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    Predefinito "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    L’Italia e le catene dell’euro



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    Fausto Panunzi

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    Nel 2014 i sentimenti anti-euro si sono rafforzati in molti paesi. E il nuovo libro di Alberto Bagnai aggiunge nuovi argomenti a favore di un’uscita dell’Italia dalla moneta unica, in modo da riacquistare la sua sovranità monetaria e fiscale. Ma quale sarebbe la geografia dell’Europa post-euro?

    LA CRESCITA DEGLI EUROSCETTICI
    Dal punto di vista politico, la tendenza più rilevante dell’anno che sta per finire è stata l’ingrossamento del fronte anti-euro in molti paesi europei, Italia inclusa. La sostenibilità della moneta unica è stata messa in discussione da autorevoli commentatori economici e la necessità di profonde revisioni dei meccanismi di funzionamento dell’Eurozona è sostenuta ormai praticamente da tutte le forze politiche italiane.
    In questo clima è uscito il nuovo libro di Alberto Bagnai, “L’Italia può farcela”. Il primo libro dell’autore, “Il tramonto dell’euro”, uscito nel 2012, aveva come sottotitolo “come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa” e conteneva gran parte delle argomentazioni che i movimenti euroscettici usano oggi per sostenere le loro posizioni. In particolare, Bagnai, anche nel suo seguitissimo blog Goofynomics, faceva osservare come l’Eurozona non abbia le caratteristiche dell’area valutaria ottimale. La mancanza di una lingua comune, l’esistenza di mercati del lavoro e di sistemi d’istruzione disomogenei rappresentano un ostacolo alla mobilità dei cittadini europei. La mancanza di meccanismi di redistribuzione fiscale a livello europeo, abbinata all’impossibilità di svalutare e quindi di aumentare la domanda mediante il canale delle esportazioni, rende particolarmente lunga e penosa la crisi per i paesi della periferia dell’Eurozona, sprovvisti di una politica monetaria autonoma e limitati nella loro politica fiscale dai parametri di Maastricht e dal fiscal compact. Bagnai cercava anche di smontare le paure delle conseguenze catastrofiche della svalutazione della moneta, facendo osservare come nel 1992, la perdita di valore della lira abbia avuto effetti piuttosto limitati sull’inflazione è abbia contribuito invece a rilanciare velocemente l’economia italiana.
    Il nuovo libro di Bagnai aggiunge altri temi a quelli contenuti nel “Tramonto dell’euro”. Uno di essi è la crescente divaricazione tra produttività e salari osservata in molti paesi europei, ma in particolare in Germania, negli ultimi anni. Secondo l’autore, la compressione della quota salari ha causato una riduzione della domanda interna, alla quale si è risposto da una parte cercando di vendere la produzione in eccesso all’estero, con la creazione di forti squilibri commerciali, e dall’altra cercando di facilitare l’accesso al credito dei lavoratori, creando le premesse per l’enorme aumento del debito privato, causa ultima della crisi che stiamo vivendo. Questo tema somiglia, per certi versi, a quello avanzato da Raghuram Rajan, attuale governatore della Reserve Bank of India, nel suo libro “Fault Lines”, in cui si identifica una delle concause della bolla immobiliare in una regolamentazione volta a render più facile l’accesso ai mutui, nel tentativo di limitare le possibili conseguenze sociali di una crescente disuguaglianza.

