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Discussione: La neuroestetica

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    Predefinito La neuroestetica

    L'arte svela il funzionamento del cervello

    Cosa accade nel cervello quando ci troviamo di fronte a un dipinto, una scultura o anche una sfilata di moda. Ecco come i neuroni regolano il senso del bello


    Lovis Corinth, Autoritratto
    Stadtmuseum Berlin
    Immagine dal sito Wikimedia Upload

    Elisa Manacorda - 27 agosto 2014

    Osservate la “Bambina che corre sul balcone” di Giacomo Balla. Oppure fermatevi davanti a “Le cap Layet” di Henri Matisse, o analizzate con attenzione uno dei tanti capolavori di Georges Seurat. Poi concentratevi sul tratto dell’artista, cercando di immaginare i movimenti compiuti dalla mano che regge il pennello: quanta forza è stata impressa sulla tela, come è stato steso il colore, quale direzione ha preso il braccio del pittore (da destra a sinistra, dall’alto in basso...). Sappiate che, dopo questa operazione, la vostra valutazione di quel dipinto, il vostro giudizio estetico su quell’opera d’arte, sarà cambiata: e molto probabilmente il quadro vi piacerà di più.

    È l’ultimo esperimento condotto nell’ambito della cosiddetta “neuroestetica”: quella disciplina che, come spiega Francesco Luca Ticini, neuroscienziato cognitivo all’Università di Manchester e presidente della Società Italiana di Neuroestetica “Semir Zeki”, indaga i meccanismi neurali e le strutture cerebrali che mediano l’apprezzamento estetico e la creatività. E dunque, cerca di spiegare cosa esattamente accada nel cervello quando ci troviamo di fronte a un dipinto, a una scultura, persino a una sfilata di moda.

    L’esperimento condotto da Ticini in collaborazione con un gruppo di ricerca francese, appena pubblicato su “Frontiers in Human Neurosciences”, serviva a rispondere proprio a questo interrogativo: poiché la creazione di un’opera d’arte richiede un’attività motoria (pensiamo a un musicista che suona o a un pittore che dipinge), fino a che punto il fatto che quell’opera ci piaccia o meno è legato ai movimenti che compie l’artista durante la creazione?

    L’ipotesi di partenza chiama in causa i famosi “neuroni specchio”, quelli che si attivano quando un individuo compie un’azione ma anche quando un individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro. Come se, guardando la “Notte stellata” di Van Gogh, simulassimo mentalmente i movimenti del braccio necessari a tracciare quelle ampie pennellate tipiche del quadro.

    Così Ticini e i suoi colleghi hanno chiesto ad alcuni volontari di osservare novanta dipinti, preceduti da immagini che stimolavano la simulazione involontaria di un atto motorio, proprio attraverso l’attivazione dei neuroni specchio. Questa simulazione poteva essere compatibile o incompatibile con i movimenti dell’artista. Poi i ricercatori hanno chiesto ai volontari di valutare esteticamente gli stessi dipinti in queste due condizioni. «Abbiamo osservato che quando l’immagine che precedeva il quadro era congruente con le pennellate sul dipinto, il giudizio dell’opera aumentava significativamente», continua Ticini. Insomma, l’opera veniva apprezzata di più se la sua osservazione veniva preceduta dalla simulazione dei movimenti compiuti dall’artista.

    A che serve tutto questo? Intanto a capire che - al di là di fattori come l’istruzione, il contesto storico e la natura degli stimoli artistici - quando il cervello attribuisce un valore estetico a un’opera d’arte mette in gioco meccanismi non del tutto intuibili e ancora poco studiati, come l’attivazione delle aree motorie. Ma non solo: un’importante area di ricerca futura aperta da questi studi sarà quella relativa ai meccanismi neurali coinvolti in alcuni deficit sociali e comunicativi connessi con la simulazione, come l’autismo.

