Risultati da 1 a 2 di 2
  1. #1
    email non funzionante
    Data Registrazione
    22 Jul 2012
    Messaggi
    16,478
     Likes dati
    3,162
     Like avuti
    3,486
    Mentioned
    101 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)

    Predefinito Il buon samaritano e il buon socialista

    Il buon samaritano e il buon socialista | Avanti!


    Il buon samaritano
    e il buon socialista
    Pubblicato il 27-09-2014



    Un samaritano che assiste amorevolmente un giudeo ferito, cioè un nemico e uno straniero. Il levita e il sacerdote che si voltano dall’altra parte e tirano dritto, benché il giudeo, abbandonato per strada, per loro sia un correligionario e un ‘compatriota’. Il senso della parabola è chiaro: i giudei odiavano (contraccambiati) i samaritani; li consideravano pagani, infedeli. La misericordia cristiana è assoluta, senza vincoli e distinzioni. La caritas è un amore cieco, incondizionato, illimitato, per il prossimo. È un donarsi totale, che richiede il superamento di ogni scrupolo egoistico o egocentrico. Il Vangelo lo dice chiaramente chi è il nostro prossimo: il bisognoso in cui ci imbattiamo per caso. Dobbiamo aiutarlo senza pensare all’estrazione sociale, alla nazionalità, alla religione, all’etnia, al colore della pelle.
    Noi socialisti abbiamo un debito nei confronti della tradizione giudaico-cristiana: è da lì che proviene l’ideale della solidarietà che è nel nostro patrimonio genetico. L’etica del buon samaritano ci scalda il cuore: è fonte di ispirazione nella lotta per la giustizia sociale. Ma può farsi legge dello Stato, può suggerire un programma politico? La risposta, ovvia, è no. Il passaggio dalla sfera morale/religiosa a quella politica non è mai lineare. Non confondiamo il buon socialista con il buon Samaritano. La Caritas è un invito energico alla nostra coscienza. Certo, se un gran numero di cristiani seguisse quell’invito, e aiutasse i bisognosi, si creerebbe una massa critica significativa. Ma neppure questo costituirebbe una leva per il cambiamento politico e sociale. Il cristianesimo prospera da duemila anni, e il problema della povertà non è mai stato risolto alla radice. Né poteva essere altrimenti: per risolverlo, ci vogliono soluzioni politiche. È per questo motivo che sono sorte le varie teorie socialiste. Anche chi vota a destra e, magari, campa di rendita può agire di tanto in tanto come il buon Samaritano, tornando poi a godersi le sue proprietà. Non c’è conflitto tra le due cose. Il buon socialista si pone il problema, che è politico da cima a fondo, di far sì che la ricchezza venga distribuita equamente. E che vi siano pari opportunità per tutti. Vogliamo giustizia sociale, non elemosina. E la giustizia sociale non può consistere in tanti atti di generosità individuale: necessita di robusti interventi nella sfera pubblica. Vanno modificati i rapporti di forza a favore dei “bisognosi”, intesi come categoria politico-sociale. Noi, per fortuna, possiamo lottare in un clima di libertà, adoperando mezzi pacifici, non violenti, democratici. Ma lottare dobbiamo comunque. Diceva Martin Luther King, che era profondamente cristiano: “se c’è una lezione che la storia ci ha insegnato è questa: i gruppi privilegiati ben di rado rinunciano spontaneamente ai loro privilegi.” Scavando a fondo nella storia umana, notiamo che, sotto la superfice, c’è un magma che ribolle. La storia è mossa più dalla dinamica tra interessi contrapposti, che non dalla legge dell’amore disinteressato. Il messaggio cristiano, lo ripeto, non è irrilevante: la caritas, secolarizzandosi, è diventata solidarietà politica. Si assomigliano – caritas e solidarietà politica – ma non sono la stessa cosa.
