Pietro Nenni (Faenza, Ravenna, 1891 - Roma, 1980)


8 dicembre 1971

Decise stasera le due maggiori candidature alla presidenza della Repubblica: Fanfani per la Democrazia cristiana; De Martino per la sinistra.
Forlani ha detto della candidatura Fanfani che essa sarà mantenuta fino in fondo. Si ripeterebbe così l’operazione Segni del 1962: fino in fondo e voti chi voti!
La candidatura De Martino è stata ratificata stasera dai gruppi. Un’assemblea non convinta, grigia e senza fiducia. Una operazione (il candidato unico della sinistra fin dalla partenza) che può aiutare Fanfani.
Si doveva necessariamente arrivare alla candidatura unica ma era preferibile fosse il PSI a presentare e votare De Martino, poi il PCI e il PSIUP a convergere sul candidato socialista.

9 dicembre 1971

La parola è alle urne. I due scrutini di oggi sono stati senza risultato ma non senza sorprese e significato. Per essere eletti ci vogliono 672 voti e nessuno poteva raggiungere un tale “quorum”. De Martino è rimasto in testa con 397 voti saliti a 398 nel secondo scrutinio e Fanfani secondo con 384 voti scesi a 368 nel secondo scrutinio. Malagodi, Saragat, De Marsanich hanno avuto il voto dei rispettivi partiti. Ci sono stati 12 voti dispersi scesi a 8 ma, ed ecco la novità, ci sono state 57 schede bianche nel primo scrutinio salite a 77 nel secondo.
Che significano le schede bianche? 17 sono di provenienza repubblicana e del “il Manifesto”. Le altre sono di provenienza democristiana almeno nella loro grande maggioranza. Erano state una sorpresa le 57 schede bianche del primo scrutinio. Hanno sbalordito le 77 del secondo. Fanfani è risultato in calo di 16 voti e ciò sembra che abbia suscitato polemiche feroci nella DC. I vari gruppi si sono accusati vicendevolmente. C’è stato un richiamo assai duro del segretario Forlani.
Molti ritengono che questo sia il segno della fine per Fanfani. Non lo so. È in ogni caso il segno di una disintegrazione del maggiore partito del postfascismo del quale non possiamo rallegrarci anche se dovessimo provvisoriamente trarne profitto.


10 dicembre 1971
Il terzo scrutinio ha un poco corretto la catastrofica situazione del secondo. Fanfani, con 384 voti, ha riguadagnato i 16 voti perduti ieri sera risalendo alla quota del primo scrutinio. De Martino ha raggiunto i 404 voti guadagnandone 6 (di cui 4 de “il Manifesto” che ha abbandonato l’astensione). Saragat ha avuto 5 voti in più. I voti dispersi sono scesi a 4. Le schede bianche anche se passate da 77 a 62 sono pur sempre molte.
I duri richiami alla disciplina hanno avuto effetto. Del resto non si capisce perché i francotiratori democristiani si siano svelati con tanta fretta e senza costrutto.