    Lo stesso vale per malattie del cervello tipo l’Alzheimer, come racconta il neurologo americano Anjan Chatterjee in un articolo appena apparso su Trends in Cognitive Sciences. Chatterjee si è focalizzato sulle opere del pittore e scultore americano di origine olandese Willem de Kooning, esponente dell’espressionismo astratto, colpito dalla malattia neurodegenerativa negli ultimi anni della sua vita. Come sono cambiate le sue opere dopo il danno cerebrale? In che modo le malattie del cervello modificano la percezione del mondo e la sua rappresentazione artistica? «I cambiamenti nello stile di questo pittore, prima e dopo l’Alzheimer, rappresentano una finestra straordinaria sul cervello e sul modo in cui lavora», spiega Chatterjee. Altre preziose informazioni arrivano dai lavori di Lovis Corinth, pittore tedesco colpito nel 1911 da un ictus che danneggiò la parte destra del cervello. «I danni all’emisfero destro», continua Chatterjee, «possono alterare l’elaborazione delle informazioni relative alla parte opposta del corpo».

    Ecco perché nei suoi quadri Corinth ometteva spesso i dettagli relativi alla parte sinistra degli oggetti o dei personaggi rappresentati nei ritratti. Un danno all’emisfero destro può avere anche altre conseguenze “artistiche”, impedendo la corretta gestione delle informazioni spaziali: dopo un ictus analogo a quello di Corinth, l’artista americana Lorin Hughes cominciò ad avere difficoltà a coordinare le relazioni spaziali tra le linee, e fu costretta ad abbandonare il suo stile realistico per adottarne uno più astratto. Viceversa, continua il neurologo americano, un danno all’emisfero sinistro può influire sulla percezione dei colori e persino sui contenuti delle opere: il pittore bulgaro Zlatio Boiadjiev, per esempio, noto per l’uso dei toni marroni e i suoi soggetti naturali, cominciò ad adottare uno stile più vivace, ricco e colorato, con soggetti astratti e fantastici proprio in seguito a un danno all’emisfero destro.

    Ad aiutare i ricercatori nello studio del cervello durante l’esperienza estetica sono ovviamente le tecniche di imaging: la risonanza magnetica funzionale (fMri) o la stimolazione magnetica transcranica (Tms). Mentre la prima visualizza l’attività cerebrale nelle aree corticali e subcorticali - così da indicare le basi neurali dei processi estetici - la seconda invia piccoli impulsi magnetici nel cervello.

    Questo approccio, spiegano i ricercatori, è per esempio molto utile per studiare il meccanismo dei neuroni specchio, quello indagato proprio nell’esperimento del gruppo inglese. Ma la Tms, continua Ticini, è stata utilizzata anche per studiare il ruolo della simulazione motoria nel generare le sensazioni di piacere quando si ascolta della (buona) musica.

    Attenzione, però: non si deve pensare che la neuroestetica serva a spiegare meglio l’arte attraverso le neuroscienze. Gli studi condotti fino ad ora, infatti, non sono tesi a stabilire il valore estetico di un’opera, e magari anche il suo prezzo. Il suo obiettivo, spiegano i neuroscienziati, è invece quello di comprendere il funzionamento del cervello attraverso lo studio di opere d’arte e la collaborazione con gli artisti. Il gruppo del ricercatore italiano, per esempio, collabora attivamente con pittori, musicisti, ballerini e coreografi, tra cui persino Louise Wagner, la diretta discendente di Richard Wagner e Franz Liszt. Grazie alla loro esperienza, gli artisti aiutano i neurologi a porsi le domande giuste e a produrre stimoli artistici per gli studi. «Con Emily Cross - ballerina e neuroscienziata alla Bangor University - abbiamo lavorato con i ballerini al Teatro dell’Opera di Lipsia per indagare il rapporto tra l’esperienza fisica e la valutazione estetica nella danza», aggiunge Ticini.

    Il gruppo franco-britannico non è l’unico a utilizzare l’arte per cercare di comprendere meglio il funzionamento del cervello. Né si deve pensare che l’unica forma d’arte coinvolta dalle sperimentazioni sia quella figurativa. Al contrario, anche la poesia e la letteratura hanno molto da dire in proposito. Lo dimostra, per esempio, l’esperimento andato in scena nei saloni della Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia: un happening al crocevia tra neuroscienze, musica e poesia sperimentale, con un pizzico di provocazione, per festeggiare gli ottant’anni di Ben Patterson, tra i fondatori del movimento artistico Fluxus.

