Che schifo. In mano ai comunisti del PCI-PD.
Che schifo. In mano ai comunisti del PCI-PD.
Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.
Non pensavo che dopo la chiusura de "La Padania" potesse esserci una notizia ancora più bella in questa giornata.
Il Governo farà un DL per far sì che Napolitano attendi il successore al Quirinale come fu per Ciampi nel 2006 ?
Dimissioni Napolitano: sono nell’aria e se ne parla da qualche giorno. Dal Colle hanno fatto sapere di “non confermare né smentire le voci”*e di fatto è come se fosse una conferma.
L’impegno preso da Napolitano nel 2013 in sede di giuramento è un impegno a termine. Finché le forze glielo consentono e non oltre i tempi necessari per approvare le fondamentali riforme di cui il paese ha bisogno. L’età avanza (89 anni) e le riforme, quella elettorale su tutte, tardano ad arrivare. A decidere quando andare via sarà lui. Ma ora le dimissioni sembrano più che mai prossime.
Nessuna sorpresa. Nessuna sorpresa nemmeno per Matteo Renzi che anzi ha accolto positivamente la nota diffusa ieri dal Quirinale che non conferma né smentisce le voci sulle ormai imminenti dimissioni di Napolitano. Renzi ha infatti riconosciuto “il ruolo di presidio e garanzia” svolto dall’attuale Capo dello Stato. È un po’ il suo punto di riferimento e, dipendesse da lui, Napolitano potrebbe fare volentieri a meno di dimettersi. Ma non ha alcuna intenzione di trattenerlo con la forza. Giorgio Napolitano è ormai prossimo ai 90 anni e gli va riconosciuto, ha detto Renzi, “Massimo rispetto e riconoscenza. E avanti con le riforme, il Presidente ci spinge a farle”.
E proprio dal presupposto delle riforme necessarie muove il fronte critico nei confronti delle dimissioni di Napolitano. Ne fa parte Il Mattinale, giornale vicino a Renato Brunetta. A loro avviso, quello delle dimissioni, sarebbe una sorta di ricatto nei confronti del Parlamento. Un tentativo di forzare i tempi e i temi dell’azione di governo. In difesa della posizione di Napolitano, Maria Elena Boschi e Graziano Delrio. La prima ha precisato che il Capo dello Stato non c’entra nulla con il Patto del Nazareno. Il secondo ha rimandato la discussione a quando le dimissioni saranno ufficiali, auspicando, in tal caso, la massima convergenza di tutte le forze politiche sulla scelta del successore.
Matteo Renzi avrebbe già pronto il nome. L’esperienza insegna ed è meglio non farsi cogliere impreparati. “Siamo il primo partito e in Parlamento siamo determinanti, dunque per forza di cose non passerà mai un Presidente che non piaccia al Pd”. Questa la voce del Partito Democratico. Tra le linee si legge che il futuro Presidente dovrà essere in piena sintonia con il premier Renzi.
Il nome se lo tiene stretto Renzi. Almeno fino a quando non si arriverà alla quarta votazione quando a decidere non saranno i due terzi dei 1008 votanti ma la semplice maggioranza assoluta. Negli occhi del Pd, e non solo, è ancora nitido l’errore commesso nel 2013 da Bersani che aveva proposto il nome di Franco Marini per il Colle. L’ex presidente del Senato venne presentato alla votazione come praticamente già eletto salvo poi incassare una pesante sconfitta. Una cosa “volgare e ingiusta” come lui stesso ora la definisce.
Senz’altro più eclatante il caso di Romani Prodi che sempre nel 2013 portò alle dimissioni di Bersani. Uno dei momenti più bui del Pd che dovette fare i conti con 101 franchi tiratori all’interno delle proprie file. Una sconfitta ancora indigesta ai democratici che Prodi sembra invece aver somatizzato: “Nessuna ferita da chiudere perché il problema non si era mai aperto”.
L’elezione del Capo dello Stato non è questione di poco conto. Ed è in quell’occasione, più che in ogni altra, che possono presentarsi gli spettri di trappoloni, agguati e vendette. Dal 2013 ad oggi, in Parlamento, non è cambiato granché. Ed è per questo motivo che il Partito Democratico si guarda bene dal lanciare nomi anzitempo. Sarà il momento della verità. Uno scontro diretto tra il governo ed i suoi oppositori. Come sostiene l’ex leader Udc, Marco Follini, ci sarà bisogno di alleanze “a prova di bomba” e di proporre magari nomi in grado di raccogliere un ampio consenso già nelle file del Partito Democratico: Walter Veltroni o Piero Fassino. Nomi mal visti da Matteo Salvini e dalla Lega Nord, che non vedono di buon occhio nemmeno l’eventualità che sia una donna a salire al Colle.
