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  1. #11
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    8 settembre 2014: Sant'Adriano, martire a Nicomedia durante le persecuzioni di Diocleziano

  2. #12
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    9 settembre 2014

    Gorgonio e Doroteo
    , santi, martiri in Nicomedia, il Diario Romano (1926) vuole il primo sepolto a S. Silvestro in Capite e il secondo a S. Pietro. Gorgonio probabilmente potrebbe essere il santo, martire di Roma, già venerato nel IV secolo nel cimitero dei Ss. Pietro e Marcellino sulla Via Labicana,
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    quale si conoscono ben due traslazioni. La prima sarebbe avvenuta al tempo di Paolo I che avrebbe donato le reliquie al vescovo Crodegango di Metz (760-766), il quale le portò a Gorze in Lorena. La seconda lo vuole donato, dallo stesso pontefice, a S. Silvestro in Capite. Da questa basilica Gregorio IV (827-844) prelevò gran parte delle reliquie e le ripose a S. Pietro in Vaticano, dove gli dedicò un altare in una piccola abside ricavata nella parete all’inizio della navata sinistra. Gorgonio è ricordato come sepolto nella chiesa di S. Silvestro in Capite da una lapide posta nell’atrio della basilica.
    M.R.: 9 settembre - A Nicomedia la passione dei santi Martiri Doroteo e Gorgonio, i quali, avendo ottenuto grandissimi onori presso Diocleziano Augusto, e detestando la persecuzione che egli faceva ai Cristiani, alla sua presenza, furono prima fatti sospendere e straziare con flagelli per tutto il corpo; quindi, scoperte le viscere col togliere la pelle, furono fatti cospargere di aceto e sale, e in
    [COLOR=#009900 !important]tal[/COLOR]
    modo arrostire sulla graticola; e finalmente furono fatti strangolare. Dopo qualche tempo il corpo del beato Gorgonio fu portato a
    [COLOR=#009900 !important]Roma[/COLOR]
    , e deposto sulla via Latina, e di là fu poi trasferito alla Basilica di
    [COLOR=#009900 !important]san Pietro[/COLOR]
    .
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  3. #13
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    10 settembre 2014: San Nicola da Tolentino, confessore

    Nacque a Sant'Angelo in Pontano (Macerata) nel 1245. Già nella sua giovinezza emersero i suoi doni carismatici. Entrò come oblato fra gli Agostiniani e compiuti gli studi di teologia, fu ordinato sacerdote da San Benvenuto, vescovo di Osimo. Per fare apostolato, passò la sua vita da una comunità all'altra, preficando in numerosi conventi delle Marche. A Sant'Elpidio fu Maestro dei Novizi. Nel conventidi Valm anente di Pesaro ebbe una visione del Purgatorio. A causa della precaria salute si stabilì quindi a Tolentino ove visse trent'anni in preghiera, penitenza e apostolato. Fu un asceta rigidissimo con se stesso e dolce e comprensivo con i poveri, i bisognosi e gli ammalati. Grande confessore, fu pieno di umana compassione per ogni tipo di miseria. L'incondizionata obbedienza, il distacco completo dai beni terreni, l'umiltà e la modestia furono costanti della sua vita. Morì il 10 settembre 1305. Fu canonizzato da Papa Eugenio IV nel 1446. La sua tomba nella basilica di Tolentino è da sempre meta di pellegrinaggi.

  4. #14
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    11 settembre 2014: ss. Proto e Giacinto, martiri

    Sul luogo della loro sepoltura Papa Damaso aveva fatto porre una lapide che ricordava come Proto e Giacinto fossero fratelli martiri. proto e Giacinto erano cristiani eunuchi, schiavi della beata Eugenia, figlia del nobile romano Filippo, prefetto di Alessandria d'Egitto. Convertita al cristianesimo, Eugenia avrebbe ceduto i due giovani alla nobile Bassilla, convertitasi a sua volta grazie ai loro insegnamenti. Denunciati dal fidanzato di quest'ultima, furono imprigionati e quindi costretti a sacrificare agli dei. Al loro rifiuto furono prima bastonati a sangue e quindi decapitati. La loro esistenza e il loro martirio sono stati storicamente comprovati.