    Il Dr. Ben (alias Patterson) nel suo “Medicine Show” offre una cura miracolosa a coloro che hanno difficoltà a comprendere e ad apprezzare l’arte contemporanea. Così, dopo aver illustrato i fondamenti della neuroestetica e le modalità con cui le diverse aree del cervello interagiscono tra loro per dar vita a giudizi artistici, i presenti hanno potuto sottoporsi a una scansione del cervello diagnostica, per individuare quei blocchi e quelle connessioni difettose che impediscono il pieno godimento dell’arte contemporanea. Dopo la diagnosi, la terapia: acqua sorgiva della fontana del Wandelhalle del Museo di Wiesbaden, luogo di nascita del movimento Fluxus.

    Più istituzionale il Dialogo Transdisciplinare sulla neuroestetica appena organizzato dall’Università di Catania, che ha visto tra i protagonisti proprio Semir Zeki, professore di neurobiologia allo University College di Londra e autore del termine “neuroestetica” alla fine degli anni Novanta, nonché il primo ad aver condotto le indagini sperimentali sui principi neurali alla base dell’esperienza estetica. «Con questo incontro tra scienza e poetica abbiamo voluto ribadire il valore degli studi umanistici nell’ambito della neuroestetica», spiega Grazia Pulvirenti dell’ateneo siciliano, che insieme a Renata Gambino ha organizzato il convegno. L’idea è che anche la letteratura, in quanto produzione artistica, dia il suo contributo allo studio del cervello: in molti testi, spiega Pulvirenti, ci sono descrizioni del flusso di coscienza che possono aiutare a fare luce sull’attività dei neuroni. E magari anche sul mistero del processo creativo.

    L'arte svela il funzionamento del cervello - http://espresso.repubblica.it/ - © Riproduzione riservata
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-08-14 alle 23:52
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

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    Predefinito Re: La neuroestetica

    “L’arte genera benessere”: dipinti attivano nel cervello le aree del piacere e del desiderio


    Semir Zeki, padre della neuroestetica
    Immagine dal sito http://www.a1lightingmagazine.com/

    ROMA – Ammirare un’opera d’arte scatena nel cervello umano le stesse sensazioni e le stesse reazioni chimiche di quando si osserva una persona amata: il professore Semir Zeki, esperto in neuroestetica alla University College London ha studiato come varia nel cervello il flusso del sangue, e in quali zone confluisce, quando ad una persona viene fatto osservare un dipinto.

    “Quando si osserva un’opera d’arte, sia essa un paesaggio, una natura morta, un astratto o un ritratto, nel cervello si attivano le aree legate al piacere”, ha spiegato Zeki, che alle persone coinvolte nella ricerca ha mostrato i dipinti dei neoclassici francesi, degli artisti italiani del XVII secolo, di Guido Reni e di John Constable, rivelatisi i più apprezzati rispetto ai pur sempre evocativi dipinti di artisti quali Hieronymus Bosch, Honore Damier e il pittore fiammingo Massys. Anche le opere di Leonardo Da Vinci, Paul Cezanne, Monet e Rembrandt sono state mostrate ed apprezzate nel test.

    Le persone coinvolte nell’esperimento sono state dozzine, requisito essenziale una minima conoscenza artistica, affinché il giudizio sull’opera non fosse influenzato dai gusti del momento o dalla fama dell’artista. Analizzando le reazioni del cervello con una MRI (imaging in risonanza magnetica) è stato misurato un aumento del flusso sanguigno alla corteccia media orbitofrontale, l’area associata al piacere ed al desiderio. Mostrando differenti dipinti ogni 10 secondi alle persone nello scanner, la reazione celebrale si è rivelata immediata, e proporzionata alla percezione di bellezza che l’opera induceva nel soggetto, rivelando secondo Seki che “l’arte induce una sensazione di benessere direttamente nel cervello”.

    “Abbiamo attribuito una verità scientifica a qualcosa che già conoscevamo: l’arte ci fa sentire meglio, ma prima di questo studio non sapevamo quanto potente potesse essere l’effetto sul cervello”, ha osservato Seki. La ricerca inglese rappresenta quindi una conferma scientifica ad una verità accettata dalla società: l’arte quindi non solo eleva lo spirito dell’uomo, ma influisce generando un benessere sia fisico che psicologico, motivo per il quale dovrebbe essere fruibile ad un pubblico il più generale possibile.

