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Discussione: il meridionalismo

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    Meridionalismo - Wikipedia

    Grazie all'apporto di studiosi e politici[1], quali Giustino Fortunato, Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti, Antonio Gramsci e Francesco Saverio Nitti[2], si è sviluppata un'ampia ed eterogenea letteratura[3], ancora dotata di una notevole vitalità, concernente il Meridionalismo.
    L'analisi si è spesso orientata allo studio delle condizioni del Mezzogiorno prima dell'annessione al nascente Regno d'Italia. Tali condizioni erano percepite generalmente come retrograde e, secondo Richard Drake «i meridionalisti erano scrittori accomunati dall'interesse a riformare le condizioni retrograde del meridione d'Italia. Le origini del movimento risalgono alla metà del XVIII secolo[chi sarebbero secondo il Drake i meridionalisti del '700? O quali sarebbero i loro studi?]»[4]. Pertanto, lo stato di arretratezza delle Due Sicilie sarebbe stato preesistente alla perdita dell'indipendenza[5] e la mancata integrazione del Meridione nella struttura economica del nuovo stato sarebbe dovuta anche a fattori di carattere sociale[6]. A grandi linee, sono ascrivibili a questo tipo di approccio molti rappresentanti del meridionalismo di ispirazione liberale e positivista (come Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino), di quello di matrice liberal-socialista (come Gaetano Salvemini) e marxista (fra cui Antonio Gramsci ed Emilio Sereni) e di quello cattolico (come Luigi Sturzo).
    Ognuno di essi, però, propose peculiari interpretazioni e sviluppò diverse rappresentazioni di origini e cause delle problematiche del Mezzogiorno e ciò, in particolare, nel descrivere il mancato sviluppo economico del Sud a dispetto di quello avutosi nell'Italia centro-settentrionale.
    Una posizione a sé stante fu quella assunta da Francesco Saverio Nitti (e da alcuni scrittori napoletani, fra cui Ferdinando Russo), che, pur denunciando il basso profilo culturale della classe dirigente del Meridione preunitario, mise ripetutamente in evidenza i progressi economici che il Mezzogiorno borbonico aveva sperimentato prima di entrare a far parte del nascente Regno d'Italia.
    Opinione diffusa tra la grande maggioranza dei meridionalisti e condivisa anche da una parte rilevante degli storici, economisti e intellettuali contemporanei è che l'inadeguatezza (o, per alcuni, il completo fallimento) della politica governativa della nuova Italia e delle sue classi dirigenti nei confronti del Mezzogiorno, abbia in vario modo impedito, compromesso o rallentato uno sviluppo organico del Meridione sotto il profilo sia economico, sia sociale. Generalmente condivisa dai meridionalisti e da molti storici ed economisti è anche l'opinione secondo la quale la politica dello Stato italiano nel Sud del paese sia stata sempre fortemente condizionata dalle istanze di una serie di gruppi d'interesse (fra cui quelli dei proprietari terrieri, della finanza nazionale e internazionale e della grande industria settentrionale) e dalle varie forme di consociativismo fra i centri del potere nazionale e le oligarchie locali, che spesso hanno assunto chiare connotazioni di illegalità[7]
    Non infrequenti sono stati gli accesi dibattiti, le incomprensioni, le critiche, spesso aspre, fra meridionalisti. Gramsci arrivò a vedere, in Giustino Fortunato e Benedetto Croce le più grandi figure della reazione italiana nel Meridione e definendole come «...le chiavi di volta del sistema meridionale...»[8].
    Si distingue poi il neomeridionalismo che, sviluppato a partire dagli anni '60 del Novecento, recupera le tesi borboniche di un Mezzogiorno industriale e più sviluppato del Nord, conquistato e depredato come una colonia interna. Autori come Demetrio De Stefano, Nicola Zitara e Angelo D'Ambra hanno avanzato tesi separatiste.

  2. #2
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    Predefinito Re: il meridionalismo

    nel 2013, nel mezzogiorno d?italia, ci sono stati più decessi che nascite - Politica

    COME SI RISOLVE LA “QUESTIONE MERIDIONALE”? LASCIANDO CHE IL SUD SI ESTINGUA! NEL 2013 CI SONO STATI PIÙ DECESSI CHE NASCITE - CON QUESTA TENDENZA, SI PERDERANNO 4,2 MILIONI DI ABITANTI NEI PROSSIMI CINQUANT’ANNI

    E’ la terza volta nella storia: le altre due, dopo l’unità d’Italia e dopo la prima guerra mondiale - Se il Sud smette di essere lo straordinario produttore di mano d'opera che sin qui ha tenuto in piedi gli equilibri del sistema, sono dolori per tutto il Paese…