14 dicembre 1971
Ore di febbre, di tensione, di baccano stasera a Montecitorio. Tutto è cominciato verso le 17 quando le agenzie e la RAI hanno diffuso un comunicato della Democrazia cristiana dove si diceva che i direttivi dei gruppi avevano preso atto di una relazione di Forlani sulla “disponibilità” del PSDI, del PLI e del PRI ad appoggiare il candidato della Democrazia cristiana purché gli elettori presidenziali democristiani riassorbissero le loro frange di dissidenza. Seguiva un appello ai grandi elettori DC di votare Fanfani nello scrutinio di domani mattina realizzando sul suo nome la concordia e l’unità, condizione del successo.
Niun dubbio che il comunicato rifletteva l’esatta verità degli impegni assunti dai gruppi di centro e siamo di fronte a un fatto nuovo.
Quando sono arrivato a Montecitorio il Transatlantico ribolliva di polemiche. Chi parlava di tradimento, chi di inganno. Socialdemocratici, liberali e repubblicani venivano presi di petto. I più cadevano dalla nuvole e smentivano ogni accordo con Fanfani e per Fanfani. La DC faceva annunciare che il comunicato era stato ritirato e che si trattava di un appunto trasmesso per un errore tecnico alla RAI e alla stampa (alle 21 è stata data alla stampa l’edizione riveduta e corretta del comunicato). Intanto in aula si svolgeva il nono scrutinio col solito risultato nullo. Infine, in serata, le acque si sono calmate un poco e due cose apparivano evidenti: che il comunicato era autentico anche se la sua pubblicazione rimaneva circondata di mistero (il giallo di Montecitorio); che esso però impegnava la socialdemocrazia, i liberali, i repubblicani meno di quanto la Democrazia cristiana dava a intendere, vincolata com’era a una condizione che viene considerata del tutto improbabile e cioè l’unità di voto dei democristiani.
Si vedrà domani mattina se questa unità esiste ma fin d’ora su di essa è sospesa l’incognita del voto missino. I fascisti potrebbero infatti riversare i loro 40 voti su Fanfani e assorbire così altrettante schede bianche della opposizione interna democristiana.
Codesta eventualità ha messo in fermento i miei compagni che ritengono esaurita la candidatura De Martino e pensano che la mia debba essere posta domani sera nella speranza che sul mio nome si produca una crepa nell’elettorato centrista.
La situazione è stata esaminata in serata dalla nostra delegazione. Tutti hanno l’impressione che i tempi stringono e che ci vuole una iniziativa che sblocchi la situazione. De Martino si dice desideroso di ritirarsi ma perplesso sul momento in cui farlo. Io stesso che ho partecipato a una parte della riunione sono convinto che un cambiamento di candidato non muta le cose se non coincide con una nuova impostazione politica della elezione.
Saragat mi ha fatto avere da parte di Tanassi la risposta alla mia lettera. In sostanza dice che non può associarsi al blocco delle sinistre né può votare Fanfani. Se io divento candidato e se la mia elezione assume il carattere di una affermazione schiettamente democratica, è pronto ad esaminare il problema. Cioè niente per adesso, ciò che può anche voler dire niente in nessun caso.
C’è nell’opinione pubblica qualche segno di impazienza. Alcuni giornali lo alimentano.


15 dicembre 1971
Fanfani ha giocato oggi una certa decisiva e l’ha perduta. Non sembra per questo pronto a ritirarsi. Dopo aver lui stesso condotto trattative coi partiti di centro, ha tentato la prova delle urne per rifare sul suo nome l’unità della Democrazia cristiana. L’ha perduta anche se ha raggiunto la sua quotazione più alta dal primo scrutinio in poi con 393 voti, De Martino 407, Saragat 56, Malagodi 48. Le schede bianche sono state 60, alle quali bisogna aggiungere 22 voti dispersi e 2 schede nulle, in totale 84, all’incirca il pacchetto dei dissidenti democristiani. È vero che nel pacchetto dovrebbero esserci 43 voti del MSI che ufficialmente ha votato scheda bianca ma che sembra aver dato a Fanfani almeno una decina di voti. Il centro si è detto insoddisfatto del risultato acquisito da Fanfani. I repubblicani lo hanno detto in modo aperto; i socialdemocratici hanno riconfermato la candidatura Saragat; i liberali sono i soli ad aver compiuto un passo verso Fanfani auspicando una convergenza con la Democrazia cristiana e con le altre forze democratiche. Ma le altre forze democratiche fino a stasera risultano latitanti. Di bel nuovo la DC si è astenuta nel dodicesimo scrutinio di stasera e altrettanto hanno fatto i liberali.
Tutto quindi da ricominciare e da ricominciare in una atmosfera che si deteriora sempre più a Montecitorio e nel paese. Cresce la pressione per il cambio dei cavalli; se non si ritira Fanfani difficilmente può ritirarsi De Martino. Segreteria del partito e delegazioni della sinistra hanno tenuto oggi diverse riunioni. Anche nel partito si avverte tensione. Stasera è riunita la direzione e per parte mia ho fatto quanto potevo perché fosse una riunione di concordia nell’azione. L’ultima voce che mi giunge da Montecitorio prima di coricarmi è che i comunisti vorrebbero porre alla Democrazia cristiana il dilemma o Moro o Nenni.

