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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Genealogia di un ologramma: Marcos, Galeano e noi

    Pubblicato il 21 settembre 2014 · in Osservatorio America Latina ·

    di Martino Sacchi

    “Iniziò così una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un malizioso trucco del nostro cuore indigeno, la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione. Incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato Marcos”
    Nel maggio di quest’anno un gruppo di paramilitari uccide in un’imboscata il maestro Galeano, figura di spicco all’interno dell’escuelita zapatista, un progetto che nel corso del 2013 aveva aperto le comunità zapatiste a migliaia di attiviste e attiviste per farne conoscere i percorsi d’autonomia. Pochi mesi dopo l’attacco paramilitare, esce il comunicato Entre Luz y Sombra (tra la luce e l’ombra) in cui Marcos si destituisce enigmaticamente come portavoce del movimento zapatista, per ricomparire sul palco pochi secondi più tardi come “Subcomandante Galeano”.Entre Luz y Sombra non è però una semplice commemorazione di un compagno ucciso: parlando di Galeano, il comunicato ripercorre l’intera storia della lotta zapatista. Ripensando a questa storia sembra che, fin dalla presa di San Cristobal de Las Casas nel 1994, Marcos abbia costituito in qualche modo la cartina tornasole di questa lotta: è stato leader militare dell’EZLN, “delegato zero” durante la Otra Campaña (che si opponeva dal basso alla campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006), è stato a lungo la faccia senza volto che appariva sui media globali e potente simbolo per movimenti politici da tutto il mondo. Eppure, nel comunicato del maggio scorso, il portavoce dell’EZLN dichiara: “se posso definire il personaggio di Marcos, direi senza indugio che è stato una montatura”. Nient’altro che un “trucco”, un “ologramma”, dunque. Ma c’è di più: questa “montatura”, dopo la escuelita, non è nemmeno più necessaria. Affinché Galeano possa continuare a vivere, un altro dovrà morire, e sarà proprio Marcos. Ma attenzione: ciò che la morte si porterà via al posto di Galeano non sarà “una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza storia propria, senza vita”.Cosa è cambiato con l’escuelita zapatista? Cosa significa la “morte” di Marcos? Che cosa è Marcos? Per comprendere l’intelligenza politica di una scelta tanto misteriosa si potrebbe quasi fare una genealogia di questo “trucco” chiamato Marcos: cioè una storia dei modi attraverso i quali il movimento zapatista si è letteralmente reso intellegibile a sé stesso e al mondo. Quando gli indigeni occuparono San Cristobal nel 1994 come un “esercito di giganti”, dice il comunicato, “ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio con addosso un passamontagna, ovvero, non guardavano”.Fu così che questo esercito di giganti si ritrovò costretto a inventare “qualcuno piccolo come loro” affinché attraverso di lui, il mondo intero potesse vederli: “incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato Marcos”. E’ una storia vecchia quanto il colonialismo: è la storia che lega capitalismo e modernità in una geografia fatta di centri europei e periferie coloniali, in cui tutto ciò che sta alla periferia esiste solo attraverso le parole di chi sta nel centro. Ma è anche una storia di classe, di “quelli in basso” contro “quelli in alto”, di razza, dei “meticci” e degli “indigeni, e di genere, delle mujeres rebeldes e del patriarcato messicano. Ecco che possiamo porre una prima tesi: ciò che per un certo periodo si è chiamato “Marcos” è stata la mediazione necessaria affinché questa molteplicità di storie divenisse strumento di ribellione per popoli che sono sistematicamente spossessati di ogni strumento: primo fra tutti il linguaggio, la facoltà di parlare ed essere compresi, di denunciare, urlare per dire “non può continuare così”.Ma se Marcos è questa mediazione, in che senso ora, dopo l’escuelita, non è più necessaria? Per capirlo è utile notare come, facendo questa genealogia dell’ologramma-Marcos, incontriamo due tipi diversi di rotture, di discontinuità, di cambiamenti nel modo in cui lo zapatismo si è presentato nel corso della sua storia.Ci sono discontinuità verso l’esterno. C’è, ad esempio, un superamento della tradizione avanguardista e guevarista a lungo centrale in Latinoamerica, così come della non-violenza della teologia della liberazione: entrambe tradizioni che hanno influenzato lo zapatismo. In questo senso è anche significativo che l’insurrezione zapatista scoppi nel contesto della sconfitta sandinista nel 1990 e l’affermarsi del capitalismo neoliberale.Dall’altro lato, e questo è l’elemento più importante, lo zapatismo ha posto delle discontinuità dal suo interno. In parole più semplici, è un movimento che è stato capace di reinventarsi costantemente, dettandosi da solo i tempi di questo cambiamento. Spesso, qui in Italia, ci interroghiamo sulla difficoltà di uscire da una logica “reattiva” rispetto al potere: notiamo come il nostro mobilitarsi sia spesso la “risposta” a uno sgombero, a degli arresti o a un corteo nazionale di cui, anche quando delle contraddizioni esplodono, abbiamo difficoltà a trattenere la potenza politica. Ecco, potremmo dire che lo zapatismo ha saputo dare una durata a questi momenti di rottura senza per questo rimanere sempre uguale a sé stesso. Ma soprattutto, ha saputo decidere i tempi e gli spazi di questo cambiamento, la sua “geografia” e il suo “calendario”, in maniera autonoma.Proseguendo nella nostra genealogia, ci accorgiamo quindi che questo processo di cambiamento politico coincide anche con un progressivo decentramento della figura di Marcos che, da leader-simbolo negli anni ‘90 diviene progressivamente marginale: niente più che un “trucco” o “ologramma” dopo l’escuelita di quest’anno. Fare una genealogia dello zapatismo significa dunque cercare di comprendere la relazione tra questi due movimenti: il decentramento di Marcos da un lato, le forme di autorganizzazione dall’altro. E’ attraverso la messa in relazione di questi due processi, quasi due facce della stessa medaglia, che è possibile cogliere l’autonomia zapatista.Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo semplicemente dire che il progressivo decentramento di Marcos corrisponde a un decentramento dell’Esercito Zapatista (struttura tutt’ora gerarchicamente militare) e alla venuta in primo piano della base sociale (della popolazione delle comunità, le cosiddette “bases de apoyo”).Nel 2003 già nascevano le Giunte di Buon Governo, istituzioni municipali che si prendevano carico dell’amministrazione dei territori occupati secondo il principio del “comandare obbedendo”. Le Giunte di Buon Governo sostituivano gli aguascalientes, luoghi in cui la base sociale incontrava l’esercito zapatista, e ponevano al centro dell’agenda politica le pratiche quotidiane dell’autogoverno nelle comunità. Le Giunte del 2003 sono quindi una delle discontinuità che scandiscono questo doppio movimento dell’autogoverno e del personaggio-Marcos.Si tratta di un processo che attraversa la storia dello zapatismo fin dal periodo di clandestinità negli anni ‘80, quando un manipolo di guerriglieri marxisti leninisti arrivano nella selva e decidono di imparare dagli indigeni anziché semplicemente “organizzarli”, e che giunge fino a noi e alla escuelita, durante la quale gli attivisti non hanno incontrato i quadri dell’esercito ma proprio la popolazione comune. Nel 2006, con la Otra Campana e la Sexta Declaracion de la Selva Locandona, incontravamo una ulteriore discontinuità: fine di ogni speranza di contrattazione con le istituzioni e sempre più forte legame con i movimenti anticapitalisti globali.L’escuelita del 2013-14 è dunque l’ultima di queste continue riconfigurazioni del progetto politico zapatista. Si tratta, in sintesi, di un progressivo costituirsi di un soggetto collettivo, dotato di un proprio linguaggio, calendario e geografia, e di cui Marcos è stato tanto lo strumento quanto il prodotto.Eppure c’è nell’escuelita e nel comunicato Entre Luz y Sombra qualcosa di particolarmente importante, che getta luce su tutte le precedenti discontinuità (ne ho citate alcune arbitrariamente e a titolo di esempio). Anche dopo questa simbolica morte di Marcos e rinascita di Galeano, morte di un nome che troppo a lungo è stato associato a una leadership, è chiaro che la persona-Marcos continuerà a svolgere un ruolo chiave nella lotta del sud-est messicano. Ma ciò che è importante capire è la sostanza estremamente materiale di questo ologramma: i tanti modi verticali attraverso cui lo zapatismo si è rapportato con il potere e con il mondo, avevano sempre delle condizioni di possibilità orizzontali nelle reti di cooperazione e autogoverno che venivano sperimentate nei pueblos della gente comune.Lo scontro verticale con il potere e con i media che, come si è detto, “sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione”, ha potuto esistere solo grazie a qualcosa che stava fuori da questo teatro mediatico, cioè l’apprendimento quotidiano all’autorganizzazione. Il 21 dicembre 2012, anno della fine del mondo seconda la tradizione Maya, gli zapatisti hanno nuovamente invaso San Cristobal dopo dieci anni in cui poco si è saputo di loro fuori dal Chiapas. Ma a differenza del 1994, l’hanno fatto in silenzio e senza armi.Questo non è pacifismo, ma la potenza silenziosa di chi sa che ora ha le forze materiali per smettere di parlare il linguaggio mediatico che è stato a lungo costretto a utilizzare per farsi ascoltare. Nella marcia silenziosa, il personaggio-Marcos già moriva, non più necessario: negli anni di silenzio, le pratiche di autogoverno si erano sviluppate. Si trattava ora di mostrare che fuori dai riflettori mediatici un altro tempo di lotta aveva continuato a battere nelle comunità. Si trattava di mostrare ciò che a lungo e in silenzio si andava ancora costruendo, passo a passo, con tentativi e ripensamenti. E così, venne inaugurata una “piccola scuola zapatista”.Ovviamente uno scontro “verticale” con il potere e i media c’è sempre stato e continuerà ad esserci, come la guerra paramilitare e la morte di Galeano ha mostrato. Ma è sul piano “orizzontale” e quotidiano che la risposta politica viene messa in pratica. L’escuelita zapatista non è stata una piattaforma politica tra realtà di movimento e quadri dell’EZLN, ma un momento in cui gente qualsiasi è stata ospitata in casa da indigeni zapatisti. Anziché scrivere un manifesto politico ci si è sforzati di comunicare tra lingue diverse delle quali, questa volta, lo spagnolo coloniale era quella straniera e i dialetti indigeni quella quotidiana. Si è imparato che “tradurre” è sempre cosa complicata, sia che si tratti di una lingua che di una pratica politica.Abbiamo lavorato nei campi, letto libri e condiviso il cibo, ma non per imparare un modello di autonomia da esportare nei nostri paesi di provenienza. Al contrario, abbiamo sperimentato la differenza e il duro tentativo di dialogo tra lotte e vite completamente diverse tra loro. Non conosco di nessuna altra rete di popoli in guerra nel mondo intero capace di un simile sforzo umano e organizzativo. Fa sorridere pensare come qualcosa di così vero, così fisico e palpabile, sia stato reso possibile da un “ologramma”, durato vent’anni.“Avevamo bisogno di tempo per incontrare chi ci vedesse non dall’alto, non dal basso, ma di fronte, che ci vedesse con uno sguardo da compagni”Ghost Track[Due segnalazioni di libri sullo zapatismo, usciti in Italia recentemente e complementari. Il primo, di Alessandro Ammetto, osservatore attento della ribellione zapatista sin dai suoi inizi (Ed. Red Star Press, 2014), s'intitola Siamo ancora qui. Uno storia indigena del Chiapas e dell'EZLN ed è tra i testi più completi e dettagliati in circolazione sulla storia del movimento zapatista e sul contesto politico, storico e sociale che ha preceduto l'insurrezione del 1994 e che ha segnato tutte le evoluzioni successive della lotta. Il secondo, di Andrea Cegna e Alberto "Abo" di Monte (AgenziaX, 2014) completa la storia e la arricchisce di testimonianze dirette e recenti. Si basa sull'esperienza della escuelita ma anche sul raccordo di più voci di movimenti, media indipendenti e militanti tra Messico e Italia (tra cui il centro per i diritti umani Frayba, la Brigada Callejera di Città del Messico, Promedios, Centro de medios libres, alcuni storici comitati italiani e artisti solidali come Rouge, 99 posse, Lo stato sociale e Punkreas). S'intitola 20zln. Vent'anni di zapatismo e liberazione. F. L.]

