La maggior parte degli italiani liberati in Russia non venne rimpatriata subito ma arruolata in battaglioni, operanti sul fronte siberiano in appoggio alle forze antibolsceviche. La Legione Redenta e i Battaglioni Neri erano costituiti da italiani, ex prigionieri appartenenti all'esercito austro-ungarico, che hanno giurato fedeltà al Regno d'Italia. Il loro effettivo rientro in Italia via mare sarebbe avvenuto nel 1920, dopo aver dato il loro contributo militare in oriente. Un caso particolare di questa liberazione e arruolamento è costituito dal Battaglione Savoia, un battaglione “inventato” che combatté due volte, fino a raggiungere la concessione italiana di Tientsin.
Andrea Compatangelo non era un capitano, ma un civile, un ragioniere di Benevento (così si dice), in Russia da tempo per interessi commerciali. Ma con le capacità dimostrate in seguito, doveva essere qualcosa di diverso. Cosciente delle povere condizioni dei prigionieri italiani con divisa austroungarica nella zona di Samara, si proclamò dal nulla capitano e ne trattò la liberazione con le autorità locali, in qualità di rappresentante di una grande potenza occidentale: l’Italia. Ne liberò centinaia, vestendoli con divise trovate chissà dove, fornendoli di armi e inquadrandoli in un battaglione compatto e deciso sotto il suo comando. Nel luglio 1918 Compatangelo requisì abilmente un treno e partì verso oriente sulla transiberiana. Il battaglione ad ogni sosta partecipava ai combattimenti (da parte bianca, in appoggio ai cecoslovacchi), con ricognizioni e incursioni, consolidando una fama che ben presto giunse agli sbalorditi ufficiali della Missione Militare Italiana. Il treno, ormai armato di mitragliatrici e agguerrito, era inarrestabile. Venne requisita una locomotiva più moderna. Intanto il battaglione si era ingrandito, liberando altri italiani e divenendo sempre più combattivo e gestito con ferrea disciplina. Arrivò a Krasnojarsk, dove per attendere l’arrivo di altre forze italiane, si impadronì della città e instaurò una dittatura militare, governando la regione per un mese e mezzo, occupando il municipio. Il capitano Compatangelo assegnò a due crocerossine russe, fuggite con lui, la gestione di un ospedale. Pare che una di esse fosse una granduchessa dei Romanof. Infine il treno ripartì verso oriente. Attraversando la Manciuria, i militari cinesi volevano sequestrare il treno e lo circondarono in armi, ma il capitano Compatangelo seppe spaventarne gli ufficiali per le conseguenze di un gravissimo incidente internazionale, e ripartì verso Vladivostok (dove si poteva sperare in un imbarco, verso Tientsin). Lì vennero accolti da veri ufficiali italiani e dalla notizia della fine vittoriosa della Prima Guerra Mondiale, avvenuta due mesi prima. Il viaggio era durato circa sei mesi. Compatangelo tolse la divisa e prese una lunga vacanza di riposo in albergo. Ebbe un incontro con Cosma Manera, ma non sappiamo cosa si dissero. Subito dopo Compatangelo lasciò i suoi soldati, che lo adoravano, e scomparve nel nulla. Il suo battaglione sarebbe divenuto il battaglione “rosso”, per distinguerlo dai Battaglioni Neri (nero era il colore delle mostrine da arditi). Riorganizzati a Tientsin, avrebbero combattuto di nuovo contro i bolscevici.
Trentini in Cina
Il Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente 1^ parte