    L’ITALIA E I VINCOLI ESTERNI
    Un secondo tema del nuovo libro di Bagnai è il fallimento del cosiddetto “vincolismo”, cioè l’idea che la classe politica italiana fosse irreparabilmente incapace e corrotta e che quindi fosse ottimale delegare la gestione della politica economica ad autorità tecniche o sovranazionali. L’incapacità dei governi italiani di contenere l’espansione di spesa pubblica e debito negli anni Ottanta ha portato a vedere nei vincoli dei trattati europei e nel controllo della Commissione europea una via di uscita per la risoluzione ai problemi italiani. Ma l’Europa si è rivelata da un lato incapace di far rispettare i trattati quando nel 2003 è stata la Germania a violarli e dall’altro sta mostrando un’incredibile mancanza di lungimiranza, una quasi cecità, nel non voler concedere margini di flessibilità ai paesi della periferia nemmeno nel momento più acuto della crisi. Abbiamo delegato, senza troppo pensarci, la politica economica ad altri soggetti, dando per scontato che fossero migliori di noi e benevolenti. Abbiamo rinunciato al controllo democratico delle politiche economiche per ottenere che cosa?
    La rinuncia alle svalutazioni competitive imposta dall’adesione all’euro ha costretto le imprese a competere mediante una riduzione dei costi e, in particolare, attraverso un contenimento delle retribuzioni dei lavoratori. Questo è un altro tema del nuovo libro di Bagnai: la rinuncia alla flessibilità del cambio conduce alla flessibilità nel mercato del lavoro e a un’accentuazione del conflitto tra imprenditori e forza lavoro. Solo i settori in cui il progresso tecnico gioca un ruolo cruciale o esiste potere di mercato dovuto alla differenziazione del prodotto escono da tale schema.
    Molti commentatori hanno fatto osservare come la crisi italiana sia iniziata da ormai quasi vent’anni, quando la produttività delle imprese italiane si è di fatto arrestata. Non è quindi azzardato “dare la colpa” all’euro? Bagnai fa osservare che la ridotta crescita della produttività è iniziata quando l’Italia ha rinunciato alla flessibilità del cambio, prima con lo Sme – il sistema monetario europeo- e poi con la preparazione all’ingresso nell’euro. Su questo punto val la pena di osservare che esistono teorie alternative, come quella di Luigi Zingales, avanzata nel suo libro “Europa o no”, secondo cui l’Italia è stata meno capace di altri paesi, a causa della sua struttura produttiva, di adattarsi alla rivoluzione dell’Ict. Ma anche se la spiegazione di Bagnai si rivelasse corretta, sarebbe fondamentale investigare più in profondità le ragioni per le quali l’Italia sia stata incapace di adattarsi, in tanti anni, all’introduzione dei cambi fissi.
    Vista l’analisi svolta da Bagnai, è facile capire il titolo del suo nuovo libro: l’Italia può farcela, ma solo a patto di riprendersi la sua sovranità, monetaria e fiscale, abbandonando di conseguenza la moneta unica. L’autore è molto onesto nell’ammettere che un ritorno alla lira sarebbe solo una condizione necessaria, ma non sufficiente per il rilancio dell’economia italiana e non eviterebbe sacrifici e problemi agli italiani.

    L’EUROPA POST-EURO
    Ci sono molte obiezioni che si possono fare alle tesi avanzate nel libro di Bagnai, come peraltro accade sempre in economia. Preferisco tuttavia concentrarmi su un solo punto. Credo sia facile concedere che l’Eurozona non è un’area valutaria ottimale. Ma quali sono le alternative? Una volta lasciato l’euro, cosa può aspettarsi ad esempio il Meridione Italia? Di stare nella stessa unione con il Settentrione, cioè di realizzare una combinazione di economie con diverso grado di sviluppo e competitività e asimmetricamente esposti agli shock economici. La vera differenza rispetto alla situazione attuale sarebbe la possibilità di effettuare trasferimenti interni, quelli che l’Europa si è finora rifiutata di considerare, come ad esempio l’assicurazione contro la disoccupazione finanziata a livello europeo. Ma cosa rende i trasferimenti politicamente accettabili? Riprendendo studi di altri ricercatori, tra i quali Alberto Alesina, Bagnai nota come negli ultimi anni il numero di nazioni sia aumentato sensibilmente, mostrando la fragilità della coesione sociale in molti stati. la stessa Europa è attraversata da una crisi d’identità di alcuni paesi: si pensi al referendum per l’indipendenza scozzese, anche se fallito, a quello senza conseguenze giuridiche dei catalani, alla crisi che attraversa il Belgio, con la frattura tra valloni e fiamminghi. L’Italia è in qualche modo un’eccezione perché una forza tradizionalmente separatista, la Lega Nord, sta cercando di accreditarsi come partito politico nazionale. Ha senso dunque pensare che l’eventuale disgregazione dell’euro farebbe tornare alle valute nazionali sulla base dei confini nazionali attuali o si creerebbero le condizioni per aggregazioni più piccole? Quale sarebbe la geografia dell’Europa post-euro?
    Si può concordare con le ricette di Bagnai o esserne fieri avversari, si può ritenere a volte eccessiva la sua vis polemica, ma va riconosciuto che i suoi libri hanno senza dubbio il merito di avere stimolato e arricchito il dibattito sull’euro e sul futuro dell’Europa.