L’ipotesi di un cambiamento in tal senso è stata lanciata dalla Presidente della Camera Laura Boldrini: “Il Paese è pronto per avere un Presidente della Repubblica donna. In Italia ci sono donne autorevoli, che hanno delle storie significative, ed è giusto che possano essere considerate”. Tra i nomi che circolano ci sarebbero quello del ministro della Difesa Roberta Pinotti e di Anna Finocchiaro. Ma non sarebbero da escludere sorprese. La lista pare abbastanza lunga. La stessa Boldrini sarebbe in corsa insieme a Linda Lanzillotta, vice-presidente del Senato, Paola Severino, ex ministro della Giustizia, ed Emma Bonino, ex ministro degli Esteri. Potremmo avere per la prima volta un Presidente della Repubblica donna dando voce alla petizione presentata lo scorso anno e firmata da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Laura Puppato del Partito Democratico.
Nei pensieri di Renzi, quello da proporre è un nome nuovo in grado di garantire neutralità e duttilità oltre che affidabilità. L’intento è quello di evitare personalità troppo forti. Sarebbe per questo motivo da escludere la candidatura di Mario Draghi che rappresenterebbe una sorta di commissariamento da parte della Bce. Ma anche quelle della Finocchiaro, della Boldrini e di Pietro Grasso. Con quest’ultimo Renzi ha troppo spesso duellato. Favoriti invece i nomi della Pinotti, di Castagnetti, ex segretario dl Ppi, e dei renziani Fassino e Gentiloni.
Non sarebbero da escludere nemmeno i nomi di Pier Ferdinando Casini e del già citato Walter Veltroni. Quest’ultimo godrebbe dell’appoggio anche di Silvio Berlusconi che ha confessato di avere con l’ex sindaco di Roma una sorta di debito “Veltroni è stato il primo a riconoscermi legittimità politica”. Ma il nome da sempre preferito dell’ex Cavaliere è quello di Giuliano Amato. La partita sembra essere ancora molto lunga e le dimissioni di Napolitano non sono ancora arrivate. D’altronde la contesa è appena cominciata. E spesso l’elezione del Presidente della Repubblica riserva grandi sorprese. Che sia la volta buona per una donna?
Scritto da: Felice Tommasino
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Prodi? Veltroni? Pinotti? ma vah... Tutti i nomi che vengono fatti ora solo per bruciarli
La maggioranza di CSX nel 2013 aveva 496 grandi elettori, nella prossima votazione per il nuovo PDR ne avrà 502 grandi elettori...
non che mi interessi molto ma spero non sia un politico ma piuttosto qualcuno proveniente dalla cd. società civile, uno scrittore, un'artista o uno scienziato ad esempio
L'unica personalità decente come PdR è la Bonino....
Primo Ministro di TPol...[MENTION]
Proudly member of the Bilderberg Group-Chtulhu Section..
1. SEGNATEVI QUESTA DATA, 20 GENNAIO. FATE UN CERCHIO SUL CALENDARIO, GIOCATEVI IL NUMERO AL LOTTO, ACCETTATE SCOMMESSE CON GLI AMICI PERCHÈ DOVREBBE ESSERE QUELLO IL GIORNO IN CUI GIORGIO NAPOLITANO RASSEGNERÀ UFFICIALMENTE LE DIMISSIONI - 2. NON E’ UN PAESE “MIGLIORE” QUELLO CHE IL “MIGLIORE” (NAPOLITANO) LASCERA’ IN EREDITA’ - 3. LO STESSO PRESIDENTE USCENTE, DEL RESTO, È “AMAREGGIATO” E CON GLI AMICI NON NASCONDE LA SUA DELUSIONE PER AVER “BRUCIATO” TRE GOVERNI (MONTI, LETTA E RENZI) - ESAUTORANDO, DI FATTO, IL PARLAMENTO -, E DI AVER GARANTITO IL “PATTO OCCULTO” DEL NAZARENO (RENZI & BERLUSCONI) SENZA RIUSCIRE A DIPANARE LA MATASSA POLITICO-ISTITUZIONALE (DALLA LEGGE ELETTORALE ALLA RIFORMA DEL SENATO), CHE ANCORA PIÙ AGGROVIGLIATA (ELEZIONE DEL NUOVO CAPO DELLO STATO) LASCERÀ NELLE MANI, PRESUMIBILMENTE LEGATE DAL PREMIER RIBALDO RENZI, DEL SUO SUCCESSORE -
