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  1. #11
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    comunque, non so se conta con questa domanda, ma fino all'ultimo giorno della RSI e anche oltre, ci furono molti uomini di chiesa legati alla RSI: ricordo Tullio Calcagno che fondo' un giornale cattolico "nazionale" di larga diffusione, padre Epaminonda, padre Giusto Pancino che era un'maico di infanzia di Edda Ciano e compi' per conto di Mussolini delicate missioni in Svizzera, lo stesso cardinale Schuster che ebbe un ruolo abbstanza ambiguo ma sostanzialmente benevolo nei confronti del duce

  2. #12
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    quindi da parte del Vaticano ufficiale forse a un certo punto ci fu un abbandono della causa dell'Asse, ma ci furono esponenti della chiesa, e non sapremo mai se con la benedizione o meno del Vaticano che sostennero la RSI fino alla fine e anche oltre (con i prigionieri di guerra ad esempio)

  3. #13
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Non dimentichiamo Padre Baccolini che poi a un certo punto divenne archimandrita appartenente a un sotto-scisma della chiesa ortodossa russa...e fece lo scisma di Montalto Dora e Montaner

    Maurilio Lovatti padre Gregorio Baccolini

    http://www.ildialogo.org/confessioni...sainitalia.pdf
    Ultima modifica di Cale Yarborough; 17-11-14 alle 18:09
    Grandi buchi vengono scavati in segreto, dove i pori della terra dovrebbero bastare, e cose che dovrebbero strisciare hanno appreso a camminare.

  4. #14
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Cale Yarborough Visualizza Messaggio
    Il salto da "con inmenso gozo" all'atlantismo in chiave anticomunista c'è, inutile negarlo.

    E la diplomazia vaticana del periodo era infestata da personaggi del calibro di Giovannone e Montini.

    Secondo me la verità sta nel mezzo. Ci fu una larga fetta di cattolici sostanzialmente afascisti e monarchici che capirono l'errore solo a cose fatte e quando ormai era troppo tardi, pensiamo a Guareschi che tratteggia un don Camillo partigiano (antitedesco, è bene notare) e che dopo la fuga a Pescara - se non fosse stato internato in un lager tedesco - sicuramente avrebbe preferito il manganello alla volante rossa, ma si trovò poi come tutti a vivere nel dopoguerra in una situazione mutata e immutabile, e quindi giocoforza a scegliere il male minore.
    Roncalli all'epoca, per quanto possa sembrare incredibile, era tendenzialmente filo-fascista (si vedano le pagine del suo diario dell'epoca), mentre invece Montini restò sempre legato ad ambienti ex PPI.
    Quanto all'atlantismo anticomunista, credo che lo scambio epistolare tra Truman e Pio XII nel '49 e il Radiomessaggio natalizio del 1951 (senza tralasciare, ovviamente, i radiomessaggi successivi), in cui Pacelli dichiarò riguardo al cosiddetto "mondo libero" che "nella vera libertà non risiede[va] la sua forza" e che esso costituiva "un nuovo pericolo, che minaccia[va] la pace", chiarirono agli Stati Uniti e ai loro alleati che non sarebbe stato possibile strumentalizzare in alcun modo la Santa Sede in senso anticomunista ed antisovietico.
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  5. #15
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Cale Yarborough Visualizza Messaggio
    Non dimentichiamo Padre Baccolini che poi a un certo punto divenne archimandrita appartenente a un sotto-scisma della chiesa ortodossa russa...e fece lo scisma di Montalto Dora e Montaner

    Maurilio Lovatti padre Gregorio Baccolini

    http://www.ildialogo.org/confessioni...sainitalia.pdf
    Ullallà!

  6. #16
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Giò Visualizza Messaggio
    Roncalli all'epoca, per quanto possa sembrare incredibile, era tendenzialmente filo-fascista (si vedano le pagine del suo diario dell'epoca), mentre invece Montini restò sempre legato ad ambienti ex PPI.
    Quanto all'atlantismo anticomunista, credo che lo scambio epistolare tra Truman e Pio XII nel '49 e il Radiomessaggio natalizio del 1951 (senza tralasciare, ovviamente, i radiomessaggi successivi), in cui Pacelli dichiarò riguardo al cosiddetto "mondo libero" che "nella vera libertà non risiede[va] la sua forza" e che esso costituiva "un nuovo pericolo, che minaccia[va] la pace", chiarirono agli Stati Uniti e ai loro alleati che non sarebbe stato possibile strumentalizzare in alcun modo la Santa Sede in senso anticomunista ed antisovietico.
    Roncalli era nunzio in Turchia e Bulgaria e non poteva non apprezzare gli enormi progressi che la Turchia fece sotto un dittatore come Kemal Ataturk, che poteva essere apparentato al fascismo, come anche la dittatura reale bulgara di Re Boris III di Bulgaria che tramite la moglie era molto legato all'Italia