    Alberto Bagnai, L’Italia può farcela. Equità, flessibilità e democrazia. Strategie per vivere nella globalizzazione, Il Saggiatore, 2014, pp. 494.



    http://www.lavoce.info/archives/3207...tene-delleuro/

  2. #2
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    quelli di lavoce.info, mi pare, sono sempre stati pro-euro, e hanno sempre considerato l' uscita un' ipotesi catastrofica, mi fa piacere che si inizi razionalmente ad ascoltare altre voci, e francamente, data la situazione, mi pare il minimo... almeno non è più un tabù così assoluto come lo era fino a poco tempo fa

    pur non condividento in generale l' orientamento economico(e politico) di bagnai, non prendere atto che questa 'austerità competitiva' sia una catatrofe vuol dire essere in malafede, oppure un po' tocchi... si taglia quando si cresce! non in recessione! è una roba di una banalità sconcertante, eppure... abbiamo fatto l' esatto opposto

    in particolare sono daccordo con questo

    L’autore è molto onesto nell’ammettere che un ritorno alla lira sarebbe solo una condizione necessaria, ma non sufficiente per il rilancio dell’economia italiana e non eviterebbe sacrifici e problemi agli italiani.

    Ultima modifica di Indra88; 23-12-14 alle 21:42

  3. #3
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Citazione Originariamente Scritto da Indra88 Visualizza Messaggio
    quelli di lavoce.info, mi pare, sono sempre stati pro-euro, e hanno sempre considerato l' uscita un' ipotesi catastrofica, mi fa piacere che si inizi razionalmente ad ascoltare altre voci, e francamente, data la situazione, mi pare il minimo... almeno non è più un tabù così assoluto come lo era fino a poco tempo fa

    pur non condividento in generale l' orientamento economico(e politico) di bagnai, non prendere atto che questa 'austerità competitiva' sia una catatrofe vuol dire essere in malafede, oppure un po' tocchi... si taglia quando si cresce! non in recessione! è una roba di una banalità sconcertante, eppure... abbiamo fatto l' esatto opposto

    in particolare sono daccordo con questo

    L’autore è molto onesto nell’ammettere che un ritorno alla lira sarebbe solo una condizione necessaria, ma non sufficiente per il rilancio dell’economia italiana e non eviterebbe sacrifici e problemi agli italiani.

    Non mi risulta che qualche Stato abbia fatto dei tagli nella spesa pubblica, che ha raggiunto ovunque in Europa e in Italia livelli record.

    I governi non hanno praticato proprio nessuna austerità, ma hanno continuato ad abbuffarsi più e peggio di prima.

    L'unica austerità l'hanno fatta i privati tartassati.

  4. #4
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    insomma, i greci soprattutto ma anche gli spagnoli e i portoghesi li hanno fatti i tagli! e non mi pare che se la passino granchè bene... anzi...

    per chiarezza, io non sono contro i tagli! occorre tagliare, ma non in recessione... quindi o svalutano sto cavolo di euro, oppure meglio uscire... le 'cure' greche cercherei proprio di evitarle...
    Ultima modifica di Indra88; 24-12-14 alle 17:18

  5. #5
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Il problema dell'Europa è essersi costruita intorno una camicia di forza senza le istituzioni necessarie a governarla. Se c'è una crisi non c'è rimedio, praticamente la Gran Bretagna ha subito meno contraccolpi della Spagna pur avendo i medesimi problemi perché ha svalutato la sterlina e alzato il deficit fino al 10% nei momenti più difficili. L'Euro e la BCE nn sono vere istituzioni comuni, sono i paesi europei ad aver adottato il marco tedesco e la bundesbank come banca centrale e infatti alla Germania va benissimo così perché per loro non è cambiato nulla rispetto a come stavano prima ma anzi avendo costretto altri ad adottare le loro istituzioni hanno guadagnato tantissimo visto che oltre il 50% dell'attivo estero del paese è stato accumulato dopo il 2000, chissà come mai?