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1. DAGOANALISIMerita rispetto Giorgio Napolitano protagonista di una stagione politica lunga sessant’anni che dalle fila rosse del Pci l’ha portato alla più alta carica dello Stato.A lui l’onore delle armi, dunque.E merita la equa considerazione non soltanto dal sito del “Financial Times e dai tanti adulatori in servizio permanente nei giornaloni dei Poteri marciti, ma anche da parte di un sito irriverente qual è (e deve essere) Dagospia.Giorgio II, dunque, abdica dopo aver accettato, un anno fa, di succedere a se stesso, Giorgio I, nel tentativo (ahimè mancato) di rimettere ordine in quel reame della politica in cui sembrano saltate tutte le vecchie regole del gioco.A cominciare da quelle istituzionali, di cui il presidente della Repubblica è il supremo garante.Nell’Italia alla ricerca del suo autore pirandelliano, il sommo Eugenio Scalfari sancisce, soprattutto con il cuore, che il suo “amico” Napolitano è stato invece “uno dei nostri migliori presidenti della Repubblica”. Grazie, aggiunge, alla “fermezza” dimostrata nel gestire gli “affari di stato” e per la “moral suasion” esercitata (fin troppo, aggiungiamo) nel corso del suo doppio mandato.Il giudizio, generoso, su Re Giorgio del fondatore de “la Repubblica”, va rispettato ma, purtroppo, fa a pugni con il pungente esercizio della critica da lui svolta, sullo stesso quotidiano, di fronte ad altre debordanti e problematiche figure quirinalizie. Da Giovanni Leone a Francesco Cossiga.Già la maledizione del Colle più alto. Senza fare sconti neppure al socialista Sandro Pertini.Il mitico presidente-partigiano che nell’eventuale richiesta del tribunale di Palermo di essere “ascoltato” insieme all’avvocato del boss mafioso Riina, a differenza di un rassegnato e stanco Napolitano, avrebbe schierato – alla pari di Kossiga -, i carri armati a difesa dell’inviolabilità costituzionale (sacrosanta) del Colle più alto.Così da impedire un pericoloso precedente.Tant’è che sul “Corriere della Sera“, vale la pena ricordarlo ancora una volta, il costituzionalista Michele Ainis ha dovuto osservare, perplesso: “Ieri è entrato in scena il Precedente. Ossia un fatto istituzionale mai avvenuto prima, che però da qui in avanti potrà replicarsi all’infinito. È la grammatica delle democrazie, intessute di regole scritte e d’interpretazioni iscritte nella storia. E il Quirinale non fa certo eccezione. Anzi (…) E la qualità del precedente si misura dalla sua ragionevolezza (…) Ma che l’avvocato di Riina diventi per un giorno il portavoce del Quirinale, almeno questo è un paradosso che potevamo risparmiarci”.Nei confronti del “golpista” Franceschiello poi - “disturbatore della quiete repubblicana” -, lo stesso Scalfari nel 1991 fu tra i promotori della richiesta d’impeachment con l’accusa (fasulla) di aver “tradito” il nostro, ripetutamente, la magna Carta.8C16 GIORGIO NAPOLITANOUn’iniziativa, quella sì, davvero folle. Per fortuna (delle istituzioni) abortita sul nascere dopo un patetico tentativo di marcia sul Colle più alto. E abbracciata senza alcuno scrupolo dallo “zombi con i baffi”, come Cossiga bollò, impietoso, Achille Occhetto. Ai tempi segretario dell’ex Pci. Il partito in cui militava Napolitano.La “Cossigheide” che ogni giorno pubblicava “la Repubblica” testimonia abbondantemente che allo scomparso statista di Sassari, altro personaggio davvero “pirandelliano” (copyright sempre di Scalfari), non fu perdonato quanto oggi è invece condonato, extra ordinem?, a Re Giorgio I e II.Nei giorni contati dell’uscita di Napolitano dal palazzo del Quirinale allora forse è troppo presto per esprimere un giudizio compiuto sulla correttezza istituzionale del suo alto agire.Lo stesso presidente uscente, del resto, è “deluso” e “amareggiato” per aver sfidato, e a volte infranto, l’art. 87 della Costituzione senza raccogliere i risultati sperati.E con gli amici non nasconde neppure la sua delusione per aver “bruciato” tre governi (Monti, Letta e Renzi) - esautorando, di fatto, il Parlamento -, e di aver garantito il “patto occulto” del Nazareno (Renzi&Berlusconi) senza riuscire a dipanare la matassa politico-istituzionale (dalla legge elettorale alla riforma del Senato), che ancora più aggrovigliata (elezione del nuovo capo dello Stato) lascerà nelle mani, presumibilmente legate dal