Lavoro: la guerra "italiani vs extracomunitari" non è ancora iniziata
Un recente studio condotto da ImpresaLavoro fa emergere un dato inquietante che va interpretato molto al di là della ovvia prima considerazione. I dato è questo: in Italia gli extracomunitari sono più occupati dei cittadini italiani.
Il tasso di attività tra i cittadini residenti è del 59,9% mentre quello degli extracomunitari arriva al 60,1%. Non solo: ad arrotondare ancora di più la prima percezione lo studio rileva che anche gli stranieri comunitari hanno maggiore capacità di collocamento. Questi ultimi si attesterebbero a un tasso di occupazione di addirittura il 65,3%.
Commento comune vuole che ciò sia evidente per un motivo principale: gli stranieri sono più propensi ad accettare lavori cosiddetti “umili” e soprattutto ad accettare dei salari ridotti rispetto a quelli che si aspetta e pretende un italiano.
Il che è vero, naturalmente, ma vale la pena andare più in là, e per la precisione portare il ragionamento sino in fondo.
Intanto bisogna considerare, a monte, che il tasso di occupazione del nostro Paese è bassissimo, non arriva neanche al 60%. Ciò da solo dovrebbe far riflettere sulle eventuali capacità di ripresa economica di una comunità che, eliminando i lavori precari, quelli part time e quelli full time ma con salari appena sufficienti per la sopravvivenza, pretende di riprendere a correre con appena un 30% scarso di occupati veri. È, il nostro, un Paese che si avvia praticamente a vivere di pensionati. Almeno fino al punto in cui l’Inps sarà in grado di erogare le pensioni.
In secondo luogo, e tornando al dato relativo agli extracomunitari (e a quello dei comunitari) che sono più occupati degli italiani, spingendo il ragionamento più avanti del proprio naso, e prendendo per buono il motivo delle minori richieste salariali di questi ultimi e dell’accettazione dei lavori più modesti, nel nostro Paese si prospettano non più di due alternative.
O a un certo punto, o prima o poi, anche questi nuovi lavoratori intenderanno mettere in opera dei comportamenti e delle rivendicazioni per sollevare il proprio salario, e dunque forniranno una spinta in direzione uguale a quella di tutti gli altri italiani, oppure, viceversa, saranno questi ultimi, per necessità imprescindibile, a doversi adeguare al ribasso. Ancora più di adesso (superfluo rammentare, di passaggio, il caso attuale delle Forze di Polizia con contratti bloccati dal 2009).
Le possibilità di un italiano che oggi decide di non accettare condizioni di lavoro che invece un extracomunitario accetta, perché magari riesce ancora a vivere grazie alla pensione e al welfare offerto dai propri genitori, sono ovviamente con data di scadenza. Naturale e generazionale. A un certo punto, l’italiano tipo, per vivere dovrà entrare in competizione proprio con l’extracomunitario (o lo straniero comunitario) che attualmente è già occupato.
Lo scontro facile da prevedere non sarà dunque solo quello generazionale, ma anche relativo alla cittadinanza. Cioè brutalmente etnico, cosa che invece adesso, per la verità, è appena sotto traccia, almeno per certi tipi di lavori (ancora oggi sono rarissimi i casi di un italiano e di un extracomunitario in lotta per un posto da raccoglitore di pomodori a 7 euro al giorno). E le prospettive, come detto, sono due: una unione di intenti per forzare al rialzo le condizioni di lavoro e i salari, oppure un ulteriore livellamento verso il basso. In zona di nuovo schiavismo da ventunesimo secolo, per intenderci.
vlm
Fonte: www.ilribelle.xom
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9.09.2014