiche 2013. Inutile girarci attorno. Salvo terremoti, la legge elettorale c’è già. Non è quella che avremmo voluto. Meglio, molto meglio un sistema di tipo maggioritario con piccolo premio di maggioranza. È stata per mesi la nostra proposta, per un momento è sembrata prevalere, ma i numeri al Senato – con il no espresso da Alfano – non c’erano. Abbiamo suggerito di portare lo sbarramento al 3%. Prima ancora che a vantaggio dei piccoli partiti, per favorire nel dopovoto la nascita di una coalizione riformista tra PD, sinistra del dialogo e cattolici democratici.

    Nessuno potrebbe escludere, oggi, di vederla realizzata. Vedremo a giorni se l’emendamento socialista avrà fortuna. Sta di fatto che il via libera al 5% dato da Sinistra Italiana e da Mdp taglia il ramo su cui Pisapia era seduto. La sua sinistra, niente affatto lontana dalla nostra, rischia di essere prigioniera di un radicalismo ‘arcobaleno’ e dei veti imposti da D’Alema. Noi abbiamo la forza per difendere le buone ragioni del riformismo al governo ma non abbiamo i parlamentari per rovesciare l’accordo sulla legge elettorale che si profila.

    Il ‘Foglio’ lo ha definito Salvillo, io governo grigio-verde. Non è fantapolitica. Non va escluso che prenda vita un esecutivo tra Grillo e Salvini all’indomani del voto. Non viviamo tempi molto diversi da stagioni già vissute in passato. Paura, insicurezza, fragilità economica del ceto medio inducono migliaia di famiglie a reagire affidandosi alla protesta, alle soluzioni radicali, ad affondare quel poco di europeismo che è rimasto. Attorno a noi gli esempi non mancano. Per questo urge una sinistra che ti protegge, che sposi senza tentennamenti i temi della sicurezza, che affronti con decisione il nodo dei migranti, che protegga il Made in Italy. Insomma le questioni che abbiamo sottoposto all’attenzione degli italiani con le Primarie delle Idee in corso in queste ore.

    La priorità non è fissare la data delle elezioni ma stabilire quale legge di bilancio si profila e con quale progetto ci presentiamo agli italiani, quale ‘patto’ stringiamo con gli italiani. Questo va fatto prima dell’estate.

    L’idea che Salvini e Grillo hanno dell’Italia non è la nostra. È un’idea da combattere senza tentennamenti. Troppo chiusa in se stessa, lontana dal futuro, demagogica e parolaia. La nuova frontiera è tra inclusi e esclusi, tra chi vuole trascinarci fuori dall’Europa e chi invece lavora per un’altra Europa. Tra chi inneggia all’autosufficienza come Mussolini all’autarchia e chi vorrebbe un’Italia più autorevole in un’Europa più competitiva.

    Il PD è il partito che porta la responsabilità più grande. Non tutto ci convince. La polemica scatenata contro i piccoli partiti nasconde un’altra verità: sono state le divisioni dentro il PD a provocare le maggiori difficoltà nei governi di questa legislatura. Dal divorzio breve alle unioni di fatto, dalla legalizzazione della cannabis alle riforme istituzionali fino a provvedimenti economici. Quelle stesse divisioni che si sono manifestate in decine di comuni al voto la prossima settimana. Quasi ovunque la sinistra riformista è rappresentata da PD, PSI e liste civiche – non esiste Campo Progressista e rara è la presenza di liste bersaniane -, spesso le liste che si richiamano al PD sono almeno due. La tirata contro i ‘piccoli’ è servita a coprire le magagne interne.

    Mi rivolgo ai socialisti. Alla scadenza elettorale dovremo arrivare uniti e con un bagaglio di consensi che le amministrative di giugno confermeranno dignitoso e decisivo per consentire alla sinistra di vincere in molti municipi. Dalle Primarie delle Idee trarremo il convincimento per imporre le nostre priorità programmatiche.

    Il confronto col PD partirà da qui. La forza del territorio, la qualità delle nostre idee.


    Riccardo Nencini





    Tutto cambia | Avanti!
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    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #242
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    Predefinito Re: Avanti!

    Insomma questi invece di unirsi e creare un partito già litigano con Pisapia e rimpiangono il 3% con cui potevano provarci tutti. Per fortuna lo sbarramento alto non si tocca, andassero a lavorare.
    "la Le Pen col 40% avrà incassato una grande vittoria" (Candido)


  3. #243
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    Predefinito Re: Avanti!

    Beh, non credo che i socialisti sarebbero potuti andare con la sinistra in qualsiasi caso, al più con il solo Pisapia o con Pisapia + MdP, non li vedo compatibili con Fratoianni.