16 dicembre 1971
Oggi ha preso corpo l’ipotesi di una candidatura Nenni. Ciò è avvenuto nell’incontro della delegazione socialista con quella repubblicana. Il comunicato dato alla stampa dice: “Al termine del colloquio l’on. De Martino ha dichiarato ai giornalisti: ‘Abbiamo illustrato agli amici repubblicani le decisioni prese ieri dal nostro partito. Ci siamo trovati d’accordo sulla necessità di determinare una nuova situazione. Si è anche esaminata l’ipotesi di una candidatura Nenni e i repubblicani hanno dichiarato la loro piena disponibilità’”. La Malfa ha confermato. Gli ho telefonato per dirgli che lo ringraziavo anche se l’ipotesi della mia candidatura è molto probabilmente destinata a rimanere tale.
La nostra delegazione ha poi incontrato quella socialdemocratica, ferma quest’ultima nel considerare che né l’uno né l’altro degli schieramenti contrapposti è in grado di eleggere il presidente e che è urgente sbloccare l’attuale situazione ricercando un accordo fra le forze dell’ “arco costituzionale”. Ma il candidato della socialdemocrazia rimane Saragat. E questo è il primo, anche se non il solo, ostacolo alla “ipotesi Nenni”.
Il difficile per me a questo punto è avere bastante energia per impedire che l’ipotesi si trasformi in una candidatura vera e propria in condizioni sbagliate e tale da bruciarsi in due o tre scrutini.


17 dicembre 1971
La Democrazia cristiana molla Fanfani? Così viene interpretato l’ordine del giorno approvato stasera dalla direzione democristiana per una ripresa di consultazioni coi partito dell’ “arco costituzionale”. A che pro riprendere le consultazioni se non fosse per avanzare proposte nuove? L’ordine del giorno è stato approvato alla unanimità e può quindi essere interpretato in maniera diversa a seconda dei gusti. Vedremo domani o dopodomani. Certo si è che ritirare Fanfani pone alla Democrazia cristiana problemi interni forse più gravi degli attuali. D’altro canto così non si può continuare. Il discredito della classe politica ha toccato negli scorsi giorni la sua massima punta. Cosa può capire l’opinione pubblica quando, come è avvenuto questa mattina nel quattordicesimo scrutinio, risulta che gli astenuti, ai quali oggi si sono aggiunti i missini, toccano e superano la maggioranza salendo a 509?

(…)

18 dicembre 1971
Colpo di scena nella elezione presidenziale. Saragat ha ritirato la propria candidatura. Lo ha fatto con una lettera a Tanassi nella quale ribadisce il suo convincimento che per l’elezione del capo dello Stato si debba respingere tanto il candidato dello schieramento di centrodestra quanto quello dello schieramento opposto. Si è pronunciato per un candidato in grado di raccogliere intorno a sé il consenso della grande maggioranza dei 1008 elettori e di riscuotere la fiducia del paese. Chiede ai socialdemocratici di riversare i loro voti su chi sia in grado, anche per il suo passato antifascista e di democratico, di raccogliere sul suo nome la grande maggioranza dell’assemblea.
Il monito poteva essere salutare: è stato soltanto motivo di polemica. In particolare sono furibondi i democristiani. Si è discusso tutt’oggi chi fosse l’ideale candidato di Saragat: se io, se La Malfa, se Pertini. Poi tutto si è risolto in una “boutade”: Saragat ha rinunciato alla candidatura degli altri e riproposto la sua.
Prima della rinuncia si era svolto il quindicesimo scrutinio e Saragat era sceso da 49 a 42 voti. Sono le piccole sorprese di una elezione dominata ormai dal nervosismo. Anche domani avremo l’astensione della Democrazia cristiana. La delegazione democristiana cerca una via e un uomo ma non li trova. I comunisti avrebbero indicato Moro. Repubblicani e socialdemocratici hanno invece escluso una candidatura Moro. La delegazione del mio partito non ha espresso preferenze tra i possibili candidati democristiani anche se è per Moro. In una corretta dichiarazione ai giornalisti De Martino ha detto: “Li abbiamo (i democristiani) informati che per favorire lo sblocco della situazione siamo pronti a presentare una nuova candidatura socialista”.


