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    Predefinito 31 marzo 2015: Martedì Santo

    1 marzo 2015: SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

    LA TRASFIGURAZIONE

    La santa Chiesa ci propone oggi a meditare un soggetto di alta portata per il tempo in cui siamo. In questa seconda Domenica della santa Quaresima applica a noi la lezione che un giorno il Signore diede ai suoi tre Apostoli. Ma dobbiamo sforzarvi d'essere più attenti dei tre discepoli del Vangelo, che il Maestro si degnò preferire agli altri per onorarli d'un simile favore.

    Accondiscendenza di Gesù.

    Gesù stava per passare della Galilea nella Giudea per recarsi a Gerusalemme, dove si doveva trovare alla festa di Pasqua. Era l'ultima Pasqua, che doveva incominciare con l'immolazione dell'agnello figurativo e terminare col Sacrificio dell'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Gesù non doveva più essere sconosciuto ai suoi discepoli: le sue opere avevano reso testimonianza di lui, anche davanti agli occhi degli stranieri; la sua parola così fortemente dotata di autorità, la sua attraente bontà, la pazienza nel tollerare la grossolanità degli uomini che s'era scelti a suoi compagni: tutto doveva aver contribuito ad affezionarli a lui fino alla morte. Avevano sentito Pietro, uno di loro, dichiarare per ispirazione divina ch'egli era il Cristo, Figlio del Dio vivente (Mt 16,16); nondimeno, la prova che stavano per subire doveva essere così terribile alla loro debolezza, che Gesù, prima d'assoggettarveli, volle loro accordare un ultimo mezzo, per premunirli contro la tentazione.

    Lo scandalo della Croce.

    Non solo, ahimé! per la Sinagoga la Croce poteva diventar motivo di scandalo (1Cor 1,23); Gesù nell'ultima Cena, alla presenza degli Apostoli riuniti intorno a lui, diceva: "Tutti voi patirete scandalo per causa mia, in questa notte" (Mt 26,31). Quale prova, per uomini carnali come loro, nel vederlo trascinato carico di catene in balia dei soldati, trasportato da un tribunale all'altro, senza pensare a difendersi; nel veder riuscita la congiura dei Pontefici e dei Farisei, tante volte confusi dalla sapienza di Gesù e dalla grandezza dei suoi prodigi; finalmente, nel vederlo spirare sopra una croce infame, fra due ladroni, e fatto segno di tutto il livore dei suoi nemici!

    Non si perderanno di coraggio, alla vista di tante umiliazioni e sofferenze, questi uomini che da tre anni lo hanno seguito dovunque? Si ricorderanno di tutto ciò che hanno visto e sentito? Non saranno agghiacciate le loro anime dal terrore o dalla viltà, il giorno che si compiranno le profezie ch'egli fece loro di se stesso? Ecco perché Gesù vuol fare un ultimo tentativo a favore di tre di essi che gli sono particolarmente cari: Pietro, da lui predestinato fondamento della sua futura Chiesa, ed al quale ha promesso le chiavi del cielo; Giacomo, il figlio del tuono, che sarà il primo martire del collegio degli Apostoli, e Giovanni suo fratello, chiamato il discepolo prediletto. Gesù li vuol condurre in disparte, e mostrare loro, per alcuni istanti, lo splendore di quella gloria che lo nasconde agli occhi dei mortali fino al giorno della manifestazione.

    La Trasfigurazione.

    Egli dunque lascia gli altri discepoli nella pianura presso Nazaret e si dirige, coi tre preferiti, verso un alto monte chiamato Tabor, che appartiene anch'esso alla catena del Libano, e del quale il Salmista ci disse che doveva sussultare al nome del Signore (Sal 88,13). Giunto Gesù sulla cima del monte, ecco che tutto ad un tratto, davanti agli occhi strabiliati dei tre Apostoli, scomparve il suo aspetto mortale; il suo volto divenne risplendente come il sole, e le sue vesti immacolate come neve scintillante. Appaiono ai loro occhi due inattesi personaggi, che s'intrattengono col loro Maestro sulle sofferenze che l'attendono a Gerusalemme. È Mosè il legislatore, coronato di raggi, ed il profeta Elia, trasportato in cielo sopra un carro di fuoco, senza passare per la morte. Queste due grandi potenze della religione mosaica, la Legge e la Profezia, s'inchinano umilmente davanti a Gesù di Nazaret. E non solo gli occhi dei tre Apostoli sono colpiti dallo splendore che circonda ed emana dal loro Maestro; ma anche il loro cuore è preso da un sentimento di felicità che li stacca dalla terra. Pietro non vuole più scendere dal monte; con Gesù, Mosè ed Elia desidera stabilirvi il suo soggiorno. E perché nulla manchi ad una tale scena, in cui vengono manifestate agli Apostoli le grandezze dell'umanità di Gesù, da una nube luminosa, che scende ed avvolge la vetta del Tabor, esce la testimonianza del Padre celeste, dalla cui voce essi sentono proclamare Gesù Figlio eterno di Dio.

    Fu un momento di gloria che durò ben poco per il Figlio dell'uomo, la cui missione di patimenti e di umiliazioni lo reclamava a Gerusalemme. Nascose allora in se stesso lo splendore soprannaturale, e quando richiamò in sé gli Apostoli, quasi annientati dalla voce del Padre, essi videro solamente il loro Maestro: svanita la nube luminosa entro la quale aveva tuonato la parola di Dio, Mosè ed Elia scomparsi. Si ricorderanno almeno di ciò che hanno visto e sentito, questi uomini favoriti di così eccelso favore? Rimarrà impressa d'ora innanzi nella loro memoria la divinità di Gesù o non dispereranno della sua missione divina, giunta l'ora della prova, e non saranno scandalizzati dal suo volontario abbassamento? Il seguito dei Vangeli ce ne darà la risposta.

    L'agonia del Getsemani.

    Poco tempo dopo, celebrata con essi l'ultima cena, Gesù conduce i suoi discepoli sopra un alto monte, su quello degli Ulivi, a oriente di Gerusalemme. Lascia all'entrata dell'orto tutti gli altri e, presi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, con essi s'inoltra più avanti in quel luogo solitario. "L'anima mia è triste fino alla morte, disse loro: restate qui e vegliate con me" (Mt 26,38), e s'allontana ad una certa distanza per pregare il Padre. Noi sappiamo quale dolore opprimeva in quel momento il cuore del Redentore. Quando tornò ai tre discepoli, era ormai terminata l'agonia: un Sudore di Sangue aveva attraversato persino le sue vesti. Ebbene, in mezzo ad uno spasimo così terribile, vegliano almeno i suoi Apostoli con ardore, finché non arriverà il momento d'andare a immolarsi per lui? No, essi si sono addormentati, perché s'erano appesantiti i loro occhi; anzi, fra poco, tutti fuggiranno, e Pietro, il più sicuro di tutti, giurerà di non conoscerlo neppure.

    Lezione di fede.

    Ma più tardi, testimoni della risurrezione del loro Maestro, i tre Apostoli esecrarono la loro condotta con un pentimento sincero e riconobbero la provvida bontà con la quale il Salvatore, poco tempo prima della sua Passione, aveva cercato di premunirli contro la tentazione, manifestandosi nella sua gloria.

    Noi, cristiani, non aspettiamo d'averlo abbandonato e tradito per conoscere la sua grandezza e la sua divinità. Ora che ci andiamo avvicinando all'anniversario del suo Sacrificio, lo vedremo anche noi umiliato, e quasi schiacciato dalla mano di Dio. Che la nostra fede non venga meno a tale spettacolo! L'oracolo di David ci raffigura Gesù simile ad un verme della terra (Sal 21,7) che si calpesta; la profezia d'Isaia ce lo dipinge come un lebbroso, l'ultimo degli uomini, l'uomo dei dolori (Is 53,3-4): tutto deve avverarsi alla lettera. Ricordiamoci allora della gloria del Tabor, degli omaggi di Mosè e di Elia, della nube luminosa, della voce del Padre. Più Gesù s'abbassa ai nostri occhi, e più dobbiamo esaltarlo ed acclamarlo, dicendo con la milizia degli Angeli e con i ventiquattro vegliardi ciò che S. Giovanni, uno dei testimoni del Tabor, intese nel cielo: "L'Agnello ch'è stato immolato è degno di ricevere la potenza, la divinità, la sapienza, la fortezza e l'onore, la gloria e la benedizione!" (Ap 5,12).

    La seconda Domenica di Quaresima è chiamata Reminiscere, dalla prima parola dell'Introito della Messa, oppure anche la Domenica della Trasfigurazione, per il Vangelo che abbiamo esposto.

    La Stazione è a Roma, a S. Maria in Domnica, sul Celio. Una leggenda ci mostra questa basilica come l'antica diaconia abitata da santa Ciriaca, dove san Lorenzo distribuiva le elemosine della Chiesa.

    M E S S A

    EPISTOLA (1Ts 4,1-7). - Fratelli: Vi preghiamo e scongiuriamo nel Signore Gesù, che, avendo da noi appreso in qual modo dobbiate diportarvi per piacere a Dio, così vi diportiate, affinché progrediate sempre più. Voi ben sapete quali precetti v'abbia dato da parte del Signore Gesù. Or la volontà di Dio è questa: la vostra santificazione, e che v'asteniate dalla fornicazione; che sappia ciascuno di voi essere padrone del proprio corpo nella santità e nell'onestà, senza farsi dominare dalla concupiscenza, come fanno i gentili che non conoscono Dio; e che nessuno ricorra a soverchierie o a frodi nei negozi col proprio fratello, perché il Signore fa giustizia di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e dichiarato, non avendoci Dio chiamati all'immondezza, ma alla santità: in Cristo Gesù nostro Signore.

    La santità del cristiano.

