Articolo 18. Se l’economia non funziona, è inutile riformare il lavoro. Le risorse a disposizione non permettono di garantire un reddito a chi perde il posto
Il com*bi*nato dispo*sto tra Legge di sta*bi*lità e Jobs Act è un pacco con*tro lavoro e diritti. Andando oltre la reto*rica che il discorso poli*tico ci pro*pone quo*ti*dia*na*mente, colmo di sur*rea*li*smo e misti*fi*ca*zione, que*sto è il dato che emerge da ciò che il governo sta facendo.
Si afferma che occu*pa*zione sta*bile e posto fisso sono resi*dui di pen*siero nove*cen*te*sco: i costi dei diritti non pos*sono più essere a carico dell’impresa, ma tra*sfe*riti sul mer*cato con l’aiuto dello Stato che deve accom*pa*gnare le per*sone favo*ren*done l’occupabilità. Ma si sostiene anche che l’accesso ad una occu*pa*zione tem*po*ra*nea e l’opportunità di un con*tratto a tutele pro*gres*sive sono i porti di ingresso per quell’occupazione sta*bile e ben retri*buita che può essere assi*cu*rata alle nuove gene*ra*zione solo con il tra*scor*rere del tempo. Que*sta è una evi*dente con*trad*di*zione. Se si nega con la prima affer*ma*zione la fat*ti*bi*lità di un lavoro sta*bile e tute*lato per*ché non siamo più nel secolo breve ma nell’economia glo*ba*liz*zata del nuovo mil*len*nio in cui il capi*tale è libero di andare dove più con*viene e la com*pe*ti*zione è oggi su scala glo*bale, non si capi*sce come possa essere con*tem*po*ra*nea*mente vera la seconda affer*ma*zione, ovvero che que*sto lavoro sta*bile e tute*lato possa essere comun*que rag*giunto ma solo dopo la neces*sa*ria tran*si*zione in una fase di precarietà. Il nostro mer*cato del lavoro non fun*ziona: le cifre par*lano da sole, nella crisi e prima della crisi. Il tasso di occu*pa*zione sulla popo*la*zione in età di lavoro è tra i più bassi d’Europa (nel 2013 è al 55%, più di 10 punti in meno della media euro*pea); la disoc*cu*pa*zione uffi*ciale ed uffi*ciosa è altis*sima, sopra i 6,5 milioni di per*sone, con dif*fe*renze ter*ri*to*riali e per età ele*va*tis*sime; oltre la metà dei disoc*cu*pati sono senza lavoro da più di un anno, quando in Europa pochi paesi fanno peggio. Ma il mer*cato del lavoro non fun*ziona per*ché è la nostra eco*no*mia che non fun*ziona. Con la crisi set*ten*nale il nostro red*dito è tor*nato al livello del 2000, la sua cre*scita è peral*tro nulla da 15 anni, la pro*dut*ti*vità e le retri*bu*zioni sono ferme addi*rit*tura a metà degli anni ’90. Il mer*cato del lavoro non può fun*zio*nare per ragioni di forza mag*giore: se l’economia rista*gna, anche il lavoro rista*gna. La depres*sione della prima implica la depres*sione del secondo. Il governo Renzi ritiene però che per far ripar*tire il lavoro occorra una enne*sima riforma del mer*cato del lavoro, in grande con*ti*nuità invero con quelle che l’hanno pre*ce*duta, come se inter*ve*nendo su que*sto mer*cato l’economia magi*ca*mente potesse ripar*tire. Sap*piamo pur*troppo che non sarà così, che occor*re*rebbe ripar*tire dal vuoto di domanda e di poli*ti*che pub*bli*che di domanda; nella depres*sione non è con il cam*biare le regole del lavoro che si attiva nuova domanda di lavoro, sem*mai si sosti*tui*sce lavoro, magari più sta*bile e più retri*buito, con altro lavoro, meno sta*bile e meno retribuito. La legge di sta*bi*lità 2015 ed il Jobs Act scom*met*tono invece che il mer*cato si riat*tivi con una inie*zione di fidu*cia col*let*tiva, libe*rato da rigi*dità (tutele e pro*te*zioni) ed alleg*ge*rito da minori tasse sulle imprese più che sulle fami*glie, coperte in gran parte da tagli a quella spesa pub*blica che crea domanda effet*tiva. In verità si rischia di scam*biare il certo per l’incerto, e si gioca d’azzardo. Ci si affida al magico dispie*ga*mento delle libere forze di mer*cato, rimuo*vendo Key*nes: «In periodo di crisi da domanda effet*tiva, puoi por*tare il cavallo all’abbeveratoio ma non puoi costrin*gerlo a bere». La rre*to*rica del discorso poli*tico rie*sce a ven*dere que*sta poli*tica di destra come fosse una poli*tica di sini*stra, facendo inten*dere che si offrano nuove tutele a coloro che non le hanno e che le vec*chie deb*bano essere rottamate. L’introduzione del con*tratto a tutele cre*scenti avviene senza ridu*zione signi*fi*ca*tiva delle tipo*lo*gie di con*tratto di lavoro non-standard. Il rischio è che il nuovo con*tratto si aggiunga alla mol*te*pli*cità esi*stente, espan*dendo il super*mar*ket. Per il nuovo con*tratto man*cano decli*na*zione di tutele cre*scenti, cadenza tem*po*rale della loro intro*du*zione, ter*mine ultimo di tra*sfor*ma*zione in un con*tratto stan*dard. La novità rile*vante è già avve*nuta, eli*mi*nando la «cau*sale» nel con*tratto a ter*mine e con*sen*tendo pro*ro*ghe ad libi*tum via modi*fica della man*sione svolta. Peral*tro, prov*ve*di*menti di incen*ti*va*zione decon*tri*bu*tiva anche recenti mostrano scarsa effi*ca*cia nel creare occu*pa*zione aggiun*tiva favo*rendo invece sosti*tu*zione tra con*tratti. La decon*tri*bu*zione a sca*denza fissa al terzo anno e non vin*co*lata ad occu*pa*zione addi*zio*nale, som*mato all’indennizzo al licen*zia*mento cre*scente nel tempo, rischia poi di tra*sfor*mare al nascere il nuovo con*tratto a tutele pro*gres*sive in un con*ti*nuum infi*nito di mol*te*plici con*tratti a tempo determinato. L’estensione degli ammor*tiz*za*tori sociali è illu*so*ria. Non si pre*cisa affatto quali cate*go*rie di lavo*ra*tori poten*ziali siano coin*volte, né la durata della coper*tura, o le risorse a dispo*si*zione. Non si tute*lano le cate*go*rie più deboli ed oggi escluse anche dagli 80 euro, si esclu*dono aree signi*fi*ca*tive di lavoro para*su*bor*di*nato ed auto*nomo. Il legame pre*vi*sto tra durata degli ammor*tiz*za*tori ed anzia*nità di ser*vi*zio ripro*duce il dua*li*smo che si vuole eli*mi*nare. Il modello wel*fare to work si pre*sta a rischi pre*scrit*tivi di lavoro for*zato, in cam*bio di sus*si*dio e non di un rap*porto di lavoro. Le stime per un sistema di pro*te*zione eco*no*mica di mer*cato di tipo uni*ver*sa*li*stico vanno dai 10 al 20 miliardi annuali. Il gap tra le risorse a dispo*si*zione e quelle neces*sa*rie appare abis*sale e tale da non garan*tire affatto una pro*te*zione di red*dito al lavo*ra*tore che è pri*vato del lavoro. Ciò si dovrebbe rac*cor*dare con le poli*ti*che attive del lavoro, campo in cui l’Italia impe*gna risorse eco*no*mi*che ed umane esi*gue rispetto alla media euro*pea. La migra*zione della pro*te*zione di un lavo*ra*tore da tutele sul posto di lavoro verso tutele di mer*cato rischia di essere dav*vero alta*mente illu*so*ria per molti poten*ziali bene*fi*ciari. Meglio sma*sche*rare coloro che pra*ti*cano la misti*fi*ca*zione della realtà.
Perché il Jobs Act destinerà i lavoratori al precariato perenne - ControLaCrisi.org