    In generale, la traiettoria del PSI mi pare legata più che mai al PD; una lista "PD - riformisti uniti" potrebbe integrare tranquillamente PSI, Moderati di Portas etc come nel 2013
    «Riformista è uno che sa che a sbattere la testa contro il muro si rompe la testa, non il muro! Riformista...è uno che vuole cambiare il mondo per mezzo del buonsenso, senza tagliare teste a nessuno» [Baaria]

  4. #244
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    Predefinito Re: Avanti!

    Fine della I Repubblica, ‘traino’ del Muro di Berlino


    Da oggi l’’Avanti! ospiterà una serie di interviste ad esponenti del Psi e a storici, nell’ambito della realizzazione di una tesi magistrale sul crollo della Prima repubblica.





    In questa intervista Mauro Del Bue, esponente di punta del Psi (deputato durante la X, XI e la XV legislatura, membro della Direzione del Psi dal 1989 e della segreteria nel 1993), spiega le ragioni del crollo del Partito socialista, facendo un resoconto preciso di quella crisi, con riferimenti storici puntuali e puntando l’’attenzione su quello che fu, nella sua lettura, il suo centro propulsore: la caduta del muro di Berlino. Del Bue si sofferma anche sugli errori strategici di Craxi, sul ruolo anomalo del Pci e sull’’avanzata della Lega lombarda, poi Lega nord.



    Quando inizia il declino del Psi?

    Probabilmente già nel 1987, nonostante il Psi raggiunga uno dei risultati migliori della sua storia ottenendo il 14,3% nelle politiche di quello stesso anno. Questo successo è dovuto agli ottimi risultati ottenuti dall’esecutivo guidato da Craxi grazie al quale l’inflazione scese dal 16 al 4%, anche per via del taglio dell’automatismo della scala mobile e poi per una politica estera indipendente e coraggiosa, come dimostra il memorabile episodio di Sigonella.

    Da quel momento il Psi inizia la sua parabola discendente. Craxi, in effetti, pensava di “ingessare” la X legislatura (1987-1992), mantenendo un certo immobilismo, garantendo una legislatura o quasi a presidenze democristiane e assicurandosi in tal modo di tornare a palazzo Chigi nel 1992. La questione però riguardava le crepe e le smagliature che si stavano già generando all’’Interno del sistema politico. L’’idea che non ci fosse alternativa alla Dc sembrava ancora una certezza assoluta e inscalfibile, ma diveniva sempre più democraticamente insopportabile. Con la caduta del muro di Berlino questo schema salta e inizia un triennio di crisi che poi sfocia in tutta la sua virulenza tra il 1992 e il 1994.

    Craxi, nonostante questo sconvolgimento epocale, rimase ancorato alla logica del vecchio sistema. Eppure già con le elezioni europee del 1989 si erano avvertiti i primi scricchiolii che proseguirono alle regionali del 1990, riemersero col risultato del referendum Segni del 1991 e poi divennero urla padane nel 1992 con l’’avvento della Lega che invase l’intero Nord, portando a Roma decine di parlamentari.

    Se dovesse provare ad ordinare le cause del crollo della repubblica dei partiti come le ordinerebbe?

    La causa scatenante, a mio avviso, è la caduta del Muro di Berlino e le sue conseguenze immediate in Italia, innanzitutto la fine del Pci. Il crollo del muro distrugge gli equilibri che avevano retto la Prima repubblica e fa emergere tutte le contraddizioni latenti che stavano iniziando a venire alla luce. Inclusa la pesantezza burocratica ed economica dei partiti. Non dimentichiamo che la struttura pesante dei partiti democratici era una caratteristica ereditata dal Pnf che per primo aveva dato vita ad una struttura di questo tipo in Italia ed era anche una risposta alla mastodontica struttura partitica del Pci, che era il partito più burocratizzato e organizzato dell’intero Occidente.

    L’affermazione della Lega, già con le regionali e amministrative del 1990, poi iI referendum sulla preferenza unica del 1991 sono i primi due segnali evidenti della lacerazione del vecchio sistema politico.

    Alla luce della debolezza dei partiti tradizionali, dunque, l’inchiesta di Mani Pulite può essere considerata una conseguenza e non una causa di questa crisi. È il terzo e definitivo segnale del crollo. Rappresenta il botto finale nella crisi del sistema, originata già dalla seconda metà degli anni ottanta, giustificata dal crollo del comunismo e dalla fine del Pci, segnalata dall’avanzata massiccia della Lega e poi dall’imprevisto risultato del primo referendum Segni. Il triennio 1989-1992 prepara il colpo di Tangentopoli e in un certo senso lo giustifica.

    Torniamo alla Lega: come si spiega il suo successo e come si colloca nello scacchiere politico?

    L’’avanzata della Lega, come noto, interessa il Nord Italia. Nasce come fenomeno di protesta fiscale e come movimento di contestazione antipartitica. È un movimento non ideologico: si pensi allo slogan “Roma Ladrona” o “Lombardo paga e taci”.