    In questo passo l'Apostolo insiste sulla santità dei costumi che deve risplendere nei cristiani; e la Chiesa, nel metterci sott'occhio queste parole ammonisce i fedeli che vogliono approfittare del tempo in cui siamo, per restaurare in se stessi la purezza dell'immagine di Dio, che era stata loro impressa nella grazia battesimale. Il cristiano è come un vaso d'onore, formato ed abbellito dalla mano di Dio; perciò si deve preservare dall'ignominia che lo degraderebbe e lo farebbe degno d'essere frantumato e gettato in un letamaio di immondizie. È gloria del Cristianesimo, se il corpo è stato fatto partecipe della santità dell'anima; ma la sua celeste dottrina ci avvisa, nello stesso tempo, che si deturpa e si perde la santità dell'anima con la sozzura del corpo. Riedifichiamo dunque in noi tutto l'uomo, con l'aiuto delle pratiche di questa santa Quaresima; purifichiamo l'anima nostra con la confessione dei peccati, con la compunzione del cuore, con l'amore verso il misericordioso Signore; e riabilitiamo anche il nostro corpo, facendogli portare il giogo dell'espiazione, affinché d'ora in poi esso sia servo dell'anima ed il suo docile strumento, fino al giorno in cui l'anima, entrata in possesso d'una felicità senza fine e senza limiti, riverserà su di lui la sovrabbondanza delle delizie, delle quali sarà ripiena.

    VANGELO (Mt 17,1-9). - In quel tempo: Gesù presi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, li condusse sopra un alto monte, in disparte. E si trasfigurò in loro presenza, e il suo viso risplendé come il sole, e le sue vesti divennero bianche come la neve. Ed ecco, loro apparvero Mosè ed Elia a conversare con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: Signore, è un gran piacere per noi lo star qui: se vuoi, ci facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia. Mentre egli ancora parlava, ecco una lucida nube avvolgerli: ed ecco dalla nuvola una voce che diceva: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo. Udito ciò, i discepoli caddero bocconi per terra ed ebbero gran timore. Ma Gesù, accostatosi a loro, li toccò e disse: Levatevi, non temete. Ed essi, alzati gli occhi non videro altri che Gesù. E mentre scendevano dal monte, Gesù, comandando, disse loro: Non parlate ad alcuno di questa visione, finché il figlio dell'uomo non sia risuscitato dai morti.

    Bontà di Gesù e debolezza degli Apostoli.

    Così Gesù veniva in aiuto ai suoi Apostoli alla vigilia della prova, cercando d'imprimere profondamente nel loro pensiero la sua gloriosa immagine, per il giorno in cui l'occhio della carne non avrebbe più visto in lui che debolezza e ignominia. Oh, provvidenza della grazia divina, che non manca mai all'uomo, e giustifica sempre la bontà e la giustizia di Dio! Come gli Apostoli, anche noi abbiamo peccato; come loro, abbiamo trascurato il soccorso che ci era stato inviato dal cielo, e abbiamo chiuso volontariamente gli occhi alla luce, abbiamo dimenticato lo splendore che prima ci aveva rapiti, e siamo caduti. Noi non fummo mai tentati oltre le nostre forze (1Cor 10,13): dunque i nostri peccati sono proprio opera delle nostre mani. I tre Apostoli furono esposti ad una violenta tentazione il giorno in cui il loro Maestro sembrò perdere ogni sua grandezza; ma era facile per loro rafforzarsi con un ricordo glorioso e recente. Lungi da ciò, si lasciarono abbattere, trascurarono di riprendere forza nella preghiera; e così i fortunati testimoni del Tabor si mostrarono, nell'Orto degli Ulivi, vili e infedeli. Non esisteva altro scampo per loro, che raccomandarsi alla clemenza del Maestro, dopo ch'ebbe trionfato dei suoi spregevoli nemici; e dal suo cuore generoso ne ottennero il perdono.

    Confidenza nella misericordia divina.

    A nostra volta, imploriamo anche noi la sua sconfinata misericordia, perché abbiamo noi pure abusato della grazia divina, rendendola sterile con la nostra infedeltà. Finché vivremo in questo mondo, non si seccherà mai per noi la sorgente della grazia, che è il frutto del sangue e della morte del Redentore: prepariamoci di nuovo ad attingerla. Essa ora ci sollecita all'emendamento della nostra vita; piovendo in abbondanza sulle anime, nel tempo in cui siamo, questa grazia la troveremo principalmente nei santi esercizi della Quaresima. Trasportiamoci sul monte con Gesù: a quell'altezza dove non si odono più i rumori della terra; innalziamo lì una tenda per quaranta giorni, in compagnia di Mosè ed Elia, i quali, come noi e prima di noi, resero sacro quel numero coi loro digiuni; e quando il Figlio dell'uomo sarà risuscitato dai morti, proclameremo i favori che si degnò accordarci sul Tabor.

    P R E G H I A M O

    O Dio, che ci vedi privi d'ogni forza, custodisci le nostre persone, affinché siamo liberati da ogni avversità nel corpo, e siamo purificati dai cattivi pensieri nell'anima.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 532-537

  2. #2
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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    2 marzo 2015: LUNEDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

    La Stazione è nella chiesa di S. Clemente Papa, che di tutte le chiese di Roma è quella che più ha conservato l'aspetto delle prime basiliche cristiane. Sotto il suo altare riposa il corpo del santo Patrono, coi resti di sant'Ignazio d'Antiochia e del console san Flavio Clemente.

    LEZIONE (Dan 9,15-19). - In quei giorni Daniele pregò ilSignore e disse: O Signore Dio nostro, che traesti il tuo popolo dall'Egitto con mano forte, e ti facesti un nome quale ora possiedi, noi abbiamo peccato, abbiamo commesso l'iniquità, Signore, contro tutta la tua legge. Ti prego d'allentare l'ira ed il tuo furore dalla tua città, Gerusalemme, dal tuo monte santo, che a causa dei nostri peccati e delle iniquità dei padri nostri, Gerusalemme e il tuo popolo sono lo scherno di tutti quelli che ci stanno d'intorno. Ed ora, esaudisci, o Dio nostro, la preghiera del tuo servo, le sue suppliche, e pel tuo onore rivolgi la tua faccia al tuo santuario devastato. O mio Dio porgi il tuo orecchio ed ascolta, apri i tuoi occhi e mira la nostra desolazione e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome. Di fatti abbiamo umiliate le nostre preghiere dinanzi al tuo cospetto, non fondandoci sulla nostra giustizia, ma fiduciosi unicamente nelle tue molte misericordie. Ascoltaci, o Signore; placati. Signore, guarda e mettiti all'opera; per il tuo onore, non tardare, o mio Dio, perché la città e il popolo tuo hanno nome da te o Signore Dio nostro.

    Castigo del popolo giudaico.

    La supplica che Daniele rivolgeva a Dio, dalla cattività di Babilonia, fu esaudita; infatti, dopo settant'anni d'esilio, Israele rivide la patria, riedificò il Tempio del Signore e riprese il corso dei suo destini. Ma oggi, dopo diciannove secoli, le parole del Profeta non sono più sufficienti ad esprimere la nuova desolazione in cui è piombato Israele: il furore di Dio s'è abbattuto su Gerusalemme, non esistono più i ruderi del Tempio, il popolo superstite è disperso sulla faccia della terra e fatto spettacolo a tutte le nazioni. È sotto il peso d'una maledizione, quella d'errare come Caino: e Dio veglia, perché non sia annientato del tutto. Formidabile enigma per la scienza razionalista! Ma, per il cristiano, visibile castigo del più grande dei delitti. Solo così si spiega il fenomeno: "La luce splende fra le tenebre, ma le tenebre non la compresero" (Gv 1,5). Se le tenebre avessero accettata la luce, oggi esse non sarebbero più tenebre. Ma non fu così: Israele ha meritato il suo abbandono. Molti dei suoi figli acconsentirono a riconoscere il Giusto, e divennero figli della luce; e per mezzo loro la luce risplendette sul mondo intero. Quando apriranno gli occhi gli altri figli d'Israele? Quando questo popolo vorrà rivolgere al Signore la preghiera di Daniele? Egli la possiede, la legge tante volte, ma essa non penetra nel suo cuore chiuso dall'orgoglio. Noi, ultimi della famiglia, preghiamo per i nostri antenati. Ogni anno qualcuno di loro si separa dalla massa maledetta e viene a domandare a Gesù d'essere ammesso in seno al nuovo Israele. Che sia benedetto il suo arrivo, e che il Signore, nella sua bontà, si degni d'aumentare sempre più questo numero, affinché ogni creatura umana adori in ogni luogo il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, ed il Figliuol suo Gesù Cristo che ha inviato.

    vangelo (Gv. 8, 21-29). - In quel tempo: Gesù disse alle turbe dei Giudei: Io me ne vado, e mi cercherete, e morrete nel vostro peccato. Dove vado io voi non potete venire. Dicevan perciò i Giudei: Si ucciderà forse da se stesso, che dice: Dove io vado non potete venire? Ed egli replicò loro; Voi siete di quaggiù; io sono di lassu. Voi siete di questo mondo: io non sono di questo mondo. Perciò vi ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non crederete ch'io sono, morrete nei vostri peccati. Gli dissero allora: E chi sei tu? Gesù rispose loro: Il Principio che parlo a voi. Molto ho da dire e condannare riguardo a voi, ma Colui che mi ha mandato è verace, e quanto ho udito da Lui quello dico al mondo. E non intesero che parlava di suo Padre, Dio. Disse dunque loro Gesù: Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete chi sono io, e che niente faccio da me, e che dico quello che il Padre mi ha insegnato. E chi mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre quello che è di suo piacimento.

    Gesù s'allontana dai Giudei...