    Proto e Giacinto, santi, martiri di Roma, all’altare dei santi Cosma e Damiano in S. Giovanni Battista dei Fiorentini vi sono il corpo di Proto e le reliquie di Giacinto. Entrambi erano sepolti nel cimitero di Bassilla (poi di S. Ermete) in un cubicolo fatto sistemare da papa Damaso. Nell’VIII o IX secolo il corpo di Proto fu traslato a Roma. Nel 1592 le sue reliquie dalla chiesa di S. Salvatore in pede pontis pervennero alla chiesa dei Fiorentini. I resti di Giacinto, ritrovati da p. Marchi nel cimitero di S. Ermete il 21 marzo del 1845, furono donati da Pio IX, il 19 agosto 1846, al Collegio di Propaganda Fide. Alcune sue reliquie: una porzione dell’osso mascellare superiore e un’altra della tibia furono ottenute dalla chiesa di S. Giovanni Battista dei Fiorentini il 10 novembre 1881. Giacinto fu traslato nel 1936 alla chiesa gianicolense della nuova sede del Collegio di Propaganda Fide e posto all’altare maggiore.
    M.R.: 11 settembre - A Roma, sulla via Salaria antica, nel cimitero di Basilla, il natale dei santi Martiri Proto e Giacinto fratelli, eunuchi della beata Eugenia. Essi, sotto l'Imperatore Gallieno, scoperti di essere Cristiani, furono costretti a sacrificare; ma non consentendo, prima furono crudelissimamente battuti, e alla fine decapitati allo stesso modo.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

  5. #15
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    12 SETTEMBRE 2014: IL SANTO NOME DI MARIA

    Oggetto della festa.

    Qualche giorno dopo la nascita del Salvatore la Chiesa ha consacrato una festa per onorarne il nome benedetto. Ci insegnava così quanto questo nome contiene per noi di luce, di forza, di soavità, per incoraggiarci ad invocarlo con fiducia nelle nostre necessità (L'anno Liturgico, 183-187).

    Così dopo la festa della Natività della Santissima Vergine, la Chiesa consacra un giorno ad onorare il santo nome di Maria per insegnarci attraverso la Liturgia e l'insegnamento dei santi, tutto quello che questo nome contiene per noi di ricchezze spirituali, perché, come quello di Gesù, lo abbiamo sulle labbra e nel cuore.

    Storia della festa.

    La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Soppressa da san Pio V, fu ripristinata da Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni Sobieski coi suoi Polacchi vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la cristianità, sant'Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa alla Chiesa universale e la fissò alla domenica fra l'Ottava della Natività. Il santo Papa Pio X la riportò al 12 settembre.

    Nome uscito dal cuore di Dio.

    Più che il ricordo storico della istituzione della festa, ci interessa il significato del nome benedetto dato alla futura Madre di Dio e nostra.

    Il nome presso i Giudei aveva un'importanza grandissima e si soleva imporre con solennità. Sappiamo dalla Scrittura che Dio intervenne qualche volta nella designazione del nome da imporre a qualche suo servo. L'angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni ed egli ancora dice a Giuseppe, spiegandogli l'Incarnazione del Verbo: "Gli porrai nome Gesù". Si può quindi pensare che Dio in qualche modo sia intervenuto, perché alla Santissima Vergine fosse imposto il nome richiesto dalla sua grandezza e dignità. Gioacchino ed Anna imposero alla loro bambina il nome di Maria che a noi è tanto caro.

    "Il tuo nome è un olio sparso".

    I Santi si sono compiaciuti di paragonare il nome di Maria a quello di Gesù. San Bernardo aveva applicato al Signore il testo della Cantica: "Il tuo nome è un olio sparso" (Cantico dei Cantici, 1,3), perché l'olio dà luce, nutrimento e medicina. Anche Riccardo di san Lorenzo dice: "Il nome di Maria è paragonato all'olio, perché, dopo il nome di Gesù, sopra tutti gli altri nomi, rinvigorisce i deboli, intenerisce gli induriti, guarisce i malati, dà luce ai ciechi, dona forza a chi ha perso ogni vigore, lo unge per nuovi combattimenti, spezza la schiavitù del demonio e, come l'olio sorpassa ogni liquore, sorpassa ogni nome" (De Laudibus B. M. V. l. II, c. 2).

    Altre interpretazioni.

    Oltre sessantasette interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria secondo che fu considerato di origine egiziana, siriaca, ebraica o ancora nome semplice o composto. Non vogliamo trattenerci sulle interpretazioni e scegliamo le quattro principali riferite dagli antichi scrittori. "Il nome di Maria, dice sant'Alberto Magno, ha quattro significati: illuminatrice, stella del mare, mare amaro, signora o padrona" (Commento su san Luca, I, 27).

    Illuminatrice.

    È la Vergine immacolata che l'ombra del peccato non offuscò giammai; è la donna vestita di sole; è "colei la cui vita gloriosa ha illustrato tutte le Chiese" (Liturgia); è infine colei, che ha dato al mondo la vera luce, la luce di vita.

    Stella del mare.