19 dicembre 1971
Ho avuto un resoconto più completo dell’incontro di ieri tra le delegazioni del PSI e della DC. Forlani girava al largo lasciando intendere che chiedeva una indicazione socialista di possibili candidati democristiani che non fosse limitata al solo nome di Moro ma ne contenesse altri. La delegazione socialista non ha abboccato all’amo. Non è compito nostro, ha detto, designare candidati democristiani. Per sbloccare la situazione noi siamo pronti a designare un nuovo candidato socialista e cioè Nenni. È il leader della nostra opposizione interna e proprio per questo dovrebbe offrire una garanzia all’arco che va dalla socialdemocrazia alla Democrazia cristiana. Diteci cosa ne pensate. La domanda è rimasta senza risposta.
Un analogo discorso devono averlo fatto ai comunisti. Dopo il loro incontro con la Democrazia cristiana, Berlinguer ha detto: “…Abbiamo chiesto alla Democrazia cristiana di esprimere le sue valutazioni su una nuova candidatura socialista”.
Ho discusso della situazione dopo l’odierno diciassettesimo scrutinio. Ho dato atto alla segreteria di aver condotto bene i negoziati con gli altri partiti e di aver impostato bene il problema di una mia candidatura per un secondo momento, ma l’ambiente comincia a essere avvelenato da voci che spero infondate. I 7 voti dati ieri sera a me sono l’indice del nervosismo dei compagni e di manovre vuoi a favore di Moro vuoi a favore di altri che creano confusione. Discutibile l’opportunità di una candidatura di Moro, naturale che ci sia chi pensi ad altre candidature, ma allora se ne parli nettamente e schiettamente.
Ho telefonato a Saragat. Deplora le polemiche suscitate dalla sua lettera. Non mancherà a suo tempo di rispondere per le rime. Prevede che le cose andranno ancora per le lunghe ma egli non resterà al Quirinale, checché ne dicano i giuristi, oltre il 29 dicembre. Gli ho chiesto se ponendosi la mia candidatura posso contare sul suo appoggio. Si è limitato a rispondere che la mia candidatura sarebbe un fatto nuovo e come tale sarebbe valutato. Un modo come un altro per tenersi le mani libere.
Nel pomeriggio ho posto lo stesso problema a Ferri. La sua risposta si può riassumere così: non devo cedere alla pressioni per essere il candidato della seconda fase della elezione che non sarà diversa dalla prima qualunque sia il candidato democristiano: o Fanfani o, mettiamo caso, Rumor. Il mio nome deve rimanere come riserva di un accordo che prima o poi si dovrà pur fare. In sede di negoziato posso contare su di lui e spera su tutta la socialdemocrazia. Nelle condizioni attuali lanciare la mia candidatura vorrebbe dire bruciarla.
Intanto da stasera alle 18 sono riuniti i grandi elettori democristiani. Si parla di una relazione possibilista di Forlani, possibilista nel senso di una eventuale candidatura Moro e di una serie di interventi fanfaniani, tavianei, dorotei tutti per resistere a oltranza senza subire né quello che viene definito l’ “ukase” comunista né il ricatto di Saragat. Si prevede una seduta lunga, estenuante, destinata a prolungarsi forse anche domani.
(…)


20 dicembre 1971
Continua il gioco al massacro. Oggi è il turno di Moro. Forlani ha abbandonato Fanfani e ha tentato l’operazione Moro. Ha trovato il consenso del mio partito il quale ha dichiarato di avere un suo candidato ma di essere disposto a sacrificarlo se la Democrazia cristiana presenta Moro. Bertoldi ha offerto un ulteriore argomento alla DC per presentare la candidatura Moro come autosufficiente senza bisogno di voti comunisti. Le cifre quadrano, i fatti no: 423 voti democristiani più 105 voti socialisti eguale e 528. Il guaio è che i 423 sono e rimarranno spaccati e gli stessi 105 voti socialisti sono divisi nell’apprezzamento della candidatura Moro. Sulla scia di questa mezza ipocrisia la Democrazia cristiana ha completato l’opera con una ipocrisia totale, ha cioè evitato di consultare i comunisti fingendo di trattarli alla pari dei fascisti.
L’operazione ha avuto meno fortuna presso i liberali, i socialdemocratici e i repubblicani concordi nel no a Moro e favorevoli su una triade democristiana, Leone, Rumor, Taviani, sulla quale la Democrazia cristiana dovrebbe scegliere domani il nuovo candidato.