    Io me ne vado: parola terribile! Gesù venne a salvare questo popolo e nulla risparmiò per attestargli il suo amore. In questi ultimi giorni l'abbiamo visto respingere la Cananea, dicendo ch'era venuto per le pecorelle sperdute della casa d'Israele; e queste pecorelle non vogliono riconoscere il loro pastore. Ora avverte i Giudei che sta per andarsene via, e che dov'egli va, essi non possono seguirlo: ma queste parole non aprono i loro occhi. Le sue opere provano la sua origine celeste, ma essi non pensano che alla terra: attendono unicamente un Messia terreno e glorioso, alla maniera dei conquistatori. Invano Gesù passa in mezzo a loro facendo del bene (At 10,38); invano la natura si sottomette al suo impero, e la sapienza e la dottrina sorpassa di gran lunga tutto ciò che gli uomini sentirono di più bello: Israele è sordo e cieco. Le più feroci passioni fermentano nel suo cuore, e non saranno soddisfatte fino al giorno in cui la Sinagoga non si laverà le mani nel sangue del Giusto. Ma in quel giorno la misura sarà colma e la collera di Dio darà un esempio che avrà una eco in tutti i secoli. Si rabbrividisce, pensando agli orrori dell'assedio di Gerusalemme ed allo sterminio della città e del popolo che aveva chiesto la morte di Gesù. Lo stesso Salvatore ci dice che non vi fu mai, da che mondo è mondo, una rovina così spaventosa, ne ve ne sarà una uguale nella successione dei tempi. Dio è paziente ed attende con longanimità; ma quando scoppia il suo furore, così a lungo trattenuto, tutto travolge, e gli esempi delle sue vendette sono il terrore delle generazioni venture.

    ... e dai peccatori!

    Oh, peccatori, che fino a questo momento non avete tenuto in nessun conto gli ammonimenti della Chiesa, e non vi siete premurati di convertire il cuore al Signore Dio vostro, tremate a quelle parole: Io me ne vado! Se questa Quaresima passa come altre senza cambiarvi, sappiate che è per voi questa minaccia: Morirete nel vostro peccato. O volete anche voi, un giorno, domandare la morte del Giusto, gridando: Sia crocifisso? State bene attenti, ch'egli ha schiacciato un intero popolo, un popolo che aveva colmato di favori e mille volte protetto e salvato; non vi lusingate che abbia da avere dei riguardi per voi; egli trionferà sicuramente, se non con la misericordia, certo con la giustizia.
    PREGHIAMO

    Ascolta, o Dio onnipotente, le nostre suppliche; e a coloro ai quali dai fiducia di sperare pietà, concedi benigno l'effetto della consueta misericordia.


    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 537-540

  3. #3
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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    3 marzo 2015: MARTEDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

    La Stazione è nella chiesa di S. Balbina.

    lezione (3Re 17, 8-16). - In quei giorni: La parola del Signore fu indirizzata ad Elia Tesbite con queste parole: Levati e va' a Sarepta dei Sidoni, ove dimorerai, ed ove ho ordinato ad una vedova di nutrirti. Elia si levò ed andò a Sarepta. Giunto alla porta della città, vistasi dinanzi una donna vedova che accoglieva legna, la chiamò e le disse: Dammi in un vaso un po' d'acqua per bere. Mentre quella andava a prenderla, le gridò dietro e disse: Portami, ti prego, nelle tue mani anche un tozzo di pane. Essa rispose: Viva il Signore Dio tuo! Io non ho pane, ma soltanto un po' di farina in un'anfora, quanta ne può entrare in una mano, e un po' d'olio in un vaso; ed ecco stavo raccattando un po' di legna per andare a cuocere quella roba a me e al mio figlio, mangiare e poi morire. Elia le disse: Non temere: va' a fare quello che hai detto; ma prima, con quel po' di farina, fa per me un piccolo pane cotto sotto la cenere, e portamelo; e poi lo farai per tè e per il tuo figlio; perché il Signore Dio d'Israele dice così: L'anfora della farina non diminuirà, il vaso dell'olio non calerà fino al giorno in cui il Signore manderà pioggia sulla terra. Essa andò a fare come le aveva detto Elia, e mangiò lui, lei e la sua casa. E da quel giorno l'anfora della farina non diminuì, il vaso dell'olio non calò, secondo la parola che il Signore aveva detta per mezzo d'Elia.

    Il profeta Elia.

    Mentre prosegue l'istruzione dei Catecumeni, alla luce dei fatti evangelici che si vanno esponendo di giorno in giorno, la Chiesa continua ad attingere al Vecchio Testamento i segni profetici che si realizzeranno nella maledizione dei Giudei e nella vocazione dei Gentili. Oggi è la volta di Elia, questo misterioso personaggio che ci tiene fedele compagnia durante la Quaresima, il quale viene a denunciare i giudizi coi quali Dio colpirà un giorno il popolo ingrato. Una siccità di tre anni aveva ridotto agli estremi il regno d'Israele, e, ciò nonostante, non voleva convertirsi al Signore. Elia va cercando ancora qualcuno che lo nutra. Che gran privilegio nutrire un Profeta di Dio! Dio sta con lui! Ma forse quest'uomo-miracolo si dirigerà ad una casa del regno d'Israele? o si rifugerà nella terra di Giuda? No; egli va verso le regioni della gentilità e si reca in un paese di Sidone, a Sarepta, presso una povera vedova: a quest'umile donna porta la benedizione d'Israele. Lo stesso Gesù notò questa circostanza, in quel passo dove sì visibilmente appare la giustizia di Dio contro i Giudei e la sua misericordia verso di noi: "In verità vi dico che molte eran le vedove in Israele al tempo d'Elia, quando il cielo stette chiuso per tre anni e sei mesi, e vi fu gran carestia per tutta la terra; eppure a nessuna di esse fu mandato Elia, ma ad una vedova in Sarepta, di Sidone" (Lc 4,25-26).

    L'estrema miseria del mondo pagano.

    Questa donna è dunque il tipo della gentilità chiamata alla fede. Vediamo anche quali somiglianti caratteristiche ci presenta una tale storia simbolica. È una vedova senza sostegno e senza protezione alcuna: simbolo della gentilità derelitta, che non ha nessuno che la difenda dal nemico del genere umano. Per nutrire la madre e il figlio non resta che un pugno di farina ed una goccia d'olio, poi dovranno morire: è l'immagine della spaventosa penuria di verità che affliggeva il mondo pagano, la cui vita agonizzava quando gli venne annunciato il Vangelo. Versando in tale strettezza, la vedova di Sarepta accolse il Profeta con un senso di umanità e di fiducia; non dubitò della sua parola, e fu salva, lei e il figlio. Alla stessa maniera furono ricevuti gli Apostoli dal mondo pagano, quando, scuotendo la polvere dai loro piedi, furono costretti a voltar le spalle all'infedele Gerusalemme.

    Il Pane vivo.

    Vediamo la vedova che regge nelle mani due pezzi di legno: questo doppio legno è la figura della Croce, come pensano sant'Agostino, san Cesario d'Arles e sant'Isidoro di Siviglia, i quali fanno eco alla primissima tradizione cristiana. Con quei legni la donna cuoce il pane che la nutrirà, perché dalla Croce procede ai Gentili l'alimento e la vita: Gesù, ch'è il Pane vivo. Mentre Israele rimane nella carestia e nell'aridità, la Chiesa dei Gentili non si vede mai mancare la farina del celeste frumento, ne l'olio, simbolo di forza e di dolcezza. Sia gloria dunque a Colui che ci chiamò dalle tenebre all'ammirabile luce della fede! (1Pt 2,9). Ma tremiamo alla vista delle sventure che attirò sopra un intero popolo l'abuso delle grazie. Se la giustizia di Dio non ha esitato a riprovare tutta una nazione, s'arresterà forse davanti alla nostra volontaria ostinazione?

    vangelo (Mt 23,1-12). - In quel tempo: Gesù, volgendosi alle turbe e ai- suoi discepoli, diceva loro nel suo insegnamento: Sulla cattedra di Mosè si assisero gli Scribi ed i Farisei. Osservate e fate adunque tutto ciò che vi diranno; ma non vogliate imitarli, che dicono e non fanno. Difatti, legan pesi grandi e insopportabili e li caricano sulle spalle della gente; ma essi non li vogliono neppure muovere con un dito. Fanno poi tutte le loro azioni per essere veduti dagli uomini; perciò portano più larghe le filatterie e metton lunghe frange sui mantelli. Inoltre ambiscono i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe, essere salutati nelle piazze ed essere dalla gente chiamati Maestri. Ma voi non vogliate essere chiamati Maestri : perché uno solo è il vostro Maestro, voi siete tutti fratelli. E non chiamate alcuno padre sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è nei cieli. Ne vi fate chiamare dottori, perché uno è il vostro Dottore, il Cristo. Chi è maggiore tra di voi, sarà vostro servo. Colui che si esalta, sarà umiliato; e colui che si umilia, sarà esaltato.

    La Chiesa Maestra di verità.

    Sulla cattedra di Mosè siedono i dottori della Legge, e Gesù vuole che si ascolti il loro insegnamento. Ma questa cattedra, ch'è pure una cattedra di verità, malgrado siano indegni coloro che vi stanno, non rimarrà più a lungo in Israele. Perdurando quest'anno il suo pontificato, Caifa profetizzerà ancora su quella cattedra; ma, siccome l'ha profanata con indegne passioni, fra poco sarà rimossa e sarà trasferita nel cuore della Gentilità. Gerusalemme, rinnegherà il divino liberatore, sta per perdere i suoi onori, e presto Roma, centro della potenza pagana, innalzerà fra le sue mura quella stessa cattedra ch'era la gloria d'Israele, e dall'alto della quale erano proclamate le profezie così visibilmente avverate in Gesù. D'ora in poi quella cattedra, nonostante tutte le furie delle porte dell'inferno, non crollerà più, e sarà la vera speranza delle nazioni, che riceveranno da lei l'indefettibile testimonianza della verità. .Così, la fiaccola della fede che brillava in Giacobbe, passò in altre mani, ma non si è spenta. Rallegriamoci della sua luce, e con la nostra umiltà, meritiamo d'essere sempre illuminati dai suoi raggi.

