La rappresaglia della Giordania contro lo Stato Islamico - rivista italiana di geopolitica - Limes

di Alberto Natta
Dopo l'uccisione del pilota Muath Al-Kasasbeh, Amman può contare sul sostegno della popolazione per combattere i jihadisti. Ma un impegno di lungo periodo sarebbe difficilmente sostenibile.

E se Lawrence d'Arabia avesse avuto ragione?

[Carta di Laura Canali, clicca sull'immagine per ingrandire]

L’uccisione del luogotenente Muath Al-Kasasbeh, pilota dell’aviazione militare giordana, potrebbe ridisegnare gli equilibri nella lotta contro lo Stato Islamico (Is) in Siria e Iraq. La vicenda si inserisce in un periodo delicato per il regno hashemita che a partire dallo scoppio della crisi siriana si è ritrovato a dover bilanciare le necessità di stabilità interna con le pressioni internazionali per un maggiore coinvolgimento nelle vicende militari regionali.










Il ruolo giordano nella crisi in Siria
Il supporto di Amman all’alleato americano nella crisi siriana non ha mai trovato ampio consenso tra la popolazione giordana. Le influenze tribali giocano ancora un ruolo decisivo nella politica del regno. Fino all’estate del 2014 la Giordania ha dato un sostegno indiretto fornendo appoggio per basi militari statunitensi, ospitando campi di addestramento per i ribelli siriani, convogliando armi provenienti dai paesi del Golfo e accogliendo più di 600 mila rifugiati.
A partire dal settembre 2014 Amman ha invece assunto un ruolo più diretto, unendosi ad altri paesi arabi nella coalizione anti-Is e conducendo bombardamenti in Iraq e in Siria. Il governo si è così ritrovato da un lato a supportare i ribelli siriani contro il regime di Asad (in particolare nel Sud della Siria) e dall’altro ad aiutare indirettamente lo stesso Asad contrastando le forze dell’Is nel nord della Siria. Tale situazione ha provocato dissenso e una certa diffidenza da parte di numerose frange della popolazione che parlavano di un coinvolgimento "in una guerra che non è la nostra".
La morte del luogotenente Muath Al-Kasasbeh
Il dissenso si è ulteriormente inasprito con il sequestro del pilota giordano il 24 dicembre, quando il suo aereo è stato abbattuto mentre conduceva operazioni a bassa quota sopra il territorio siriano. Circa un mese dopo il rapimento, l'Is si era detto pronto a liberare il pilota e il secondo ostaggio giapponese, il giornalista Kenji Goto, in cambio del rilascio della militante irachena, Sajida Al Rishawi, detenuta nelle prigioni giordane.
Amman, non senza ricevere critiche da parte degli americani, si era detta disponibile allo scambio a patto che fossero state date prove che Muath Al-Kasasbeh fosse ancora vivo. Si dice che il governo avesse deciso di rilasciare Al Rishawi - coinvolta negli attentati contro alcuni hotel di Amman nel 2005 - in quanto essa costituiva un puro valore simbolico per l’Is, senza costituire una minaccia operativa diretta.
Una tale decisione dimostra come l’establishment giordano, che aveva ricevuto numerose pressioni da parte delle tribù legate alla famiglia del pilota, fosse intenzionato a mantenere la stabilità interna e il consenso tra le varie fazioni locali. Nel frattempo, numerose dimostrazioni per uscire dalla coalizione avevano luogo nelle principali città del regno.
Dopo la decapitazione dell’ostaggio giapponese, il 3 febbraio un video pubblicato dall’Is mostrava il pilota giordano mentre veniva arso vivo in una gabbia di ferro. Nelle ore successive si é appreso che il video dovrebbe esser stato girato il 3 gennaio 2015.
L’establishment giordano fa appello all’unità nazionale
Se lo scopo di questo gesto da parte dell’Is era, oltre alla propaganda interna, quello di destabilizzare la Giordania e dividerne la popolazione, ciò non è avvenuto. Dopo l’annuncio della morte del pilota, Amman ha fatto appello all’unità nazionale e alla solidarietà attorno alla tragica scomparsa. In un video alla popolazione trasmesso sulla Tv nazionale, re Abdullah II ha affermato: "restiamo vicini alla famiglia del coraggioso Muath, vicini al nostro popolo e alle nostre forze armate, perché questa è una tragedia per tutti gli uomini e le donne giordane".
Re e regina si sono recati personalmente nel villaggio di Aya, nel governatorato di Kerak, per porgere le condoglianze ai famigliari di Muath. In tale occasione Abdullah II ha dichiarato: “[mio figlio] Hussein non mi sta più a cuore di Muath”, mentre Saif Al-Kasasbeh, padre del pilota, richiedeva pubblicamente una dura vendetta contro l’Is. Dichiarazioni di solidarietà e promesse di vendetta sono giunte anche da altre cariche dello Stato, che intende così tenere uniti i cittadini contro il nemico esterno.
La rappresaglia
Dopo le dichiarazioni, Amman ha subito iniziato la rappresaglia contro l’Is.
In primo luogo, Sajida Al-Rishawi e Ziad Al-Karboli, entrambi condannati a morte per terrorismo e affiliazione ad Al Qaida, sono stati impiccati. Poi, il 5 febbraio, l’Aviazione giordana ha dato inizio all’operazione “Martire Muath”, conducendo dei raid aerei contro postazioni militari dell’Is nella città siriana di Raqqa - la capitale de facto dell’autoproclamato califfato islamico. Si parla di dozzine di mezzi dell’aviazione impegnati in tale attacco che avrebbero sorvolato la città del pilota dopo aver portato a termine l’operazione. Il giorno successivo agli attacchi l’Is ha annunciato che Kayla Jean Mueller, la volontaria americana rapita in Siria nel 2013, sarebbe morta durante i raid aerei giordani. Gli Stati Uniti hanno confermato la morte di Mueller ma sostengono sia stata uccisa dai jihadisti prima dei bombardamenti.
Una dichiarazione da parte del ministro degli Esteri giordano, Nasser Judeh, aiuta a capire l’attuale posizione del regno hashemita. In un’intervista alla Cnn egli afferma che “[l’operazione “Martire Muath] é l’inizio della rappresaglia, non l’inizio dell’impegno della Giordania nella lotta al terrorismo e di certo non è la fine”. Simili affermazioni sul ruolo di Amman contro il terrorismo hanno probabilmente l’obiettivo di dar prova agli alleati internazionali del proprio impegno e ricevere quindi ulteriore sostegno e aiuti finanziari. In tal senso va ricordato un recente accordo siglato con gli Usa, che forniranno 3 miliardi di dollari in tre anni a partire dal 2015.
Oltre ad essere un modo per assicurarsi aiuti economici, il rinnovato impegno di Amman nella lotta al terrorismo risulta anche una scelta dettata dalle attuali pressioni della popolazione locale per vendicare la morte del pilota.
La popolazione giordana unita anche sui social media
L’appello all’unità nazionale e le azioni di rappresaglia del governo hanno finora prodotto una risposta solidale da parte del popolo giordano. Il 5 febbraio più di 2 mila cittadini si sono ritrovati nel centro di Amman per manifestare contro l’uccisione di Muath. La preghiera del venerdì nella moschea principale della capitale ha visto un’ampia partecipazione, compresa quella della regina Rania.
Anche coloro che fino a poco tempo fa erano contro l’impegno in Siria condividono ora la decisione di intensificare gli attacchi contro l’Is. Tale atteggiamento si evince pure sui social network, particolarmente diffusi e influenti in Giordania soprattutto tra i giovani: gli hashtag "Siamo tutti Muath" e "Siamo tutti Giordania" hanno invaso Twitter (il secondo dei due hashtag era stato creato a seguito degli attentati nel 2005, a testimonianza dell’appello all’unità nei momenti di lutto nazionale).
Un altro messaggio emerso dai social media, ma anche dalle parole del re, riguarda la natura dell’Is, definito come non appartenente ad alcuna corrente dell’Islam. Per ribadire questo messaggio, le autorità giordane hanno rilasciato quello che sarebbe considerato il leader spirituale di Al Qaida, Abu Muhammad Al Maqdisi, che era detenuto da diversi anni. Durante un’intervista con un’emittente locale, Al Maqdisi - pur difendendo la corrente dell’Islam jihadista a cui appartiene - ha condannato duramente lo Stato Islamico. Egli ha affermato che l’Is “ha attribuito delle pratiche deprecabili, come il massacro e il rogo, al profeta Maometto. Ma l’Islam salafita non ha nulla a che fare con queste pratiche”. E ha aggiunto: “una tale leadership di Is conduce alla dispersione dei musulmani perché [...] ciò non ha niente a che fare con l’Islam".