    E' chiaro che uscire dall'euro però non è nemmeno una panacea: è pieno di stati sovrani in default o in crisi, basti vedere quello che sta capitando alla Russia con la sua sovranissima moneta andata a picco e previsioni foschissime su un PIL 2015 a -4,7%.

    L'Europa deve completare le sue istituzioni, se c'è la politica monetaria unica ci vuole pure quella fiscale e se serve il QE quello va fatto senza che uno stato dica di no perché teme di rimetterci bloccando così tutta l'Unione in una spirale recessiva senza fine. E le riforme strutturali vanno comunque fatte, visto che magari se l'Italia e la Francia avessero riformato loro stesse nel 2005 come ha fatto la Germania ora forse si sarebbero adattate meglio.
    "la Le Pen col 40% avrà incassato una grande vittoria" (Candido)


  6. #6
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Citazione Originariamente Scritto da Indra88 Visualizza Messaggio
    insomma, i greci soprattutto ma anche gli spagnoli e i portoghesi li hanno fatti i tagli! e non mi pare che se la passino granchè bene... anzi...

    per chiarezza, io non sono contro i tagli! occorre tagliare, ma non in recessione... quindi o svalutano sto cavolo di euro, oppure meglio uscire... le 'cure' greche cercherei proprio di evitarle...
    urka che tagli!
    "Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue" Phineas Taylor Barnum

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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Ah già dimenticavo chew Indra è quella che se il sole è giallo si deve uscire dall'euro e se è nuvoloso si deve uscire dall'euro, invece se nevica.. si deve uscire dall'euro.. quindi non serve a nulla discutere di fatti.
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  8. #8
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Indra88 dice: "occorre tagliare, ma non in recessione":

    La spesa pubblica italiana era 450 miliardi vent'anni fa, oggi ha superato gli 800 miliardi. Se veramente la spesa pubblica fosse anti-recessiva, l'Italia dovrebbe essere un paese a sviluppo economico esponenziale.

    In verità la spesa pubblica non fa altro che dirottare risorse dal settore privato, dove è generalmente ben investita, al settore pubblico, dove finisce in una cloaca senza fondo. Quindi è, nel 99 % dei casi, estremamente recessiva.
    Ultima modifica di Mister Libertarian; 26-12-14 alle 01:15

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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)



    Se avessimo speso tutti gli anni la stessa cifra a livello reale, ovvero solo con aumenti inflazionistici avremmo risparmiato......


    €1.194.396.930.281,53


    Ai valori di inzio anno.
    "Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue" Phineas Taylor Barnum

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  10. #10
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    Predefinito Re: "L'Italia e le catene dell'Euro" (da www.lavoce.info)

    Citazione Originariamente Scritto da Mister Libertarian Visualizza Messaggio
    Indra88 dice: "occorre tagliare, ma non in recessione":

    La spesa pubblica italiana era 450 miliardi vent'anni fa, oggi ha superato gli 800 miliardi. Se veramente la spesa pubblica fosse anti-recessiva, l'Italia dovrebbe essere un paese a sviluppo economico esponenziale.

    In verità la spesa pubblica non fa altro che dirottare risorse dal settore privato, dove è generalmente ben investita, al settore pubblico, dove finisce in una cloaca senza fondo. Quindi è, nel 99 % dei casi, estremamente recessiva.
    Non puoi ragionare in modo ideologico o parlare del pregresso: se c'è una depressione dovuta al tracollo del settore privato in cui nessuno investe, nessuno presta e nessuno assume anzi la disoccupazione aumenta, tagliare pure la spesa pubblica è semplicemente suicida perché al tracollo del settore privato vai ad aggiungere il tracollo del settore pubblico con il risultato tra l'altro di peggiorare il livello del debito come è successo in Grecia visto che le entrate fiscali crollano per la recessione e gli stabilizzatori automatici per i disoccupati si impennano (a meno che non vuoi tagliare pure quelli e spedire milioni di persone alla caritas)
    "la Le Pen col 40% avrà incassato una grande vittoria" (Candido)


 

 
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