    Genealogia di un ologramma: Marcos, Galeano e noi - Carmilla on line ®
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Sandino, l’edificatore della nazionalità latinoamericana

    da correodelorinoco.gob.ve
    121 anni dalla nascita
    Nato nel 1893, Sandino ha combattuto contro l’intervento statunitense in Nicaragua. A partire dal 1926 si è impegnato nella battaglia contro le forze occupanti che si erano istallate sul territorio nicaragüense dal 1916 per difendere gli interessi delle transnazionali degli USA.
    Il 18 maggio si commemora l’anniversario della nascita del leader guerrigliero nicaragüense Augusto César Sandino, originario della città di Niquinohomo, nel dipartimento di Masaya, edificatore dell’idealità nuestroamericana ereditata da Simón Bolivar e dalla Revolución Mexicana.
    Nato nel 1893, Sandino ha combattuto contro l’intervento USA in Nicaragua. A partire dal 1926, dopo essere stato in Honduras, Guatemala e Messico, dove ha lavorato presso gli zuccherifici e i pozzi petroliferi, si è distinto nella battaglia contro le forze occupanti che si erano istallate sul territorio nicaragüense dal 1916 per difendere gli interessi delle transnazionali degli USA.
    Il Nicaragua era inoltre vittima dell’accordo Bryan-Chamorro, che concedeva agli USA i diritti di costruzione di un canale interoceanico e una base navale nel golfo di Fonseca; nonché del trattato Stimson-Moncada, firmato il 4 Maggio del 1927, tra l’inviato plenipotenziario di Washington Henry Stimpson ed il generale José María Moncada.
    Anche conosciuto come Pacto del Espino Negro, attraverso questo accordo il governo di turno e la fanteria di marina degli USA imposero la resa ed il disarmo dell’Esercito Costituzionalista nonché la supervisione delle elezioni da parte dei marines statunitensi.
    Tale patto segnò l’inizio della intesa lotta di Sandino, che si oppose all’accordo decidendo di espellere i marines, dovendo scontrarsi con traditori ed invasori, in una lunga lotta di liberazione nazionale.
    SIMÓN BOLÍVAR NELLA LOTTA DI SANDINO
    L’insieme delle idee che hanno costituito la lotta di Sandino è stato costruito sulla base del pensiero di Simón Bolívar. Ciò si riconosce nel manifesto del 20 marzo del 1929, che il capo guerrigliero nicaragüense definì Plan de realización del supremo sueño de Bolívar, inviato ai 21 governanti latinoamericani dell’epoca.
    Tale Piano si presenta come uno degli antecedenti più importanti della Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) e della Unión de Naciones Suramericanas (Unasur).
    Sandino indica la necessità della creazione della Nazionalità Latinoamericana essendo «profondamente convinti come siamo del fatto che il capitalismo nordamericano (USA) è arrivato alla fase suprema del suo sviluppo, trasformandosi di conseguenza, in imperialismo, e che ormai non rispetta più alcuna teoria di diritto né di giustizia passando, senza alcun rispetto, sopra gli inamovibili principi della Indipendenza degli stati dell’America Latina», si legge nel testo.
    Il progetto, che invita alla creazione di una Alianza Latinoamericana, dichiara «abolita la dottrina Monroe e, di conseguenza, annulla la pretesa di tale dottrina di immischiarsi nella politica interna ed esterna degli Stati Latinoamericani».
    Inoltre si dichiara «riconosciuto il diritto di alleanza ai ventuno Stati dell’America Latina Continentale ed Insulare, e quindi, si stabilisce una sola nazionalità, denominata Nazionalità Latinoamericana, riconoscendo a tutti gli effetti tale nazionalità».
    Altresì si invita a creare una Corte di Giustizia ed un Esercito Latinoamericano, per la difesa della sovranità dell’America Latina.
    La sede della Corte viene battezzata con il nome di Simón Bolívar, definito «egregio realizzatore della Indipendenza Latinoamericana» e «massimo forgiatore dei popoli liberi».
    Si conviene sulla creazione di un organo finanziario comune, avente l’obiettivo di farsi carico della «costruzione di opere, materiali e strade di comunicazione e trasporto». Si invitano gli Stati Latinoamericani a stimolare «in maniera particolare il turismo latinoamericano al fine di promuovere il reciproco avvicinamento e la mutua conoscenza tra i cittadini delle nazioni del Continente».
    Sandino ebbe come collaboratore importante il comunista salvadoreño José Farabundo Martí per consolidare il messaggio politico ed ideologico del suo movimento.
    Nel 1934, dietro un invito che era in realtà una imboscata per eliminarlo, il líder nicaragüense cadde sotto il fuoco dell’allora capo della Guardia Nazionale, Anastasio Somoza.
    Sandino è il riferimento ideologico dell’attuale Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), oggi al governo, e della rivoluzione promossa da questo movimento che sconfisse la dittatura somozista nel 1979.
    [Trad. dal castigliano di Ciro Brescia - si ringrazia Emilia Saggiomo per la segnalazione]

    Sandino, l?edificatore della nazionalità latinoamericana |
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Una protesta il 5 ottobre 2014 per chiedere la verità sulla scomparsa degli studenti in Messico. (Felix Marquez, Ap/Lapresse)Messico

    Cosa sappiamo dei 43 studenti scomparsi in Messico

    Internazionale.it 6 ottobre 2014
    Le autorità messicane hanno annunciato il recupero di 28 corpi nelle fosse comuni ritrovate nella stessa zona in cui sono spariti 43 studenti, il 26 settembre.
    Il procuratore dello stato di Guerrero Iñaky Blanco ha dichiarato in una conferenza stampa che serviranno almeno due settimane per identificare i resti umani che sono stati ritrovati nelle fosse.
    Blanco ha anche confermato che sono in carcere i 22 poliziotti coinvolti nel caso della scomparsa dei ragazzi.
    Intanto continuano le proteste nel paese: centinaia di persone chiedono che sia fatta chiarezza sulla scomparsa degli studenti. È stata anche bloccata la strada che collega Acapulco a Città del Messico.
    Ecco quello che sappiamo e quello che è ancora da capire sulla scomparsa dei 43 studenti:

    • Il 4 ottobre sono state ritrovate tre fosse comuni a Pueblo Viejo, a 15 chilometri da Iguala, dove sono scomparsi i 43 studenti dopo scontri tra polizia e manifestanti il 26 settembre. I corpi erano appoggiati su una struttura di legno e rami che è stata incendiata con benzina o petrolio.
    • Le autorità hanno detto che non è ancora possibile mettere in relazione le fosse comuni con gli studenti scomparsi. Ci vorrà una settimana per avere i risultati delle analisi sui cadaveri ritrovati. Ma le fosse sono state individuate grazie alla testimonianza di alcuni poliziotti arrestati.
    • Ci vorranno 15 giorni per conoscere i risultati delle analisi del dna sui resti ritrovati.
    • Al momento sono in carcere 30 persone, tra cui 22 poliziotti. Secondo gli inquirenti, i poliziotti lavoravano per un gruppo criminale legato al clan dei Beltrán Lea.
    • La notte del 26 settembre un gruppo di studenti si sono impossessati di tre autobus per protestare, la polizia locale ha aperto il fuoco contro i manifestanti e ha ucciso uno studente. Nelle ore successive, mentre gli studenti denunciavano l’accaduto, un gruppo armato li ha attaccati. Allo stesso tempo un altro gruppo ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava una squadra di calcio, uccidendo un giocatore. È stato dimostrato che le armi usate dal commando erano della polizia. Dopo questi avvenimenti 56 studenti risultavano scomparsi, il 29 settembre sono stati ritrovati 13 studenti, ma 43 persone sono ancora disperse.