    La Lega rappresenta la liberazione dal vincolo ideologico e il superamento del “naso turato” in senso anticomunista cui alludeva Montanelli, visto che il pericolo comunista è ormai tramontato. L’’elettore della fine degli anni Ottanta non vota più per appartenenza partitica, ma per interesse o per protesta e la Lega ne è la rappresentazione plastica.

    Perché in Italia la caduta del muro di Berlino assume tale importanza?

    La sua rilevanza riguarda, ancora una volta, il ruolo del Pci, il partito comunista più grande d’Europa. Tutto il sistema politico si era disegnato sulla conventio ad excludendum, cioè sulla necessità di escludere i comunisti dal governo per evitare i rischi legati alla guerra fredda. Questo era avvenuto anche durante gli anni della cosiddetta unità nazionale, quando al Pci fu concesso di votare a favore del governo, ma non di farne parte. Il ricambio, per quanto detto, era impossibile. Con la caduta del muro cade questa pregiudiziale e si ridisegna il panorama politico. La caduta del muro fa venire meno la ragion d’’essere di un sistema e fa venire alla luce i suoi elementi deteriori, tra cui i finanziamenti illegali alla politica che, se fino al 1989 parevano necessari e giustificati, dopo paiono senza motivo e finalità. Lo capirono i comunisti che votarono a favore dell’a depenalizzazione dei finanziamenti illeciti fino al 1989, e quel voto li mise al riparo dalle indagini sui rubli di Mosca. Tale legge, approvata da tutto l’’arco costituzionale, divise in due anche la questione morale. Fino al 1989 il finanziamento illecito divenne lecito e accettabile, dopo diventò reato e deprecabile. Non mancò un po’ di stupidità nei gruppi dirigenti degli altri partiti…

    Parliamo del Pci-Pds: era pensabile riassorbirli in un progetto di Unità socialista?

    Il duello a sinistra era stato intenso e senza esclusione di colpi. Il Psi avrebbe dovuto mettere in difficoltà i post comunisti muovendosi con una proposta politica che fosse di immediata soluzione. Invece preferì i tempi lunghi. Attese, invece di agire. I tempi lunghi erano quelli necessari al Pci per fondare il nuovo partito. Col senno del poi penso che si doveva puntare alle elezioni politiche anticipate subito dopo la Bolognina. Proporre subito ai post comunisti un lista di unità socialista, che forse li avrebbe ulteriormente divisi. Craxi temeva che dopo avere rotto con la Dc, i post comunisti avrebbero appoggiato loro Andreotti. Magari. Penso che un’operazione del genere li avrebbe portati allo sfacelo. Se il revisionismo post comunista fosse sfociato in un nuovo compromesso storico avrebbe perso le sue ragioni ideali e politiche. A me BEttino confessò che avrebbe voluto lentamente portarli al governo, ma quella era la logica degli anni settanta, quella del superamento graduale del fattore K, finito definitivamente sotto i calcinacci del muro.

    Che ruolo ha avuto la magistratura nella dissoluzione del Psi? Che clima c’’era all’epoca di Mani Pulite?


    Si può parlare di “strabismo”, nel senso che il Pool colpì secondo i suoi desideri E questo ha profondamente orientato il corso della politica italiana. Anche senza l’’intervento della magistratura il sistema politico italiano avrebbe subito sostanziali mutamenti, ma non credo avrebbe percorso la stessa direzione. La magistratura, insomma, ha guidato e orientato la transizione che ha accompagnato la fine della Prima repubblica.

    Il clima era molto pesante: alla Camera era un susseguirsi quotidiano di notizie drammatiche. Ogni giorno piovevano avvisi di garanzia a cui corrispondevano le immediate dimissioni degli interessati. In quegli anni un avviso di garanzia equivaleva al definitivo tramonto di una carriera politica: un avviso di garanzia era una condanna senza appello. Vedo che oggi, invece, tutti hanno giustamente cambiato opinione sul rapporto stretto instaurato allora tra indagine e condanna. Poi c’erano i suicidi, gli infarti, il carcere duro al fine di confessione, che significa la reintroduzione della tortura.

    La miscela tra iniziativa giudiziaria e informazione era esplosiva. Giornali e televisioni di destra, centro e sinistra si trovarono tutti dalla stessa parte della barricata. Il dipietrismo, il giustizialismo erano dilagati. Costituivano un muro contro il quale ci si poteva solo rompere la testa. Dovevamo combattere? Craxi su questo aveva ragione. Mi disse: “Bisogna lasciare passare la piena”. Sono passati venticinque anni, la piena ë passata, ma purtroppo il Psi non c’è più. Certo, è cambiato tutto il sistema politico. Non ci sono più neppure il Pci e la Dc. Ma mentre questi due partiti hanno avuto successori nella cosiddetta seconda Repubblica, il Psi non ha generato eredi altrettanto autorevoli e perfino la sua storia è a rischio dimenticanza. Per questo, per combattere questa grave e insopportabile ingiustizia, sono ancora qui a legare la mia vita a un impegno politico, storico ed editoriale. Per me è innanzitutto un dovere morale.