    La liturgia la saluta così nell'inno, così poetico e popolare, Ave maris stella e ancora nell'Antifona dell'Avvento e del tempo di Natale: Alma Redemptoris Mater. Sappiamo che la stella del mare è la stella polare, che è la stella più brillante, più alta e ultima di quelle che formano l'Orsa Minore, vicinissima al polo fino a sembrare immobile e conservare una posizione quasi invariabile per lunghe notti e per questo fatto è di molta utilità per orientarsi sulla carta del cielo e aiuta il navigante a dirigersi, quando non possiede la bussola.

    Così Maria, fra le creature, è la più alta in dignità, la più bella, la più vicina a Dio, invariabile nel suo amore e nella sua purezza, è per noi esempio di tutte le virtù, illumina la nostra vita e ci insegna la via per uscire dalle tenebre e giungere a Dio, che è la vera luce.

    Mare amaro.

    Maria lo è nel senso che, nella sua materna bontà, rende amari per noi i piaceri della terra, che tentano di ingannarci e di farci dimenticare il vero ed unico bene; lo è ancora nel senso che durante la Passione del Figlio il suo cuore fu trapassato dalla spada del dolore. È mare, perché, come il mare è inesauribile, è inesauribile la bontà e generosità di Maria per tutti i suoi figli. Le gocce d'acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell'anima benedetta di Maria, dal momento dell'Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in cielo.

    Signora o padrona.

    Maria è veramente, secondo il titolo datole in Francia, Nostra Signora. Signora vuoi dire Regina, Sovrana. Regina è veramente Maria, perché la più santa di tutte le creature, la Madre di Colui, che è Re per titolo di Creazione, Incarnazione e Redenzione; perché, associata al Redentore in tutti i suoi misteri, gli è gloriosamente unita in cielo in corpo e anima e, eternamente beata, intercede continuamente per noi, applicando alle nostre anime i meriti da lei acquistati davanti a Lui e le grazie delle quali è fatta mediatrice e dispensiera.

    Discorso di san Bernardo.

    Preghiamo la Santissima Vergine, perché voglia realizzare per noi i diversi significati, che santi e dottori hanno dato al suo nome benedetto, riportando la conclusione della seconda omelia di san Bernardo sul Vangelo Missus est:

    "E il nome della Vergine era Maria. Diciamo qualche cosa di questo nome, che significa stella del mare. Si adatta perfettamente alla Madre di Dio, perché come l'astro emette il suo raggio, così la Vergine concepisce suo Figlio e il raggio non diminuisce lo splendore della stella e il Figlio non diminuisce la verginità della Madre. Nobile stella sorta da Giacobbe il cui raggio illumina il mondo, splendente nei cieli, penetra l'abisso, percorre la terra. Riscalda più che i corpi le anime, inaridisce il vizio, feconda la virtù. Sì, Maria è l'astro fulgente e senza uguali che era necessario sul mare immenso, che scintilla di meriti e rischiara coi suoi esempi la nostra vita.

    Chiunque tu sia che nel flusso e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo alla tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall'astro splendido, se non vuoi essere inghiottito dall'uragano. Se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell'ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive della carne, scuotono la nave dell'anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l'enormità del delitto, vergognoso di te stesso, tremante all'avvicinarsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l'abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nell'angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria.

    Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assicurarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, protetto da lei non avrai paura, guidato da lei non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva sicuro alla meta. Sperimenta così in te stesso il bene stabilito in questa parola il nome della Vergine era Maria".

    MESSA

    EPISTOLA (Eccli 24,17-2l). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori dan frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.

    Tutta la compiacenza del cielo, tutte le speranze della terra si fissano sulla culla in cui Maria dorme, mentre veglia per Dio il suo cuore (Ct 5,2). La Sapienza fa il proprio elogio (Eccli 24,1): per la beata figlia di Anna e di Gioacchino le preferenze del suo amore, manifestate all'origine del mondo sono ormai giustificate e per sempre sarà sua delizia essere con i figli degli uomini (Pr 8,31). La vigna eletta, la vigna del Pacifico è davanti a noi e annunzia con i suoi fiori profumati (Ct 8,11-12) il grappolo divino, il succo del quale, spremuto nel torchio, feconderà tutte le anime, inebrierà terra e cielo.

    VANGELO (Lc 1,26-38). - In quel tempo: L'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea detta Nazareth, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei l'Angelo disse: Salute, o piena di grazia: il Signore è teco! Benedetta tu fra le donne! Ed essa turbata a queste parole, pensava che specie di saluto fosse quello. E l'Angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio; ecco, tu concepirai nel seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato figlio dell'Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine. Allora Maria disse all'Angelo: Come avverrà questo, se io non conosco uomo? E l'Angelo rispose: Lo Spirito santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà: per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia, ed è già nel sesto mese, lei che era detta sterile; ché niente è impossibile davanti a Dio. E Maria disse: Ecco l'ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola.