    Leggi anche:
    Messico. 43 Studenti messicani scomparsi, probabilmente tutti uccisi
    Messico, 57 studenti scomparsi dopo repressione di una protesta
    Ritrovati vivi 14 dei 57 studenti scomparsi in Messico
    Messico. 58 studenti sono scomparsi dopo essersi scontrati con la polizia
    Desinformémonos: Total imbricación de la clase política y el crimen organizado, la lección de Iguala
    Kaos En La Red: Ni ausencia de Estado, ni hecho aislado: #Ayotzinapa es terrorismo de Estado
    “Vence hoy el plazo para que el gobierno nos entregue con vida a nuestros compañeros”: Estudiantes de Ayotzinapa
    México: recrudecimiento de la guerra contra la población
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Una protesta il 5 ottobre 2014 per chiedere la verità sulla scomparsa degli studenti in Messico. (Felix Marquez, Ap/Lapresse)Messico

    Cosa sappiamo dei 43 studenti scomparsi in Messico

    Internazionale.it 6 ottobre 2014
    Le autorità messicane hanno annunciato il recupero di 28 corpi nelle fosse comuni ritrovate nella stessa zona in cui sono spariti 43 studenti, il 26 settembre.
    Il procuratore dello stato di Guerrero Iñaky Blanco ha dichiarato in una conferenza stampa che serviranno almeno due settimane per identificare i resti umani che sono stati ritrovati nelle fosse.
    Blanco ha anche confermato che sono in carcere i 22 poliziotti coinvolti nel caso della scomparsa dei ragazzi.
    Intanto continuano le proteste nel paese: centinaia di persone chiedono che sia fatta chiarezza sulla scomparsa degli studenti. È stata anche bloccata la strada che collega Acapulco a Città del Messico.
    Ecco quello che sappiamo e quello che è ancora da capire sulla scomparsa dei 43 studenti:

    • Il 4 ottobre sono state ritrovate tre fosse comuni a Pueblo Viejo, a 15 chilometri da Iguala, dove sono scomparsi i 43 studenti dopo scontri tra polizia e manifestanti il 26 settembre. I corpi erano appoggiati su una struttura di legno e rami che è stata incendiata con benzina o petrolio.
    • Le autorità hanno detto che non è ancora possibile mettere in relazione le fosse comuni con gli studenti scomparsi. Ci vorrà una settimana per avere i risultati delle analisi sui cadaveri ritrovati. Ma le fosse sono state individuate grazie alla testimonianza di alcuni poliziotti arrestati.
    • Ci vorranno 15 giorni per conoscere i risultati delle analisi del dna sui resti ritrovati.
    • Al momento sono in carcere 30 persone, tra cui 22 poliziotti. Secondo gli inquirenti, i poliziotti lavoravano per un gruppo criminale legato al clan dei Beltrán Lea.
    • La notte del 26 settembre un gruppo di studenti si sono impossessati di tre autobus per protestare, la polizia locale ha aperto il fuoco contro i manifestanti e ha ucciso uno studente. Nelle ore successive, mentre gli studenti denunciavano l’accaduto, un gruppo armato li ha attaccati. Allo stesso tempo un altro gruppo ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava una squadra di calcio, uccidendo un giocatore. È stato dimostrato che le armi usate dal commando erano della polizia. Dopo questi avvenimenti 56 studenti risultavano scomparsi, il 29 settembre sono stati ritrovati 13 studenti, ma 43 persone sono ancora disperse.

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    Messico. 58 studenti sono scomparsi dopo essersi scontrati con la polizia
    Desinformémonos: Total imbricación de la clase política y el crimen organizado, la lección de Iguala
    Kaos En La Red: Ni ausencia de Estado, ni hecho aislado: #Ayotzinapa es terrorismo de Estado
    “Vence hoy el plazo para que el gobierno nos entregue con vida a nuestros compañeros”: Estudiantes de Ayotzinapa
    México: recrudecimiento de la guerra contra la población

    http://chiapasbg.com/2014/10/07/43-studenti-scomparsi/
    Ultima modifica di Gianky; 11-10-14 alle 10:37
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    MARCIA SILENZIOSA DELL’EZLN IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA PER AYOTZINAPA

    Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 7 ottobre 2014
    San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 8 ottobre. Provenienti da diverse zone del Chiapas, gli Zapatisti hanno sfilato a San Cristóbal “IN APPOGGIO ALLA COMUNITÀ DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, E PER CHIEDERE VERA GIUSTIZIA”.
    Migliaia di Basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), HANNO realizzato una “MARCIA SILENZIOSA IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA”, per l’omicidio di 6 studenti e la scomparsa di altri 43 della Normal Rural de Ayotzinapa, di Iguala, Guerrero.
    “IL VOSTRO DOLORE E’ IL NOSTRO DOLORE, LA VOSTRA RABBIA E’ ANCHE LA NOSTRA”, si leggeva su cartelloni e striscioni portati dai ribelli chiapanehi.
    La marcia partità questo mercoledì alle ore 160 dalla strada che porta a San Juan Chamula, è proseguita su Manuel Larráinzar, per poi prendere Avenida Diego de Mazariegos e così dirigersi verso il centro di San Cristóbal. Hanno quindi circondato il palazzo del municipio sfilando a lato della cattedrale senza fermarsi, per poi tornare da dove erano partiti.
    Non è la prima volta che l’EZLN manifesta contro atti violenti in Messico. Nel maggio del 2011 avevano manifestato rispondendo alla convocazione della Marcia Nazionale per la Giustizia e Contro l’Impunità, ed in un comunicato dichiaravano: “QUESTE VOCI CHE SORGONO DA DIVERSE ZONE DEL NOSTRO PAESE CI INVITANO A MOBILITARCI E MANIFESTARE PER FERMARE LA FOLLIA ORGANIZZATA E DISORGANIZZATA CHE STA COSTANDO VITE INNOCENTI”.
    E così come fecero il 21 dicembre 2012, donne, uomini e bambini zapatisti sono tornati a manifestare in silenzio per le strade di San Cristóbal, ora in appoggio agli studenti assassinati e desaparecidos in Messico lo scorso 26 settembre.
    A San Cristóbal, nella cornice delle manifestazioni nazionali per la giustizia per Ayotzinapa, si sono mobilitati anche il Coordinamento dei Lavoratori della Scuola, studenti dei licei e universitari e del Cesmeca, docenti in pensione ed il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas. Altre manifestazioni si sono svolte a Tuxtla Gutiérrez, Tapachula e Palenque.
    FOTO: https://www.facebook.com/pozol.colectivo
    VIDEO: REALIZA EZLN MARCHA SILENCIOSA EN SEÑAL DE DOLOR Y CORAJE POR AYOTZINAPA. OCTUBRE DE 2014. - YouTube
    (Traduzione “Maribel” – Bergamo)
    COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALEMESSICOOTTOBRE 2014AGLI STUDENTI DELLA SCUOLA NORMALE “RAÚL ISIDRO BURGOS”, DI AYOTZINAPA, GUERRERO, MESSICO:ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO:SORELLE E FRATELLI:COMPAGNE E COMPAGNI:
    AGLI STUDENTI DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, GUERRERO, MESSICO, E AI LORO FAMILIARI, COMPAGNE/I DI SCUOLA, MAESTRE/I E AMICI, VOGLIAMO SOLO FAR SAPERE CHE:NON SIETE SOLI.IL VOSTRO DOLORE E’ IL NOSTRO DOLORE.E’ NOSTRA ANCHE LA VOSTRA DEGNA RABBIA.-*-CHIAMIAMO LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA SEXTA NEL MESSICO E NEL MONDO A MOBILITARSI, IN BASE AI LORO MEZZI E MODI, IN APPOGGIO ALLA COMUNITA’ DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, E SECONDO LA DOMANDA DI GIUSTIZIA VERITIERA.-*-COME EZLN CI MOBILITEREMO UGUALMENTE, SECONDO LE NOSTRE POSSIBILITA’, IL GIORNO 8 OTTOBRE 2014, CON UNA MARCIA SILENZIOSA IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA, A SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, ALLE ORE 17.DEMOCRAZIA!LIBERTA’!GIUSTIZIA!
    Dalle montagne del Sudest MessicanoPer il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.Subcomandante Insurgente MoisésMessico, Ottobre 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.
    EZLN manifesta per gli studenti di Ayotzinapa. | Comitato Chiapas "Maribel"
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  6. #36
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Bolivia. Il referendum costituzionale per la rielezione del presidente