    Cristo-Verità.

    Quale fu la causa della perdizione d'Israele, se non il suo orgoglio? Esso si compiacque dei doni che Dio accumulò sopra di sé, ma non volle saperne d'un Messia spogliato d'ogni gloria umana; nel sentire da Gesù che i Gentili avrebbero avuto parte alla salvezza, si ribellò, e volle soffocare nel più esecrando misfatto, la voce che gli rimproverava la durezza del suo cuore. I Giudici, alla vigilia della divina vendetta, quando ormai si profilava imminente, non avevano perduto nulla della loro arroganza: sempre la stessa ostentazione, lo stesso spietato disprezzo dei peccatori. All'opposto, il Figlio di Dio s'è fatto figlio dell'uomo; è il nostro Maestro, e ci serve. Impariamo da tale esempio il valore dell'umiltà. Se siamo chiamati Maestri o Padri, ricordiamo che nessuno è maestro e padre, se non in Dio nostro Signore. È degno di chiamarsi maestro colui, per bocca del quale insegna Gesù Cristo; e quegli è veramente padre, che riconosce che la sua paterna autorità non viene che da Dio. Infatti l'Apostolo dice: "Piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, da cui ogni famiglia e nei cieli e sulla terra prende nome" (Ef. 3,14-15).

    PREGHIAMO

    Accogli propizio, o Signore, le nostre suppliche, e guarisci le malattie delle anime nostre; affinché ottenuto il perdono, ci rallegriamo sempre della tua benedizione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 541-543

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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    4 MARZO 2015: SAN CASIMIRO, CONFESSORE

    Innocenza e disprezzo del mondo.

    È dal seno stesso d'una corte mondana che oggi ci viene l'esempio delle più eroiche virtù, san Casimiro è principe di sangue reale; lo circondano tutte le seduzioni della gioventù e del lusso; ciò nonostante, trionfa delle insidie del mondo con la stessa facilità che lo faceva un Angelo esiliato sulla terra. Traiamo profitto da questo spettacolo; e se, in una condizione molto inferiore a quella in cui lo aveva posto la divina Provvidenza, noi abbiamo sacrificato agl'idoli del secolo, infrangiamo ciò che abbiamo adorato e torniamo a servire il solo Padrone che ha diritto ai nostri omaggi.

    Una grande forza d'animo, nelle più basse condizioni della società, pare talvolta avere la sua spiegazione nell'assenza delle tentazioni e nel bisogno di trovare in cielo un appoggio contro la sorte inesorabile; come se, in ogni stato, l'uomo non avesse in sé quegli istinti che, non combattuti, lo trascinerebbero alla depravazione.

    In san Casimiro la forza cristiana appare con tale vigore, da farci persuadere che la sua sorgente non è sulla terra, ma in Dio. È là che dobbiamo attingerla, in questo tempo di rigenerazione. Un giorno, egli preferì la morte al peccato. Fece forse altra cosa, in tale circostanza, di ciò che s'impone al cristiano in ogni ora della sua vita? Ma è tale l'attrattiva del presente, che incessantemente si vedono gli uomini abbandonarsi al peccato, morte dell'anima, non per salvare la vita in pericolo ma per la più futile soddisfazione, a volte contro l'interesse dello stesso mondo, al quale sacrificano tutto il resto; frutto dell'accecamento che la degradazione originale produsse in noi.

    Gli esempi dei Santi ci vengono dati come una fiaccola per illuminarci: serviamoci di questa luce salutare, e, per rialzarci, appoggiamoci ai meriti e all'intercessione degli amici di Dio, che dall'alto del cielo si preoccupano del nostro pericoloso stato con sì tenera compassione.

    VITA. - San Casimiro, figlio del re di Polonia, nacque nel 1458. Fin dalla prima giovinezza si segnalò per la pietà, l'austerità, lo zelo per la propagazione della fede cattolica, la carità verso i poveri e la castità che sempre custodì. Dopo aver predetto il giorno in cui doveva morire, s'addormentò nella pace di Dio a Vilna, all'età di venticinque anni. Sulla sua tomba si molti-plicarono numerosi miracoli. Quindi Leone X iscrisse il giovane principe nel catalogo dei Santi.

    Elogio e preghiera.

    Riposa ora in seno all'eterna felicità, tu che le grandezze della terra e le delizie di tutte le corti non distolsero mai dal grande oggetto che aveva rapito il tuo cuore. Avesti una vita breve nella durata, ma feconda di meriti. Tutto dedito al ricordo d'una patria migliore, quella di quaggiù mai attirò i tuoi sguardi; e non vedevi l'ora di rivolare a Dio, come se egli ti avesse solo prestato alla terra. Non fu esente la tua vita innocente dai rigori della penitenza: tanto era vivo in te il timore di soccombere alle attrattive dei sensi! Fa' che comprendiamo il bisogno che abbiamo d'espiare i peccati che ci hanno allontanati da Dio. Tu preferisti morire piuttosto che offendere Dio; distaccaci dal peccato, il più gran male dell'uomo, perché esso è anche il male di Dio. Assicura i frutti di questo santo tempo, che ci è accordato perché facciamo una buona volta penitenza.

    Dalla gloria ove regni, benedici la cristianità che ti onora; ma sopra tutto ricordati della tua patria terrena. Un tempo, essa ebbe l'onore di costituire una diga sicura per la Chiesa contro lo scisma, l'eresia e l'infedeltà; allevia i suoi mali, liberala dal giogo e, riaccendendo in essa l'antico zelo della fede, preservala dalle seduzioni da cui è minacciata.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 829-831

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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    4 MARZO 2015: SAN LUCIO, PAPA E MARTIRE

    San Lucio apparteneva al clero romano sotto i Papi Fabiano e Cornelio. Morto quest'ultimo il 14 settembre 252, fu eletto a succedergli nella Sede di san Pietro, il 25 giugno 253.

    Non appena l'imperatore Gallo ricominciò la persecuzione, Lucio fu esiliato; ma presto poté rientrare in Roma, con grande giubilo dei cristiani. San Cipriano gli scrisse diverse volte, per felicitarsi della sua elezione al Sommo Pontificato e per la fortuna che aveva avuto di soffrire per Gesù Cristo.

    Il suo Pontificato fu di brevissima durata. Morì il 5 marzo 254, e le sue reliquie riposano nella Chiesa di S. Cecilia, in Trastevere. L'esilio coraggiosamente sopportato per Gesù Cristo gli meritò l'onore di Martire.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 831

  6. #6
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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    4 marzo 2015: MERCOLEDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

    La Stazione è nella Basilica di S. Cecilia. Questo tempio era una volta la casa dell'insigne Vergine Martire, che porta il suo nome. Il corpo di santa Cecilia riposa sotto l'Altar maggiore, insieme a quelli dei santi Martiri Valeriane, Tiburzio, Massimo, Urbano e Lucio.

    lezione (Est. 13, 8-11, 15-17). - In quei giorni: Mardocheo pregò il Signore, dicendo: Signore, Signore, Re onnipotente, tutte le cose sono a te soggette, e non v'è chi possa resistere al tuo volere, se tu hai risoluto di salvare Israele. Tu facesti il cielo e la terra e tutto quello che si contiene nel giro dei cieli. Tu sei il Signore di tutte le cose e nessuno può resistere alla tua maestà. Or tu, o Signore e Re, o Dio di Abramo, abbi pietà del tuo popolo, perché i nostri nemici ci vogliono sterminare e distruggere la tua eredità. Non disprezzare il tuo retaggio che ti riscattasti dall'Egitto. Esaudisci la mia preghiera e sii propizio alla tua parte, alla tua porzione e muta in allegrezza il nostro lutto, affinché vivendo, o Signore, celebriamo il tuo nome: non chiudere la bocca di coloro che ti lodano, o Signore, Dio nostro.

    La Chiesa, novella Ester.

    Questo grido, alzato verso il cielo a favore d'un popolo condannato a perire, rappresenta le suppliche dei giusti dell'Antico Testamento per la salvezza del mondo. Il genere umano era esposto alla rabbia dell'infernale nemico, figurato da Aman. Il Re dei secoli aveva sentenziato il fatale decreto: Voi morirete certamente. Chi poteva ormai farne revocare la sentenza? Come Ester si portò ai piedi di Assuero e fu ascoltata, così Maria si presentò dinanzi al trono dell'Eterno e, per il suo divin Figlio, schiacciò la testa al serpente che ci teneva in suo potere. Così verrà annullato il decreto, e nessuno morrà, se non coloro che lo vogliono. Oggi la Chiesa, commossa dai pericoli ai quali si trova una gran parte dei suoi figli che vivono da tanto tempo nel peccato, intercede per loro, ripetendo la preghiera di Mardocheo. Ella supplica il suo Sposo di ricordarsi, che una volta li strappò dalla terra d'Egitto, e che per il Battesimo essi diventarono le membra di Gesù Cristo e l'eredità del Signore; e lo scongiura di'mutare nelle gioie pasquali la loro afflizione, e che non siano chiuse dalla morte le loro bocche, tante volte colpevoli nel passato, ma che oggi si aprono a domandar grazia, e un giorno, ottenuto il perdono, proromperanno in inni di riconoscenza al divino liberatore.

    vangelo (Mt 20,17-28). - In quel tempo: Gesù stando per salire a Gerusalemme, presi in disparte i dodici discepoli, disse loro: Ecco, ascendiamo a Gerusalemme, e il Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei principi dei sacerdoti e degli scribi, e lo condanneranno a morte, e lo consegneranno ai Gentili, per essere schernito, flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risorgerà. Allora s'accostò la madre dei figli di Zebedeo con i propri figlioli, adorando e in atto di chiedere qualche cosa. Che vuoi? le disse. Quella rispose: Di' che seggano questi due miei figlioli, uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra nel tuo regno. E Gesù rispose: Non sapete quello che domandate. Potete voi bere il calice che berrò io? Gli risposero : Lo possiamo. Disse loro: Il calice mio voi certo lo berrete: sedere però alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concedervelo, ma è per quelli cui è stato preparato dal Padre mio. Udito ciò gli altri dieci s'indignarono contro i due fratelli. Ma Gesù chiamatili a sé disse: Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano ed i grandi esercitano il potere sopra di esse. Ma tra di voi non sarà così; anzi chi vorrà tra di voi diventare maggiore sia vostro ministro. E chi vorrà tra di voi essere il primo, sia vostro servo. Come il Figlio dell'uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire e a dar la sua vita in redenzione di molti.

