Articolo dal sito del Garantista.

Per introdurre il tutto, i "testimoni di giustizia" non sono da confondersi con i "collaboratori di giustizia / pentiti". I testimoni di giustizia non hanno commesso alcun reato, sono persone che semplicemente vedono commettere dei reati, li denunciano e chiedono protezione allo Stato contro eventuali ritorsioni da parte dei denunciati. Un testimone di giustizia tipico può essere l'imprenditore che rifiuta di pagare il pizzo e si rivolge allo Stato per farsi proteggere. Uno di essi ha fatto così credendo nello stato e si è ritrovato fallito. E' triste da dire, ma se avesse pagato il pizzo stando zitto forse non sarebbe fallito. Non che sia giusto pagare il pizzo, anzi, ma lo stato dovrebbe fare di più, la vera lotta alla mafia è in questo, non dando 41 bis a manetta per pulirsi la coscienza.

«Ho sfidato le cosche ma fallisco per colpa del piano protezione» | Il Garantista


Non sono dei “pentiti”. Sono imprenditori, e semplici cittadini, che da vittime della mafia ne diventano accusatori. Lo Stato dovrebbe sostenerli, per affermare la propria vittoria sul crimine. Il che però costa
. E in tempi di crisi, finisce che le aziende da sostenere con le risorse della Commissione centrale del Viminale, guidata dal viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, muoiono d’inedia.

Succede a uno degli uomini simbolo dell’imprenditoria protetta, Ignazio Cutrò, costretto ad alzare bandiera bianca, a vedere fallire la sua azienda di costruzioni di Bivona, nell’Agrigentino. Lo denuncia lui stesso con un comunicato molto duro: «Da oggi non sono più un imprenditore. La mia azienda edile non esiste più. E’ stata cancellata perché non ero più in grado di sostenerla per i debiti che in questi anni di non lavoro si sono accumulati. E’ stata cancellata dal silenzio dello Stato, dall’omertà di uno Stato che a parole fa la lotta alla mafia e nei fatti abbandona chi denuncia. A me ed alla mia famiglia non resta più nulla se non l’amarezza di chi ha creduto e crede in una lotta sana, reale e concreta contro le mafie».
Parole che suonano come un de profundis per un’intero sistema. «Se un giorno qualcuno vorrà riprendere sul serio la lotta alla mafia e al racket io sarò al suo fianco», dice Cutrò, «ma oggi, e lo dimostra non soltanto la mia vicenda personale ma le centinaia di inchieste aperte in tutta Italia, la lotta alla mafia è un fatto riservato a investigatori e magistrati che lavorano tra ostacoli e difficoltà. Sparito nei fatti dall’agenda della politica».
A manifestare solidarietà con l’imprenditore di Agrigento è l’Associazione testimoni di giustizia, di cui Cutrò è presidente, con un comunicato altrettanto severo nei confronti del governo: «Se c’è un marchio di infamia nella lotta contro le mafie questa infamia sta tutta dentro la fine ingloriosa dell’azienda edile dell’imprenditore Ignazio Cutrò, definitivamente chiusa per poche migliaia di euro» e «nel più assoluto silenzio e menefreghismo del ministero dell’ Interno».