    Si è svolto domenica in Bolivia il referendum per la modifica dell’articolo 168 della costituzione. Gli elettori — oltre 6 milioni gli aventi diritto — hanno votato per decidere se il ticket che governa — il presidente Evo Morales e il suo vice Alvaro Garcia Linera, entrambi del Movimiento al Socialismo (Mas) — possono ripresentarsi anche nel 2019. Fino al momento per noi di andare in stampa, con il 72,5% dei voti scrutinati, il Tribunal Supremo Electoral (Tse) aveva dato la vittoria al “no”, con il 56% contro il 43,2%. L’opposizione ha iniziato a festeggiare dopo le prime proiezioni, mentre il vicepresidente invitava alla prudenza, in attesa dello spoglio delle zone rurali che avrebbe potuto portare a un «sostanziale pareggio».

    Un voto obbligatorio, pena una multa pari al 25% del salario minimo (che è di 1.656 bolivianos, pari a 238 dollari), e anche l’esclusione dalla prossima contesa elettorale. In Bolivia, il presidente rimane in carica per cinque anni e può essere rinnovato una sola volta. Morales ha assunto per la prima volta l’incariconel 2006, dopo aver vinto le elezioni del 2005 con il 54% delle preferenze. Nel 2008 — anno in cui l’Unesco ha dichiarato la Bolivia territorio libero da analfabetismo — ha vinto un referendum revocatorio con il 67% dei voti — il suo record elettorale. Nel 2009 è stato rieletto per la prima volta con il 64%. Mesi prima, il 60% degli elettori aveva approvato la nuova costituzione che ha inaugurato lo stato plurinazionale della Bolivia. Quello venne perciò considerato il primo incarico per l’ex cocalero nonché primo presidente aymara della Bolivia. Nel 2014, Morales e il suo vice sono stati nuovamente riconfermati per il periodo 2015–2019, con il 60% delle preferenze.

    Salvo sorprese dell’ultimo spoglio, Morales dovrà però fermarsi lì. «Anche se vince il “no”, la lotta continua», ha detto il presidente, dicendosi convinto che il popolo boliviano abbia acquisito «una ferma coscienza antimperialista». E ha assicurato che riconoscerà i risultati. Durante i giorni di campagna, il governo ha denunciato la disinformazione «portata avanti dai grandi media e istigata dalle destre latinoamericane». Alla vigilia delle elezioni, nel municipio di El Alto, governato dalla destra, vi sono stati 6 morti a causa di un incendio provocato dagli scontri.

    Garcia Linera ha attaccato «la sinistra da salotto e gli indigenisti modello ong», che accusano il tichet presidenziale di aver tradito gli ideali dell’inizio, cedendo agli interessi delle multinazionali a scapito dell’ambiente. Unendosi agli argomenti delle destre, gli ex alleati di Morales hanno battuto il tasto dell’autoritarismo insito nella possibilità di «un’elezione indefinita». Durante la preparazione del referendum, Morales ha perciò cambiato il quesito nella possibilità di rielezione solo per un altro mandato.

    La proposta è stata discussa per mesi nei settori sociali vicini al governo dopo la proposta avanzata da un collettivo di organizzazioni vicine al Mas, la Coordinadora Nacional por el Cambio (Conalcam). In seguito, una commissione parlamentare ha approvato il progetto di legge, confermato da una commissione mista del senato, il 30 ottobre. Il 5 novembre, dopo una discussione accesa che si è protratta per 18 ore, l’Asamblea Legislativa Plurinacional ha fissato la data del referendum. Un’iniziativa — ha spiegato Morales ai giornalisti — per garantire continuità al progetto del socialismo andino, che ha portato anche i più scettici a parlare di «miracolo boliviano».

    Grazie alle nazionalizzazioni degli idrocarburi, che hanno riportato sotto il controllo del governo le principali risorse del paese, Morales ha seguito il corso inaugurato dal Venezuela di Chavez e ha destinato ai settori tradizionalmente esclusi buona parte degli introiti nazionali. Con l’adesione all’Alba e agli organismi regionali guidati da logiche solidali e non asimmetriche, con l’aiuto dei medici cubani, si sono realizzate 650.000 vaccinazioni gratuite e operazioni della vista. L’abbandono scolastico nelle elementari è sceso all’1,5% nell’ultimo decennio, anche per l’erogazione di bonus di aiuto alle famiglie, decisi a partire dal 2006. Nel 2014, anche l’abbandono degli studi da parte degli alunni delle secondarie ha fatto registrare un ulteriore abbassamento del 2,5% rispetto a quello dell’11% del 2011.

    Destinatari delle riforme sono stati soprattutto i contadini e gli indigeni. Nel solco del Venezuela, Morales ha anche coinvolto le Forze armate nella gestione delle imprese pubbliche come la Boliviana de Aviacion o quella per lo Sviluppo delle macroregioni e zone di frontiera. «La Bolivia deve diventare il centro energetico dell’America latina», ha detto durante un incontro con gli imprenditori negli Stati uniti.

    Geraldina Colotti
    Fonte: www.ilmanifesto.info
    22.02.2016

    Come Don Chisciotte Forums-viewtopic-Evo Morales verso la sconfitta
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  7. #37
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    «Anche se vince il “no”, la lotta continua», ha detto il presidente, dicendosi convinto che il popolo boliviano abbia acquisito «una ferma coscienza antimperialista».
    Questo, comunque, è l'importante.
    Potere a chi lavora. No Nato. No Ue. No immigrazione di massa. No politically correct.