    Abbiamo qui la più solenne ambasciata di cui la storia angelica ed umana abbia conservato ricordo, e presenta in Maria ciò che il suo nome significa, la Padrona del mondo. L'interesse più alto che possa toccare l'umanità presente, passata o futura, le gerarchie celesti, Dio stesso è trattato tra l'Altissimo e la Vergine di Nazareth soli, come soli aventi titolo da una parte per proporlo e dall'altra per accettarlo. L'angelo non è che un messaggero e l'uomo è con lui nell'attesa. Maria contratta con il Creatore, in nome dell'uomo e dell'angelo, come in nome proprio, in nome del mondo intero, che rappresenta e che domina con la sua regalità.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1067-1072

  6. #16
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    13 settembre 2014: santa Maria in Sabbato

  7. #17
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    14 settembre 2014: Esaltazione della Santa Croce (con memoria della XIV domenica dopo Pentecoste)

    Il senso della festa della Croce.
    "Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Le parole dell'Apostolo, che leggiamo nell'Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell'era cristiana e perciò i destinatari della lettera disan Paolo capivano meglio di noi l'orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l'Incarnazione e la morte sulla Croce.

    Il supplizio della Croce.
    Non era la croce considerata dagli antichi come "il supplizio più terribile e più infamante" (Cicerone, In Verrem II)? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l'atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l'asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

    Il culto della Croce.
    Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito, il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa).
    Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore.
    È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l'Esaltazione della Croce, festa che ha un'origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

    Origine della festa.
    La data del 14 settembre segna l'anniversario di una dedicazione che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo.
    Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell'Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall'imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto.
    L'anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50 vescovi assistevano ogni anno alla solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all'Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

    Doppio oggetto della festa.
    Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell'antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell'olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

    Diffusione della festa.
    La cerimonia prese un'importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano.
    I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l'imperatore Eraclio e Roma l'ebbe nel corso del secolo VII. Sotto papa Sergio († 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l'adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservato un'orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparì dagli usi romani, ma l'orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l'adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche chiese.

    Nuovo splendore della festa.
    Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del S. Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

    Carattere nuovo della festa.
    Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l'antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell'Impero. Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l'Esaltazione del Figlio dell'Uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.
    Essendo stata l'adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant'Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.
    O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un'altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci!
    Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l'inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell'inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno.
    Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa', te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l'uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1072-1076

  8. #18
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    15 SETTEMBRE
    FESTA DEI SETTE DOLORI
    DELLA BEATA VERGINE

    Due feste della Madonna: Natività e Addolorata.
    Dopo il ricordo dell'infanzia di Maria, ecco che la Chiesa subito ci invita a meditare sui dolori, che segnarono la vita della Madre del Messia, Corredentrice del genere umano. Mentre il giorno della nascita consideravamo lagrazia, la bellezza della bambina che era nata, non ci si presentava il pensiero del dolore, ma se ci fossimo posta la domanda: "Che cosa sarà mai di questa bambina?", avremmo veduto che se tutte le nazioni dovevano un giorno proclamarla beata, Maria doveva prima soffrire con il Figlio per la salvezza del mondo.

    La sofferenza di Maria.
    Maria stessa ci invita, con la voce della Liturgia, a considerare il suo dolore: "Voi tutti che passate per la stradaguardate e vedete e dite se vi è dolore simile al mio... Dio mi ha posta e come stabilita nella desolazione" (Geremia,Lamentazioni, 1,12-13). Il dolore della Santa Vergine è opera di Dio. Predestinandola ad essere Madre del Figlio suo, l'ha unita in modo indissolubile alla persona, alla vita, ai misteri, alla sofferenza di Gesù, perché fosse cooperatrice fedele nell'opera della redenzione, e tra il Figlio e la Madre doveva esservi comunità perfetta di sofferenze. Quando una madre vede che il figlio soffre, soffre con lui e sente, per riverbero, ciò che egli prova e Maria ha sentito nel suo cuore tutto ciò che Gesù ha sofferto nel suo corpo per gli stessi fini, con la stessa fede e con lo stesso amore. "Il Padre e il Figlio, disse Bossuet, dividono per l'eternità la stessa gloria e la Madre e il Figlio dividono nel tempo le stesse sofferenze; il Padre e il Figlio una stessa sorgente di gioia, la Madre e il Figlio uno stesso torrente di amarezza; il Padre e il Figlio lo stesso trono, la Madre e il Figlio la stessa croce. Se si crivella di colpi il corpo di Gesù, Maria ne sente tutte le ferite, se si trafigge la sua testa con le spine, Maria è straziata da tutti quegli aculei, se gli presentano il fiele e aceto, Maria ne beve tutta l'amarezza, se si stende il corpo sulla croce, Maria ne soffre tutto il tormento" (Discorso per la Compassione. Opere oratorie, II, p. 472).

