L'eredità internazionale del presidente Giorgio Napolitano - rivista italiana di geopolitica - Limes

di Alessandro Aresu
Dopo questi 9 anni, il prossimo capo di Stato non potrà essere scelto solo in base a considerazioni di politica interna.

"Perché l'Italia e l'Europa non funzionano più" - Intervista a Romano Prodi


[Il presidente Giorgio Napolitano, quinto da destra, durante il 70° anniversario dello sbarco in Normandia. Fonte: gettyimages. Foto di Peter Macdiarmid]

La politica è per definizione il luogo in cui tutti si riempiono la bocca col pensiero lungo, mentre in realtà pensano all’immediato.

In Italia, esiste però una carica istituzionale che esige oggi, al di là della retorica, un’attenzione al lungo termine e alla strategia generale del paese: la presidenza della Repubblica.
La sua importanza è legata a tre fattori principali:


  • il crescente rilievo del rischio politico in Europa;
  • il rafforzamento del ruolo di supplenza della presidenza della Repubblica a partire dalla fine della guerra fredda;
  • la lunga durata del mandato presidenziale - 7 anni - rispetto alla volatilità dei governi. Evidenza che per qualunque osservatore internazionale potrà essere cambiata solo dai fatti, ovvero quando lo stesso gruppo dirigente governerà l’Italia per un decennio, ottenendo risultati tangibili. Se ciò avvenisse troppo tardi, ci ritroveremmo definitivamente eterodiretti.


Un’immagine illustra plasticamente il riconoscimento internazionale di Giorgio Napolitano. È la foto scattata a Ouistreham il 6 giugno 2014, in occasione della cerimonia per i settant’anni dello sbarco in Normandia. Il presidente della Repubblica, che nella sua comunicazione al ritorno in Italia ha tenuto a ricordare il battesimo dell’esercito italiano nella battaglia di Rignano Montelungo, siede accanto al presidente degli Stati Uniti.

Il “comunista preferito” di Henry Kissinger si recò negli Stati Uniti già nel 1978 - tre anni dopo il rifiuto del visto - come ospite di prestigiose università, grazie all’azione di Joseph La Palombara e Stanley Hoffmann. Stiamo quindi parlando di uno statista riconosciuto già quarant’anni fa, poi protagonista dell’integrazione europea e voce consapevole nelle principali aree di crisi che coinvolgono l’Italia odierna.
Inoltre, sul piano interno, Napolitano ha colto nel secondo mandato un punto decisivo e sottovalutato nel paese dove è avvenuta la "vicenda Stamina": l’importanza del rilancio della ricerca e del ruolo pubblico della scienza, con la nomina di Elena Cattaneo a senatore a vita e la citazione di esempi positivi come Fabiola Gianotti, Samantha Cristoforetti e i medici dell'ospedale Spallanzani di Roma nell’ultimo discorso di fine anno.
Pertanto, sebbene il giudizio su Giorgio Napolitano in questo breve secondo mandato - generato dall’incapacità del parlamento nel 2013 - abbia diviso gli italiani, l’immagine dell’Italia nello scenario internazionale si confronterà con la sua eredità e con l’aspettativa di una figura all’altezza.
Ciononostante, la capacità di incarnare il profilo internazionale dell’Italia, legando sempre più strettamente politica interna e politica estera, è un elemento poco o per nulla considerato nella costruzione dell'identikit del nuovo presidente. Questa sottovalutazione è legata, realisticamente, a ragioni di politica spicciola: spesso la cultura internazionale del ceto politico della seconda Repubblica non è elevata, quindi accentuare questo elemento non aiuta i candidati che nel loro curriculum non hanno esperienze e contatti internazionali. Le figure percepite a torto o a ragione come “ultima spiaggia” per il rilancio della politica sono invece troppo giovani per salire al Colle.



Eppure, il prossimo presidente della Repubblica - oltre che il rappresentante dell’unità nazionale - sarà in ogni caso il garante di ultima istanza della credibilità internazionale dell’Italia e il primo interlocutore - in lingua inglese - dei nostri principali partner. Su questo punto non potrà avvenire, in tempi brevi, uno spostamento netto di potere e un cambiamento di “costituzione materiale internazionale”, perché non dipende da noi, mentre sul piano interno il ruolo della presidenza della Repubblica sarà di fatto ridimensionato.



Il prossimo mandato presidenziale coprirà senz’altro un’epoca di trasformazione strategica per l’Italia. Per questo, il presidente dovrà essere in grado di affrontare alcune domande: cosa sarà l’Eurozona nel 2022 (anno dell’elezione del presidente Mohammed Ben Abbes in Francia, nell’ultimo romanzo di Houellebecq)? Sarà tecnicamente possibile continuare ad allungare il brodo o si procederà verso una compiuta integrazione economica e politica, e se sì, con quali strategie e con quali interlocutori? In che modo l’Italia e l’Europa affronteranno - culturalmente e politicamente - la stagione successiva agli eventi di Parigi?

Nei prossimi sette anni, la credibilità dell’Italia sarà strettamente legata a quella del nuovo presidente della Repubblica di fronte a queste domande cruciali.