  8. #38
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    LE GRANDI OPERE DEL SANDINISMO DEL DUEMILA

    Documento integrale
    (riflessioni di Massimo Angelilli)
    Mentre si discute, spesso a sproposito, della costruzione del Gran Canal Interoceanico, in Nicaragua il processo rivoluzionario ripreso nel 2006 va avanti.
    Tra difficoltà e contraddizioni, ma anche con discreti successi.
    Il più delle volte sottaciuti dai grandi mezzi di comunicazione – e fin qui nulla di nuovo, purtroppo – e sovente non riconosciuti da alcuni settori della Sinistra che intrappolati nelle proprie scaramucce interne e disorientati alla ricerca di una propria identità preferiscono ancora soffermarsi sulla pagliuzza poiuttosto che concentrarsi sulla trave.
    Il III Encuentro Europeo de Solidaridad con la Revolución Popular Sandinista, avuto luogo a Managua a cavallo del 36° Anniversario del Triunfo, ha avuto l’indiscutibile merito di far luce su alcuni significativi temi che stanno a cuore al governo e al popolo nicaraguense così come alla Solidarietà Internazionale.
    Vale la pena dire da subito che la parte del leone l’ha fatta il Gran Canal.
    Per le legittime perplessità che suscita, e continuerà a suscitare, ma anche per la impostazione “ideologica” che troppo di frequente le caratterizza.
    Tuttavia, un involontario sostegno viene offerto dalla evidente carenza di informazione al riguardo. Più precisamente, la estrema difficoltà nel tenere testa alla potenza mediatica esercitata dai grandi gruppi editoriali sul terreno della guerra non guerreggiata più intensa che l’umanità abbia mai conosciuto, e cioè quella della informazione. Per quanto continuino, sappiamo bene, nelle forme più disparate e in più parti del pianeta, scontri armati a uso e consumo della vorace e insaziabile industria della “notizia” e a totale beneficio delle grandi potenze economiche e militari. O presunte tali, come l’Unione Europea. Che sono poi le stesse che determinano il mercato della indignazione, della ripugnanza, della rabbia, del (finto) dolore e dell’interesse a seconda dell’argomento che si è deciso debba avere il titolo di apertura nei giornali telegiornali e nel mare magnum dei social network.Ucraina, Siria, i vari tentativi di golpe in Venezuela, questione curda, e tutto ciò che drammaticamente ne consegue, stanno lì a dimostrarlo.Ciononostante, non può certo questo trasformarsi in alibi. Anzi, dobbiamo continuare ad avere l’obbligo, etico ancorché politico, di arrestare la deriva culturale che sta contraddistinguendo questo scorcio di millennio. Un impegno che aiuterebbe a capire meglio quanto succede nel mondo per comprendere la nostra, di realtà.Il Nicaragua e l’America Latina non sfuggono da questa prospettiva. E con loro lo sforzo di donne e uomini che pervicacemente credono che la Storia non è finita. Non si è esaurita con il raggiungimento del benessere diffuso che il capitalismo vuole invece far credere. Quel tipo di benessere rimane ancora una esclusiva dell’1% a scapito del 99% restante. E qua e là per il mondo ci sono tentativi seri e credibili di invertire la tendenza.E proprio nel momento in cui la “crisi” attanaglia le vite di milioni e milioni di esseri umani.La crisi altro non è che una variante del plusvalore per aggiungere profitto al profitto, un’arma micidiale per lucrare sulla più redditizia delle condizioni umane che il capitale abbia mai concepito: la povertà.In Nicaragua, e in tutti i paesi che aderiscono all’ALBA, hanno deciso di sconfiggerla. Ribaltando i canoni che da questa parte dell’Oceano irreparabili danni ha causato e ai quali, purtroppo, siamo spesso abituati.Luglio è stato infatti anche il mese in cui si è consumata la tragedia greca dello strangolamento socio-economico da parte degli organismi finanziari della UE.Il popolo greco ha dato lezioni di democrazia non solo all’Europa, ma al mondo intero. Non staremo certo qui ad analizzare, per lo meno nel dettaglio, le dolorose scelte che ha dovuto affrontare il governo guidato da Tsipras.La lancinante parabola di Syriza. Uno spaccato spietato ma veritiero della sinistra ai tempi della troika. Nessuno, che si riconosca un minimo di onestà intellettuale, può sottrarsi dalla responsabilità di aver lasciato solo un popolo nel momento forse più acuto dello scontro e della disperazione.Aldilà di ogni legittima considerazione sulle modalità con cui si è portata avanti la trattativa, non siamo stati in grado di mettere su una mobilitazione che fosse stata finanche “solo” di solidarietà con persone in carne e ossa, ancor prima che con una coalizione nell’occhio del ciclone per le critiche e le abiure che piovevano da tutte le parti, e che pochi giorni prima avevamo ammirato per aver avuto il coraggio, in quelle condizioni, di gridare un rotondo NO alle politiche di strozzinaggio europeo che vanno sotto l’intrigante nome di “austerity”.A Managua, quindi, tutto questo non poteva non essere preso in considerazione. Un movimento (europeo) serio di solidarietà internazionale, e nello specifico con la RPS e l’ALBA, deve interrogarsi sul proprio coefficiente di incisività sulle politiche che da ormai troppi anni stanno infestando le nostre società. Lo dovrebbe fare prima e indipendentemente dal “pericolo” di veder messo in discussione il proprio piccolo spazio di agibilità, retaggio di una solidarietà che fu. Di divisione e frammentazione si muore.L’Internazionalismo deve riconoscere e riconoscersi in obiettivi comuni che superi una volta per tutte la presunta “supremazia” culturale dell’occidente, nella quale ci si rimane ancora imprigionati. Non è più così, e si fa ancora fatica ad ammetterlo. Tanto più che in America Latina ciò che balza agli occhi è l’aggiornamento (ammesso che non sia stato sempre attuale) del pensiero gramsciano; la egemonia culturale che porta al consenso.La rivalutazione della propria identità intesa anche come solido argine al modello occidentale basato sul conseguimento dei bisogni grazie allo sfruttamento. Un latinoamericanismo organico, verrebbe da dire.La deriva populista e l’avanzamento delle destre proto-fasciste in salsa leghista o ungherese a seconda delle latitudini, lo si deve anche alla sostituzione di un immaginario collettivo con le esigenze retrive dell’individuo. Magistralmente alimentate (anche) dai mezzi di comunicazione di massa. Che sia l’invasione degli immigrati o la crisi economica, poco cambia; la paura rimane sempre il più prolifico bacino elettorale.In Nicaragua non è tutto rose e fiori, ovviamente. Non bisogna cadere nella trappola dell’esaltazione o del suo contrario, la demonizzazione. Non è il paradiso ma neanche l’inferno, come diceva Eduardo Galeano parlando della Cuba di Fidel.Ci sono cose in cammino molto interessanti; i programmi sociali, la democrazia partecipativa, la integrazione latinoamericana, il costante aumento di infrastrutture, scuola e sanità gratuita, la straripante partecipazione giovanile. Ve ne sono altre positive come è naturale ve ne siano alcune che non convincono affatto; la questione ancora aperta dell’aborto, un modello economico che ripropone ancora il protagonismo delle solite potenti famiglie, livelli di corruzione e opportunismo politico in alcuni casi molto alti, richiamo alla religiosità che (ci) suona sempre un po’ stonato.A vederla bene, niente di più e niente di meno rispetto agli standard di qualsiasi altro paese “normale”. Se non fosse che in Nicaragua si persegue un modello autonomo e autentico di socialismo, come è il Sandinismo, e per questo, ciò che in qualsiasi altro paese della sfera capitalista è semplicemente fisiologico e quindi più che legittimo, in questo caso viene sottoposto alla lente d’ingrandimento. Perché ciò che è costituzionale nelle cosiddette democrazie occidentali, nei paesi dell’ALBA è una dittatura.E attenendosi a questo bizzarro sillogismo, la dittatura di turno ha deciso di costruire un canale interoceanico che procurerà devastazioni ambientali e sociali. Quelle democrazie occidentali tanto amate e ammirate che hanno seminato odio e distruzione in tutti gli angoli della terra, con il filantropico pretesto di esportare la civiltà, hanno deciso ora che il legittimo tentativo di un governo popolare (insomma, per lo meno eletto!) di scegliere la propria via allo sviluppo, legittimo non lo è per nulla.Affrettiamoci subito a dire che non si può racchiudere tutto nella faccenda Gran Canal. Per quanto prioritario, non può essere paradigmatico di un modello di società che prende vita dalle inesauribili fonti del Novecento. Non sono un fan sfegatato dello sviluppismo e delle grandi opere, manco a dirlo.Trovo però corretto e coerente mettere in discussione ma soprattutto mettere in guardia su modelli di sviluppo che qui da noi, nel paradiso delle democrazie occidentali, hanno provocato danni letali, legati a una concezione del “progresso” che non teneva conto, non poteva tener conto delle mostruosità che portava invece dentro. Basterebbe citare Marghera e l’Ilva di Taranto.Ma non possiamo applicare questo criterio a quanto si appresta a fare il governo sandinista con il Gran Canal, sarebbe una operazione intellettualmente e politicamente disonesta. Torneremmo alla pretesa di dover essere noi a decidere le sorti di un popolo che ha già deciso sul proprio futuro. Non dovremmo essere arbitri, ma giocatori in campo dalla parte giusta della partita. Attenendoci al loro piano di fattibilità, tutte quelle mostruosità che dannatamente conosciamo fin troppo bene, vengono scongiurate. E lo rilevano anche studi che nulla hanno a che fare con la “propaganda sandinista”.Non dobbiamo neanche nasconderci che un impatto ambientale ci sarà, è inevitabile. Non sarà delle dimensioni che la grancassa mediatica della destra locale e non solo intende far risuonare. E non sarà compito della solidarietà internazionale, come non lo è stato fino a ora, decidere sulla opportunità o meno di costruire il canale.Una opera che, ricordiamolo, s’insegue da più di un secolo.Nel III Encuentro Europeo si è discusso di questo e di tanto altro, è stata l’occasione di incontrare realtà provenienti dall’America Latina e da tutto il mondo, un momento di confronto vivace e propositivo.Si è data continuità, per quanto in una sede “anomala” per un incontro europeo, agli appuntamenti precedenti di Arbúcies e Roma.È stato l’epilogo o piuttosto l’apice di una Brigada Europea che ha contato sull’impegno solidale di 24 partecipanti, protagonisti e protagoniste anche nella due giorni dell’incontro.Partecipazione, solidarietà, autodeterminazione, coscienza e consapevolezza. Sono queste le grandi opere a cui siamo chiamati a dare il nostro contributo, con spirito internazionalista e autonomia di giudizio.Sono queste le nostre grandi opere del Sandinismo del Duemila.
    LE GRANDI OPERE DEL SANDINISMO DEL DUEMILA | Ita nica
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  9. #39
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    L’Evo Morales finisce, nuova era per la Bolivia