    L'annuncio della Passione.

    Ecco davanti a noi la vittima che placherà la collera del Re dei re e salverà il popolo suo dalla morte. Figlio della novella Ester e Figlio di Dio, affronta ed abbatte la superbia di Aman nel preciso momento che il perfido crede di trionfare. S'avvicina a Gerusalemme, perché è là che dovrà avvenire il grande combattimento; e, cammin facendo, predice ai suoi discepoli tutto ciò che gli sarebbe accaduto: sarà consegnato ai prìncipi dei sacerdoti, i quali lo giudicheranno degno di morte; costoro lo rimetteranno al potere del governatore e dei soldati romani; egli sarà coperto d'obbrobri, flagellato e crocifisso, ma il terzo giorno risusciterà glorioso. Il Vangelo ci dice che Gesù, presili in disparte parlò ai Dodici; quindi tutti gli Apostoli intesero la sua profezia. Era presente Giuda, come lo erano anche Pietro, Giacomo e Giovanni, i quali nella trasfigurazione del loro Maestro sul Tabor avevano potuto, a differenza degli altri, conoscere la dignità di cui era rivestito. Nonostante questo, tutti l'abbandonarono: Giuda lo vendette, Pietro lo rinnegò, e quando il Pastore era in preda alla violenza dei suo nemici, tutto il gregge si disperse per lo spavento. Nessuno si ricordò ch'egli aveva predetta la sua risurrezione al terzo giorno, all'infuori forse di Giuda che, rassicurato da questo pensiero, osò tradirlo per una bassa cupidigia.

    Tutti gli altri non videro che lo scandalo della croce; e bastò questo a far loro abbandonare il Maestro. Quale lezione per i cristiani di tutti i tempi! Com'è raro considerare la croce, per sé e per gli altri, come il suggello della predilezione divina!

    Uomini di poca fede, noi ci scandalizziamo delle prove dei nostri fratelli, e siamo portati a credere che Dio li ha abbandonati per affliggerli; uomini di scarso amore, ci sembrano un male le tribolazioni di questo mondo, e ciò che costituisce il colmo della misericordia del Signore lo consideriamo come una durezza da parte sua verso di noi. Rassomigliamo alla madre dei figli di Zebedeo, i quali volevano occupare un posto glorioso, distinto accanto al Figlio di Dio, e ci dimentichiamo che, per meritarlo dobbiamo bere il calice ch'egli ha bevuto, il calice della Passione; ma dimentichiamo pure la parola dell'Apostolo che, "per essere glorificati con Gesù, dobbiamo anche soffrire con lui!" (Rm 8,17). Come il Giusto non è entrato in possesso della pace attraverso gli onori e le delizie, così anche il peccatore non lo potrà seguire, se non attraverso la via dell'espiazione.

    PREGHIAMO

    O Dio, che ripari ed ami l'innocenza, dirigi a te i cuori dei tuoi servi; affinché, possedendo il fervore del tuo spirito, siano stabili nella fede ed efficaci nelle opere.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 544-546

  7. #7
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    Predefinito Re: 4 marzo 2015: S. Casimiro - S. Lucio, Mercoledì della seconda settimana di Quare

    5 marzo 2015: GIOVEDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

    La Stazione oggi è nella celebre ed antica Basilica di S. Maria in Trastevere che, dopo S. Maria Maggiore, è la più bella delle Chiese Mariane di Roma.

    LEZIONE (Ger 17,5-10). - Queste cose dice il Signore Dio: Maledetto l'uomo che confida nell'uomo e si appoggia alla carne, e allontana il suo cuore dal Signore. Egli sarà come un tamarisco nel deserto: non godrà il bene quando venga; ma starà nell'aridità del deserto, In terre salse ed inabitabili. Benedetto l'uomo che confida nel Signore, e di cui Dio sarà la speranza. Egli sarà come albero piantato lungo le acque, che distende verso l'umore le sue radici e non temerà, venuto che sia, il caldo. Le sue foglie saran verdeggianti, nel tempo della siccità non ne avrà danno e non avverrà mai che cessi di dar frutti: Tutti hanno un cuore malvagio e inscrutabile: chi lo potrà conoscere? Ma io, il Signore, io scruto i cuori, io distinguo gli affetti, e dò a ciascuno secondo le opere, secondo il frutto dei suoi propositi: dice il Signore onnipotente.

    Confidenza negli uomini.

    Le letture odierne sono consacrate a rinvigorire nei nostri cuori i principi della morale cristiana. Allontaniamo per un istante gli sguardi dal triste spettacolo che ci offre la malizia dei nemici di Gesù, e portiamoli su noi stessi, per conoscere le piaghe dell'anima nostra e procurarne il rimedio. Oggi il Profeta Geremia ci presenta il quadro di due situazioni per l'uomo: quale delle due è la nostra? C'è chi mette la sua confidenza in un braccio di carne, cioè che considera la sua vita in ordine alle presenti condizioni, vedendo tutto nelle creature e trovandosi quindi trascinato a violare la legge del Creatore. Da questa sorgente scaturiscono tutti i nostri peccati: perduti di vista i destini eterni, fummo sedotti dalla triplice concupiscenza. Torniamo sollecitamente a Dio nostro Signore, se non vogliamo temere la sorte minacciata dal Profeta al peccatore: Quando verrà il bene, non ne godrà. La santa Quarantena avanza; le grazie più elette si moltiplicano ad ogni ora: guai all'uomo che, distratto dalla scena di questo mondo che passa (1Cor 7,31), neppure se ne accorge, e rimane in questi santi giorni sterile per il cielo, com'è per la terra la landa del deserto! Quanto grande è il numero di questi ciechi e come è spaventosa la loro insensibilità! Pregate per loro, figli fedeli della Chiesa, pregate incessantemente, ed offrite secondo la loro intenzione al Signore le vostre opere di penitenza e quelle della vostra generosa carità. Ogni anno molti di loro rientrano nell'ovile: sono le preghiere dei fratelli che aprono loro le porte. Facciamo quindi violenza alla divina misericordia.

    Confidenza in Dio.

    In secondo luogo, il Profeta ci dipinge l'uomo che ripone tutta la sua confidenza nel Signore, e che, non avendo altra speranza all'infuori di lui, sta sempre vigilante per essergli fedele. È come un bell'albero in riva alle acque, dal fogliame sempre verde e dai frutti abbondanti. "Io ho detto a voi, e v'ho destinati, perché andiate e portiate frutti, e frutti duraturi" (Gv 15,16). Cerchiamo di diventare quest'albero benedetto e sempre fecondo. La Chiesa in questo santo tempo spande sulle radici l'umore della compunzione: lasciamo che quest'acqua benefica abbia da operare. Il Signore scruta i nostri cuori ed approfondisce i nostri desideri di conversione; poi quando verrà la Pasqua " darà a ciascuno secondo le opere".

    VANGELO (Lc 16,19-31). - In quel tempo: Gesù disse ai Farisei: C'era un uomo ricco, il quale vestiva porpora e bisso e tutti i giorni se la godeva splendidamente. E c'era un mendico, chiamato Lazzaro, il quale, pieno di piaghe, giaceva all'uscio di lui, bramoso di sfamarsi con le bricciole che cadevano dalla tavola del ricco, ma nessuno gliele dava: venivano invece i cani a leccare le sue piaghe. Or avvenne che il mendico mori, e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto nell'inferno. Allora, alzando gli occhi, mentre era nei tormenti, egli vide lontano Abramo, e Lazzaro nel suo seno. E disse, gridando: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a bagnar la punta del suo dito nell'acqua, per rinfrescarmi la lingua, perché io spasimo in questa fiamma. Ma Abramo gli disse: Figliolo, ricordati che tu avesti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe allora dei mali: e quindi ora lui è consolato e tu soffri. E poi, tra noi e voi c'è un grande abisso, tale che quelli che vogliono di qui passare a voi non possono, ne di costà possono a noi valicare. E quello replicò: Allora, o padre, ti prego, che tu lo mandi a casa del padre mio, che ho cinque fratelli, affinché li avverta di queste cose e non vengano anch'essi in questo luogo di tormenti. E Abramo gli rispose: Hanno Mosè ed i Profeti: ascoltino quelli. Replicò l'altro: No, padre Abramo, ma se un morto va da loro si ravvederanno. Ma Abramo gli rispose: Se non ascoltano Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno se uno risuscitasse dai morti.

    L'inferno, castigo del peccato.

    In questo fatto vediamo la sanzione delle leggi divine, il castigo del peccato. Come ci appare temibile qui il Signore e "quanto è terribile cadere nelle mani del Dio vivente!" Oggi uno vive in pace, fra i godimenti e nella sicurezza; domani l'inesorabile morte piomba su di lui; ed eccolo sepolto vivo nell'inferno. Spasimando nell'eterne fiamme, implora una goccia d'acqua; ma questa goccia d'acqua gli è rifiutata. Altri suoi simili, che ha veduto coi suoi occhi fino a poche ore fa, godono ora un altro soggiorno, quello dell'eterna felicità; ma un immenso abisso lo separa da loro per sempre. Quale sorte spaventosa! quale infinita disperazione! E vi sono uomini sulla terra che spesso vivono e muoiono senza scandagliare un sol giorno quell'abisso, nemmeno con un semplice pensiero!