    E infatti l’etica del buon Samaritano, se presa alla lettera, confligge con l’etica del buon socialista. Tutto bene finché il mantello si può tagliare in due o in tre, o se i denari bastano a curare più di un bisognoso. Ma che farà il buon Samaritano se si imbatte in dieci bisognosi, e non può soccorrerli tutti? E se quei bisognosi fossero, per giunta, in parte stranieri e in parte compatrioti? Il Vangelo non ci dice che fare in questi casi, perché, altrimenti, insinuerebbe il tarlo del dubbio su una legge morale assoluta. Il buon Samaritano non sceglie, perché non si pone il problema delle risorse disponibili: dà tutto quel che ha, se necessario. Quando si deve scegliere, fa capolino la politica, che, con la morale, ha un rapporto tortuoso, difficile. La politica, se intesa correttamente, non è mai assoluta: è prassi umana, e la sua cifra è il compromesso ragionevole; la mediazione tra interessi diversi. Si capisce, allora, perché la logica del buon Samaritano non funziona in politica: scegliere tra i bisognosi significa porre limiti alla caritas. Eppure è ciò che siamo costretti a fare in tempi di vacche magre. Se le mie risorse sono limitate, chi aiuterò per primo? Se posso salvare due o tre persone su dieci, che faccio? Estraggo a sorte, e lascio che decida il caso, oppure scelgo un criterio politico, che sia equo? Il Vangelo non ci è di gran aiuto: ci dice solo che bisogna dare a chi ha bisogno, punto e basta. Ma la moralità della politica progressista, riformista, consiste proprio nel saper individuare il criterio più giusto possibile, nei limiti imposti dal contesto in cui mi trovo. Il contesto – la salute dell’economia, per esempio – mi obbliga a mediare tra chi ha il diritto di ricevere un aiuto e chi ha l’obbligo morale di darlo.
    Bisogna prenderne atto, senza sensi di colpa: la storia umana è un intreccio complesso di idealità e di interessi legittimi. In ogni caso, il concetto di prossimo, in politica, è molto più ristretto che nel Vangelo. Siccome viviamo ancora in Stati nazionali, il mio prossimo è anzitutto il mio concittadino. Su questo punto è ora di dissociarsi dal politically correct dominante a sinistra: io credo che la comunità cui appartengo abbia un dovere prioritario di assistenza verso chi da più più tempo ne fa parte e, quindi, da più a lungo vi contribuisce. Quando fa freddo, il mantello, se è corto, devo dividerlo prima di tutto fra i miei connazionali. Questo per una ragione semplicissima: perché i miei connazionali bisognosi, in passato, hanno contribuito a tessere quel mantello. E se io ignoro la loro fatica, il loro sudore, in futuro potrebbe non esserci più un mantello da dividere, perché non si troverà più chi lo vorrà tessere. Il cittadino onesto, pagate le tasse e assolti i suoi doveri civici, rivendica giustamente un diritto di precedenza rispetto all’immigrato. Ciò è ragionevole e giusto; non è discriminatorio. Nessuna comunità – neppure quella ideale, socialista, che vagheggiamo – può reggersi in piedi se viene meno a un patto basato sulla reciprocità fra diritti e doveri. Una politica progressiva rafforza il vincolo di solidarietà che tiene unita la comunità nazionale. Ha senso parlare dei doveri del cittadino, se poi lo Stato non è in grado di far far fronte ai suoi doveri di assistenza? UnWelfare state giusto garantisce il minimo a tutti i cittadini: pensioni e assistenza sociale dignitose. Ma poi dà di più a chi più ha meritato, ovvero a chi più ha contribuito. Non regala, se non in casi eccezionali e comunque per periodi brevi, a chi non ha mai dato nulla. Il Welfare del buon Samaritano porta solo alla bancarotta.
    Edoardo Crisafulli

  2. #2
    ___La Causa del Popolo___
    Data Registrazione
    23 Nov 2011
    Località
    Sovranità politica, indipendenza economica, giustizia sociale
    Messaggi
    40,669
     Likes dati
    54,120
     Like avuti
    28,245
    Mentioned
    1006 Post(s)
    Tagged
    172 Thread(s)

    Predefinito Re: Il buon samaritano e il buon socialista

    Citazione Originariamente Scritto da MaIn Visualizza Messaggio
    Il buon samaritano e il buon socialista | Avanti!