    Martino Loiacono




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  5. #245
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    Predefinito Re: Avanti!

    Dopo la segreteria


    La trattativa continua. Il Pd é in un mare di guai. Come sempre lacerato da gruppi e sottogruppi. Da ambizioni e resistenze. Perderà decine e decine di seggi secondo i sondaggi. Riuscirà a frenare una perdita di consensi progressiva e per ora inarrestabile? Nella segreteria del Psi Nencini ha fatto il punto della situazione, partendo proprio dalle difficolta del maggior partito della coalizione. Sugli uninominali la lista Insieme mantiene ferma la sua proposta, quella di una adeguata rappresentanza in tutte le regioni italiane, anche per imprimere alla coalizione di centro-sinistra un carattere pluralista.
    Per quanto concerne le liste proporzionali di Insieme pare che tutto o quasi sia a posto. Le candidature, con qualche interrogativo che permane in un paio di regioni, sono state definite. Grande é stato lo sforzo organizzativo profuso dai nostri compagni nelle singole regioni. Secondo i dati forniti da Rometti i candidati socialisti superano il cinquanta per cento del totale. Vi sono regioni in cui i prodiani hanno ottenuto la maggior parte dei capilista, come in Emilia-Romagna, e una buona rappresentanza in Lombardia, mentre in Campania molto forte risulta la presenza dei Verdi. Il mosaico che si presenta é dunque alquanto equilibrato. Un corale ringraziamento é stato rivolto ai parlamentari socialisti, per il proficuo lavoro di questo quinquennio.
    L’obiettivo del tre per cento non sembra irrealizzabile. Secondo Vizzini e Schietroma questo obiettivo non deve mai essere abbandonato e la differenza la possono fare i territori. Secondo Incarnato nel Sud si potrebbe verificare un condizionamento dell’uninominale sul proporzionale. Col voto unico il nome del candidato di collegio potrebbe orientare il voto alla lista. Nel mio intervento ho voluto precisare che questo effetto al Nord sarà impresso al contrario e cioè prevarrà il voto alla lista su quello al candidato. E ho inteso mettere in guardia dai cosiddetti collegi sicuri. Esistono collegi buoni, ma non blindati anche in Emilia-Romagna, anche in Toscana. Dipenderà dalle percentuali di Liberi e uguali. Da quanto questa lista sottrarrà a quella del centro-sinistra, che la sciagurata scelta del voto unico proietta inevitabilmente anche sull’uninominale.
    E ho voluto precisare che ogni riflessione politica critica e autocritica dovremo svilupparla, lo ha ricordato anche Buemi, dopo le elezioni. Adesso é il momento della unità d’intenti e della mobilitazione elettorale. Se i socialisti volevano ritrovare il simbolo sulla scheda l’esigenza è stata soddisfatta, sia pure in coabitazione con due liste alleate. Di più. Anche alle regionali del Lazio, dove dovremo confermare il consigliere uscente, e a quelle della Lombardia, dove da quindici anni non esiste una presenza socialista, si presenterà la lista Insieme, che dunque appare sempre più come un progetto politico e non solo una ricetta per le elezioni.
    Per colpa di Emma Bonino questa lista non ha potuto unificarsi con la sua. Una scelta sciagurata e incomprensibile. Soprattutto se collegata alla accettazione, invece, dell’intesa col Centro democratico di Bruno Tabacci. Un connubio senza logica e programmi. Non a caso questa scelta é oggi vigorosamente contestata dal Partito radicale transnazionale e da Radio radicale che ha aperto le sue porte ai candidati di Insieme. Non a caso il segretario radicale della Basilicata sarà nella nostra lista. Entro il fine settimana tutto si dovrà chiarire e poi la parola spetterà solo al confronto elettorale. La delega a chiudere la trattativa è stata unanimemente accordata al segretario del partito.


    M. Del Bue



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  6. #246
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    Predefinito Re: Avanti!

    Riflessioni post elettorali

    I dati di novità rispetto a quelli di tutti i sondaggi sono quattro: la travolgente avanzata del Movimento Cinque stelle che si attesta oltre il 32 per cento, la debacle del Pd che scivola al 18, la contestuale affermazione della Lega, oltre il 17, che ribalta il rapporto di forze con Forza Italia ferma al 14, l’insuccesso di LeU che si ferma poco sopra il tre. Cerchiamo di capire e di ragionare. L’insoddisfazione sui temi della sicurezza e dell’immigrazione, assieme alla disoccupazione, soprattutto nel Sud ancora troppo alta, non spiegano da sole una tendenza cosi travolgente a favore delle forze più estreme di opposizione. L’insoddisfazione si salda a mio avviso con una forte tendenza anti establishment alimentata da campagne di stampa, sulle televisioni, sui social, continua, incessante, produttiva. E’ una posizione dell’elettorato che si é manifestata con forza negli Stati uniti dove il trionfo di Trump precede e si accomuna con l’orientamento del voto italiano.