    "L'arte genera benessere": dipinti attivano nel cervello le aree del piacere e del desiderio | Blitz quotidiano
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 30-09-15 alle 00:21
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  3. #3
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    Predefinito Re: La neuroestetica

    "I Neuroni delle Muse", quando lo scienziato spiega l'opera d'arte

    A Prato, sabato 17 ottobre, esperti internazionali di neuroestetica e artisti si incontreranno per far dialogare due ambiti del sapere solo apparentemente distanti. Perché niente come la musica o le tinte di una tela possono svelare i meccanismi del cervello umano-


    Anna Dichiarante

    Come conciliare la libertà dell'espressione creativa e artistica con il rigore della scienza, o meglio, della neuroscienza? La risposta la daranno alcuni tra i maggiori esperti internazionali di neuroestetica, ma anche storici dell'arte e storici della musica che si confronteranno con artisti contemporanei al convegno “I Neuroni delle Muse”, in programma il prossimo 17 ottobre al Teatro Metastasio di Prato.

    Un'iniziativa organizzata dal dottor Pasquale Palumbo, direttore dell'Unità operativa Neurologia dell'ospedale di Prato, e dal dottor Enrico Grassi, coordinatore nazionale del gruppo di studio di Neuroestetica della Società dei Neurologi, Neurochirurghi e Neuroradiologi degli Ospedali Italiani. E l'obiettivo delle sessioni in cui si articolerà il convegno sarà proprio quello di far dialogare tra loro ambiti del sapere solo apparentemente distanti: scienza e arte, appunto.

    Oggi, infatti, è possibile visualizzare quali zone del cervello si attivano o si disattivano quando un soggetto vive esperienze come quella amorosa, religiosa o artistica: tutto questo grazie al 'neuroimaging', una tecnica che si avvale di vari strumenti per visualizzare il cervello mentre svolge determinate attività. Ed è proprio l'osservazione 'in vivo' che ha permesso di scoprire correlazioni costanti tra alcuni momenti della creazione artistica e l'attivarsi di alcune aree del sistema nervoso centrale. Ma non sono solo gli studi di neuroimaging che hanno permesso di capire il nesso tra l’attività neuronale e quella dell'artista. Anche il dialogo sempre più fruttuoso tra scienziati e artisti è stato fonte di scoperte e riflessioni.

    Gli uomini di scienza, quindi, volgono lo sguardo alle altre discipline, ma non sono gli unici a sperimentare. Nella creazione dell'opera d'arte, anche l'artista è, a modo suo, un neuroscienziato che esplora le potenzialità e le capacità del cervello. E non lo fa, certo, usando elettroencefalogramma o risonanza magnetica, ma servendosi di tecniche del tutto personali e intime.

    Come il pittore crea il suo universo, insomma, così il cervello rende possibile la nostra percezione del mondo e di noi stessi. Il cervello colora i ricordi, a seconda dello stato emotivo che li accompagna. Lo stesso fa il pittore che sulla tela racconta un'esperienza a tinte fosche oppure brillanti e riesce a trasmettere emozioni proprio perché parla a una mente umana. L'arte, quindi, fornisce uno dei più preziosi documenti sul funzionamento del nostro cervello: “non riproduce il visibile, rende le cose visibili”, come sosteneva Paul Klee. D'altra parte, le nuove scoperte neurobiologiche stimolano l’artista a giocare sempre di più con la percezione di coloro che si troveranno di fronte alle sue opere, dando impulso a forme d'arte sempre nuove.

    Tra i pionieri degli studi che intendono chiarire i rapporti tra arte e cervello c’è l’italiano Lamberto Maffei, neurobiologo di fama internazionale, che sarà tra gli ospiti del convegno e che riassume con queste parole il senso dell'iniziativa: “Come le notizie biografiche sulle vicende della vita di un artista e la conoscenza della cultura del suo tempo possono favorire la comprensione e l'apprezzamento delle sue opere, così noi riteniamo che anche la conoscenza dei meccanismi cerebrali alla base della percezione visiva aiuti ad accostarsi all'opera d'arte”.