    di Valerio Castronovo3 Marzo 2016


    Più della metà dei boliviani ha detto “no” nel referendum sulla proposta di modifica della Costituzione che avrebbe consentito a Evo Morales di correre per un quarto mandato presidenziale alla fine del 2019. Ma già da qualche tempo le quotazioni del leader andino erano in ribasso, dopo che per quasi due lustri aveva continuato a brillare. D’altro canto, la sua ascesa politica era stata altrettanto rapida quanto eclatante.
    Già a capo del principale sindacato dei coltivatori di coca e fondatore del “Movimiento al socialismo”, che nelle elezioni del luglio 2002 aveva raccolto il 20 per cento dei voti, sembrava comunque destinato a non fare molta più strada avendo proclamato di voler coniugare marxismo e indigenismo in funzione del riscatto della comunità degli “aymaras” che, sebbene costituisse (insieme ad altri gruppi autoctoni) la maggioranza della popolazione locale, era concentrata nelle regioni più depresse del paese. Invece il Mas aveva vinto le elezioni nel dicembre 2005 e Morales quelle presidenziali il mese successivo. Da allora l’ex cocalero di Cochabamba, che passava per una sorta di “Lenin indio”, aveva cominciato col dare battaglia alle grandi compagnie statunitensi, che controllavano le risorse di gas e petrolio boliviano, decretando la nazionalizzazione dei giacimenti e stabilendo, sempre in nome della “volontà popolare”, il raddoppio dei salari minimi e la legalizzazione della produzione della foglia di coca. Tuttavia egli intendeva essere l’alfiere, non già di una rivoluzione di marca socialista e antimperialista, analoga a quella di Fidel Castro e di Hugo Chávez (che pur s’erano schierati immediatamente a suo fianco), bensì di una revanche della gente andina da sempre povera ed emarginata nei confronti della minoranza bianca d’origine ispanica residente nella parte più prospera della Bolivia, nella cosiddetta “mezzaluna”: ossia, nelle pianure agricole e industriali, oltre che nelle principali città come Santa Cruz. Tanto che, per sottolineare la sua totale identificazione con la causa dei nativi, aveva voluto continuare a indossare l’abito tradizionale degli indios.


    Di fatto un personaggio come Morales, che all’inizio pareva poco più che un “cacique” folclorico, aveva rivelato nel giro di poco tempo doti politiche insospettabili quanto robuste, tanto da fronteggiare con successo sia il confronto con le multinazionali a stelle e strisce e i principali clienti del gas boliviano (dal Brasile all’Argentina) penalizzati dalla maggiorazione delle royaltes, sia la reazione dei grandi proprietari fondiari, insorti contro il progetto governativo di una radicale riforma agraria che prevedeva la confisca di tutti gli appezzamenti che non adempissero a una “funzione sociale”.
    È vero che subì più di un inciampo la nazionalizzazione di altri giacimenti minerari (a cominciare da quelli di stagno), oltre alla distribuzione ai “campesinos” di terre non appartenenti al demanio statale; e che Morales dovette scendere a patti con Lula e Kirchner in ordine al regime contrattuale delle forniture boliviane di idrocarburi. Inoltre il sospetto che Morales puntasse a creare una Bolivia “interamente india” nelle sue linee direttrici e la recisa opposizione politica dei notabili delle province orientali giunsero a minacciare in più d’una circostanza la scissione del Paese. Ma continuò a giocare a favore dell’assestamento di Morales al potere, da una tornata elettorale all’altra, la crescita pressoché ininterrotta dei prezzi delle materie prime (dal gas e dal petrolio a vari minerali) e di alcuni prodotti agricoli parimenti esportati dalla Bolivia, e quindi la possibilità per il governo di realizzare notevoli investimenti per opere pubbliche e di sostenere nel contempo un’adeguata politica di assistenza sociale a favore delle famiglie più bisognose. D’altra parte, le fortune di Morales erano coincise con quelle di un altro leader politico emerso pressoché negli stessi anni in Ecuador, come Rafael Correa, un giovane economista che si definiva “cristiano di sinistra”, ed entrambi avevano stabilito saldi legami con il Venezuela di Chávez, all’insegna della cosiddetta “rivoluzione neo-bolivarista” (consistente in una mistura di social-giustizialismo massimalista, nazional-populismo e caudillismo personale) patrocinata dall’ex colonnello dei parà di Caracas.
    Negli ultimi anni la recessione e in particolare il calo vertiginoso dei prezzi del greggio hanno posto fine a una fase di alta congiuntura economica per la Bolivia, come per l’Ecuador e il Venezuela. Di conseguenza sono appassite le credenziali e le prospettive politiche di Morales, dopo l’uscita man mano di scena, in America latina, dei sandinisti, dei post-peronisti e anche dei fautori di un “capitalismo di sinistra” alla Lula. Naturalmente, non per questo gli Stati Uniti, riapprodati a Cuba, torneranno a fare dell’altra parte del continente il loro “cortile di casa”. E rimangono comunque ancora forti le suggestioni della teologia della liberazione e delle comunità di base.