    Timore dell'inferno.

    Beati dunque quelli che temono! perché il timore li può aiutare a sollevare il peso che li trascinerebbe nella voragine senza fine. Che fitte tenebre ha disteso il peccato nell'anima dell'uomo! Vi sono uomini saggi e prudenti che non si macchiano di colpe nell'esercizio degli affari del mondo; ma sono insensati e stupidi quando si tratta dell'eternità!

    Quale orrendo risveglio! Ma la disgrazia è irreparabile. Per rendere più efficace la sua lezione, Gesù non ci ha raccontato la riprovazione d'uno scellerato, colpevole di delitti orrendi e che gli stessi mondani ritengono preda dell'inferno; ci ha presentato invece uno di quegli uomini tranquilli, che gestisce un pacifico commercio e fa onore alla sua categoria. Qui, niente delitti e niente atrocità; Gesù ci dice semplicemente ch'era vestito con lusso e viveva ogni giorno lautamente. V'era, sì, un povero mendico alla sua porta, ma non lo trattava male; lo poteva allontanare, e invece lo tollerava, senza insultare alla sua miseria. Perché allora questo ricco sarà eternamente divorato dagli ardori del fuoco che Dio accese nell'ira sua?

    Necessità della mortificazione.

    Perché, l'uomo che dispone dei beni di quaggiù, se non trema al pensiero dell'eternità, se non capisce che deve "usare di questo mondo come se non ne usasse" (1Cor 7,31) ed è estraneo alla Croce di Gesù Cristo, è già vinto dalla triplice concupiscenza. La superbia, l'avarizia e la lussuria se ne contendono il cuore, e finiscono tanto più a dominarlo quanto meno pensa di fare qualche cosa per abbatterle. È uomo che non combatte: nella sua anima è venuta ad abitare la morte. Non maltrattava i poveri; ma si ricorderà troppo tardi che il povero è da più di lui, e che lo doveva onorare e sollevare. I suoi cani ebbero più umanità di lui; ecco perché Dio l'ha lasciato addormentare sull'orlo dell'abisso che lo doveva inghiottire. Potrà egli dire di non essere stato avvertito? Non aveva Mosè ed i Profeti, e più che tutto Gesù e la sua Chiesa? Egli ora ha a sua disposizione la santa Quarantena promulgata, che gli è stato annunciata; ma si da almeno pensiero di sapere che cos'è questo tempo di grazia e di perdono? Forse lo trascorrerà senza scuotersi; ma farà nello stesso tempo un passo verso l'eterna infelicità.

    PREGHIAMO

    Assisti o Signore, i tuoi servi, e concedi loro gli effetti di questa continua misericordia, che implorano, affinché, gloriandosi di te, loro creatore e guida, sia ristabilita la loro unione e conservata la loro restaurazione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 546-549

  8. #8
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    Predefinito Re: 4 marzo 2015: S. Casimiro - S. Lucio, Mercoledì della seconda settimana di Quare

    6 MARZO 2015: SANTA PERPETUA E FELICITA, MARTIRI
    Gloria di questo giorno.
    La festa di queste due sante eroine della fede cristiana veniva celebrata, nelle chiese loro dedicate, domani 7 marzo, giorno anniversario del loro trionfo; ma la memoria di san Tommaso d'Aquino sembrava eclissare quella delle sue due grandi Martiri africane. Avendo perciò la Santa Sede elevato la loro memoria, per la Chiesa universale, al rito doppio, prescrisse d'anticipare d'un giorno la loro solennità; così la Liturgia presenta fin da oggi all'ammirazione del lettore cristiano lo spettacolo di cui fu testimone la città di Cartagine nell'anno 202 o 203. Niente ci fa meglio comprendere il vero spirito del Vangelo secondo il quale in questi giorni dobbiamo riformare i nostri sentimenti e la nostra vita. Queste due donne, queste due madri affrontarono i più grandi sacrifici; Dio chiese loro non soltanto la vita, ma più che la vita; ed esse vi si assoggettarono con quella semplicità e magnanimità che fece d'Abramo il Padre dei credenti.
    La forza nella debolezza.
    I loro nomi, come osserva sant'Agostino, erano un presagio della sorte che il cielo riservava loro: una perpetua felicità. L'esempio che diedero della forza cristiana è di per se stesso una vittoria che assicura il trionfo della fede di Gesù Cristo in terra d'Africa. Ancora pochi anni, e san Cipriano farà sentire la sua voce eloquente che chiama i cristiani al martirio. Dove trovare accenti più commoventi che nelle pagine scritte dalla mano della giovane donna di ventidue anni, Perpetua, la quale ci narra con una calma celestiale le prove che doveva passare prima d'arrivare a Dio, e che, sul punto d'andare all'anfiteatro, trasmise ad un altro perché completasse la sua sanguinosa tragedia?
    Leggendo queste gesta, di cui i secoli non hanno potuto alterare né fascino, né grandezza, sentiamo quasi la presenza dei nostri antenati nella fede e ammiriamo la potenza della grazia divina, che suscitò un tale coraggio dal seno stesso d'una società idolatra e corrotta; e considerando qual genere di eroi Dio usò per infrangere la formidabile resistenza del mondo pagano, non si può fare a meno di ripetere con san Giovanni Crisostomo: "A me piace tanto leggere gli Atti dei Martiri; ma ho un'attrattiva particolare per quelli che ritraggono le lotte sostenute dalle donne cristiane. Più debole è l'atleta e più gloriosa è la vittoria; infatti il nemico vede l'avvicinarsi della disfatta proprio dal lato dove aveva sempre trionfato. Per la donna egli ci vinse; ora per la donna viene abbattuto. Nelle sue mani ella fu una arma contro di noi; ora ne diviene la spada che lo trapassa. In principio la donna peccò, e quale compenso del suo peccato ebbe in eredità la morte; ora la martire muore, ma muore per non peccare più. Sedotta da promesse menzognere, la donna violò il precetto divino; ora per non violare la fedeltà al divino benefattore, la martire preferisce sacrificare la vita. Quale scusa ora avrà l'uomo per farsi perdonare la sua codardia, quando delle semplici donne mostrano un sì virile coraggio? quando, così deboli e delicate, si sono viste trionfare dell'inferiorità del loro sesso, e, fortificate dalla grazia, riportare sì gloriose vittorie"? (Omelia Su vari passi del N. T.).
    Le Lezioni di queste due Martiri narrano i tratti più salienti del loro combattimento. Vi sono inseriti frammenti del vero racconto scritto da santa Perpetua. Esso ispirerà senza dubbio a più di un lettore il desiderio di leggere per intero negli Atti dei Martiri [1] il resto del magnifico testamento di questa eroina.
    VITA. - Sotto l'imperatore Severo, furono arrestati a Cartagine, in Africa, alcuni giovani catecumeni: Revocato e Felicita, tutti e due schiavi, e con loro Saturnino e Secondolo, e da ultimo, Vibia Perpetua, di famiglia distinta, educata con molta cura e sposata a un uomo di alta condizione. All'età di ventidue anni ella aveva ancora il padre e la madre, due fratelli, uno dei quali era, come lei, catecumeno, e un bambino al quale essa dava ancora il latte. Vibia Perpetua scrisse interamente di suo pugno la storia del suo martirio.
    Eravamo già sotto la pressione dei nostri persecutori, racconta Perpetua, e mio padre, spinto dal grande amore che mi portava, faceva ogni sforzo per scuotermi e farmi cambiare d'avviso. Padre mio, gli dissi, io non posso chiamarmi con altro nome diverso da quel che sono, cioè cristiana.
    A tale parola mio padre si slanciò contro di me e sembrava volesse cavarmi gli occhi, ma finì per dirmi soltanto delle villanie e delle ingiurie, e quindi si ritirò confuso per non aver potuto vincer la mia fermezza con tutti gli artifizi che il demonio gli aveva suggerito. Per qualche giorno non si fece più vedere da me e ne ringraziai il Signore. La sua lontananza mi era un sollievo. Durante questo breve intervallo ricevemmo il battesimo; e lo Spirito Santo, mentre io stavo nell'acqua, m'ispirò di domandare un'unica cosa: la pazienza nelle pene che avrei dovuto soffrire nel corpo.
    Pochi giorni dopo fummo condotti in prigione. All'entrare ebbi uno spavento indicibile, perché io non avevo mai visto tenebre sì orrende. Che giorni tristi! Eravamo così ammucchiati uno contro l'altro che si soffocava; per di più si era costretti a subire ad ogni momento l'insolenzà dei soldati di guardia. Ma l'angoscia più grave mi veniva dal pensiero del mio bambino, che era lontano da me. Terzo e Pomponio, i cari diaconi che avevano cura di noi, riuscirono a ottenere, profondendo del denaro, che per alcune ore lungo la giornata fossimo condotti in luogo aperto, a respirare un poco d'aria. Allora, usciti dal fondo del carcere, ciascuno poteva ristorarsi come meglio gli piaceva. Mia cura era di dare il latte al bambino, già mezzo morto per l'inedia. Con molto affetto parlai a mia madre, confortai mio fratello, e raccomandai a tutti in modo speciale l'assistenza al piccino. Ma ero in pena nel vedere i miei cari afflitti per causa mia.
    Dopo pochi giorni si diffuse la voce che saremmo stati giudicati. A tal notizia mio padre, accasciato dal dolore, corse dalla sua villetta e venne a vedermi, sperando di togliermi dal mio proposito, e mi diceva: "Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi; abbi pietà di tuo padre, se almeno mi credi ancora degno d'essere chiamato tuo padre! Pensa a tua madre, ai tuoi fratelli, al tuo figlioletto, che senza di te non potrà vivere. Non ostinarti a questo modo, perché tu fai morire tutti, e ci mandi in rovina!".
    Così parlava mio padre nel suo amor per me, e nello stesso tempo mi baciava le mani, si gettava ai miei piedi, mi chiamava non "figlia" ma signora e padrona. A simili accenti, io sentivo pietà per lui, perché di tutta la mia famiglia era l'unico che non si sarebbe gloriato del mio martirio; lo rassicurai dicendo: "Accadrà quel che Dio vorrà: poiché non siamo noi i padroni di noi stessi, ma Dio! Ed egli se ne andò molto rattristato".
    Un giorno, durante la refezione, fummo improvvisamente chiamati per un interrogatorio. Andammo al foro. Sparsasi di ciò subito la voce, veniva agglomerandosi nei dintorni del foro una folla immensa. Montammo sul palco del tribunale. I miei compagni furono interrogati e confessarono. Quando venne il mio turno d'essere interrogata, mio padre apparve d'improvviso portando in braccio il mio figlioletto; mi trasse in disparte fuori del mio posto e in atto supplichevole mi disse: "Abbi pietà del bambino". Il procuratore Ilariano insisteva: "Abbi pietà dei capelli bianchi di tuo padre; "abbi compassione della tenera età di tuo figlio. Sacrifica alla salute degl'imperatori ". Non farò mai una cosa simile, risposi, io sono cristiana.
    Allora il giudice pronunziò la sentenza, per la quale eravamo tutti condannati alle belve: noi scendemmo festanti dal palco per andare nelle prigioni. Poiché il mio bambino era abituato a prendere il latte da me ed a restare con me nella prigione, inviai subito a richiederlo a mio padre, ma egli non volle darlo. Piacque a Dio che il bimbo non domandasse più latte, di modo che io non ebbi più alcuna preoccupazione per lui, né venni a soffrire per questo, alcuna dolorosa conseguenza.
    Fino a questo punto ho scritto io stessa il racconto; quello poi che accadrà in seguito, nel combattimento per il mio martirio, scriverà chi vorrà.
    Anche Felicita ottenne da Dio un insigne favore. Ella era otto mesi che attendeva dal Signore un bambino. Man mano che il giorno dei giochi si avvicinava la sua tristezza aumentava, perché temeva che il suo stato di madre facesse rimandare il martirio ad altra epoca: la legge infatti proibiva di giustiziare a questo modo le madri. I suoi compagni di martirio non erano meno rattristati di lei, al pensiero d'abbandonare, sola, sul cammino della speranza e del bene che essi avrebbero posseduto così dolce amica e sorella. Perciò tutti si unirono in una sola preghiera in favore di Felicita. E tre giorni prima dei giochi, ella ebbe la grazia d'una bambina. Ai gemiti di lei nell'oscura prigione un carceriere disse: "Se tu in questo momento non sei capace di sopportare il dolore, che accadrà quando sarai di fronte alle bestie, che tu hai mostrato or ora di disprezzare e di non temere quando hai rifiutato di sacrificare?". Felicita rispose: "Adesso a soffrire sono io sola, ma allora ci sarà un Altro in me, che patirà per me, perché anch'io patirò per lui". La bambina di Felicita fu adottata da una cristiana.
    Spuntò finalmente il giorno del trionfo. Camminavano i martiri dalla prigione all'anfiteatro come andassero al cielo, giulivi in volto, commossi e trepidanti non per il timore ma per la gioia. Veniva ultima Perpetua, placida in viso, il passo grave, calma e maestosa come si conviene a una matrona di Cristo; con la forza superiore e divina dei suoi occhi imponeva rispetto a tutti. Era con lei Felicita, gioiosa per la sua riacquistata liberazione, che le permetteva di combattere quel giorno con le fiere, e desiderosa di purificarsi in un secondo battesimo.
    Per le due donne si era preparato una mucca furiosa (certo fu il demonio a suggerire questo animale generalmente sconosciuto nei giuochi), quasi si volesse recare maggior insulto al loro sesso. Si spogliarono queste sante donne delle loro vesti, si involsero in una rete, e in tale stato furono esposte alle belve. Perpetua fu esposta prima, e fu dalla mucca sollevata in aria con le corna. Ricadde sui lombi, battendo in terra fortemente. Nella caduta la sua tunica si aperse per buon tratto da un fianco; ed ella la ricongiunse subito con la mano e si ricoprì, più attenta al pudore che non al dolore.
    "Richiamata dagli arenai, si accorse che la sua capigliatura era sciolta: e allora raccolse e rannodò la chioma, pensando che una martire non deve avere, morendo, i capelli scarmigliati, affinchè nessuno avesse a credere che si affliggeva nel momento della sua gloria. Così ricomposta, Perpetua si rialzò, e, vedendo Felicita che giaceva al suolo quasi morta (gettata anch'essa a terra dalla vacca), le si accostò, le diede la mano, la sollevò dal suolo. Si fermarono là in piedi ambedue. Il popolo, mosso a compassione, gridò che si facessero uscire dalla porta Sanavivaria. Ivi Perpetua accolta da un catecumeno a lei molto affezionato, di nome Rustico, sembrava una persona che esce da un profondo sonno, ma era in estasi, e, guardandosi intorno chiese con stupore di tutti: "Quando dunque saremo esposte a questa mucca?". E siccome le si rispose che ciò era già stato fatto, essa non se ne convinse, finché non vide sopra le sue vestimenta e sopra il suo stesso corpo le tracce di quanto aveva sofferto. Dopo di che fece chiamare suo fratello e Rustico, e disse loro: "State saldi nella fede, amatevi gli uni e gli altri, e non rendetevi scandalo dei nostri patimenti".
    Quanto a Secondolo, Dio volle chiamarlo a sé mentre stava ancora chiuso nel carcere. Saturnino e Revocato, prima assaliti da un leopardo, furono poi crudelmente trascinati da un orso. Saturo fu prima esposto a un cinghiale, quindi a un orso; ma questa bestia non usci fuori della sua gabbia, così che, due volte rimasto immune, il martire fu chiamato dentro; solo alla fine dello spettacolo venne presentato a un leopadro, che con un sol morso lo immerse in un lago di sangue. "È lavato davvero! è lavato davvero! " gridò il popolo alludendo al battesimo. Poi il martire cadde svenuto e fu trasportato nello spoliario, ove già si trovavano gli altri martiri per essere scannati.
    Ma il popolo reclamava il ritorno dei condannati, poiché voleva darsi al barbaro piacere di mirare le spade quando s'immergono nel corpo d'un uomo. I martiri da loro stessi s'alzarono, condiscendendo al desiderio del popolo; e, giunti nel mezzo dell'anfiteatro, si diedero il bacio per consumare così il martirio in pace; poi, immobili, silenziosi, attesero il ferro. Saturo, che marciava in testa, morì per il primo.