premier ribaldo Renzi, del suo successore.Così, al momento che sul pennone del Quirinale sventolerà la bandiera bianca della resa di Re Giorgio, l’unico interrogativo è se egli lascia in eredità (o meno, come dubitiamo) un Paese migliore di quello fin qui retto, secondo il sommo Scalfari, da “il Migliore”.NAPOLITANO BERLUSCONI2. NAPOLITANO, ORA C’È LA DATA DI SCADENZA - ADDIO IL 20 GENNAIOMassimiliano Scafi per “il Giornale”Segnatevi questa data, 20 gennaio. Fate un cerchio sul calendario, giocatevi il numero al Lotto, accettate scommesse con gli amici perchè, stando almeno a quanto raccontano fonti stavolta davvero autorevoli, dovrebbe essere quello il giorno in cui Giorgio Napolitano rassegnerà ufficialmente le dimissioni.BERLUSCONI NAPOLITANODunque, niente tempi supplementari, niente mesi in più. Nonostante le pressioni di Matteo Renzi, che vorrebbe rinviare almeno a primavera la rischiosa pratica dell'elezione del nuovo presidente, Re Giorgio avrebbe deciso di mantenere il programma che aveva fissato: conclusione del semestre italiano di presidenza europea, incontro verso il 20 dicembre con le alte cariche della Repubblica per il rituale scambio di auguri, discorso di Capodanno agli italiani con preannuncio in diretta della sua uscita di scena per comprensibili motivi di età e di «insostenibilità» fisica del ruolo. Poi, dopo la Befana, le tante procedure formali e la firma della rinuncia al mandato presidenziale.Un cronoprogramma che ufficialmente non trova nessuna conferma. Anzi, dal Quirinale non solo smentiscono la data ma anche che il capo dello Stato abbia preso una decisione. In realtà non può essere così, Napolitano sa benissimo che cosa vuole fare e quando farlo, ma chiaramente vorrebbe tenere riservata la data per due motivi.Primo, perchè è una scelta che tocca solo a lui e non vuole subire pressioni o condizionamenti. Secondo, perché annunciare in anticipo di voler lasciare il Colle significa dare una scadenza al mandato, depotenziare la sua figura, aprire di fatto una specie di «bimestre bianco». Invece, come c'è scritto nella nota diffusa domenica scorsa, il presidente intende mantenere fino all'ultimo giorno i suoi poteri e le sue prerogative.Giochi fatti? Renzi continua comunque a sperare che non sia così. Dal Pd spiegano che il premier non vorrebbe trovarsi a febbraio un Parlamento bloccato per l'elezione del capo dello Stato, magari senza un accordo preventivo su un nome e quindi impantanato come l'ultima volta in settimane di inutili votazioni.E intanto le riforme verrebbero rimesse in frigorifero, la politica si paralizzerebbe e i mercati internazionali, implacabili, ci punirebbero. A Palazzo Chigi, dicono, ha fatto molta impressione l'omaggio del Financial Times a Giorgio Napolitano, «unica istituzione rafforzata negli ultimi 15 anni». Il quotidiano della city conclude augurandosi che l'Italia «riesca a trovarne un altro uguale».Da qui il pressing renziano sul Quirinale negli ultimi giorni, la richiesta di restare se non fino novant'anni, a giugno, almeno fino maggio. L'altra sera da Vespa si era detto ottimista: «Forse ci farà una sorpresa...». Del resto la paura di Matteo su una possibile paralisi parlamentare, quando i mille grandi elettori saranno chiamati a scegliere il futuro capo dello Stato, è abbastanza giustificata.MICHELE AINISBasta vedere quello che è successo con la Consulta e il Csm, il gioco di veti e di vendette che ha provocato un lungo stallo non ancora concluso, dato che manca ancora da eleggere un candidato di Forza Italia alla Consulta. Come pensare che non accadrebbe lo stesso per il Quirinale? Come dimenticare la carica dei 101 che hanno pugnalato Prodi, o la notte che ha affossato Marini? A meno che stavolta dall'incontro tra Renzi e Berlusconi, oltre all'Italicum, sia uscito anche il nome del prossimo re repubblicano.
da segnatevi questa data, 20 gennaio il giorno in cui re giorgio rassegnerà ufficialmente le dimissioni - Politica