    La Compassione.
    La comunione di sofferenze tra il Figlio e la Madre ci spiega perché è stato scelto il termine Compassione per esprimere i dolori di Maria. Compassione è l'eco fedele, è il contraccolpo della Passione. Patire è soffrire e compatire qualcuno è soffrire con lui, è risentire nel proprio cuore, come se fossero nostre, le sue pene, le sue tristezze, i suoi dolori. La Compassione fu così per la Santa Vergine la comunione perfetta con le sofferenze e la Passione del Figlio e con le disposizioni che lo animavano nel suo sacrificio.

    Perché Maria soffre.
    Parrebbe che Maria, concepita senza peccato, ignara di ogni male, non avrebbe dovuto soffrire. Se Dio, che tanto ama il Figlio, gli diede la sofferenza in eredità, bisogna che la sofferenza sia un bene notevole, ma siccome, dopo il Figlio ama la Santissima Vergine più che tutte le altre creature, anche a lei l'ha offerta come il più ricco dei doni.Del resto unita come era al Figlio, era opportuno e in certo modo necessario che Maria provasse la sofferenza e la morte, perché noi imparassimo da lei, come dal Figlio, ad accettare la sofferenza, che Dio permette per il nostro maggior bene. Maria si offrì liberamente, unì volontariamente il suo sacrificio e la sua obbedienza al sacrificio e all'obbedienza del Figlio Gesù, per portare con lui tutto il peso della espiazione richiesta dalla giustizia divina e non ha sentito i dolori del Figlio solo per simpatia, ma è entrata nella Passione realmente con tutto il suo essere, con il cuore, con l'anima, con l'amore più vivo, con la più serena tranquillità, ha sofferto nel cuore quanto Gesù ha sofferto nella carne e vi sono teologi che affermano che abbia sentito anche nel corpo le stesse sofferenze provate da Gesù nel suo e, dato che alcuni santi hanno avuto l'onore di tale privilegio, ci è permesso pensare che anche Maria lo abbia avuto.

    La sofferenza di Maria viene da Gesù.
    La sofferenza di Maria non comincia solo sul Calvario. La sua infanzia fu senza dubbio tranquilla ed esente da pene. La sofferenza cominciò con Gesù "questo bambino molesto, dice Bossuet, perché dove entra, entra con la sua croce, porta con sé le spine, e le divide con quelli che ama" (Panegirico di san Giuseppe, t. II, 137). "Causa dei dolori di Maria, dice ancora Mons. Gay, è Gesù. Tutto quello che soffre viene da Gesù, si riferisce a Gesù, ha la sua ragione di essere, il suo fondamento in Gesù" (41.a Conferenza alle Madri Cristiane, t. II, 199). La solennità di oggi, che ci presenta Maria al Calvario, ci ricorda, insieme con il dolore supremo, tutti gli altri noti ed ignoti, che riempirono la vita della Santa Vergine. La Chiesa si è fermata a considerarne sette solo, perché questo numero esprime sempre l'idea della totalità e dell'universalità e, nel responsorio del Mattutino, richiama in modo particolare i sette dolori che le procurarono la profezia del vecchio Simeone, la fuga in Egitto, la perdita di Gesù a Gerusalemme, il trasporto della croce, la crocifissione, la deposizione dalla croce e la sepoltura del divin Figlio, dolori che fecero veramente di lei la Regina dei martiri.

    Regina dei martiri.
    Con questo bel titolo la saluta la Chiesa nelle litanie. "Che abbia veramente sofferto, dice san Pascasio Radberto, lo afferma Simeone quando le dice: Una spada trapasserà la tua anima. Di qui è evidente che supera tutti i martiri, perché gli altri hanno sofferto per Cristo nelle loro carni, ma non hanno sofferto nella loro anima, che è immortale, mentre Maria ha sofferto in questa parte di sé, che è impassibile, la sua carne ha sofferto, per così dire, spiritualmente la spada della Passione di Cristo ed è così più che martire. Avendo amato più di tutti, più di tutti ha sofferto e la violenza del dolore trapassò la sua anima, ne prese possesso a testimonianza del suo amore indicibile. Avendo sofferto nella sua anima, fu più che martire, perché il suo amore, più forte della morte, fece sua la morte di Cristo" (Lettera sull'Assunzione, n. 14, PL 30, 138).