  7. #17
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Candido Visualizza Messaggio
    quindi da parte del Vaticano ufficiale forse a un certo punto ci fu un abbandono della causa dell'Asse, ma ci furono esponenti della chiesa, e non sapremo mai se con la benedizione o meno del Vaticano che sostennero la RSI fino alla fine e anche oltre (con i prigionieri di guerra ad esempio)
    Don Calcagno non vale molto come esempio, dato che fu dapprima sospeso a divinis, ripreso più volte dalle gerarchie ecclesiastiche (il cardinale Schuster gli fece contro una lotta senza quartiere) ed infine scomunicato. Ci furono altri sacerdoti e prelati 'più in regola' che comunque "compensarono" (penso a padre Eusebio cappellano della Brigate Nere, a don Giuseppe Graziani cappellano del battaglione "Barbarigo" ricevuto in udienza privata da Pio XII il 1° maggio del '44, mons. Nogara vescovo di Udine o mons. Angelo Bartolomasi).
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  8. #18
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Giò Visualizza Messaggio
    Don Calcagno non vale molto come esempio, dato che fu dapprima sospeso a divinis, ripreso più volte dalle gerarchie ecclesiastiche (il cardinale Schuster gli fece contro una lotta senza quartiere) ed infine scomunicato. Ci furono altri sacerdoti e prelati 'più in regola' che comunque "compensarono" (penso a padre Eusebio cappellano della Brigate Nere, a don Giuseppe Graziani cappellano del battaglione "Barbarigo" ricevuto in udienza privata da Pio XII il 1° maggio del '44, mons. Nogara vescovo di Udine o mons. Angelo Bartolomasi).
    Calcagno non era l'avatar del tuo clone Don Giorgio?

  9. #19
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Troll Visualizza Messaggio
    Calcagno non era l'avatar del tuo clone Don Giorgio?
    Sì, ma il clone non era mio.
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  10. #20
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    Predefinito Re: Il Vaticano "tradì" il Fascismo?