    Il buon samaritano
    e il buon socialista
    Pubblicato il 27-09-2014



    Un samaritano che assiste amorevolmente un giudeo ferito, cioè un nemico e uno straniero. Il levita e il sacerdote che si voltano dall’altra parte e tirano dritto, benché il giudeo, abbandonato per strada, per loro sia un correligionario e un ‘compatriota’. Il senso della parabola è chiaro: i giudei odiavano (contraccambiati) i samaritani; li consideravano pagani, infedeli. La misericordia cristiana è assoluta, senza vincoli e distinzioni. La caritas è un amore cieco, incondizionato, illimitato, per il prossimo. È un donarsi totale, che richiede il superamento di ogni scrupolo egoistico o egocentrico. Il Vangelo lo dice chiaramente chi è il nostro prossimo: il bisognoso in cui ci imbattiamo per caso. Dobbiamo aiutarlo senza pensare all’estrazione sociale, alla nazionalità, alla religione, all’etnia, al colore della pelle.
    Noi socialisti abbiamo un debito nei confronti della tradizione giudaico-cristiana: è da lì che proviene l’ideale della solidarietà che è nel nostro patrimonio genetico. L’etica del buon samaritano ci scalda il cuore: è fonte di ispirazione nella lotta per la giustizia sociale. Ma può farsi legge dello Stato, può suggerire un programma politico? La risposta, ovvia, è no. Il passaggio dalla sfera morale/religiosa a quella politica non è mai lineare. Non confondiamo il buon socialista con il buon Samaritano. La Caritas è un invito energico alla nostra coscienza. Certo, se un gran numero di cristiani seguisse quell’invito, e aiutasse i bisognosi, si creerebbe una massa critica significativa. Ma neppure questo costituirebbe una leva per il cambiamento politico e sociale. Il cristianesimo prospera da duemila anni, e il problema della povertà non è mai stato risolto alla radice. Né poteva essere altrimenti: per risolverlo, ci vogliono soluzioni politiche. È per questo motivo che sono sorte le varie teorie socialiste. Anche chi vota a destra e, magari, campa di rendita può agire di tanto in tanto come il buon Samaritano, tornando poi a godersi le sue proprietà. Non c’è conflitto tra le due cose. Il buon socialista si pone il problema, che è politico da cima a fondo, di far sì che la ricchezza venga distribuita equamente. E che vi siano pari opportunità per tutti. Vogliamo giustizia sociale, non elemosina. E la giustizia sociale non può consistere in tanti atti di generosità individuale: necessita di robusti interventi nella sfera pubblica. Vanno modificati i rapporti di forza a favore dei “bisognosi”, intesi come categoria politico-sociale. Noi, per fortuna, possiamo lottare in un clima di libertà, adoperando mezzi pacifici, non violenti, democratici. Ma lottare dobbiamo comunque. Diceva Martin Luther King, che era profondamente cristiano: “se c’è una lezione che la storia ci ha insegnato è questa: i gruppi privilegiati ben di rado rinunciano spontaneamente ai loro privilegi.” Scavando a fondo nella storia umana, notiamo che, sotto la superfice, c’è un magma che ribolle. La storia è mossa più dalla dinamica tra interessi contrapposti, che non dalla legge dell’amore disinteressato. Il messaggio cristiano, lo ripeto, non è irrilevante: la caritas, secolarizzandosi, è diventata solidarietà politica. Si assomigliano – caritas e solidarietà politica – ma non sono la stessa cosa.