    I partiti di governo, ma anche Forza Italia e perfino LeU, sono stati concepiti come forme di politica tradizionale, una dimensione del potere rinchiuso in se stesso. Berlusconi non solo non ha portato, come tutti prevedevano, un incremento di consensi al suo partito attraverso le sue continue uscite televisive, ma ha finito per produrre un disincentivo a votarlo a causa della sua immagine logorata, dei suoi difetti di linguaggio, delle sue stravaganti promesse da prestigiatore. Bersani, D’Alema, il povero Grasso, hanno contestato Renzi fornendo però un’immagine ancora più vecchia, anzi arrugginita, della sinistra, un revival di parole e di slogan incapaci di fornire una reale alternativa che non fosse il ritorno a un deja vu ideologico e dogmatico fuori dal tempo. Non si sono accorti che il mondo, l’Europa e soprattutto l’Italia, si dirigeva dalla parte opposta alla loro. E loro insistevano convinti del contrario.


    Al presidente Mattarella spetta un compito complicato e delicato. Nessuno può vantare una maggioranza parlamentare. Tuttavia la forza di maggioranza relativa che più si avvicina al necessario quorum è il centro-destra a trazione leghista. Probabile dunque che il primo mandato sia quello a Salvini. Riuscirà il leader leghista a convincere qualche parlamentare dello schieramento avverso a votare il suo governo? Difficile prevederlo. In seconda battuta può essere affidato un incarico al primo partito, al suo candidato Di Maio, per verificare l’esistenza di una convergenza con altri, contro la quale sta sparando fuoco e fiamme Beppe Grillo. La terza ipotesi è l’affidamento di un mandato a un’alta personalità per comporre un governo con una maggioranza trasversale, il governo del presidente, che avrebbe vita breve, forse dovrebbe anche por mano a una nuova legge elettorale e nel giro di un anno rimandare l’Italia al voto.


    La crisi del Pd e della sinistra italiana, con le prevedibili dimissioni di Renzi, é senza precedenti. Qualcuno l’ha paragonata a quella della sinistra francese. Però in Francia, dove il risultato dei socialisti é stato ben peggiore di quello del Pd, ma dove esiste un sistema semipresidenziale e una legge elettorale che assicurano stabilità, lo sbocco é stato il riformista Macron non Di Maio. Una sinistra, anzi un centro-sinistra ed é ben peggio, sul 22-25 per cento in Italia non s’era mai vista. La sinistra italiana tra prima e seconda repubblica si é sempre attestata attorno al 40 per cento. Solo due le eccezioni. Il dato del Fronte popolare del 1948, che era del 30,98 per cento, e il risultato dei progressisti occhettiani nella disfatta del 1994 che superò il 34. Se noi pensiamo che il problema sia spostare la sinistra un po’ più a sinistra o un po’ più a destra non ne saltiamo fuori. Restiamo prigionieri di uno schema che non esiste più. Penso che sarebbe bene che il primo atto di tutti i partiti di sinistra fosse il loro azzeramento, poi la definizione di un percorso per fondare un soggetto, non necessariamente un partito, che metta nella sua agenda due temi essenziali: quale Europa e quale leader.


    E veniamo alla nostra piccola comunità socialista con un primo sguardo fuori di noi. Emma Bonino ha preferito marciare sola e non ha raggiunto la quota del tre per cento, dunque non ha eletto nessuno. Con noi e i verdi l’avrebbe superata. Una piccola soddisfazione. Il risultato di Insieme, ben al di sotto anche di aspettative non illusorie, ha mostrato che senza risorse, senza visibilità e senza leader, non si possono affrontare le elezioni. La proposta di un azzeramento riguarda anche noi, per la verità già più volte azzerati dall’elettorato e da tempo più soggetto per elezioni locali che per consultazioni nazionali. Lasciamo perdere idee bislacche di rifondazioni e di unità non si sa con chi e perché e distinguiamo bene tra storia, editoria, pubblicistica e politica. Per le prime tre occorre salvaguardare i nostri strumenti (e l’elezione di Nencini ci consente se non altro di poter concorrere al finanziamento) tra i quali l’Avanti, Mondoperaio, la stessa fondazione di Acquaviva, adesso l’archivio digitalizzato dell’Avanti. Per la politica non vedo possibilità di autonome sopravvivenze. Occorre capire che all’appuntamento con la rinascita di una forza riformista europea dovremo contribuire, per quel poco che rappresentiamo, anche noi, magari assieme agli amici verdi e ai radicali pannelliani. E magari subito con un più stretto coordinamento tra di noi. Se azzeramento ci sarà e con esso un nuovo inizio penso che sarebbe stupido erigere per noi i vecchi steccati.