    Il suo amore, causa di sofferenza.
    Per misurare l'estensione e l'intensità della sofferenza della Santissima Vergine, bisognerebbe capire quale fu il suo amore per Gesù. Fu amore ben diverso da quello dei Santi e dei martiri. Questi soffrono per Cristo, ma il loro amore addolcisce i tormenti e qualche volta li fa dimenticare. In Maria niente di tutto questo: il suo amore aumentala sofferenza. "Natura e grazia, dice Bossuet, concorrono a determinare nel cuore di Maria impressioni profondissime. Nulla è più forte e più pressante dell'amore naturale per un figlio e dell'amore che sa dare la grazia per Dio. I due amori sono due abissi dei quali non si penetra il fondo, né si comprende l'immensità... " (Discorso sull'Assunzione, t. III, 493).

    La sofferenza è gioia per Maria.
    Ma, se l'amore è per Maria sorgente di sofferenza, è pure sorgente di gioia. Perciò soffrì sempre con calma inalterabile e grande forza d'animo. Meglio di san Paolo, Maria sapeva che nulla, neppure la morte, l'avrebbe separata dall'amore del suo Figlio, suo Dio.
    Il santo Papa Pio X scriveva che "nell'opera suprema si vide la Vergine ritta presso la croce, oppressa senza dubbio dall'orrore della scena, ma tuttavia felice e gioiosa, perché il Figlio si immolava per la salvezza del genere umano" (Encicl. Ad diem illum, 2 febbraio 1904). Più di san Paolo, Maria sovrabbondava di gioia in mezzo al dolore. In lei, come in Gesù, salve le proporzioni, la gioia più profonda sta insieme alla sofferenza più grande che creatura di quaggiù possa sopportare. Maria ama Dio e la divina volontà più di ogni altra cosa al mondo e sa che sul Calvario si compie questa volontà, che la morte del Figlio offre a Dio il riscatto che Dio esige per la redenzione degli uomini, i quali le sono lasciati come figli suoi e li amerà e già li ama come ha amato Gesù.

    Riconoscenza verso Maria.
    Disse sant'Alberto Magno: Come il mondo tutto è debitore di nostro Signore Dio, così lo è della Vergine per la sua Compassione" (Questione Super Missus, 150). Conosciamo oggi meglio, o Maria, che cosa hai fatto per noi e quanto ti dobbiamo. Tu ti lamentasti perché "guardando gli uomini e cercando fra essi quelli che ricordavano il tuo dolore e ti compativano ne trovasti troppo pochi" (Santa Brigida, Rivelazioni, l. II c. 24). Non vogliamo aumentare il numero dei figli ingrati e ci uniamo perciò alla Chiesa nel ricordare le tue sofferenze e mostrarti la nostra gratitudine.
    Sappiamo, o Regina dei martiri, che una spada di dolore ti trapassò l'anima e che solo lo Spirito di vita e di consolazione poté sostenerti e fortificarti nel momento della morte di tuo Figlio.
    Sappiamo soprattutto che, se tu hai salito il Calvario, se tutta la tua vita, come quella di Gesù, fu un lungo martirio, ciò avvenne perché tu dovevi compiere presso il Redentore e in unione con lui il ruolo che la nostra prima madre, Eva, compì presso Adamo nella nostra caduta. Tu con Gesù ci hai riscattati, con lui e in dipendenza da lui hai meritato de congruo, per convenienza, la grazia che egli meritò de condigno, in giustizia, per ragione della sua dignità infinità. Ti salutiamo così, con amore e riconoscenza, "nostra Regina, Madre di misericordia, nostra vita e nostra speranza" e, sapendo che la nostra salvezza è nelle tue mani, ti consacriamo tutta la nostra vita, perché, sotto la tua potente protezione, con la tua materna guida, possiamo raggiungerti nella gloria del Paradiso ove, con il Figlio, vivi incoronata e felice per sempre. Così sia.

    MESSA
    Il Sacrificio quotidiano della Messa è il Sacrificio del Calvario vestito della magnificenza della Santa Liturgia. Il canto introduttivo ci presenta alcune donne e un solo uomo insieme con la Madre dei dolori ai piedi della Croce nel giorno della grande offerta.

