La guerra d'Ucraina è anche una guerra tra ceceni - rivista italiana di geopolitica - Limes

di Giorgio Cella
Nel Donbas, un conflitto nel conflitto: uomini provenienti dalla Cecenia combattono sia per i ribelli filorussi sia per il fronte di Kiev.

Dispute nel Caucaso

[Carta di Laura Canali, clicca sull'immagine per ingrandire]

Il 10° punto degli accordi per il cessate il fuoco siglati a Minsk il 12 febbraio indica che tutte le truppe straniere, le armi pesanti e i mercenari debbano essere ritirati dall’Ucraina.










Nei 10 mesi di conflitto per i territori dell’Ucraina orientale contesi tra le milizie indipendentiste russofone e l’esercito di Kiev si è creato, come in una matriosca, un conflitto nel conflitto: una micro-guerra civile scatenatasi al di fuori del proprio territorio nazionale tra unità paramilitari avversarie ma della stessa lingua, della stessa etnia e della stessa religione.
Le attività militari che coinvolgono gruppi armati di ceceni a supporto dei ribelli russofoni delle repubbliche popolari indipendentiste di Lugansk e Donetsk - ovvero quello che all’incirca costituiva il territorio d’imperiale memoria zarista noto in ambienti politici e accademici russi con il nome di Novorossya - o a supporto dell'Esercito ucraino sono infatti sempre più frequenti.
Le prime notizie sulla penetrazione in Ucraina di milizie cecene risalgono al maggio 2014. All'epoca il noto Vostok Batalion (Battaglione Vostok), composto principalmente da ceceni, interviene nel coadiuvare le forze separatiste russofone della Ndr (Narodnaya Donetskaya Respublika, Repubblica Popolare di Donetsk) nell’allontanamento di alcuni miliziani sospettati di saccheggio. Sempre di maggio 2014 è l’intervento dell’influente leader ceceno Kadyrov: questi negozia in modo diretto con le autorità di Kiev il rilascio di due giornalisti russi arrestati dalle autorità ucraine, ottenendo il ringraziamento pubblico da parte di Putin.
Kadyrov aveva messo pressione al governo ucraino perché rilasciasse al più presto i giornalisti; altrimenti, come scrisse sul suo account Instagram dal quale spesso si esprime anche su questioni socio-politiche e religiose, “sarebbe stata necessaria una risposta molto forte da parte del governo ceceno”. In seguito alla loro liberazione, i due giornalisti furono in effetti portati direttamente dalla capitale ucraina a Grozny. Tuttavia Kadyrov ha finora respinto ogni tipo di coinvolgimento di uomini ai suoi ordini, specificando che “se uomini armati di etnia cecena si trovano in Ucraina (o in Siria) coinvolti in attività militari, non per forza si tratta di cittadini federali russi, poiché la diaspora cecena è cospicua in Occidente, come anche in altri Stati mediorientali tra cui Giordania e Turchia. Non è possibile controllare le azioni di ogni singolo ceceno fuori dai confini nazionali”.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la presenza di miliziani ceceni in Ucraina orientale è una realtà, anche se sui numeri è difficile avere certezze. Questi miliziani, che di certo non fanno nulla per nascondere la loro presenza e la loro identità, si sono sempre definiti dobravolzi (volontari), respingendo i sospetti e le accuse di mercenarismo da parte del governo ucraino. Inizialmente è stato l’alto comando militare ucraino a segnalare la presenza di operativi armati dal Caucaso tra le file della Dnr.
Kadyrov ha dichiarato che "decine e decine di volontari ceceni sono pronti a difendere la popolazione russofona del Donbas sotto la minaccia e la violenza fascista del nuovo esecutivo di Kiev", allineandosi in questo modo alla narrativa di guerra russa che ritrae la compagine governativa ucraina nel suo complesso come una giunta nazi-fascista.
Oltre alle accuse reciproche e alle successive smentite, innumerevoli prove video mostrano formazioni di ceceni e di altri caucasici - vi sono sul campo anche unità di osseti, per quanto ci è dato sapere - che combattono nelle zone russofone a vocazione indipendentista. Una delle più note e rilevanti unità di ceceni attive nel Donbas, il già menzionato Vostok Batalion, vanta una storia piuttosto complessa che vale la pena ricordare brevemente.
Questa unità paramilitare fu creata durante il secondo conflitto russo-ceceno per volere dei russi - specificatamente dal Glavnoe razvedatel'noe upravlenie (Gru) - ovvero i potenti e antichi servizi segreti militari esterni creati da Lenin nel 1918 - da usare come strumento di pressione politica da opporre al crescente potere del clan Kadyrov. A guida del battaglione fu scelto il clan degli Yamadayev. Quest’ultimo entrò successivamente in contrasto con Kadyrov, il quale decise in seguito lo scioglimento dell’unità paramilitare. I tre fratelli al vertice del clan Yamadaev - Dzhabrail, Ruslan e Sulim - hanno fatto la stessa fine: il primo ucciso nel 2003 in Cecenia, il secondo nel 2008 a Mosca, l'ultimo l'ultimo a Dubai nel 2009.
Il Battaglione Vostok, insieme al Battaglione Zapad, ebbe un ruolo rilevante anche nella breve guerra russo-georgiana in difesa dei separatisti osseti meridionali e degli abkhazi. Già in quell’occasione, combattenti ceceni si scontrarono con miliziani ucraini schierati con Tbilisi, quasi come una sorta di anticipazione di quanto si registra oggi nel Donbas. Negli ultimi mesi invece, la questione della presenza cecena in Ucraina orientale si è evoluta in maniera inaspettata quando è emersa la notizia di un'altra unità paramilitare composta da reduci della seconda guerra russo-cecena del 1999. Tale battaglione è sotto i comandi di Isa Munayev, etnicamente ceceno ma naturalizzato danese.
Munayev, un noto generale della Repubblica d’Ichkeria, come venne denominata la Repubblica cecena indipendente dell’ex presidente Dudayev, ha nominato in memoria di quest’ultimo la sua unità Jokar Dudayev Batalion. L'unità è entrata in Ucraina per supportare l’esercito di Kiev, combattendo quindi sotto la bandiera ucraina e sotto quella della non più esistente Ichkeria. In realtà, c’è stata un iniziale reticenza da parte del governo ucraino ad accettare l’assistenza militare di Munayev e dei suoi uomini, non sapendo con certezza come poterli inquadrare nelle operazioni anti-terrorismo, in quanto unità armate di cittadini non ucraini.
Il ministro degli Interni Avakov ha risolto il dilemma giuridico dotando i miliziani di carte d’identità ucraine e mandandoli al fronte senza ulteriori esitazioni. Munayev ha motivato la sua attività militare nel contesto ucraino con un discorso dal carattere puramente storico-politico, dichiarando: “gli ucraini sono parte integrante della lotta all’imperialismo russo e condividono i nostri sforzi di decolonizzazione del Caucaso. Risulta doveroso ripagare gli ucraini ora, dato che alcuni volontari ucraini diedero le loro vite combattendo per la liberazione della Repubblica di Ichkeria”.
In questo quadro, emerge ancora una volta la particolare combattività e lo spirito marziale connaturato in questo antico popolo caucasico che, oltre a schierare decine di jihadisti nella guerra in Siria tra le fila dello Stato Islamico (Is), vanta propri miliziani armati sui due fronti della guerra in Ucraina orientale, che può essere quindi inquadrata come una sorta di guerra civile cecena extraterritoriale. Si scontrano da un lato le fazioni legate a Kadyrov (quindi filorusse), dall’altro quelle della diaspora che si battono tuttora contro Mosca in un’ottica revanscista e anti-imperialista.
Per fermare Munayev sono state dispiegate rapidamente unità speciali allo scopo di eliminarlo. Obiettivo portato a termine, dato che il primo febbraio 2015, nel tentativo di soccorrere l’esercito ucraino inchiodato dalle forze separatiste della Dnr, Munayev è rimasto ucciso nella feroce battaglia per la strategica città di Debaltseve. La figura di Munayev rappresentava evidentemente un pericolo insidioso per Mosca così come per Grozny, poiché avrebbe potuto attrarre molti giovani ceceni della diaspora europea e mediorientale in Ucraina orientale dove, contrariamente al conflitto in Siria, è possibile danneggiare la Federazione Russa e i suoi interessi in modo diretto. In secondo luogo, avrebbe potuto verificarsi un flusso di militanti armati ostili a Kadyrov pericolosamente vicini al Caucaso stesso.