    M. Del Bue


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  7. #247
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    Predefinito Re: Avanti!

    Pd partito?



    Il Pd é ancora un partito? A leggere il resoconto e il commento di Pierluigi Battista sul Corriere di oggi pare proprio di no. Quando un segretario reggente parla di odio e un ex segretario invita a non usare il termine “tradimento” la convivenza sotto lo stesso tetto si annuncia sempre più prossima al tramonto. Eppure la relazione di Martina é stata votata all’unanimità. Bisognerebbe capire il motivo di una unità non “nella differenza”, come si diceva una volta, ma addirittura nella più aspra contrapposizione prima personale e poi politica.


    I gruppi e i sottogruppi non si contano. Basti pensare che l’opposizione a Renzi é talmente frastagliata da non riuscire nemmeno a formulare un documento unico. C’é chi, come Emiliano e Boccia, vorrebbe votare a favore di un governo composto dai Cinque stelle e chi come Orlando e Cuperlo vorrebbe solo dialogare (senza accettare un governo Di Maio) e chi, come Martina, vorrebbe solo sedersi e magari scappare poco dopo, e chi come Franceschini e Zanda vorrebbe solo che Renzi non parlasse mai più. E poi c’é ancora Veltroni che condiziona il voto della Madia e Fassino che critica chi se la prende con Martina. Come anche Zingaretti, che sfodera l’atteggiamento di chi può insegnare agli altri come si fa a vincere. E altri ancora, che sono molto preoccupati delle elezioni perché appena eletti e si agitano, sospirano e annusano cattiva aria.


    L’unica cosa chiara, per ora, é che la Direzione ha sostanzialmente accettato la linea esposta da Renzi a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio. Anche questo può apparire paradossale, giacché quell’intervista é stata sottoposta a censure e aspre contumelie proprio da coloro che alla fine l’hanno accettata. No dunque al governo Cinque stelle e no al governo della Lega. Si conclude con un “né-né” una direzione che si é trovata dinnanzi a una scelta, alla luce della legge dei numeri. O riconsegnare il partito a Renzi o accogliere la sua politica di netta chiusura ai Cinque stelle. Ma la politica del “né-né”, lascia aperto un varco all’inquilino del Colle.


    E da lunedì Mattarella dirà la sua. Anzi farà la sua scelta. Siccome non si possono contrarre accordi né tra Centro-destra e Cinque stelle, né tra questi ultimi e il Pd, si tenterà di lanciare il cosiddetto governo di tregua. Cioè un esecutivo con un presidente incaricato che non dipenda dal alcuno schieramento politico e che tenterà di ottenere la fiducia o la non sfiducia di tutti. Difficile al momento che riesca a convincere i Cinque stelle, e tutt’altro che scontata si annuncia la disponibilità della Lega. Anche perché l’unico asse possibile tra Cinque stelle e Lega potrebbe proprio essere quello che porta rapidamente alle elezioni (magari con un governo di minoranza o col governo dimissionario), attraverso un emendamento del Rosatellum che vi comprenda il premio di maggioranza.


    Complicatissimo anche questo. Un premio senza soglia é gia stato definito incostituzionale dalla Corte. C’era nel Porcellum, ma solo per la Camera, ed é stato fatto saltare. Francamente dubito che qualsiasi premio di maggioranza, Costituzione alla mano, possa essere legittimo per il Senato. Se si introducesse un premio al 40 per cento questo é gia implicitamente previsto dalla combinazione tra proporzionale e maggioritario contemplato dal Rosatellum. Dunque, di cosa si parla? Paradossale che il confronto politico sia oggi animato da comici e da cantanti. All’endorsement di Orietta Berti ha fatto riscontro quello di Iva Zanicchi quest’oggi, dopo il commento politico di Pippo Franco ieri sera. Attendiamo con curiosità fino a che punto si scivolerà in basso nella scala politico-musicale.


    E questo mentre l’Italia dovrà rispondere alle incursioni di Moscovici sul debito anche attraverso il Dpef che dovrà essere approvato a giorni dai due rami del Parlamento, mentre si dovranno reperire quasi trenta miliardi per evitare l’aumento dell’Iva nel 2019 e nel 2020, inserito come clausola di salvaguardia. E mentre l’Europa muove passi in direzione di nuovi accordi tra Francia e Germania che ci escludono, noi continuiamo a tergiversare. Il balletto italiano assomiglia a quello animato dal complessino musicale sul Titanic. Forse per questo s’odono stonati gli accenti di vecchie cantanti che sorridono allegramente. Mentre gli italiani intonano vecchi e nuovi lamenti. D’altronde fin che la barca va…

    M. Del Bue



    Pd partito? | Avanti!
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  8. #248
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    Predefinito Re: Avanti!