    EPISTOLA (Gdt 13,22-25). - Il Signore t'ha benedetta nella sua potenza, e per mezzo di te ha annientato i nostri nemici. O figlia tu sei benedetta dal Signore Dio altissimo a preferenza di tutte le altre donne della terra. Benedetto sia il Signore, creatore del cielo e della terra, che diresse la tua mano nel troncare la testa del principe dei nostri nemici. Oggi Dio esaltò il tuo nome da essere lodato per sempre dagli uomini, che si ricorderanno in eterno della potenza del Signore. Per essi tu non hai risparmiato la tua vita, e, viste le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, ne hai impedita la rovina davanti a Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, la letizia d'Israele, l'onore del nostro popolo.

    Maria corredentrice.
    Oh, grandezza della nostra nuova Giuditta fra le creature! "Dio, nota il Padre Faber, pare scelga in sé le cose più incomunicabili per comunicarle in modo misterioso a Maria. Vedete come già l'ha posta nei disegni dell'universo del quale la rende quasi causa e parzialmente tipo. La cooperazione della Santa Vergine alla salvezza del mondo ci presenta un aspetto nuovo della sua magnificenza. Né l'Immacolato Concepimento, né l'Assunzione ci danno un'idea più alta di Maria del titolo di Corredentrice. I suoi dolori non erano alla Redenzione necessari, ma nel pensiero di Dio ne erano inseparabili e appartenevano alla integrità del piano divino. I misteri di Gesù non sono forse i misteri di Maria e i misteri di Maria non sono i misteri di Gesù? La verità sembra essere questa: i misteri di Gesù e quelli di Maria sono per Dio un solo mistero. Gesù stesso è il dolore di Maria sette volte ripetuto, sette volte ingrandito. Nelle ore della Passione, l'offerta di Gesù e quella di Maria erano una sola offerta e, sebbene diverse per dignità e valore, erano simili per le disposizioni, avevano lo stesso ritmo, lo stesso profumo ed erano consumate dallo stesso fuoco: oblazione simultanea fatta al Padre da due cuori senza macchia, per i peccati di un mondo colpevole del quale si erano liberamente addossati i demeriti" (Il piede della Croce, ix, 1, 2). Uniamo le nostre lacrime ai tormenti di Gesù e al pianto di Maria. Nella misura in cui l'avremo fatto in questa vita, potremo poi, col Figlio e con la Madre, godere in cielo.
    Nella Messa, al graduale segue il toccante lamento attribuito al beato Jacopone da Todi, francescano, lo Stabat Mater, che sarà per noi un bella formula di preghiera e di omaggio alla Madre dei dolori.

    SEQUENZA
    In piedi, presso la Croce, cui era appeso il figlio, la Madre dei dolori piangeva.
    L'anima sua, che gemeva per la tristezza e la desolazione, era stata trapassata da una spada.
    Quanto era triste, quanto era afflitta quella benedetta Madre di un figlio solo.
    Gemeva e sospirava la tenera Madre, assistendo alle pene del suo augusto figlio.
    Chi non piangerebbe, se vedesse la Madre del Cristo, straziata da pene così acerbe?
    Chi non potrebbe essere triste al vedere la Madre di Cristo con lui in preda al dolore?
    Vide Gesù in mezzo ai tormenti, sottoposto ai flagelli, per i peccati del suo popolo.
    Vide il dolce suo figlio morire senza conforto, ne colse l'ultimo sospiro.
    Orsù, Madre, sorgente di amore, fa' che io senta la violenza della pena e pianga con te.
    Fa' che arda il mio cuore nell'amore di Cristo, Dio, perché io possa piacergli.
    Madre santa, imprimi fermamente nel mio cuore le piaghe del figlio tuo.
    Dividi con me le pene del tuo Figlio straziato, che si degnò di soffrire per me.
    Fa' che finché avrò vita, pianga piamente con te e compatisca al Crocifisso.
    Desidero stare presso la Croce con te e unirmi a te nel pianto.
    Vergine, tra le vergini la più nobile, non essere severa con me, fa' che mi unisca al tuo pianto.
    Fa' che io porti in me la morte di Cristo, che io partecipi alla sua passione, che ne mediti le sofferenze.
    Fa' che le sue ferite siano le mie ferite, che io mi inebrii della croce e del sangue del tuo figlio.
    Le fiamme non mi tormentino: nel giorno del giudizio, sii tu, o Vergine, la mia difesa.
    O Cristo, quando dovrò morire, fa' che la Madre mi conduca alla palma della vittoria.
    Quando il corpo morirà, fa' che l'anima raggiunga la gloria del Paradiso. Così sia.

    VANGELO (Gv 19,25-27) - In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre e la sorella di lei, Maria di Cleofa, e Maria la Maddalena. Or Gesù, vedendo sua madre e, vicino a lei, il discepolo che gli era caro, disse alla madre: Donna, ecco il tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre. E da quel momento la prese il discepolo in casa con sé.