21 dicembre 1971
Siamo alla stretta finale? Questa mattina la DC con votazione segreta dei suoi grandi elettori ha designato Leone quale suo nuovo candidato. Non c’è stata una rinuncia di Fanfani ma il presidente del Senato non ha ripresentato la sua candidatura. È stata invece presentata quella di Moro rimasto però in minoranza. Contro Moro si era intanto delineato un forte attacco socialdemocratico e repubblicano. L’accettazione di Leone è subordinata all’esito di una serie di consultazioni che la Democrazia cristiana condurrà stanotte con i vari gruppi parlamentari. Nel mio partito si è creata una situazione di stallo. De Martino ha rinunciato: egli non voleva affrontare neppure lo scrutinio di questa sera, il ventunesimo.
Dovrei quindi scendere in lizza senza la benché minima preparazione e garanzia politica. Così si stava per deliberare quando Bertoldi non so se per ingenuità o scaltrezza, ha messo il dito sulla piaga: ha definito la mia candidatura autonoma pur nella continuità della linea finora seguita dal partito. I gruppi la sosterranno a fondo con una sola riserva, quando cioè ci si trovasse di fronte a una candidatura Moro improbabile ma non del tutto impossibile anche dopo l’odierna votazione dei grandi elettori democristiani che hanno fatto di Leone il loro nuovo candidato.
A questo punto ho preso la parola e in sostanza ecco cosa ho detto: il problema che sta di fronte al partito è politico; non si tratta di cambiare il candidato ma di impostare su basi nuove la candidatura socialista; le sinistre unite non sono in grado di superare i 400 voti; si tratta di acquisire consensi nuovi al centro per riaprire il discorso con la Democrazia cristiana; nessuna intransigenza pregiudiziale ma anche nessuna subordinata paralizzante. Tutto può ancora avvenire e tutto sarà in ogni caso oggetto di responsabile meditazione, ma intanto si tratta di andare avanti senza farsi bloccare da riserve e da subordinate. Diversamente era inutile cambiare il candidato e la sconfitta a questo punto diventerebbe inevitabile, tanto più che la candidatura Leone è tale da sopire nella DC l’urto interno delle frazioni. Questo è il discorso da fare ai comunisti, i meglio in grado di recepirlo e forse di accoglierlo. Questo è il discorso da fare ai socialdemocratici e ai repubblicani. Diversamente si perde solo tempo.
Sul che la decisione è stata rimessa alla direzione del partito convocata per domani mattina. Una perdita di tempo inutile ora che i minuti contano.




