I diritti dei gay e l'eredità bacchettona piemontese all'alba dell'unità d'Italia

Blog - Il Mattino

Ne ha discusso la Chiesa, addirittura nel Sinodo straordinario. Ne parlano i politici, dividendosi e accusandosi a vicenda. Parlo del riconoscimento dei diritti civili ai gay, che convivono come "coppia di fatto".

Cambiano le sensibilità, alcuni temi prima vietati vengono sdoganati. E, finalmente, si riesce ad avviare un confronto che, in passato, non è stato mai sereno, ma pieno di prevenzioni, atteggiamenti bacchettoni, sospetti.

Un atteggiamento culturale che parte da lontano. E, come sempre, la nostra storia aiuta a capire. Anche su questo tema. Tanti additano la Chiesa e la cultura cattolica, come principali responsabili di "cultura omofobica". Invece, tante responsabilità, non si crederebbe, sono proprie della cultura liberale che diffuse un'idea di "tollerenza con riserva".

Non si crederà, almeno non lo crederà chi è prevenuto, ma nel Mezzogiorno ottocentesco la tollerenza, anche giuridica, nei confronti dell'omossessualità era maggiore. Il codice penale del regno delle Due Sicilie, quello che dal 1819 rimase in vigore fino al crollo di quello Stato, non puniva l'omossessualità, né la sodomia.

Il riferimento, in quel codice firmato il 29 maggio 1819 da Ferdinando I di Borbone e dal ministro della Giustizia marchese Donato Antonio Tommasi, è il titolo VII: "De' reati che attaccano l'ordine delle famiglie". Nulla sulla sodomia, invece al capitolo II si uguaglia lo stupro violento "sopra individui dell'uno e dell'altro sesso", punito in tutti e due i casi con la reclusione. Insomma, niente differenza tra l'abuso sessuale compiuto su una donna o su un uomo.

Tolleranza nei diritti individuali. Non così avveniva nella "democratica" Torino. Il codice del 1859 confermò quanto prevedeva quello di 20 anni prima. L'articolo 425 parlava di "atti di libidine contro natura". E considerava il pubblico scandalo con punizioni esemplari che andavano dai sette anni ai lavori forzati.

Ma non c'è da stupirsi se, al di là dei luoghi comuni di maniera, oltre le differenze politiche, tra Torino e Napoli le differenze culturali erano profonde. E non tutte a favore del Piemonte. Lo riconobbero gli stessi esuli politici meridionali, che vivevano nella capitale del regno sardo-piemontese. Come Francesco De Sanctis, futuro ministro della Pubblica istruzione nel regno d'Italia, che scrisse a Torino: "Qui per letteratura si sta due secoli addietro; è il Giappone, non vi è orma di vita intellettuale, io mi sento impaludare". Ma guarda.

La cultura repressivo-bacchettona si estese. Quando si trattò di estendere il codice penale piemontese nel resto d'Italia, al Sud ci furono opposizioni. Il quarto governo luogotenenziale a Napoli costituì una commissione nel fabbraio 1861. Doveva armonizzare il codice napoletano del 1819 con quello torinese del 1859. Sull'omosessualità prevalse l'orientamento di tolleranza del codice firmato da Ferdinando I di Borbone.

La proposta della commissione, su 38 articoli, riconobbe le norme napoletane "più opportune e realistiche". Non a caso, Napoli era stata la patria di grandi giuristi e fu il regno delle Due Sicilie a introdurre, per primo, la motivazione delle sentenze. La commissione decise di cancellare l'articolo 425 del codice sardo-piemontese. Niente più "atti di libidine contro natura", ma reato di stupro violento, sia ai danni di una donna sia di un uomo.

Ma la tolleranza ebbe vita breve. Quando, dopo la proclamazione del regno d'Italia nel 1861, si accentrò il governo a Torino, si tornò a discutere di unificazione delle norme penali in tutta la penisola. I confronti durarono anni ed è poco lo spazio per ricordarli tutti. Sull'omosessualità, si pensò solo di modificare, accettandolo, l'articolo 425 piemontese.

Ecco cosa, il 20 aprile 1865, dichiarò Carlo Cadorna (fratello del generale che entrò a Roma nel 1870) al Senato: "Il resto di libidine contro natura quando non siavi stata violenza, ma sia intervenuto pubblico scandalo o siavi querela dalla persona, dovrà essere punito col carcere fino a 2 anni".

Dal 1865 fino alla riforma Zanardelli pervalse l'orientamento culturale del Nord, che parificava, nel giudizio morale negativo, l'incesto all'omosessualità. L'Italia unita ha dovuto fare a lungo i conti con la prevalenza imposta della cultura sardo-piemontese. E va detto: nel bene e nel male. Non tutti amano ricordarlo.



Pubblicato il 20 Ottobre 2014 alle 13:47