Novara, frasi shock del parroco di Cameri: "Convivere è peggio che uccidere" - Repubblica.it
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Novara, frasi shock del parroco di Cameri: "Convivere è peggio che uccidere" - Repubblica.it
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A naso il vescovo ha ragione a dover dirimere, ma ha fatto lo stesso errore del parroco , ovvero di usare un linguaggio e degli esempi inopportuni.
A differenza del parroco, pure assai ambigui.
Preferisco di no.
Se il vescovo consegna un prete alla
pubblica gogna
(di Riccardo
Cascioli su LaNuovaBussolaQuotidiana) Fare il parroco non è
mai stato facile, tanto più di questi tempi in Italia dove i cattolici da
maggioranza assoluta si sono trasformati in una minoranza che, oltretutto, è
affetta in gran parte da analfabetismo religioso. Però se a questo si aggiunge
che oggi un parroco – colpevole solo di spiegare il catechismo – può anche
aspettarsi che il vescovo, per mantenere buoni rapporti con i “nuovi pagani”, lo
esponga al pubblico ludibrio, bè, allora la faccenda si fa davvero
difficile.
L’ultimo caso è di questi giorni e riguarda un anziano parroco del
paesino di Cameri, nella diocesi di Novara. Anche lui deve fare i conti
con tante situazioni familiari irregolari: un bel problema quando ci sono
battesimi, comunioni e cresime e bisogna spiegare agli aspiranti padrini e
madrine che certe situazioni sono incompatibili con l’impegno che dovrebbero
assumersi. Alcuni parroci non ci provano neanche, ammettono tutto e tutti e chi
s’è visto s’è visto. Altri, che hanno a cuore il bene dei ragazzi e delle
persone che hanno di fronte, provano a spiegare: magari è un’occasione perché
qualcuno almeno intuisca che il cristianesimo è una cosa seria, qualcosa che
riguarda ciò che conta nella vita. Don Tarcisio Vicario, di stanza a Cameri, è
uno di questi. Addirittura è così preoccupato di spiegare bene come la pensa Dio
– così lontano dal modo in cui pensano gli uomini – che lo scrive anche nel
bollettino parrocchiale, con una Lettera alle Famiglie. Non inventa nulla, è il
catechismo della Chiesa, solo che prova a spiegarlo anche con degli esempi
perché si capisca meglio. E invece è qui che scoppia il pandemonio.
Don Tarcisio spiega infatti che il matrimonio è un
sacramento e quindi chi convive senza sposarsi in chiesa continua a
peccare senza neanche porsi il problema. Si può anche fare un peccato molto più
grave, ma se è occasionale, se ci si pente e si cambia vita, si è perdonati.
Succede anche di commettere lo stesso peccato tante volte, quasi per abitudine,
ma se c’è reale pentimento e desiderio di conversione questo non è un ostacolo.
Lo dice anche il Papa: Dio non si stanca di perdonare. Il problema è quando nel
peccato ci si sguazza come un pesce nell’acqua, lo si giustifica e si pretende
che sia una cosa giusta. Allora questa è corruzione – ci ha spiegato tante volte
papa Francesco – e questo non si può accettare.
Ed ecco le parole usate da don Tarcisio: «Per la Chiesa, che
agisce in nome del Figlio di Dio, il matrimonio tra battezzati è solo e sempre
un sacramento. Il matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento.
Pertanto chi si pone al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile,
vive una infedeltà continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per
esempio un omicidio), di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la
coscienza richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento
sincero e il proposito vero e fermo di allontanarsi dal peccato e dalle
occasioni che conducono ad esso».
Cosa ha detto di sbagliato don Tarcisio? Nulla. Ma quel
riferimento all’omicidio ha subito provocato reazioni scomposte: «Ha detto che
convivere è peggio dell’omicidio», è cominciata a girare la voce, e ovviamente
le sue parole sono state subito strumentalizzate e sono diventate titoli choc di
giornale.