    Perpetua era riserbata a un nuovo dolore. Colpita per sbaglio tra le coste e la gola diede un grido; poi, siccome il suo carnefice era un gladiatore novizio, prese essa stessa la mano tremante di quell'apprendista e si appoggiò la punta della spada sopra la gola. Sembrava che questa donna valorosa non potesse morire che di propria volontà, e che lo spirito immondo, dal quale era temuta, non potesse toccarla senza il suo consenso.
    Nota sulla composizione degli Atti.
    "Nel leggere questo celebre brano - d'un sì ardente e puro entusiasmo e d'una semplicità così bella e commovente, solo qua e là gravata di un tantino di retorica - ci si rende conto della sua intessitura. Il primo capitolo è un prologo da attribuirsi al redattore, che ha messo insieme le diverse parti narrate. Nel secondo capitolo il redattore narra sommariamente la simultanea cattura di Vibia Perpetua, giovane donna di ventidue anni, istruita e di famiglia ragguardevole; di due giovani, Saturnino e Secondolo; da ultimo di due schiavi, Revocato e Felicita, tutti catecumeni. (Un po' più tardi, un certo Saturo, loro istruttore, si sarebbe spontaneamente consegnato: paragrafo iv). Quindi dichiara che cede la parola a Perpetua che ha redatto di proprio pugno il racconto delle sue sofferenze...
    Bisogna perciò immaginarsi che le cose siano andate press'a poco così: Perpetua e Saturo nell'oscura prigione ebbero l'agio di stendere una breve relazione dei patimenti che soffrirono, e prima di tutto dei "carismi" con cui Dio li visitò. Tali annotazioni cadono fra le mani d'un testimone oculare del loro supplizio, il quale indaga su particolari che non ha potuto vedere coi propri occhi, completa la narrazione dei martiri e, dai diversi elementi, ne ricava un insieme che inquadra in un'esortazione morale e religiosa. Bisogna dunque distinguere due parti negli Atti quella del compilatore e quella degli stessi martiri...
    Io credo che, con tutta franchezza, si possa identificare nel redattore Tertulliano... Sono il suo stile, la sua lingua, le sue parole... Il testo poi fu redatto poco dopo il 202-303, data del supplizio dei martiri".
    (Pietro di Labriolle, Histoire de la litterature latine chrétienne, 3a ediz., 1947, p. 156).

    Santa Perpetua.
    Tutta la cristianità s'inchina davanti a te, o Perpetua! Ma c'è di più: ogni giorno, il celebrante pronuncia il tuo nome fra i nomi privilegiati ch'egli ripete al cospetto della vittima divina; così la tua memoria è perpetuamente associata a quella di Cristo, cui il tuo amore rese testimonianza col sangue. Ma quale beneficio egli s'è degnato d'accordarci, permettendoci di penetrare i sentimenti della tua anima generosa nelle pagine vergate dalle tue mani e pervenute fino a noi attraverso i secoli! Là noi apprendiamo il tuo amore "più forte della morte" (Ct 8,6), che ti fece vittoriosa in tutti i combattimenti. L'acqua battesimale non aveva ancora bagnata la tua fronte, che già eri annoverata fra i martiri. Ben presto dovesti sostenere gli assalti di un padre, e superare la tenerezza filiale di quaggiù per preservare quella che dovevi all'altro Padre che sta nei cieli. Non tardò il tuo cuore materno ad essere sottoposto alla più terribile prova, quando il bambino che prendeva vita dal tuo seno ti fu portato via come un novello Isacco, e rimanesti sola nella veglia dell'ultimo combattimento.
    "Dov'eri tu, diremo con sant'Agostino, quando neppure vedevi la bestia furibonda cui ti avevano esposta? Di quali delizie godevi, al punto d'essere divenuta insensibile a sì gravi dolori? Quale amore t'inebriava? Quale bellezza celeste ti cattivava? Quale bevanda ti aveva tolto il senso delle cose di quaggiù, tu, ch'eri ancora, nei vincoli della vita mortale?" (Per il giorno natalizio di santa Perpetua e Felicita).