    L’Evo Morales finisce, nuova era per la Bolivia - Il Sole 24 ORE
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  10. #40
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    Predefinito Re: Socialismo e Indigenismo

    Essere zapatista in SpagnaMarcos Roitman Rosenmann
    In Spagna ci troviamo con una situazione particolare. La sinistra istituzionale si divide continuamente. Durante l’ultimo anno sono apparsi partiti che si sono staccati da Izquierda Unida, per proseguire, curiosamente, nel suo seno. E’ incomprensibile. Si declama l’unità e la coesione, ma si pratica la divisione. I problemi crescono e le soluzioni non arrivano. Prevale il protagonismo e l’ansia di potere. Si discute solo del nome del prossimo segretario generale o regionale, e non i principi, il progetto e l’obbligo etico e politico di elaborare un programma di azione in basso e a sinistra.
    L’ombrello dell’inefficienza è grande; sotto si proteggono le mafie interne. Le mafie scatenano le loro azioni per mantenere ed accrescere, se possibile, il controllo del comando. Un giovane militante riceve un apprendistato nefasto. Per essere protagonista deve crescere nell’organizzazione. Appartenere ad un gruppo, avere padrini e tacere a comando. L’organizzazione sembra campo di battaglia. I suoi affiliati vivono di rissa in rissa. Tutto si negozia al tavolo dei ristoranti, tra caffè e aneddoti. Così si spartiscono la torta. La segreteria generale per me, internazionale per voi, per l’organizzazione vedremo poi. La cosa importante, il finanziamento. Posto chiave: tesoriere. Questa realtà non credo sia molto diversa in Francia, Germania, Cile, Messico o Italia.
    Le sinistre che si sono sistemate dentro il sistema hanno deciso di trasformarsi nei cortigiani delle immoralità del capitalismo. Ma hanno rinunciato al sogno di costruire un altro mondo. Un mondo dove stanno tutti i mondi, dove la dignità, l’etica, il senso democratico di comandare ubbidendo sia il principio che apre le porte ad una vita in libertà, giustizia sociale, equità e democrazia. Vogliono semplicemente ottenere una percentuale di sindaci, deputati, senatori. Più sono, meglio è. Così si fa rumore e si conquistano più voti.
    Nell’ultimo comunicato dell’EZLN, firmato dal subcomandante Marcos, “Non vi conosciamo?” sono indicati 10 principi dai quali è possibile riconoscere un non zapatista. Tra questi: se vuole una carica, nomina, regali, premi; se ha paura; se si vende, arrende o tentenna; se si prende molto sul serio; se non fa venire i brividi al solo vederlo; se non dà la sensazione di dire più con quello che tace; se è un fantasma che svanisce. Ha davvero ragione. Per questo essere zapatista oltrepassa le frontiere nel campo del pensiero e dell’agire della sinistra il cui obiettivo è distruggere, dico bene, distruggere i meccanismi di dominazione e sfruttamento del capitale che negano la condizione umana.
    Nel pieno di un capitalismo che si arroccato, il campo della sinistra istituzionale a pezzi è deserto. In questo contesto, lo ya basta! sollevato nel 1994 mantiene tutta la sua vitalità. E non solo per denunciare il cattivo ed illegittimo governo di Salinas de Gortari, ma per l’impegno espresso in basso e a sinistra. L’EZLN ha superato le frontiere. Non è un modello. Nella storia non esistono, per quanto lo propongano eruditi e manipolatori d’opinione. Dobbiamo accontentarci dell’esplosione di processi politici, sociali e lotte di resistenza nelle strutture di potere di ogni popolo, nazione e Stato. Esiste un colonialismo interno, dipendenza, imperialismo, oligarchie, borghesie dirigenti, traditori e imprese transnazionali. Contro ciò si lotta. Le armi utilizzate sono diverse e rispondono a realtà multiple e dissimili. L’EZLN ha avuto ed ha la virtù di ricreare forme di resistenza ed utilizzare armi potenti: la parola degna, il silenzio, il noi, il comandare ubbidendo e l’etica politica.
    Essere zapatista in Spagna non presuppone di riprodurre schemi. Non si tratta di fare solidarietà. È un’attitudine, uno stile di vita, un modo di agire. Un comportamento. Oggi, segno e identità di tutti quanti sono in basso e a sinistra, indignati, con degna rabbia, anticapitalisti, esclusi ed emarginati, popoli originari, che lottano e resistono al capitalismo. Il suo silenzio in Messico è il nostro in Spagna. La sua dignità in Messico, la nostra in Spagna. Le sue speranze in Messico, le nostre in Spagna. Sono la forza contro l’ingiustizia, la corruzione, la vigliaccheria e il tradimento. Niente ci separa, tutto ci unisce. In questo consiste essere zapatista in Spagna.
    Ma lo zapatismo è vilipeso da chi si sente il padrone della verità, del mondo e l’unica sinistra possibile. In questo attacco si cerca il suo annichilimento attraverso le aggressioni, le provocazioni e gli atti di sabotaggio. I suoi comandanti sono caricature, diffamati e considerati luogotenenti del subcomandante Marcos, a sua volta demonizzato. Attacchi destinati a provocare scoraggiamento in chi milita nello zapatismo. Puri attacchi vuoti che alla fine si ritorcono contro chi li fomenta. Il loro uso dimostra l’incapacità politica di rispondere alle proposte di autonomia, pace, giustizia sociale, democrazia, dignità e libertà, lanciate dall’EZLN. Non c’è dubbio. Militare nello zapatismo è un orgoglio e un dovere. Bisogna continuare ad essere zapatista. Non si può smettere di esserlo in questo momento. Né rinunciare né scoraggiarsi. La Jornada: Ser zapatista en España
    Traduzione “Maribel” – Bergamo)
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