    Pd? Partito diviso…


    L’unico comun denominatore del Pd é la divisione. Sono sempre divisi su tutto. Dalle dimissioni di Veltroni in poi tutti i segretari sono stati oggetto di un tiro al piccione continuo, spietato, deleterio. Franceschini ed Epifani sono stati segretari di transizione, come il povero Martina, Bersani e Renzi segretari plenipotenziari, il primo a un passo dal divenire presidente del Consiglio, il secondo presidente del Consiglio per tre anni. I due non si sopportavano, se ne sono dette di tutti i colori. Il primo se n’é andato sbattendo la porta, ma in realtà aspettando il cadavere del secondo che, dopo la sconfitta referendaria, anziché prendersi almeno un anno sabbatico, ha preferito assumersi la responsabilità di un’altra sconfitta, anzi dèbacle.

    Mi sono sempre chiesto: cos’é che unisce il Pd visto che é così facile dividerlo? Non una storia, certamente, giacché quella comunista e quella democristiana nulla hanno in comune. Lodare De Gasperi senza rinnegare Togliatti é un insulto alla verità. De Gasperi cacciò i comunisti dal governo nel 1947 e i suoi successori il Pci al governo non l’hanno più voluto fino alla sua fine, nel novembre del 1989. Vedo che nelle sezioni del Pd campeggia ancora la foto di Berlinguer. Qualche volta affiancata da quella di Moro. Ma cos’hanno in comune i due? E’ vero che Moro fu lo stratega del terzo tempo, cioè di un coinvolgimento del Pci nella maggioranza, ma dopo il suo omicidio, che Berlinguer e Zaccagnini non seppero evitare, la Dc dei successori di Moro preferì le elezioni anticipate al governo col Pci e Berlinguer praticò la politica dell’alternativa e del più rozzo pansindacalismo con l’occupazione della Fiat del 1980 e la lotta al decreto di San Valentino del 1984.
    D’altronde solo in Italia esiste un partito che concilia due storie (comunista e democristiana) ed é iscritto al Partito socialista europeo. Ovunque socialisti e popolari sono alternativi, anche se in talune circostanze collaborano, come in Germania. In Italia ex comunisti (quasi senza l’apporto dei socialisti) ed ex democristiani (ma senza i popolari europei che stanno in Forza Italia) sono nello stesso partito. La storia, così come la collocazione europea, è un elemento di confusione. La politica? Ma cos’hanno in comune Emiliano e Cuperlo che ritengono i Cinque stelle una costola della sinistra e Renzi che li ritiene un pericolo per la democrazia? Come possono stare insieme Renzi che, con una certa sfacciataggine, rivendica per sé i meriti delle vittorie e attribuisce agli altri, perfino al buon Gentiloni, la responsabilità delle sconfitte, che ritiene la mancata approvazione della legge Richetti o dello ius soli (incredibile a dirsi) causa del tracollo elettorale, e Orlando e Zingaretti che vogliono chiudere per sempre la fase del renzismo, riprendere il dialogo con LeU e la Cgil?
    Mistero. Ma neanche troppo misterioso giacché il Pd aveva in sé i germi della sua implosione. Due storie e due politiche opposte. Tutto ha origine nelle mancate e logiche conseguenze del dopo ottantanove. Non si son voluti fare i conti con la storia e la storia ha fatto i conti con loro. Ci mancava, in un momento tanto drammatico per tutta l’area della sinistra riformista, l’elezione di un segretario a tempo. Anzi di un segretario con le dimissioni in mano. Resterà fino al congresso. Ma già da ora si presenteranno le candidature a segretario del Pd (Zingaretti, Cuperlo, forse Delrio, non si sa chi altri) e si riprenderà la giostra dei conflitti e delle contumelie, col buon Martina a reggere il moccolo. Una situazione invero deprimente. Non per evocare il nostro passato ma ci sono momenti nella storia di un partito in cui servono decisioni dolorose e immediate (il Midas durò tre giorni) che possono poi segnare il percorso futuro di un partito. Il Pd non ha questa capacità e gli inviti di Calenda di lanciare un nuovo progetto non trovano ascolto. Si preferisce restare nel bunker assediato, col fucile rivolto gli uni contro gli altri, senza capire che i barbari, contrariamente a quelli del deserto buzzatiano, stavolta sono arrivati davvero.

    M. Del Bue



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  9. #249
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    Predefinito Re: Avanti!

    Citazione Originariamente Scritto da Frescobaldi Visualizza Messaggio
    Pd? Partito diviso…


    L’unico comun denominatore del Pd é la divisione. Sono sempre divisi su tutto. Dalle dimissioni di Veltroni in poi tutti i segretari sono stati oggetto di un tiro al piccione continuo, spietato, deleterio. Franceschini ed Epifani sono stati segretari di transizione, come il povero Martina, Bersani e Renzi segretari plenipotenziari, il primo a un passo dal divenire presidente del Consiglio, il secondo presidente del Consiglio per tre anni. I due non si sopportavano, se ne sono dette di tutti i colori. Il primo se n’é andato sbattendo la porta, ma in realtà aspettando il cadavere del secondo che, dopo la sconfitta referendaria, anziché prendersi almeno un anno sabbatico, ha preferito assumersi la responsabilità di un’altra sconfitta, anzi dèbacle.