22 dicembre 1971
Giornata confusa alla fine della quale ho finito per essere candidato “malgré moi”. In segreteria prima, in direzione poi il discorso politico da me aperto ieri sera non è stato sviluppato. A ogni secondo siamo stati distratti da fatti esterni: l’incontro del gruppo A col gruppo B; le decisioni altrui e soprattutto le voci; Tizio che annuncia per domani 100 schede col nome di Moro; Caio che garantisce il ritiro di Leone e Sempronio che sa per certo che i socialdemocratici si asterranno per tornare poi a votare Saragat.
Intanto si è prodotta una rottura radicale con La Malfa fino a ieri fautore della mia candidatura. Adesso appare chiaro che codesto suo orientamento era in chiave anti-Moro. In un incontro con la delegazione socialista La Malfa ha chiesto che la mia candidatura venga mantenuta fino in fondo eventualmente anche contro Moro. Alla risposta evasiva dei socialisti che, mi hanno riferito, si sono riservati in tale caso di riesaminare la situazione, La Malfa ha opposto un “no” alla mia candidatura. Al telefono Ugo mi è parso incapace, tra l’altro, di capire che allo stato delle cose e per evitare il carattere sedicente frontista della mia designazione e per rendere sempre più impossibile una candidatura Moro, bastava che i repubblicani riprendessero l’iniziativa della mia candidatura. Idem per i socialdemocratici. La verità è che siamo di fronte a un partito preso nell’ambito di una disgregazione della sinistra frutto di lunghi errori mentre si delinea un tentativo di coalizione interna della Democrazia cristiana su una candidatura di ripiego.
Non è la prima volta né purtroppo sarà l’ultima che la sinistra si fa battere su problemi che non esistono. Il problema Moro rispetto alla elezione presidenziale non esisteva. Fanfani bastava da solo a bloccarne la candidatura e non era solo. Assurdo quindi l’atteggiamento di La Malfa e non meno assurdo quello della delegazione socialista che ha offerto il pretesto per il “no” repubblicano.
Tardi in serata, dopo un tentativo infruttuoso di approfondire i nuovi problemi politici, mi sono lasciato strappare il consenso alla candidatura. A premere sono stati i compagni autonomisti i quali giudicano soddisfacente l’ordine del giorno votato dalla direzione e che, partendo dal presupposto di un insuccesso della candidatura Leone, presumono che da domani la situazione sarà interamente nuova e sbarazzata da ogni equivoco. L’ordine del giorno approvato alla unanimità, nella riaffermata “continuità della lotta condotta finora con le altre forze di sinistra” e nell’ “intento di ampliare i consensi intorno alla candidatura socialista, prende atto della rinuncia di De Martino, lo ringrazia e delibera di proporre la candidatura del compagno Nenni. La direzione si rivolge ai gruppi che hanno votato il compagno De Martino e agli altri gruppi dell’arco costituzionale perché appoggino il nuovo candidato che il PSI presenta come punto di equilibrio e d’incontro tra le forze democratiche laiche e cattoliche nella convinzione di contribuire così a offrire le garanzie per la difesa delle istituzioni repubblicane nella riaffermazione dei valori positivi dell’antifascismo e dell’ordinato sviluppo democratico del paese”.
L’antivigilia di Natale fa sì che il paese si occupi di tutt’altre cose. A Montecitorio cresce invece il nervosismo e stasera in aula al ventunesimo scrutinio ci sono stati vivaci incidenti. La seduta è stata sospesa dopo che dai banchi socialproletari, socialisti e comunisti era stato violentemente apostrofato il senatore Accili, il primo ad astenersi. È uno scherzo che dura ormai da tredici scrutini e che solleva l’indignazione generale.


23 dicembre 1971
Leone ha sfiorato stasera la vittoria con 503 voti sui 504 necessari per essere eletto. Un senatore è morto ieri sera e ha fatto quindi scendere di un punto il “quorum” della maggioranza.
È avvenuto così quanto prevedevo, che cioè la candidatura Leone è stata accolta con rassegnazione dai fanfaniani e morotei che hanno preferito evitare o rinviare un nuovo scontro in aula. Si è realizzata anche un’altra previsione e che cioè i missini hanno votato Leone annullando così una parte delle schede bianche democristiane.
Sul mio nome si sono ritrovati 408 voti della sinistra, più del previsto se si tiene conto dello scarso interesse comunista per la mia candidatura e dei rancori socialproletari.
Se i socialdemocratici e i repubblicani si fossero anche soltanto astenuti domani tutto il gioco si sarebbe riaperto a nostro favore. Il centro non l’ha voluto e se, cosa improbabile, non si ricrede in “extremis”, domani avremo un democristiano al Quirinale eletto coi voti fascisti e per di più un democristiano non qualificato per far fronte agli anni tempestosi che possono venire.
I risultati annunciati da Pertini sono i seguenti: Leone 503, Nenni 408, Saragat, 7, Pertini 6, voti dispersi 19, schede bianche 46, schede nulle 2. Ufficialmente le schede bianche corrispondono ai voti fascisti. Di fatto una parte dei fascisti ha votato Leone riducendo di altrettanto le schede bianche dei democristiani irriducibili.
L’annuncio dei risultati della votazione è stato accolto da un tumulto. La Malfa è stato personalmente insultato, alcuni dei suoi amici sono stati aggrediti, Ferri ha avuto la sua parte. Episodi deplorevoli ma pressoché inevitabili, e amaro per me che proprio in La Malfa e Ferri credevo di avere i miei sostenitori.
Nel pomeriggio alla riunione di gruppi avevo accettato la candidatura senza rinunciare alle mie riserve politiche. In una breve dichiarazione avevo tenuto a sottolineare tre cose: 1) che il discorso politico aperto due giorni prima andava ripreso nei prossimi giorni e chiarito fino in fondo; 2) che ora eravamo a una svolta centrista resa più grave dal rischio di un voto determinante dei fascisti; 3) che per quanto mi concerneva come sempre da tanti decenni in qua mi trovavo nella impossibilità di dire no a quanto il partito mi chiedeva.
La nottata è stata febbrile. Si sono mossi i vecchi protagonisti dell’antifascismo. Io non ho parlato con nessuno, non ho cercato nessuno, non ho telefonato a nessuno. In casi simili non c’è che una cosa da fare: chiudersi in se stessi.


