I Radicali torinesi in crisi di "vocazioni" pensano allo scioglimento - Repubblica.it

Finisce un’epoca, o forse il sipario è già calato da tempo e si tratta solo di prenderne atto e abbandonare la sala. In via Botero si respira un’aria triste, ma in fondo rassegnata: l’”Adelaide Aglietta”, quella che nell’ordinamento radicale è una vera e propria sezione territoriale di partito, è prossima allo scioglimento. La parola fine sarà messa ai voti tra due domeniche, durante il diciannovesimo congresso dei radicali subalpini. È un fatto storico, segno che tra i radicali corrono davvero brutti tempi. «L’associazione non vive, ma sopravvive», scrivono nella lettera di convocazione del congresso il presidente Igor Boni, il segretario Giulio Manfredi e il tesoriere Graziella Miraudo. E non è solo questione di finanze ridotte al lumicino e di una sede che costa 700 euro al mese di affitto ed è difficile da mantenere: «In cassa, nonostante le difficoltà, abbiamo ancora 5 mila euro», fa sapere Manfredi. I soldi questa volta non c’entrano. Non è l’ennesimo grido di allarme, lanciato alla vigilia della campagna di tesseramento.
Le ragioni sono più profonde e non si capirebbero senza allargare lo sguardo sulla situazione nazionale. «Il movimento radicale nel suo complesso è in profonda crisi», riconoscono i vertici dell’”Aglietta”. Prova ne è il fatto che al recente congresso dei Radicali, la leader storica Emma Bonino, cui sono legati molti dei radicali torinesi, non solo non si è fatta vedere, ma nemmeno ha mandato un messaggio di saluto. In questo contesto, con un leader, Marco Pannella, ormai ottantaquattrenne, la demotivazione la fa da padrona. «La partecipazione alle riunioni settimanali è sempre più ridotta e, d’altra parte, non arrivano dai social media apporti militanti significativi, semmai le solite lamentazioni e i soliti “armiamoci e partite”», aggiungono nella loro missiva Boni, Manfredi e Miraudo. Le forza scarseggiano, insomma. Non si riesce nemmeno a far fronte a quello che è il “core business”, la raccolta delle firme, servite per tante battaglie, molte delle quali vinte: la trasparenza, il testamento biologico, il garante dei detenuti, le unioni civili. «In questa situazione — chiariscono i vertici dell’”Aglietta” — abbiamo difficoltà perfino a raccogliere le 300 firme per la petizione contro le barriere architettoniche».
Il problema del ricambio generazionale è al primo posto. «Non abbiamo militanti sotto i 30 anni» fa notare Manfredi. In due anni gli iscritti si sono dimezzati: da 232 si è passati a 112 aderenti. Anche se continua ad averne più delle associazioni di Roma e Milano. «Prima o poi — dice con l’amaro in bocca il segretario — bisogna chiedersi se ha senso continuare». Ecco le ragioni della proposta di scioglimento dei radicali torinesi, da sempre “lievito” nella pasta della politica subalpina, tanto che da quel mondo è arrivata in fondo anche una presidente di Regione, Mercedes Bresso. Un movimento che ha fatto spesso da “pungolo” sulle brutture elettorali e amministrative, su cui in tanti avrebbero preferito distogliere lo sguardo, a cominciare dal caso Giovine. Le difficoltà? «Meglio non fare come gli struzzi e fare finta di nulla». È la stessa opinione del consigliere comunale radicale Silvio Viale: «Finalmente se ne discute. Le questioni vanno affrontate fino in fondo, altrimenti si crea un clima di disaffezione che non aiuta».