    Mi sono sempre chiesto: cos’é che unisce il Pd visto che é così facile dividerlo? Non una storia, certamente, giacché quella comunista e quella democristiana nulla hanno in comune. Lodare De Gasperi senza rinnegare Togliatti é un insulto alla verità. De Gasperi cacciò i comunisti dal governo nel 1947 e i suoi successori il Pci al governo non l’hanno più voluto fino alla sua fine, nel novembre del 1989. Vedo che nelle sezioni del Pd campeggia ancora la foto di Berlinguer. Qualche volta affiancata da quella di Moro. Ma cos’hanno in comune i due? E’ vero che Moro fu lo stratega del terzo tempo, cioè di un coinvolgimento del Pci nella maggioranza, ma dopo il suo omicidio, che Berlinguer e Zaccagnini non seppero evitare, la Dc dei successori di Moro preferì le elezioni anticipate al governo col Pci e Berlinguer praticò la politica dell’alternativa e del più rozzo pansindacalismo con l’occupazione della Fiat del 1980 e la lotta al decreto di San Valentino del 1984.
    D’altronde solo in Italia esiste un partito che concilia due storie (comunista e democristiana) ed é iscritto al Partito socialista europeo. Ovunque socialisti e popolari sono alternativi, anche se in talune circostanze collaborano, come in Germania. In Italia ex comunisti (quasi senza l’apporto dei socialisti) ed ex democristiani (ma senza i popolari europei che stanno in Forza Italia) sono nello stesso partito. La storia, così come la collocazione europea, è un elemento di confusione. La politica? Ma cos’hanno in comune Emiliano e Cuperlo che ritengono i Cinque stelle una costola della sinistra e Renzi che li ritiene un pericolo per la democrazia? Come possono stare insieme Renzi che, con una certa sfacciataggine, rivendica per sé i meriti delle vittorie e attribuisce agli altri, perfino al buon Gentiloni, la responsabilità delle sconfitte, che ritiene la mancata approvazione della legge Richetti o dello ius soli (incredibile a dirsi) causa del tracollo elettorale, e Orlando e Zingaretti che vogliono chiudere per sempre la fase del renzismo, riprendere il dialogo con LeU e la Cgil?
    Mistero. Ma neanche troppo misterioso giacché il Pd aveva in sé i germi della sua implosione. Due storie e due politiche opposte. Tutto ha origine nelle mancate e logiche conseguenze del dopo ottantanove. Non si son voluti fare i conti con la storia e la storia ha fatto i conti con loro. Ci mancava, in un momento tanto drammatico per tutta l’area della sinistra riformista, l’elezione di un segretario a tempo. Anzi di un segretario con le dimissioni in mano. Resterà fino al congresso. Ma già da ora si presenteranno le candidature a segretario del Pd (Zingaretti, Cuperlo, forse Delrio, non si sa chi altri) e si riprenderà la giostra dei conflitti e delle contumelie, col buon Martina a reggere il moccolo. Una situazione invero deprimente. Non per evocare il nostro passato ma ci sono momenti nella storia di un partito in cui servono decisioni dolorose e immediate (il Midas durò tre giorni) che possono poi segnare il percorso futuro di un partito. Il Pd non ha questa capacità e gli inviti di Calenda di lanciare un nuovo progetto non trovano ascolto. Si preferisce restare nel bunker assediato, col fucile rivolto gli uni contro gli altri, senza capire che i barbari, contrariamente a quelli del deserto buzzatiano, stavolta sono arrivati davvero.

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    Del Bue, socialista che ha militato nel cdx ed è stato nel governo Berlusconi collega dei postfascisti, è davvero l'ultima persona che possa fare questi discorsi...
    «Riformista è uno che sa che a sbattere la testa contro il muro si rompe la testa, non il muro! Riformista...è uno che vuole cambiare il mondo per mezzo del buonsenso, senza tagliare teste a nessuno» [Baaria]

  10. #250
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    Predefinito Re: Avanti!

    Citazione Originariamente Scritto da Gdem88 Visualizza Messaggio
    Del Bue, socialista che ha militato nel cdx ed è stato nel governo Berlusconi collega dei postfascisti, è davvero l'ultima persona che possa fare questi discorsi...
    Il famoso Del Bue che da del cornuto all' asino.
    "I socialisti sono come Cristoforo Colombo: partono senza sapere dove vanno. Quando arrivano non sanno dove sono. Tutto questo con i soldi degli altri."

 

 
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