LA CAMPANA da morto sulle province sembra non rintoccare più. E lalegge Delrio che doveva abolire questi enti, alla prova delle elezioni (dal 28settembre al 12 ottobre) mostra che le province sopravvivono a loro stesse. Asparire, infatti, c’è solo il voto dei cittadini che lascia il posto aun’elezione di secondo livello: sindaci, consiglieri comunali e provinciali siscelgono tra loro, dando il via, così, al valzer delle alleanze. Risultato: un pasticcio che porta alla più classica spartizione delle poltrone seguendo lalogica della ‘grande ammucchiata’.
Pd e Forza Italia resta l’alleanza più gettonata, ma in certe province in alcuni mega-listoni confluiscono anche 5Stelle, Ncd e Lega. Altero Matteoli,
deus ex machina dellealleanze forziste, sintetizza: «Fare patti con il Pd? Beh, è il male minore.Dobbiamo far fronte comune contro il nemico». Il nemico, ovviamente, è ilMovimento 5 Stelle. Matteoli lo ammette candidamente: «Certo, si tratta di unaspartizione di poltrone sulla base di un certo realismo politico. Non possiamomica rischiare un’altra Livorno. E, per evitare il peggio, dobbiamo impegnarciaffinché in Provincia vinca il Pd. Il male minore, appunto».
E SE nell’ex roccaforte Pci il neosindaco pentastellato Filippo Nogarin harinunciato alle elezioni provinciali, seguendo il diktat di Grillo che haimposto ai suoi «di non presentare le proprie candidature», a Parma le elezionihanno rischiato di far espellere il sindaco grillino dal Movimento. FedericoPizzarotti, infatti, dopo aver annunciato la sua candidatura e l’asse con Pd eFI scatenando l’ira di Grillo, ha poi fatto marcia indietro facendo vacillarel’alleanza, mentre il Pd resta spaccato tra i pro listone e i dissidenti. «Nonmi candido — ha detto ieri sera Pizzarotti — le scollature nei democratici mihanno fatto propendere per non andare avanti». Il sindaco 5 Stelle diComacchio, Marco Fabbri, invece, si è tuffato nella lista unica a maggioranzaPd che sostiene come presidente il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani. Ladeputata emiliano-romagnola pentastellata Giulia Sarti — critica sul niet diGrillo alla candidatura di De Franceschi in Regione perché indagato nell’ambitodell’inchiesta ‘spese pazze’ — commenta così: «Non è una guerra di poltrone, maè la voglia di contare qualcosa. Lasciare tutto in mano agli altri dà noia...».
I democratici, freschi di nuova segreteria ‘plurale’ e senza un delegatoufficiale agli enti locali (l’annuncio verrà dato oggi,
ndr),hanno preferito non commentare. Ma basta scorrere la mappa delle province alvoto (64 presidenti da eleggere e 760 consiglieri) e quello delle cittàmetropolitane (otto presidenti e 162 consiglieri) per rendersi conto che lepoltrone, benché diminuite (da 2.500 a 986) e meno pesanti, continuano a faregola.
IN CALABRIA domina il cosiddetto «accurduni» e a Vibo Valentia renziani eazzurri vanno a braccetto con Ncd e Fratelli d’Italia. Il ‘partito unico’ Pd-FIva forte anche in Puglia. A Brindisi è praticamente fatta l’intesa: presidentedella Provincia al Pd, vice ai berluscones, mentre a Taranto si fa lo schemainverso (presidente agli azzurri, vice ai dem). Stessa musica anche nelle cittàmetropolitane (Genova e Torino) dove s’inserisce anche Ncd. Del resto, coicugini, l’azzurro Matteoli sta cercando una sintesi: «Stiamo lavorando percostituire una coalizione per le regionali». L’unione fa la forza.