    Cristiano Gatti per “il Giornale
    SUD ITALIA
    Anche la grande nursery d'Italia entra in stato di crisi. Chiari segnali di sterilità. Le sommarie sensazioni adesso sono dati certi: come annuncia l'ultimo rapporto Svimez, nel 2013 i nati al Sud sono meno dei morti. Già era successo nel 1867 e nel 1918, annate eccezionali di fame e di guerra. E già in formato ridotto era capitato pure nel 2012. Ma nell'ultimo anno è record assoluto: solo 177mila bambini, mai numero così ridotto dal 1861, cioè quando neonata era l'Italia stessa.
    La tendenza ormai è chiara, magari irreversibile: sempre peggio. Il Sud non è più il generoso ventre del Paese. Le previsioni a lungo termine assumono addirittura contorni apocalittici: «L'area sarà interessata da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, perdendo 4,2 milioni di abitanti nei prossimi cinquant'anni, arrivando così a pesare per il 27 per cento sul totale nazionale, contro l'attuale 34,3».

    Molto si potrà e di dovrà discutere sulle cause del fenomeno, certo legate indissolubilmente ai morsi della crisi economica. Ma nessun dibattito, neppure il più intelligente, potrà evitare l'unica conclusione acclarata: il Sud ha smesso di figliare, il Sud non è più lo straordinario produttore di mano d'opera che sin qui ha tenuto in piedi gli equilibri del sistema.
    DISOCCUPATI
    Per generazioni e generazioni, proprio a partire dall'età unitaria, i figli scodellati dalle generose mamme meridionali si sono caricati la valigia sul treno e sono partiti. Certe volte proseguendo per la tangente e raggiungendo i luoghi più remoti del mondo, altre volte accalcandosi eccessivamente dove il lavoro non bastava per tutti.Ma sempre, tra frequenti storture e alienanti degenerazioni, questo gioco di vasi comunicanti ha comunque fatto la fortuna dell'Italia nel suo insieme. Soprattutto nel secondo Dopoguerra, epoca ruggente del boom.
    Non è più così. Non sarà più così. Il Sud stesso sta subendo profondissime mutazioni. Uscendone stravolto. La rivoluzione silenziosa vede i giovani formati cercare ad ogni costo l'opportunità lontana, quasi sempre lontana dall'Italia, mentre da tutte le fessure dei nostri sgangherati confini s'insinuano i nuovi residenti.
    DISOCCUPATI
    Legalmente o abusivamente, ci piaccia o no, gli italiani d'importazione utilizzano il Sud come grande banchina di sbarco. E in tanti si fermano. Non servono i rilievi degli statistici per rappresentare l'entità del cambiamento. Basta viaggiare tra borghi e contrade, chiunque se n'è già accorto a occhio nudo. L'Italia nera, l'Italia esotica, l'Italia altra, è qui nelle nostre città e nelle nostre campagne. Stabilmente. Per sempre.
    Troppo facile a questo punto guardare dall'alto e dal di fuori l'Italia di domani, tra venti o trent'anni. Alla rivoluzione silenziosa bastano tempi molto brevi. Era solo il 1988 quando i primi sbarchi precipitarono improvvisamente Lampedusa nel suo nuovo e impensato destino. Venticinque anni dopo, stiamo già parlando di cambiamento epocale.
    EMIGRAZIONE ITALIANI
    Di un'altra Italia, che non figlia più di suo e che si ripopola con i nuovi ospiti. Così sarà tra venticinque anni: certamente riparleremo di un'altra Italia ancora. Quelli che adesso sono marker improvvisi di una situazione inattesa saranno a quel punto fenomeni stabili di una diversa società, venata di nuove lingue, nuovi colori, nuovi costumi, nuove religioni. E loro, i piccoli italiani dell'immigrazione di prima generazione, nati in questi anni, saranno uomini fatti e cittadini a pieno titolo. Questo è sicuro.
    EMIGRANTI ITALIANI LONDRA CONSOLATO ITALIANO
    Alla lunga, finiranno per dimenticare persino la lingua, le usanze, magari pure le religioni d'origine. È inevitabile, succede a tutti i figli di tutti gli emigranti di tutte le aree del mondo. Conserveranno un legame affettivo e malinconico con la terra degli avi, ma sarà solo una questione sentimentale. Nel concreto, compenseranno la nostra sterilità, forse sarebbe meglio dire le nostre paure e la nostra rassegnazione, con la voglia di credere e di crescere in un Paese comunque indicibilmente bello e ospitale, molto migliore dei suoi limiti, dei suoi vizi, delle sue meschinità. Dei suoi indigeni.
    Da qui ad allora, ci aspetta un grande lavoro. A loro spetta il dovere di capire e rispettare il nostro modello di Italia. A noi accettare l'idea che questa rivoluzione silenziosa, gestita senza stupidi buonismi e becere fobìe, potrebbe persino rivelarsi niente male.

 

 

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