    Per iscrizioni: segreteria@morecomunicazione.it

    http://espresso.repubblica.it/attual...-arte-1.231926
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  4. #4
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    Predefinito Re: La neuroestetica

    “Tate Sensorium”: arte e neuroestetica

    Pierluigi Panza

    La mostra “Tate Sensorium. L’esperienza dell’arte con tutti i tuoi sensi”, alla Tate Gallery di Londra, è stata teoricamente una delle più interessanti dell’anno. Ha riesplorato nell’età 2.0 un vecchio tema dell’estetica: la storia infinita tra Arte & Sensi. A Venezia, nel 1596, Sperone Speroni – un erudito che divenne professore di Logica a 18 anni – scrisse un trattatello intitolato Della Rethorica nel quale riconduceva le arti ai cinque sensi: la pittura per gli occhi, l’arte degli unguentari per il naso, l’arte del cuoco (“con i suoi dolci”) per il gusto, la musica per gli orecchi e l’arte della stufa (“con la sua temperanza”), per il tatto. La Tate, che non è nuova a sperimentazioni sensoriali – storica l’installazione The Weather Project di Olafur Eliasson nel 2003 – ma ci ha riprovato esponendo quattro opere della sua collezione: in In the Hold di David Bomberg (1913-4), Figure in a Landscape di Francis Bacon (1945), Full Stop di John Latham (1961) e Interior II di Richard Hamilton (1964). Facendole osservare in maniera particolare a quattro visitatori alla volta (un quinto di quelli ammessi al Cenacolo di Leonardo).]


    Richard Hamilton, Interior II 1964

    La tesi dell’esposizione – il filosofo britannico John Locke docet – è stata la seguente: il cervello è una tabula rasa che combina ciò che riceve dai cinque sensi. Una tesi cara alla neuroestetica contemporanea e alla teoria dei neuroni specchio e, di contro, detestata dagli “Intelligent design” e dagli innatisti di tutto l’universo. La visita alla mostra una “immersione” in suoni, odori, sapori e forme fisiche ispirate alle opere d’arte. Sofisticate tecnologie hanno stimolato i sensi provocando memoria e immaginazione. Questi stimoli estetico-tecnologici provocano reazioni, non necessariamente identiche, “che cambieranno il modo dei visitatori di rapportarsi con l’arte”.

    Il tatto è stato sollecitato da una tecnologia touchless utilizzando ultrasuoni diffusi da apparecchi che vibrano sulla mano del visitatore; l’udito attraverso l’utilizzo di onde ultrasoniche che indirizzeranno suoni molto precisi quando ci si trova in determinati spazi (l’effetto è simile a un ascolto con le cuffie); per l’olfatto i profumieri hanno creato fragranze su misura, un po’ come faceva Jean-Baptiste Grenouille, il fascinoso e maligno protagonista del romanzo di Patrick Süskind “Profumo”. Il gusto, infine, grazie a un prodotto messo a punto dal maestro cioccolatiere Paul A. Young.

    I visitatori hanno avuto la possibilità di misurare la risposta del loro corpo grazie a braccialetti che misureranno l’attività elettrodermica, cioè il sudore, che indica quanto sono calmi o eccitati. Uscendo dalla mostra, i visitatori sono stati invitati a esplorare il resto della galleria sulla base del nuovo tipo di fruizione acquisito. Tate Sensorium è il progetto vincitore del Premio IK 2015, assegnato ogni anno per un’idea che utilizza tecnologia innovativa.

    A dire il vero, l’arte aveva l’ambizione di provocare uno sconvolgimento d’animo, una commozione (sino al leggendario morbo di Stendhal) solo attraverso la mediazione estetica, ovvero la capacità sinestetica dell’arte di suscitare emozioni a 360 gradi. Winckelmann, osservando il Torso del Belvedere, diceva di sentirsi davanti a una meravigliosa quercia scossa e abbattuta dal vento; altri, osservando Il ratto di Proserpina del Bernini, vi coglievano l’essenza stessa della sessualità. Ma quello che riusciva con le opere di ieri, forse, non riesce con quelle del Novecento. Da qui il ricorso alla tecnologia per ottenere ciò che l’arte doveva (o sapeva) conseguire senza.

    "Tate Sensorium": arte e neuroestetica | Fatto ad Arte
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

 

 

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