    E infatti l’etica del buon Samaritano, se presa alla lettera, confligge con l’etica del buon socialista. Tutto bene finché il mantello si può tagliare in due o in tre, o se i denari bastano a curare più di un bisognoso. Ma che farà il buon Samaritano se si imbatte in dieci bisognosi, e non può soccorrerli tutti? E se quei bisognosi fossero, per giunta, in parte stranieri e in parte compatrioti? Il Vangelo non ci dice che fare in questi casi, perché, altrimenti, insinuerebbe il tarlo del dubbio su una legge morale assoluta. Il buon Samaritano non sceglie, perché non si pone il problema delle risorse disponibili: dà tutto quel che ha, se necessario. Quando si deve scegliere, fa capolino la politica, che, con la morale, ha un rapporto tortuoso, difficile. La politica, se intesa correttamente, non è mai assoluta: è prassi umana, e la sua cifra è il compromesso ragionevole; la mediazione tra interessi diversi. Si capisce, allora, perché la logica del buon Samaritano non funziona in politica: scegliere tra i bisognosi significa porre limiti alla caritas. Eppure è ciò che siamo costretti a fare in tempi di vacche magre. Se le mie risorse sono limitate, chi aiuterò per primo? Se posso salvare due o tre persone su dieci, che faccio? Estraggo a sorte, e lascio che decida il caso, oppure scelgo un criterio politico, che sia equo? Il Vangelo non ci è di gran aiuto: ci dice solo che bisogna dare a chi ha bisogno, punto e basta. Ma la moralità della politica progressista, riformista, consiste proprio nel saper individuare il criterio più giusto possibile, nei limiti imposti dal contesto in cui mi trovo. Il contesto – la salute dell’economia, per esempio – mi obbliga a mediare tra chi ha il diritto di ricevere un aiuto e chi ha l’obbligo morale di darlo.
    Bisogna prenderne atto, senza sensi di colpa: la storia umana è un intreccio complesso di idealità e di interessi legittimi. In ogni caso, il concetto di prossimo, in politica, è molto più ristretto che nel Vangelo. Siccome viviamo ancora in Stati nazionali, il mio prossimo è anzitutto il mio concittadino. Su questo punto è ora di dissociarsi dal politically correct dominante a sinistra: io credo che la comunità cui appartengo abbia un dovere prioritario di assistenza verso chi da più più tempo ne fa parte e, quindi, da più a lungo vi contribuisce. Quando fa freddo, il mantello, se è corto, devo dividerlo prima di tutto fra i miei connazionali. Questo per una ragione semplicissima: perché i miei connazionali bisognosi, in passato, hanno contribuito a tessere quel mantello. E se io ignoro la loro fatica, il loro sudore, in futuro potrebbe non esserci più un mantello da dividere, perché non si troverà più chi lo vorrà tessere. Il cittadino onesto, pagate le tasse e assolti i suoi doveri civici, rivendica giustamente un diritto di precedenza rispetto all’immigrato. Ciò è ragionevole e giusto; non è discriminatorio. Nessuna comunità – neppure quella ideale, socialista, che vagheggiamo – può reggersi in piedi se viene meno a un patto basato sulla reciprocità fra diritti e doveri. Una politica progressiva rafforza il vincolo di solidarietà che tiene unita la comunità nazionale. Ha senso parlare dei doveri del cittadino, se poi lo Stato non è in grado di far far fronte ai suoi doveri di assistenza? UnWelfare state giusto garantisce il minimo a tutti i cittadini: pensioni e assistenza sociale dignitose. Ma poi dà di più a chi più ha meritato, ovvero a chi più ha contribuito. Non regala, se non in casi eccezionali e comunque per periodi brevi, a chi non ha mai dato nulla. Il Welfare del buon Samaritano porta solo alla bancarotta.
    Edoardo Crisafulli
    "L'odio per la propria Nazione è l'internazionalismo degli imbecilli"- Lenin
    "Solo i ricchi possono permettersi il lusso di non avere Patria."- Ledesma Ramos
    "O siamo un Popolo rivoluzionario o cesseremo di essere un popolo libero" - Niekisch

 

 

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito