On.li Magistrati,
eccomi presente per la discussione di merito del ricorso. Credo che il testo del ricorso abbia già dato la misura dell'ampiezza del problema della situazione di stallo legale che qui vivremmo se perdurasse una interpretazione irragionevolmente restrittiva dell'istituto del numero minimo per la deliberazione delle Camere.
Soffermerò dunque il mio intervento qui, per non annoiare le SS.VV. menzionando fatti e circostanze minuziosi della crisi degli organi legislativi, con ulteriori ed aggiuntive considerazioni sulla pars costruens, ossia non sull'interpretazione tralatizia da abbandonare, ma su quella nuova e più conforme ai principi generali dell'ordinamento che ho suggerito e sui principi generali che non solo la giustificano, ma la impongono.
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- I -
Il principio di completezza dell'ordinamento nel diritto privato
Vuole la storia del diritto che si riconosca che il principio di completezza, versato nelle Disposizioni preliminari al Codice Civile sulla legge in generale - c.d. preleggi - nacque per regolare i rapporti tra i privati che domandavano all'autorità romana quale fosse il diritto dei loro affari in quelle controversie per le quali non era immediatamente evidente la norma da applicarsi, o ve ne fossero due che contraddicessero l'una il dettame dell'altra senza tuttavia che vi si potesse applicare alcuno degli altri rimedi noti all'ordinamento.
Tali rimedi erano, come noto, i tre criteri di risoluzione delle antinomie (lex posterior derogat priori, lex superior derogat inferiori, lex specialis derogat generali), e perchè non vi si ricorresse occorreva che il caso scontasse l'assenza totale di una disciplina, che fosse generale, speciale, superiore, inferiore, successiva o precedente, o ne avesse una caratterizzata dall'essere irresolutiva e dunque tamquam non esset, per l'inapplicabilità pratica dei tre criteri a risolverla.
Una disciplina esistente può essere, infatti, irresolutiva, per il situarsi in essa di una norma contraddittoria rispetto ad un'altra nel medesimo piano di generalità/specialità, al medesimo rango nella gerarchia delle leggi, e nella medesima coincidenza temporale quanto alla sua approvazione: è tale il caso di due articoli o commi della stessa legge che contraddicano l'un l'altro. In queste situazioni il principio della completezza, ricavato dall'obbligo di dare giustizia al richiedente, postula che si affermi l'esistenza di una terza norma.
La terza norma, quella di cui l'ordinamento è incompleto all'aprirsi del giudizio, che diviene norma a tutti gli effetti in forza della sentenza di jus honorarium, è precisamente quella che nel giudizio si va cercando, per districare l'abbraccio mortale tra principi, articoli e commi che si contraddicano e non consentano di ottenere quel risultato di giustizia sostanziale che fonda il diritto dell'autorità riconosciuta - a Roma al pretore, qui alla Corte - alla creazione di diritto per via giurisprudenziale.
-II -
Il significato del principio di completezza dell'ordinamento nel diritto pubblico
Quello che fu un principio di diritto dei privati, nell'inesistenza di un diritto pubblico distinto e separato, divenne poi oggetto di estensione e sviluppo nei secoli successivi alla formazione dello Stato moderno, assieme al sorgere, nella seconda e successiva sfera pubblica, del concetto di dominio della Legittimità e non della Legalità.
Intendo con la distinzione tra Legalità e Legittimità qui riferirmi al fatto che, in generale, nel diritto pubblico, "vietato" è ciò che non è legittimo, cioè sanzionato dalla volontà sovrana, non solo ciò che è espressamente vietato, che non per questo solo fatto può dirsi libero; d'altra parte, nel diritto privato, "vietato" è solo ciò che è espressamente vietato, restando tutto quanto non sia previsto libero.
Non occorre, dunque, nel cercare una terza norma di diritto privato, che esista una precedente norma che autorizzi a farlo, mentre esiste, nel diritto pubblico, per legittimare la ricerca di quella medesima terza norma, il secondo presupposto: che essa sia legittima, ovverosia che la volontà del sovrano, espressa per iscritto, comandi chiaramente che tale norma sia cercata.
Nell'ordinamento giuridico di POL io ho proposto e poi, da un lato, il voto dell'assemblea rappresentate il Popolo e, dall'altro, la ratifica dell'Amministrazione, hanno stabilito che il principio valesse per tutto e che vi fosse dunque un tale preciso comando: "Giudici, cercate il diritto nei principi, scrivetelo con la vostra parola, ogni qualvolta esso manchi nelle nostre leggi!" Tanto è, al di là di ogni dubbio, il contenuto delle norme seguenti tra loro combinate:
- Art. 6 C., che sancisce che "La tutela giudiziaria dei diritti e degli interessi legittimi è inviolabile"
- Art. 37 C., che abilita legalmente a ricorrere un'ampia serie di soggetti, senza porre limiti al tipo di controversia che sollevino, e sul solo presupposto che vogliano farlo
- Art. 39 C., laddove dispone che i Giudici "non possono rimettere ad altri organi l'individuazione delle disposizioni da applicare, né possono dichiararsi impossibilitati a decidere o in altro modo denegare giustizia al ricorrente"
- Art. 45 C., laddove dispone che "5. Le disposizioni sulla Legge in Generale sono contenute in una legge organica speciale alla quale questa Costituzione espressamente demanda l’individuazione delle procedure di interpretazione del diritto.";
- Art. 1. D.L.G., laddove espressamente prevede che le Sentenze interpretative della Costituzione siano fonte del diritto: 1. Sono fonti del diritto: i) l'Ordinamento Giuridico Naturale del Termometro Politico ii) la Costituzione della Comunità di POL iii) le Sentenze della Corte Costituzionale interpretative della Costituzione"
- Art. 45 D. L. G., laddove autorizza la Corte a interpretare qualunque legge in modo retroattivo e vincolante "2. Il potere Giudiziario ha competenza interpretativa generale, retroattiva e vincolante, nelle forme previste da questa Costituzione."
- Art. 46 D.L.G., ove si dispongono le regole per interpretare e si prevede che, se presente un testo scritto, l'intenzione del potere legislativo sia comunque la legge dell'interpretazione tanto quanto il senso scritto delle parole "2. Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del potere legislativo."
- Art. 51 D.L.G., laddove, a conclusione del sistema, finalmente espone il principio di completezza per quei casi in cui non vi sia una norma scritta applicabile, imponendo il riguardo per le materie analoghe e, ove non si possa anche con esso trovare lumi, la decisione fonte di diritto: "Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell'ordinamento giuridico del Termometro Politico."
E' opportuno a questo punto, tenendo presente tutto quanto già esposto nel ricorso, ricordare che il mutamento delle circostanze di fatto dell'applicazione di norme di diritto è precisamente uno dei casi classici che possono determinare l'incompletezza sopravvenuta di un ordinamento, essendo, come noto, la prima legge di ogni ordinamento quella della conservazione di se stesso, espressa generalmente, senza bisogno di precise norme, da ogni disposizione che configuri il potere giudiziario e lo ponga a difesa della legge. Il primo compito dei giudici è questo: difendere l'ordinamento, sempre, comunque, qualunque cosa accada, perchè nell'ordinamento è il compromesso fondamentale che regola la giustizia delle cose umane, che pone un baratro tra noi e il nulla.
<<Le istituzioni possono cessare, non soltanto per una causa giuridica, per un mutamento del diritto voluto dall'ordinamento stesso, ma anche per cause dì fatto - non importa se necessarie o volontarie, illecite o comunque non vietate - e allora è evidente che la loro cessazione, finché non è rimeditata, dà luogo ad un'incompletezza dell'ordinamento. Questa è determinata dall'antitesi che si stabilisce fra l'ordinamento cosi come resta nella realtà e l'ordinamento medesimo quale dovrebbe essere per un'esigenza postulata, non in astratto e de jure condendo, ma dalla sua stessa struttura concreta e positiva, esigenza che può ancora perdurare non solo di fatto, ma per il diritto non armonizzato col nuovo stato di cose.>>
- Santi Romano1, Osservazioni sulla Completezza dell'Ordinamento Statale2
Ma questa storica e bellissima sintesi, non è comunque che la versione lunga di quella insuperata che dobbiamo a Marco Tullio Cicerone, padre del diritto romano insieme a moltissimi altri: Salus rei publicae suprema lex esto. - La salute della cosa pubblica sia la legge suprema. E allora facciamo che questa legge suprema lo sia per davvero!
- III -
La terza norma che supera la contraddizione tra due principi costituzionali.
Abbiamo visto che è possibile una incompletezza di ordinamento quando due norme poste nello stesso rango di gerarchia, specialità/generalità e successività/precedenza, contrastino irrimediabilmente tra loro quanto all'esigenza concreta da esse entrambe tutelata, invocata in giudizio da un ricorrente. E' questo il caso di un articolo della Costituzione che, se costretto ad operare in determinate condizioni di fatto impreviste e imprevedibili all'epoca della sua stesura, contraddica se stesso, come accade al principio del numero legale quando si accede una situazione che preveda l'assenza sistematica di oltre metà di un'aula o di quasi metà dell'altra.
Prendiamo l'integrale testo dell'articolo 19, ed isoliamone alcune norme. Si vedrà che la ratio dell'articolo 19 è evidentemente, e al di là di ogni dubbio, quella di tutelare l'esistenza e il funzionamento della Camera (e in virtù dell'articolo 34 C. che lo richiama il tutto vale anche per il Senato). Si si impone con questo articolo di convocarla, di non convocarla in modo truffaldino, e di non danneggiarne il plenum, salvo che espellendo quanto prima chi sia assente, per consentire che sia mantenuta l'espressione in essa delle volontà politiche nate dalle elezioni.
Articolo 19
Organizzazione fondamentale della Camera
1. La prima riunione della nuova Camera è convocata di diritto il quinto giorno dall’elezione (...)
3. Le deliberazioni d'aula non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti (...)
6. Il Regolamento non può prevedere la destituzione interna di Deputati, ad esclusione che per reiterate assenze (...) Deve comunque disciplinare il subentro dei non eletti ed in loro assenza di chi la lista di riferimento indichi, in modo da rispettare le rappresentanze elettorali delle forze politiche. (...)
Del resto altre norme, di tutta evidenza, programmavano questo intento nella parte precedente della Costituzione, era insomma chiaro e lampante che non si volesse un parlamento chiuso nè soprattutto dare ad alcuno che non fosse la corte il potere di chiuderlo, non potevano farlo, in altre parole, gli stessi deputati e senatori i quali, se assenteisti, avrebbero dovuto essere epurati dall'aula onde garantirne la funzionalità:
Articolo 8
Potere Legislativo e Potere Esecutivo
(...) ogni Deputato ed ogni Senatore esercitano le proprie funzioni senza vincolo di mandato per l'intera durata annuale (...)
Articolo 10
La cessazione dei Poteri
1. Solo il Potere Giudiziario, per gravi motivi e nei soli casi disciplinati dalla Costituzione, può disporre la destituzione, anche per inattività (...) di un Senatore o di un Deputato, a seguito della quale subentra (...) il primo non eletto della Camera. E' fatta salva da tale riserva di giurisdizione la sola decadenza per assenze prevista dai regolamenti. (...)
Ebbene, con tutto questo armamento difensivo dell'esistenza del parlamento, tale da far assurgere l'esistenza e continuità istituzionale a principio generale, che c'entra l'idea di spegnerlo? Nulla. Non è infatti ipotizzabile che, quando si è steso l'ordinamento, lo si volesse distrutto. Ciò che si crea non lo si vuol distruggere. E' doveroso prima di tutto sgombrare dal campo che questa fosse la nostra volontà.
Miriadi di allocuzioni testimoniano che pensavamo a un gioco più grande e più importante di quello che esso è ora. E' dunque ovvio che intendessimo proprio evitare quel tipo di incompletezza che minaccia la sopravvivenza delle istituzioni di cui parlava Santi Romano. Quell'incompletezza che purtroppo è sopravvenuta per i fatti elencati nel ricorso, che compendiano con chiarezza una situazione di pericolo per la cosa pubblica.
Il principio del numero legale delle Camere è, infatti, un principio iscritto nella Costituzione che fu approvata nel medesimo giorno in cui veniva approvata la Costituzione, che è generale e non speciale, e che tuttavia, in un preciso caso sopravvenuto per una mutazione di circostanze di fatto, contraddice e annulla se stesso, dando con ciò adito all'esistenza di quella lacuna dell'ordinamento, circa una terza norma che dica cosa fare, che abilita questa Corte a trovarla.
Riprendo qui, il testo del ricorso:
<<E' noto che il principio del numero legale necessario è posto a tutela di quei componenti che non devono essere postergati nel loro diritto di decidere esercitando la propria funzione da convocazioni in giornate di festa, in periodi di disattenzione, notturne, o comunque scorrette perchè calendarizzate consapevolmente dalla presidenza d'aula in date nelle quali essa sia consapevole della impossibilità dei di parlamentari di parteciparvi. Come è chiaro, usualmente il principio autolimita se stesso perchè è formulato con il limite che l'impedimento dei membri a esser presenti rileva solo se è la maggioranza dei membri a mancare. Ma che succede se la maggioranza non manca per colpa di una convocazione scorretta, ma semplicemente perchè non ha nessun interesse a partecipare? Ebbene succede che il principio, se letto solo letteralmente, contraddice se stesso, e per tutelare parlamentari che non hanno alcun interesse violenta il diritto di decidere di parlamentari che invece hanno interesse a farlo>>
Di fatto, in tutti quei casi in cui il principio non consegue ad arbitri dell'ufficio di presidenza per creare assenze ma ad assenze vere indipendenti da qualunque data, ed anche conseguenti a sistematiche mancanze di avvisi della propria assenza o dialettiche sulla data di fissazione delle sedute, il principio configurerebbe se stesso come una sospensione dell'ordinamento per più motivi. Prendo il caso del Senato:
- Perchè se 4 su 10 mancano esso costringe il quinto a venire magari contro i suoi impegni, o gli lascia il diritto, semplicemente assentandosi per scelta, di imporre alla maggioranza la legge della minoranza (E lo dico contro i miei interessi).
- Perchè se 5 su 10 mancano la metà del parlamento di fatto licenzia l'altra metà.
- Perchè se 6 su 10 mancano la maggioranza del parlamento decide di licenziare la minoranza.
A lume di questo la realtà però dimostra che, quando un parlamentare come me, presente e danneggiato nella mia azione di rappresentanza del popolo, denuncia questo problema e pone una controversia, i due presidenti delle camere rifiutano di interpretare diversamente il testo del comma 3 dell'articolo 19.
Questo accade nonostante, come abbiamo visto, il suo testo scritto letterale contrasti con il senso e il testo scritto letterale di altre norme, creando così una controversia insolubile se non per una via interpretativa che introduca una terza norma ai sensi del principio di completezza per via giudiziaria. Una norma destinata a valere da discrimine tra quelle assenze che rilevano ai fini del numero legale, e quelle che non rilevano ai suoi fini.
Ed eccoci qui. Come uscirne, quale è la terza norma? Come ho suggerito essa -si badi, interpretativa, cioè non destinata a essere "scritta nella costituzione", ma solo a essere "tenuta presente" da chi interpreta in ogni situazione in cui si trovi a farlo potrebbe- ben essere questa (nb. ho fatto una modifica rispetto al ricorso che non cambia la sostanza):
<<La disposizione per la quale "Le deliberazioni d'aula non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti" non si applica secondo il suo senso letterale in quei casi in cui l'assenza dei componenti, o di una parte di essi con la presenza della quale vi sarebbe la maggioranza dei membri, visibilmente non consegua dalla data di calendarizzazione arbitrariamente prescelta ma dalla decisione di rifiutare la partecipazione e dalla negligenza nel consultare i 3d delle convocazioni e comunicare le proprie indisponibilità e le richieste di spostamento, che sia constatata dal presidente della camera d'appartenenza. In tale caso il presidente l'aula può dichiarare valida ogni votazione sulla sola base della maggioranza dei presenti (o la più alta richiesta) stabilita dal successivo testo dell'articolo 19.>>
Con tale norma interpretativa si otterrebbero molti risultati: Rimarrebbe impossibile ai presidenti convocare in modo proditorio per approvare con tre persone a meno che le tre persone non siano anche le uniche con un reale interesse legittimo a partecipare, volendo le altre fregarsene e non esserci; resterebbe in mano alla corte, se venisse mai posto il problema, un giudizio di mero fatto assolutamente gestibile, teso a decidere, per ogni convocazione, se chi -risultato assente- lamentasse lo svolgimento di un voto senza quorum si fosse A) occupato di seguire minimamente le convocazioni B) occupato di dire "no io l'11 non posso". Basterebbe consultare i 3d per averne contezza. Fuori dal caso dell'assenza australiana, quindi in caso di assenze normali, con una dialettica e presenza minima, e in caso di convocazioni proditorie la seduta se convocata comunque sarebbe nulla a giudizio della Corte, e resterebbe così difesa la legittimità popolare. Sarebbe infatti legittimo per gli aventinisti che coagulassero la metà dell'aula dire "io non vengo al parlamento perchè non voglio lasciarvi discutere di questo", però occorrerebbe che "lo dicessero", cioè che esprimessero il loro rifiuto con un motivo legittimo, e non ponendo l'inattività come conseguenza di uno sciatto assenteismo rispetto al quale l'altra metà dell'aula non avrebbe neppure il diritto di arrendersi!
La terza norma proposta:
- non contrasta con il senso razionale del comma 3 dell'art. 19 ma neppure con il senso degli altri suoi commi e degli articoli 8 e 10 della Costituzione
- mantiene la difesa dell'istituto del quorum rispetto a convocazioni proditorie ed anche la rappresentanza di posizioni aventiniste nel caso limite del 50% di assenteisti "aventinisti"
- supplisce efficacemente alla mancanza di una norma per la decadenza degli assenti della Camera, che è inapprovabile se la Camera non ratifica un testo del Senato proprio per le medesime assenze della Camera, consentendo di approvare un sistema di decadenze che risolva il problema "di fatto"
L'unica condotta resa impossibile in concreto sarebbe insomma quella di chi, partito per l'Australia senza preavviso con quattro colleghi, tornasse e pretendesse che tutti noi avessimo dovuto aspettarli 9 mesi chiudendo il gioco, con danno per tutti quelli che hanno votato e volevano e giustamente rivendicavano un parlamento che lavorasse e producesse le loro norme, le nomine dei mods e quant'altro ad esso demandato.
Per tutti questi motivi, insisto nelle conclusioni rassegnate e mi dichiaro disponibile a rispondere alle domande delle S.S.V.V. Ecc.me
Sen. Ronnie
1. Senatore del Regno, Accademico dei Lincei, Professore ordinario di diritto Costituzionale all'Università la Sapienza di Roma, già Presidente del Consiglio di Stato (Palermo, 1875 - Roma, 1947)
2. Pubblicazioni della facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Modena, 1925, n. 7. II.