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    Arrow L’Italia si scopre troppo filorussa

    GLI INTERESSI E LA SICUREZZA


    L’Italia si scopre troppo filorussa

    di Angelo Panebianco

    L’Italia di Matteo Renzi, come si è visto a Milano al vertice dell’Asem, sta facendo di tutto per ricucire i rapporti fra la Russia e l’Unione Europea. È la posizione dell’attuale premier ma è anche quella di Silvio Berlusconi, grande amico di Putin, convinto fautore della cooperazione con la Russia e, fin dall’inizio della crisi, contrario ad atteggiamenti troppo punitivi verso i russi per la questione ucraina. Questa convergenza di fatto non è il frutto del patto del Nazareno. È piuttosto l’effetto della consapevolezza, comune a quasi tutti i protagonisti della politica italiana, della fragilità della nostra posizione internazionale, e della convinzione che - si tratti di energia o di relazioni commerciali - l’Italia ha un disperato bisogno di vedere normalizzati al più presto i rapporti fra Russia e Unione. In tema di Russia, insomma, c’è, in Italia, una certa convergenza di vedute su dove stia l’interesse nazionale.

    Ciò sembra in controtendenza rispetto alla tradizionale assenza di bipartisanship sulla politica estera che ai tempi della Guerra fredda e ancora, per ragioni diverse, al tempo dei governi Berlusconi, tanti osservatori attribuivano all’Italia. In realtà, al di sotto dei clamori e delle retoriche della politica politicante, una qualche convergenza, imposta per lo più da vincoli geografici ed economici, c’è quasi sempre stata, almeno su alcuni temi: la Russia è uno, la Libia è un altro. Non è un mistero, ad esempio, che all’epoca del governo Berlusconi, l’Italia subì di malagrazia le pressioni franco-britanniche e americane a favore dell’intervento contro Gheddafi. È vero che in quel momento molti in Italia abbracciarono con entusiasmo quella causa nell’errata convinzione che avesse da perderci solo Berlusconi e non anche l’Italia. Ma è anche vero che quello della Libia è un altro caso in cui, per lo più, c’è sempre stata una certa convergenza nella definizione dell’interesse nazionale. Come dimostra la continuità dei rapporti con Gheddafi mantenuta per decenni dai diversi governi, di destra e di sinistra, che si succedettero in Italia.

    Possiamo rallegrarci per il fatto che, sulle cose che più contano, prevalga, nel nostro Paese, una interpretazione condivisa? Sì e no. Perché, in realtà, si tratta di una concezione, condivisa sì ma anche monca , dell’interesse nazionale: ciò che per lo più manca, e questa mancanza ci ha spesso fatto sbandare, è una generale consapevolezza delle interdipendenze, e delle interferenze, fra le esigenze economiche e quelle della sicurezza. Tolte le burocrazie specializzate (diplomazia, servizi di informazione) che dell’esistenza di quelle interdipendenze sono ovviamente consapevoli, la classe politica e l’opinione pubblica ne sembrano all’oscuro. Tradotto, significa che gli italiani hanno l’aria, in molte circostanze, di essere più preoccupati delle conseguenze economiche delle crisi che delle loro implicazioni geopolitiche e di sicurezza. A meno che, si tratti di Stato islamico o dell’attuale situazione libica, la questione della sicurezza non sia ormai deflagrata. Solo allora ci si avvede del problema.

    Da dove viene questa scarsa consapevolezza? Perché, ad esempio (ma è solo un esempio), della crisi ucraina tendiamo a vedere soprattutto i danni economici che ci provoca? Probabilmente, la ragione sta nell’assenza di una adeguata «cultura della difesa» (consapevolezza e conoscenza dei suoi problemi) e questa carenza, a sua volta, tende a svalutare, nelle classi dirigenti e nell’opinione pubblica, l’importanza della sicurezza e della sua connessione con le altre questioni. Fra le cause ci sono sicuramente i postumi, che continuano a pesare dopo più di sessanta anni, della sconfitta nella Seconda guerra mondiale nonché l’influenza sulle culture politiche nazionali - anche (o soprattutto?) su quelle non cattoliche - di un pacifismo cristiano mal digerito, spesso frainteso.
    A difesa dell’Italia bisogna però dire che essa è sottoposta a pressioni contrapposte, a logoranti ricatti incrociati.

    A causa dei suoi problemi interni, ad esempio, è costretta a subire i diktat tedeschi su varie questioni nella speranza di poter strappare alla Merkelqualche aiuto o concessione. Ancora, a causa del suo bisogno del gas russo - che continuerà a pesare tanto finché non sarà possibile, se sarà possibile, una maggiore diversificazione delle fonti energetiche - l’Italia è costretta a trascurare certe dimensioni, pur vitali, del rapporto con la Russia, attinenti alla sicurezza europea o alla politica russa in Medio Oriente.

    Anche perché non adusa a ragionare con continuità e lucidità sulle questioni della difesa e della sicurezza l’Italia, inoltre, sembra incapace di rendersi conto di quanto pesi oggi negativamente sulla sua politica estera l’assenza di una leadership americana (o la svogliatezza con cui Obama la esercita). Né quanto ciò contribuisca a compromettere la sicurezza europea. Sarebbe interessante ascoltare gli argomenti (raramente se ne sono sentiti di plausibili) che gli antiamericani europei, e italiani in particolare, hanno da opporre alla seguente affermazione: essendo manifestamente escluso che l’Europa sia in grado di difendersi da sola (non ne ha le risorse morali prima ancora che materiali), per esempio dalle minacce connesse alla situazione mediorientale, solo una stretta cooperazione fra europei e americani - si tratti di Stato islamico o di Libia - può assicurarle un po’ di sicurezza. L’Italia dovrebbe discuterne apertamente, smetterla di nascondere il problema sotto il tappeto. Per conferire alla politica estera più chiarezza e coerenza. E per dare alle classi dirigenti e all’opinione pubblica una visione più articolata e completa dei nostri (complicati) interessi nazionali.

    L’Italia si scopre troppo filorussa - Corriere.it
    Ultima modifica di Noir; 21-10-14 alle 21:23
    l'italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno.

    jesus died for somebody's sins but not mine

 

 

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