24 dicembre 1971
Finito. Leone è presidente della Repubblica con 518 voti. Io sono rimasto ai 408 di ieri sera. Leone è stato eletto coi voti fascisti e io sono battuto dai socialdemocratici e dai repubblicani.
Erano le 10,33 quando Pertini ha proclamato l’esito dello scrutinio, il ventitreesimo. I voti dispersi e le schede bianche sono stati l’ultimo inadeguato sforzo della sinistra cattolica e di qualche fanfaniano e moroteo. Tutti gli altri si sono lasciati inghiottire in una operazione di fondo qualunquista.
I fascisti sono raggianti. Il loro giornale “Il Secolo d’Italia” è uscito in edizione straordinaria. Il commento è nel titolo: “Determinanti per una scelta costituzionale e nazionale”. Uno dei loro leader ha detto: “Siamo entrati discriminati e siamo usciti determinanti”. Un altro, l’on. Delfino, ha confessato: “Anche nella precedente votazione (quella di ieri) tutti i parlamentari missini e monarchici avevano votato per il senatore Leone”.
Sull’eletto c’è poco da dire. È il borghese tipo, benestante o addirittura ricco ma di modesta estrazione: professore universitario; in orbace durante la dittatura senza essere fascista; sotto la bandiera dello scudo crociato dalla Liberazione in poi; buon padre di famiglia; una moglie leggiadra. La Democrazia cristiana lo adopera da dieci anni per tappare tutti i buchi, ragion per cui è stato per due volte presidente del Consiglio per governi cosiddetti balneari. Stavolta deve alla “bagarre” tra Fanfani e Moro addirittura il Quirinale con un potere limitato ma con grosse responsabilità che durano sette anni.
Sulla situazione che si è creata ci sarà molto da dire ma c’è tempo. La direzione ha votato a botta calda un documento che formula delle novità. Vi si legge che “si è creata una situazione nuova che il partito nei prossimi giorni valuterà in tutte le sue implicazioni politiche”. Questa frase, uscita dalla collaborazione occasionale di Corona con Lombardi, è stata strappata col forcipe. Era evidente nei più la speranza che ogni cosa restasse qual è continuando il gioco delle cose a metà, col governo a metà, coi comunisti a metà


26 dicembre 1971
Domenica senza giornali e con un bel sole, giornata propizia per una prima e rapida valutazione delle elezioni presidenziali. Quanto lo scontro sia stato duro lo dice la durata della seduta unica apertasi il 9 dicembre e durata sedici giorni con ben ventitré scrutini.
La pietra dello scandalo è stata la Democrazia cristiana con le sue lotte interne e la prova di forza tra Fanfani e Moro sconfitti l’uno e l’altro.
La candidatura Leone aveva rappresentato l’estremo tentativo della DC di conquistare il Quirinale non superando ma accantonando i suoi interni contrasti. La sua elezione è stato il risultato di due assurde confluenze: la confluenza repubblicana e socialdemocratica nata sia da una ormai naturale propensione verso il centrodestra, sia dal terrore di una candidatura Moro. L’altra confluenza è quella missina, logica, e che da ora in poi ci troveremo tra i piedi a ogni svolta politica. A pagare il conto sono io, anzi, per ironia della sorte, pago per gli altri, pago per i fautori dei “nuovi equilibri”.
Oso dire che non lo meritavo ma aveva ragione Talleyrand quando diceva che la politica non è cosa da verginelle che vanno alla prima comunione. Tutto in essa è duro e spietato e non posso certo dire che non lo sapevo.