Il caso diventa subito nazionale. E il vescovo, monsignor
Franco Giulio Brambilla, cosa fa? Essendo il pastore della diocesi, il padre dei
suoi preti, ci si aspetta che protegga il suo sacerdote, che denunci l’evidente
strumentalizzazione e – se proprio non è d’accordo con le modalità con cui don
Tarcisio si è espresso – che lo chiami e magari gli dia una lavata di capo a
quattr’occhi. Così farebbe un padre.
E invece monsignor Brambilla decide di unirsi al coro della
vergogna e consegna un suo prete alla pubblica gogna. «Il clamore
suscitato» dalla lettera alle famiglie di don Tarcisio – scrive monsignor
Brambilla in una lunga nota – «richiede una netta presa di distanza sia dai toni
che dai contenuti del testo per una inaccettabile equiparazione, pur introdotta
come esempio, tra convivenze/situazioni irregolari e omicidio.
L’esemplificazione, anche se scritta tra parentesi, risulta inopportuna e
fuorviante e quindi errata».
«Inaccettabile equiparazione tra convivenze e omicidio»,
dice il vescovo di Novara, ma don Tarcisio non ha fatto alcuna equiparazione,
solo una differenza tra peccato grave ma occasionale (seguito da pentimento) e
peccato magari meno grave ma continuato nel tempo e senza pentimento.
E poi prosegue monsignor Brambilla: la lettera di don
Tarcisio è «inopportuna e errata nei contenuti, perché dalle parole di quello
scritto, non emerge il volto di una Chiesa che è madre, anche quando vuole
essere maestra di vita». Ma ci si chiede, visto che si condanna l’eventuale
equiparazione: la Chiesa è madre solo per chi vive situazioni familiari
irregolari o anche per gli altri peccatori? Forse che l’omicida non ha diritto
alla misericordia come il concubino?
Certo, si può capire che l’improvvisa pressione dei media
abbia magari condizionato il vescovo, qualcuno dice che si è messo paura del can
can sollevato dalla stampa; possibile, anche se ricordiamo che in passato a
monsignor Brambilla non è mancato il coraggio; ad esempio quando nel 1989,
giovane teologo ambrosiano in carriera, fu tra i 63 firmatari del documento dei
teologi italiani che contestavano il Magistero di Giovanni Paolo II e chiamavano
i cattolici italiani alla riscossa. Coraggio che fu ben ripagato, perché non
solo la sua carriera di teologo non ne ha risentito, ma è stato addirittura
nominato vescovo. In privato, con qualche suo collaboratore pare che abbia
espresso il suo rincrescimento per quanto accaduto e per le parole che ha dovuto
dire contro un suo prete, ma con tutto quel clamore «ero obbligato a dire
qualcosa». D’accordo, però oltre a dire qualcosa sarebbe meglio dirla anche
giusta.
Ma aldilà dei contenuti, a lasciare male è proprio questo
spettacolo di pastori che non ci pensano un attimo a mollare i propri preti, se
questo aiuta nell’immagine pubblica. E purtroppo non è la prima volta che
accade.
Se il vescovo consegna un prete alla pubblica gogna | CR ? Agenzia di informazione settimanale
Preferisco di no.
Siccome il bene della vita e' indisponibile ( o no?) e un morto , una volta morto, non torna in vita neanche se l'omicida si pente, si capisce che avrebbe dovuto evitare di citare l'omicidio.
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Ultima modifica di Anthos; 24-06-14 alle 18:44
Guarda che nessuno ha plaudito l'opportunità di tale frase.
Ciò che si rimprovera è
A) Non capire che a parità di peccato un peccato occasionale è meno grave di un peccato continuato. Questo era il senso. Prima di fare i tuttologi col ditino alzato, il paragone è logico e calzante. Chiediamoci se è "meglio" un serial killer od uno che imbriago tira sotto uno sulle strisce . Siamo veramente all'analfabetismo religioso passato per scoperta giornalistica.