Prospettive

Paragonata agli altri paesi del Vicino Oriente, la Giordania é l’unica a mantenere una certa stabilità, anche se basata su equilibri ancora fragili. Le difficoltà socio-economiche portate dalla crisi siriana permangono, mentre la disoccupazione giovanile rappresenta una delle principali preoccupazioni. Dissenso, povertà e disoccupazione hanno finora portato circa 1500 giordani a unirsi all’Is in Iraq ed in Siria; altri sono ancora nel regno, pronti a valicare i confini.
Il video dell’uccisione di Muath mostrava anche immagini di altri piloti giordani per la cui uccisione lo Stato Islamico sarebbe disposto a pagare una taglia. Le prese di posizione di questi giorni sembrano però giocare a vantaggio di Amman: il rischio di azioni sovversive all’interno del paese per il momento è scongiurato.
Dopo quattro giorni di attacchi aerei, ufficiali militari giordani hanno affermato di aver distrutto il 20% delle capacità dell'Is, colpendo 56 obiettivi. A partire da martedì, uno squadrone di F-16 messo a disposizione dagli Emirati Arabi, si è unito all’operazione “Martire Muath”. Sebbene poco probabile al momento, un intervento di terra - coordinato con gli Stati Uniti, l'Iraq e altri paesi della coalizione - non é da escludere a priori.
Tuttavia, l’unità e l’appoggio alle operazioni contro l’Is creatisi in questo momento in Giordania rischiano di sgretolarsi con il passare del tempo, quando potrebbero manifestarsi gli effetti politici ed economici di un impegno militare di lungo periodo. Spetterà al re e al governo il compito di mantenere unite le diverse fazioni della popolazione, procurandosi i necessari aiuti a livello internazionale e attuando politiche interne eque e condivise.