    Citazione Originariamente Scritto da Candido Visualizza Messaggio
    difficile come domanda, secondo me il Vaticano, come il 99% degli italiani si era innamorato del fascismo e malgrado qualche alto e basso ai tempi di Pio XI, fino al 1939-40 egli si "rassegno'" all'idea che il fascismo era il minore dei mali nonchè un regime che tutto sommato educava i giovani ad essere cristiani, che riconosceva i patti lateranensi (un vero terno al lotto per il Vaticano), ecc.
    Finché il fascismo era vincente il Vaticano sostenne apertamente il fascismo anche sbilanciandosi oltre la sua missione universale, in paesi come la Slovacchia addirittura un monsignore era capo dello stato con la benedizione del Vaticano (Monsignor Tiso) e di certo il Vaticano sostenne in modo decisivo i regimi franchista in spagna e Ustacia in Croazia. Bisogna anche dire che, contrariamente a Benedetto XV nel 1914, Pio XII all'inizio non condanno' in modo assoluto la guerra.
    Poi quando si rese conto che l'Asse non era invincibile ci fu una specie di ravvedimento che crebbe man mano che crebbe la possibilità da parte del'asse di perdere la guerra
    Pio XII fece di tutto per evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale ed in particolar modo si adoperò con ogni mezzo per evitare l'ingresso dell'Italia nel conflitto (si veda lo scambio di lettere tra il Sommo Pontefice e Mussolini quasi alla vigilia della dichiarazione del 10 giugno 1940). Nonostante questo, dalla Summi Pontificatus emergeva una lettura "metastorica" della guerra, che veniva presentata come il necessario castigo espiatorio per il plurisecolare abbandono da parte della civiltà europea dei principi cristiani nell'ordine politico, economico e sociale. Non entrando nel merito delle rivendicazioni di parte, dalla prima Enciclica di Pio XII si evinceva implicitamente un equilibrio tra le ragioni ed i torti dei contendenti. Da questa visione, per tutto il resto del conflitto, sostanzialmente Papa Pacelli mai si discostò né ufficialmente né ufficiosamente. Confidenzialmente, in Vaticano si temeva tanto un'egemonia del Reich nazionalsocialista quanto un'affermazione dell'URSS. Riguardo all'Italia fascista in particolare, il discorso di Pio XII del 4 settembre 1940 ai membri dell'Azione Cattolica italiana, in cui esortava i cattolici militanti ad obbedire lealmente alle autorità costituite e ad essere disposti anche all'estremo sacrificio della vita tutte le volte che lo richiedesse il legittimo bene del paese [ed elogiava la legislazione italiana sull'insegnamento della religione cattolica], e due articoli de "La Civiltà Cattolica" preventivamente vistati dalla Segreteria di Stato (un Editoriale dell'11 giugno 1940 ed uno scritto intitolato "Verso l'ordine nuovo" di padre Angelo Brucculeri poco dopo) chiarirono come una certa comprensione verso le ragioni italiane non fosse assente in Vaticano. I rapporti della polizia italiana, almeno fino al 1942, registrarono con soddisfazione il sostanziale lealismo del clero cattolico e questo risalta ancor di più se si tiene conto che spesso questi rapporti erano infarciti di delazioni fatte dai mitomani e/o da persone in cerca di notorietà e di credito presso i vari strati del potere fascista (anche di nicchia). Successivamente, venne rilevata una maggiore inquietudine a causa dell'attivismo cattolico - soprattutto legato all'A.C. -, che seguì la pubblicazione del Radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1942.
    E' nei primi mesi del '43 che gli storici in genere individuano il punto di rottura. De Felice in merito scrisse: "In questa prospettiva [quella del Radiomessaggio natalizio del 1942] secondo il pontefice nell'avvenire dell'Italia non vi era ormai più spazio per il Fascismo. Ciò non voleva però dire che egli potesse e volesse precipitarne la fine. Essa - egli doveva rendersene ben conto - non solo non poteva dipendere dall'atteggiamento della Chiesa, ma avrebbe aperto una serie di problemi che questa non era ancora preparata ad affrontare". Sembra in parte stridere con questa visione il colloquio che ebbe ad inizio anno il Pontefice con Pietromarchi, durante il quale Pio XII registrò con soddisfazione l'accoglimento su "Il Popolo d'Italia" dei postulati del Radiomessaggio del '42 in materia economico-sociale ed espresse notevole apprezzamento per il Fascismo. E' però vero che in Vaticano ormai c'era la convinzione che il regime fascista molto probabilmente non sarebbe sopravvissuto alla fine del conflitto, stante anche l'intransigenza anglo-americana nel proporre la formula della resa incondizionata (che la Chiesa disapprovò pubblicamente). Una volta caduto Mussolini, su "La Civiltà Cattolica" non mancò né qualche frecciata rivolta al passato né critiche al clima politico venutosi a creare dopo l'approvazione dell'O.d.g. Grandi. Te ne faccio un esempio: "Il cambiamento politico, effettuatosi nella notte del 25 luglio scorso, con la caduta del passato regime e la consegna dei poteri da parte del Re al governo militare ha avuto, come era prevedibile, i suoi immediati riflessi negli organi ordinari della così detta opinione pubblica. Mentre la stampa quotidiana da un ventennio, con una monotonia esasperante, ha sciolto inni allo stato totalitario, non lesinando adulazioni, sovente umilianti per la dignità umana, a chi era allora al potere, ora, mutato il tono e l'orientamento, riempe le sue colonne di lodi entusiastiche alla libertà. Questo subitaneo mutamento, queste apologie, che ieri sarebbero state considerate come un delitto contro l'onnipotenza gelosa dello Stato, lasciano molto da pensare all'uomo meditativo. La deduzione più importante, che questi ricava dalla considerazione degli avvenimenti passati e presenti, consiste nella riconfermata persuasione della labilità di tutte le istituzioni, che non siano appoggiate sui saldi pilastri della morale e della giustizia, fuori dei quali ogni ordine, unicamente sorretto e imposto dalla forza, somiglia ad un edificio costruito sull'arena. In questa conclusione, che tocca le radici profonde della crisi immane, dalla quale è sconvolta l'umanità intera, è racchiuso l'insegnamento principale del periodo fortunoso, in cui viviamo, che, se meditato a dovere, potrebbe condurre gli animi a un severo esame di coscienza, facendo loro comprendere finalmente come una situazione così compromessa non possa venir risanata soltanto con inni ditirambici alla libertà, ma con una totale trasformazione del costume sociale, operata dal ritorno integrale a quelle norme fondamentali della convivenza civile, senza le quali la libertà stessa potrebbe diventare causa di nuovi errori e traviamenti. Nessun dubbio che la restaurazione della legalità costituzionale sia un avvenimento, che da tutti può essere salutato con intima e sincera soddisfazione, poiché, almeno in linea di principio, all'impero della volontà discrezionale di pochi uomini essa sostituisce il dominio nobilitante della legge e del diritto, il cui rispetto viene assicurato dall'autorità competente, che ripiglia la sua funzione di tutrice imparziale dell'ordine entro i limiti esatti delle norme giuridiche. D'altra parte non bisogna farsi illusioni sul futuro. Una restaurazione non darà garanzia alcuna di sicurezza, se a guidare il corso non saranno proprio quei principii, dalla cui dimenticanza sono derivati gli abusi da tutti oggi lamentati [...] Non è da nascondere tuttavia come presentemente la lettura della stampa lasci alquanto perplessi. Lungi dal dimostrare un vigile senso dei gravissimi problemi morali, che giacciono insoluti sotto la superficie dei mutamenti politici, essa suscita l'impressione che dalla storia non si siano ricavate le conseguenze essenziali, e permette di dubitare che cinquanta anni di dure esperienze siano passati senza scuotere certe mentalità, che, dopo la parentesi totalitaria, riaffiorano identiche, o quasi, nel loro atteggiamento. Ci riferiamo espressamente alle già accennate apologie della libertà, tra le cui righe sembra di nuovo far capolino il vecchio e impenitente liberalismo di antico stampo" (l'estratto è ripreso dall'articolo di padre Antonio Messineo "Libertà o liberalismo?").
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