B) Utilizzare una frase un po' sfortunata di un parroco di campagna per fare la solita caciara antiCristiana, manipolando il senso della frase pronunciata (ed infatti lo "scoop" è di Repubblica). Perché rendiamoci conto, e amo ricordarlo, che esistono forze che hanno della distruzione del Cristianesimo la loro ragion d'essere.
E sinceramente sono assai più perniciosi quei preti che nella loro attività omiletica non citano mai, chessò, il Peccato, i Novissimi, o l'ABC del Catechismo, invece di fare (male) l'esegesi di testi assai difficili e/o di darsi alla sociologia vuota e senza significato, sermoni sulla raccolta differenziata o un inno al "volemose bbbene".
C) Un vescovo che se la fa sotto ed invece di spiegare il senso e l'ortodossia teologica di tale frase, fa lo scaricabarile e cerca di leccare il deretano alla stampa stessa. E lo fa citando un fantasmatico ed inesistente magistero di Papa Francesco che non mi pare abbia depennato la lista dei peccati (e non può farlo). Già perché anche la nozione di peccato è "indisponibile" da parte di chicchessia, Pontefice compreso.
Preferisco di no.
Ripeto: bastava che evitasse ogni riferimento all'omicidio . Avesse utilizzato il furto come esempio....
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Ultima modifica di Anthos; 26-06-14 alle 15:42
Mi dispiace per questa uscita , ma un altro Cardinale che invece di seguire gli strepiti mediatici nostrani ha fatto un discorso più generale di fatto rimarca la stessa Verità di Fede (che non è il lavoro del sig. Eugenio Scalfari che lavora per la "concorrenza" ) di quel semplice Sacerdote.
Cose da pazzi. Il cardinale Collins e il curato di campagna
Dopo Müller, Brandmüller, Caffarra e De Paolis, un altro cardinale è sceso in campo alla grande contro le tesi pro comunione ai divorziati risposati sostenute dal loro collega teologo Walter Kasper nel concistoro dello scorso febbraio.
È il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, 66 anni, cardinale dal 2012 e stella emergente del sacro collegio, tra l’altro chiamato da papa Francesco a far parte della rinnovata commissione cardinalizia di sovrintendenza sullo IOR.
Il cardinale Collins è intervenuto sulla questione in un’ampia intervista a Brandon Vogt per il blog cattolico americano “The Word on Fire”, pubblicata il 25 giugno, vigilia della diffusione dell’”Instrumentum laboris“, cioè del testo base del prossimo sinodo sulla famiglia:
> Marriage, Divorce, and Communion
In un passaggio dell’intervista, Collins argomenta così l’impossibilità di dare la comunione ai divorziati risposati:
“I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori. L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione, e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando di Gesù. Sebbene non sia giusto per loro ricevere i sacramenti, dobbiamo trovare migliori vie per aiutare le persone che si trovano in questa situazione, per offrire loro una cura amorevole.
“Un elemento di possibile aiuto sarebbe che tutti noi capissimo che non è obbligatorio ricevere la comunione quando si va a messa. Sono molti i motivi per i quali un cristiano può decidere di non ricevere al comunione. Se ci fosse minore pressione perché ciascuno riceva la comunione, ciò sarebbe d’aiuto per coloro che non sono in condizione di farlo”.
E ancora:
“Dobbiamo riflettere su che cosa possiamo fare per aiutare le persone che si trovano in questa situazione, in forme amorevoli ed efficaci. Ma facendo questo, dobbiamo anche essere fedeli al comando di Gesù e alla necessità di non mettere a rischio al santità del matrimonio, con le più gravi conseguenze per tutti, specialmente in un mondo in cui la stabilità del matrimonio è già tragicamente compromessa. Se noi dessimo prova con i fatti, se non con le parole, che il patto matrimoniale non è effettivamente quello che Gesù dice che è, ciò offrirebbe un sollievo solo momentaneo, al prezzo di una sofferenza di lunga durata. Se la santità del patto matrimoniale fosse progressivamente indebolita, alla fine sarebbero i figli a soffrire di più”.