In questo contesto, in mancanza della componente islamica nel contesto bellico ucraino, non c'è la riproposizione del tipico scontro interreligioso o più precisamente interconfessionale che ha insanguinato la Cecenia così come altre repubbliche del distretto federale del Caucaso settentrionale negli ultimi anni. Si tratta della violenta contrapposizione tra ceceni musulmani di ispirazione wahhabita favorevoli all'instaurazione di un chimerico Emirato del Caucaso e i ceceni musulmani tradizionali d’ispirazione sufi fedeli allo Stato ceceno retto attualmente da Ramzan Kadyrov. Entrambi stanno appoggiando eserciti composti esclusivamente da cristiani, in maggioranza di confessione ortodossa.
Si può constatare un evidente “ritorno al passato” per quelle fazioni cecene che si muovono per motivazioni sostanzialmente politiche in chiave anti-russa. Le attività del Batalion Dudayev in Ucraina, così come quelle delle unità cecene pro-russe, non sono motivate in primo luogo da elementi riconducibili a un ideale religioso panislamico o a divergenze confessionali-dottrinali interne alla Umma, ma sostanzialmente da ragioni di natura politico-nazionalista.
Lasse Mosca-Grozny, o meglio Putin-Kadyrov, è sempre più rilevante ai fini della stabilità geopolitica russa anche oltre l’area del Caucaso settentrionale, come mostra il caso dell’Ucraina orientale.
In questo senso va inquadrata la reintroduzione, dall’ottobre 2014, del servizio militare nell’esercito russo per i cittadini della Repubblica federale cecena, sospeso dal lontano novembre 1994 quando, sotto la presidenza Eltsin, le truppe russe invasero Grozny, in quel caso non per appoggiare ma per schiacciare le aspirazioni centrifughe separatiste.