    In piedi presso la Croce.
    "Stabat iuxta crucem". Bisogna mettersi ben vicini alla Croce e bisogna essere in piedi. In piedi, perché questo è l'atteggiamento del coraggio e perché si resta così più vicini al Signore.
    Unico modo per fare questo è essere con la Santa Vergine. Non si potranno mai unire le due prime parole alla terza senza il tecum, se ciò non avviene con Maria e in Maria. La Croce è troppo spaventosa.
    Lo stabat di Maria è dominato da quello di Gesù, elevato sopra la terra, che tutto attira a sé, appunto perché elevato sopra la terra.
    Maria è in piedi per essere il tratto di unione... la Mediatrice. La sua testa e il suo cuore sono alti, per essere vicini al Figlio, i suoi piedi toccano la nostra terra, per essere vicino a noi, che siamo pure suoi figli. È in piedi, perché è nostra Madre: "Ecco, tua Madre". e Maria può dire come Gesù: "Trarrò tutto a me, come madre". Per il mistero della Cr0oce, tutta l'umanità è attirata a Gesù e a Maria... (P. Dehau, La Compassione della Vergine).

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste

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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    15 settembre 2014

    Nicomede, santo, martire di Roma, i resti sono nella Confessione di S. Prassede all’Esquilino. Precedentemente era venerato in una basilica costruita da Bonifacio V (619-25). Non si conosce l’anno della traslazione avvenuta dopo il restauro della sua tomba operato da Adriano I (772-95).
    M.R.: 15 settembre - A Roma, sulla via Nomentana, il natale del beato Nicomede, Prete e Martire, il quale, rispondendo a quelli che lo costringevano a sacrificare agli idoli: "Io non sacrifico che a Dio onnipotente, regnante nei cieli", fu battuto lunghissimamente con flagelli piombati, e in quel tormento passò al Signore.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

  10. #20
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    Predefinito re: 30 settembre 2014: San Gerolamo, sacerdote, confessore e dottore

    16 settembre 2013: san Cornelio, Papa e martire

    Di origine romana, fu eletto papa nel marzo del 251 dopo un periodo di sede vacante dovuto alla persecuzione di Decio. Assunse un atteggiamento di indulgenza nella prassi peniteniale ed in particolare riguardo alla riconciliazione degli apostati. Questo gli provocò la contrapposizione del primo antipapa Novaziano, brillante teologo. In un sinodo Cornelio respinge le tesi di Novaziano e lo scomunica. Subì quindi l'esilio ad opera dell'imperatore Treboniano Gallo e in esilio a Centocelle di Civitavecchia morì nel 253. E' sepolto nelle catacombe di San Callisto a Roma.

    Cornelio, papa, santo, martire, romano (marzo 251 - giugno 253), morì a Civitavecchia. Alla fine del III secolo fu traslato in una cripta nel Cimitero di Callisto. Le sue reliquie, qui onorate in una basilica voluta da S. Leone I (440-61), furono traslate da Adriano I (772-95) nel territorio di Capracoro dove il pontefice aveva la sua casa paterna. Al tempo di Gregorio IV (827-844) erano a S. Maria in Trastevere all’ingresso della navata, il pontefice le fece collocare sotto l’altare maggiore. Parte delle reliquie furono, in quell’epoca, traslate in Francia, nella chiesa dedicatagli a Compiegne. Parte del corpo fu portato, nella seconda metà del XVIII secolo, nella chiesa dei Ss. Celso e Giuliano.
    M.R.: 14 settembre - A Roma, sulla via Appia, il beato Cornelio, Papa e Martire, il quale, nella persecuzione di Decio, dopo la relegazione in esilio, fu fatto battere con flagelli piombati, e così, con altre ventun persone di vario sesso, decapitare. Nello stesso giorno furono pure decapitati Cereale soldato e Sallustia sua moglie, i quali dallo stesso Cornelio erano stati istruiti nella fede. Il 16 settembre la festa dei santi Martiri Cornelio Papa e Cipriano, Vescovo di Cartagine, la cui memoria si celebra il 14 settembre.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

    --------------------

    16 settembre 2013: San Cipriano, vescovo e martire

    Cipriano nacque a Cartagine verso il 210, da genitori pagani. Convertitosi alla fede e ordinato sacerdote, fu eletto vescovo della città nel 249. Governò egregiamente la chiesa con gli esempi e con gli scritti, in tempi assai difficili. Sostenne san Cornelio nella contrapposizione con Novaziano. Nella persecuzione di Valeriano, prima fu condannato all'esilio, quindi, il 14 settembre del 258, morì martire.

 

 
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