27 dicembre 1971
Cominciano i commenti, le polemiche, le preoccupazioni per il poi. La disputa più accesa è dell’ “Avanti!” con La Malfa e con “La Voce Repubblicana”. Commentando una frase della “Voce” sul “tormento non lieve in cui i repubblicani si trovarono al momento di prendere la decisione dolorosa di negare il suffragio a Pietro Nenni”, l’ “Avanti!” risponde che dal momento in cui era stata presentata la mia candidatura “essa doveva rappresentare una nuova occasione offerta a tutti i partiti democratici e antifascisti di uscire non già per le vie scivolose del compromesso ma attraverso la designazione di una personalità oggi unica nel Parlamento italiano, di un uomo di statura internazionale le cui doti ecc., ecc.”. Tesi irrefutabile, alla quale “La Voce” risponde stasera che “la candidatura Nenni è caduta perché il PSI si è rifiutato di sostenerla fino in fondo subordinandola sempre a un’intesa sul nome del candidato della sinistra cattolica Moro”. Ma la risposta zoppica giacché è ben vero che per il gruppo dirigente socialista tanto la candidatura De Martino quanto la mia erano subordinate alla eventualità accarezzata dai comunisti di una intesa con la Democrazia cristiana sul nome di Moro, ma è altrettanto vero che nel momento in cui repubblicani e socialdemocratici decidevano di votare Leone, la eventualità della candidatura Moro non esisteva più e la vittoria socialista e laica diventava se non probabile possibile.
Sulle prospettive per il domani la nota generale è la prudenza. Una prudenza alla quale non si sottraggono neppure i comunisti e che sul versante opposto fa scrivere a “Il Giornale d’Italia” che dopotutto il centrosinistra può anche durare purché beninteso continui a non vivere.
La condizione ideale per fare dimenticare i voti fascisti a Leona e per lasciar tempo alla destra per nuovi e più risoluti successi.


28 dicembre 1971
I vinti sono molti nella campagna presidenziale. Lo sono io che ho lasciato presentare la mia candidatura troppo tardi o troppo presto e quando sopravviveva nel gruppo dirigente del partito l’illusione assurda di far rivivere come che sia la candidatura Moro. Sconfitti lo sono Fanfani e Moro che si sono eliminati a vicenda. Lo sono i comunisti che partiti dalla certezza di condizionare coi loro voti l’elezione del Presidente della Repubblica sono stati sostituiti in codesta funzione dai fascisti. Lo è Mancini che dall’inizio alla fine si è mosso per la elezione di Moro in un organigramma democristiano in cui Colombo sarebbe rimasto a Palazzo Chigi e Rumor avrebbe avuto o la segreteria del partito o gli Esteri. Lo è Forlani che prima ha sposato a fondo la causa di Fanfani e poi a denti stretti quella di Moro ma al cui attivo rimane il fatto della riconquista democristiana del Quirinale. Nella misura in cui i socialdemocratici pensavano a una rielezione di Saragat sono perdenti ma se puntavano invece su un vuoto di potere al Quirinale talea rafforzare la loro influenza e quella di Saragat in Parlamento hanno avuto più di quanto attendessero. Quando si è in molti a essere battuti è come se nessuno lo fosse e tuttavia il tentativo di insabbiare ogni cosa non riuscirà.


29 dicembre 1971
Ascoltando oggi il messaggio di Leone al Parlamento, un testo assai grigio, mi pungeva l’amarezza della occasione che mi è stata rifiutata di dire al popolo e alla nazione le due o tre cose che penso andassero dette nel contesto di un appello al coraggio: il coraggio anonimo di tutti i giorni e di tutti i cittadini nei confronti di una democrazia di burocrati e di tecnocrati e della partitocrazia oligarchica corrotta fino al midollo tra danaro e potere.
Un fatto politico nuovo: La Malfa ha annunciato oggi il passaggio dei repubblicani all’opposizione. La decisione verrà sanzionata domani dal voto della direzione. È il preannuncio della crisi elusa oggi dal nuovo presidente della Repubblica, che per la verità non poteva fare diversamente, rifiutando le dimissioni del governo formalmente presentate da Colombo.
Saragat non ha frapposto indugi e, uscito dal Quirinale a mezzogiorno, alle 17 era alla sede della socialdemocrazia a prendere possesso del suo feudo. Con quali propositi nessuno lo sa.


Pietro Nenni, I conti con la storia. Diari 1967-1971, SugarCo, Milano 1983

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