Ma nell’intervista Collins dice molto più di quanto qui riportato. Verso la fine egli fa anche un parallelo tra le aspettative di cambiamento che precedettero la “Humanae vitae” di Paolo VI e quelle – a suo giudizio altrettanto infondate – che precedono il prossimo sinodo:
“Negli anni che precedettero l’enciclica di papa Paolo VI che ha riaffermato il costante insegnamento cristiano che la contraccezione non è in accordo con la volontà di Dio, c’era la diffusa aspettativa che la Chiesa stesse per cambiare il suo insegnamento. Questo tipo di aspettativa era basata per una certa parte sull’idea che la dottrina cristiana è come la politica di un governo: quando le circostanze cambiano, o quando più gente sostiene un’alternativa invece di un’altra, allora la politica cambia.
“Ma l’insegnamento cristiano è fondato sulla legge naturale che è scritta nei nostri cuori da Dio, e specialmente sulla parola rivelata di Dio. Noi scopriamo la volontà di Dio, e le Scritture e la fede vivente della Chiesa ci aiutano a fare ciò. Noi non modelliamo la volontà di Dio secondo ciò che attualmente ci pare meglio.
“Così, quando papa Paolo VI non cambiò ciò che non era nei suoi poteri cambiare, ma riaffermò la fede cristiana, molta, molta gente fu contrariata, e semplicemente decise di ignorare l’insegnamento. Questa è la nostra situazione presente. Io spero davvero che non abbiamo a soffrire una ripetizione di questo, mentre si diffondono infondate aspettative riguardo a un cambiamento da parte della Chiesa dell’esplicito insegnamento di Gesù sul matrimonio”.
Una curiosità. Come s’è visto sopra, anche il cardinale Collins, per spiegare l’impossibilità di dare la comunione ai divorziati risposati, fa il paragone tra la loro situazione di perdurante e consapevole “lontananza dal comando di Gesù” e quella di un colpevole di altro peccato anche gravissimo come l’omicidio, che però, pentito, può essere assolto e riammesso alla comunione.
La curiosità è che questo stesso paragone, fatto negli stessi giorni dal parroco di Cameri nella diocesi di Novara, don Tarcisio Vicario, ha invece esposto costui al pubblico ludibrio da parte del cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo, che il 26 giugno ha definito le parole del sacerdote come “una pazzia, un’opinione strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se stesso”.
Il giorno precedente anche il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, s’era sentito in dovere di “una netta presa di distanza sia dai toni che dai contenuti del testo” di quel suo parroco, a motivo della “inaccettabile equiparazione, pur introdotta come esempio, tra convivenze irregolari e omicidio. L’esemplificazione, anche se scritta tra parentesi, risulta inopportuna e fuorviante, e quindi errata”.
Per la precisione, ecco le parole testuali del malcapitato curato: “Per la Chiesa, che agisce in nome del Figlio di Dio, il matrimonio tra battezzati è solo e sempre un sacramento. Il matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento. Pertanto chi si pone al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile vive una infedeltà continuativa. Non si tratta di un peccato occasionale (per esempio un omicidio), né di una infedeltà per leggerezza o per abitudine che la coscienza richiama comunque al dovere di emendarsi attraverso un pentimento sincero e il proposito vero e fermo di allontanarsi dal peccato e dalle occasioni che conducono ad esso”.
Il cardinale Collins non ha detto niente di diverso. Una “pazzia” anche la sua?
Settimo Cielo - Blog - L?Espresso
Preferisco di no.
Bene , vuol dire che c'e' diversita di vedute anche tra alti esponenti del clero.
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