    Il Signore ti aveva predisposta al sacrificio. E allora comprendiamo come la tua vita sia divenuta affatto celeste, e come la tua anima, dimorante già per l'amore, in Gesù che ti aveva tutto chiesto e al quale nulla negasti, fosse sin d'allora estranea a quel corpo che doveva ben presto abbandonare. Ti tratteneva ancora un legame, quello che la spada doveva troncare; ma affinché la tua immolazione fosse volontaria sino alla fine, fu necessario che con la tua stessa mano vibrassi il colpo che schiudeva all'anima il passaggio al Sommo Bene. Tu fosti donna veramente forte, nemica del serpente infernale! Oggetto di tutto il suo odio, tu lo vincesti! Ed ecco che dopo secoli il tuo nome ha il privilegio di far palpitare ogni cuore cristiano.
    Santa Felicita.
    Ricevi anche tu i nostri omaggi, o Felicita! Tu fosti degna compagna di Perpetua. Nel secolo essa brillò nel novero delle matrone di Cartagine; ma, nonostante la tua condizione servile, il battesimo l'aveva resa tua sorella, e ambedue camminaste di pari passo nell'arena del martirio. Appena si rialzava dalle violente cadute, essa correva a te, e tu le tendevi la mano; la nobile donna e la schiava si confondevano nell'abbraccio del martirio. In tal modo gli spettatori dell'anfiteatro erano già in grado di capire come la nuova religione avesse insita in sé una virtù, destinata a far soccombere la schiavitù.

    O Perpetua! o Felicita! fate che i vostri esempi non vadano perduti, e che il pensiero delle vostre virtù ed immolazioni eroiche ci sostengano nei sacrifici più piccoli che il Signore esige da noi. Pregate anche per le nuove Chiese che sorgono sulle sponde africane; esse si raccomandano a voi; beneditele, e fate che rifioriscano, per la vostra potente intercessione, la fede e i costumi cristiani.
    [1] PG t. 3, c. 13-58 e H. Leclerq. XX: I Martiri, t. I, p. 122-139. Questi Atti costituiscono uno del brani più completi della letteratura cristiana, e la loro autenticità è al di sopra d'ogni sospetto.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 831-837

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    Predefinito Re: 4 marzo 2015: S. Casimiro - S. Lucio, Mercoledì della seconda settimana di Quare

    6 marzo 2015: VENERDÌ DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA
    Oggi la Stazione è alla chiesa di S. Vitale Martire, consacra*ta da Innocenzo I (401-417).
    lezione (Gen 37, 6-22). - In quei giorni: Giuseppe disse ai suoi fratelli: Udite il sogno che ho fatto. Mi pareva che noi legassimo i covoni nel campo, e che il mio covóne, quasi alzandosi, stesse ritto, e che i vostri covoni, stando all'intorno, adorassero il mio covone. Allora i fratelli gli dissero: Che forse tu sarai nostro re e noi dovremo stare a te soggetti? Cosi questi sogni e questi discorsi accrebbero l'invidia e l'odio. Egli ebbe ancora un altro sogno, e, raccontandolo ai fratelli, disse: Mi sembrava, in sogno, che il sole, la luna e undici stelle mi adorassero. Avendolo raccontato al padre e ai fratelli, suo padre lo sgridò dicendo: Che vuoi dire questo sogno che hai avuto? forse che io, tua madre, e i tuoi fratelli, prostrati per terra, ti dovremo adorare? Mentre per questo i fratelli gli portavano invidia, il padre considerava dentro di sé la cosa. Or mentre i suoi fratelli stavano a pascere i greggi del padre in Sichem, Israele disse a Giuseppe: I tuoi fratelli pascolano le pecore in Sichem; vieni, che ti manderò da loro. Ed avendo egli risposto: Eccomi, Giacobbe gli disse: Va' a vedere se tutto va bene relativamente ai tuoi fratelli e al bestiame, e portami le notizie di quanto si fa. Mandato dalla valle di Ebron, arrivò a Sichem. Mentre andava errando pei campi, incontrò un uomo il quale gli domandò che cercasse. Egli rispose: Cerco i miei fratelli: insegnami dove siano a pascere i greggi. E l'uomo gli rispose: Sono partiti di qui, e li ho sentiti dire: Andiamo a Dotain. Allora Giuseppe andò a cercare i suoi fratelli e li trovò a Dotain. Essi lo scorsero da lontano, e, avanti che s'avvicinasse, designarono ucciderlo, e dicevansi l'uno all'altro: Ecco, viene il sognatore! Su via, ammazziamolo e gettiamolo in una vecchia cisterna, e poi diremo: Una fiera crudele lo ha divorato, e allora si vedrà a che gli giovino i suoi sogni. Ma Ruben, udito questo, si sforzava di liberarlo dalle loro mani, e diceva: Non lo ammazzate, non versate il suo sangue; ma gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, non vogliate macchiare le vostre mani. E diceva questo, perché voleva liberarlo dalle loro mani e restituirlo a suo padre.
    Giuseppe, figura del Messia.

    La santa Chiesa porta oggi la nostra attenzione sulla prevaricazione dei Giudei, e per conseguenza sulla vocazione dei Gentili. In questa istruzione destinata ai Catecumeni attingiamo la nostra edificazione. Anzitutto cogliamo in una figura dell'Antico Testamento, la nozione del fatto che vedremo compiersi nel Vangelo. Giuseppe è l'oggetto delle compiacenze del padre Giacobbe, il quale vede in lui il figlio di Rachele, sua diletta sposa, e l'ama per la sua innocenza. Sogni profetici ne avevano annunciato la futura grandezza; ma egli ha dei fratelli, e questi fratelli, mossi da nera invidia, hanno deciso di farlo morire. Tale disegno non è mandato ad effetto in tutta la sua estensione, ma in parte viene adempiuto, perché Giuseppe non rivedrà più la terra che lo vide nascere. È venduto a mercanti stranieri, ed un'oscura prigione diviene quindi la sua dimora; ma ne esce per venire a dettar leggi, e non nella terra di Canaan che l'ha cacciato, ma in seno all'Egitto pagano. Per lui, questa regione della Gentilità che versava nella più spaventosa carestia, ritrova l'abbondanza e la pace ; e per non morire nel paese dal quale lo allontanarono, gli stessi fratelli di Giuseppe sono costretti a scendere in Egitto per venire ad implorare la clemenza di colui che fu la loro vittima. Chi non riconosce in questa storia meravigliosa il tipo del nostro Redentore, vittima della gelosia della propria nazione, nonostante i segni profetici che si realizzarono in lui fino all'ultimo momento ? Decisa la sua morte come quella di Giuseppe, come lui venduto, passa attraverso le ombre di morte, per riapparire poi pieno di gloria e di potenza. Ma non prodiga più ad Israele le manifestazioni della sua predilezione: si rivolge ai Gentili, e d'ora in poi starà con loro. È là che i superstiti Israeliti lo verranno a cercare, quando, bramosi finalmente di saziare la fame che li strugge, si decideranno a riconoscere per il vero Messia quel Gesù Nazareno, loro re, che hanno crocifisso.
    vangelo (Mt 21,33-46). - In quel tempo: Gesù disse alle turbe dei Giudei e ai principi dei sacerdoti questa parabola : C'era un padrone, il quale piantò una vigna, la cinse di siepe, vi scavò un frantoio, vi edificò una torre, la die a lavorare ai coloni e se ne andò via lontano. Or quando s'avvicinò il tempo dei frutti, mandò i suoi servi dai coloni per ricevere i frutti di essa. Ma i coloni, presi quei servitori, chi bastonarono, chi ammazzarono, e chi lapidarono. Mandò ancora altri servi in maggior numero dei primi, e coloro li trattarono allo stesso modo. Finalmente mandò loro il suo figliuolo, dicendo: Avran riguardo a mio figlio. Ma i coloni, visto il figliolo, dissero tra di loro: Questo è l'erede, venite, ammazziamolo ed avremo la sua eredità. E presolo lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Or quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei coloni? Rispondono : Farà malamente perire gli scellerati ed allogherà la vigna ad altri coloni che gliene rendano il frutto a suo tempo. Dice loro Gesù: Non avete mai letto nelle Scritture: la pietra che gli edificatori hanno riprovata, essa è divenuta pietra angolare? Ciò è stato fatto dal Signore ed è meraviglioso agli occhi nostri. Per questo vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti. E chiunque cadrà sopra questa pietra, si sfracellerà; e quello sul quale essa cadrà, sarà stritolato. E i principi dei sacerdoti e i Farisei, udite le sue parabole, compresero che parlava di loro; e cercarono di catturarlo; ma ebbero paura delle turbe che lo ritenevano quale profeta.
    Riprovazione della Sinagoga.
    Ora qui non ci troviamo più davanti alle figure dell'antica alleanza, che ci mostravano il nostro Redentore da lontano e con caratteristiche prese da altri personaggi: qui ci troviamo di fronte alla stessa realtà. Ancora poco tempo, e la vittima tre volte santa soccomberà sotto i colpi dei suoi invidiosi. Com'è terribile e solenne la parola di Gesù in queste ultime ore! I suoi nemici ne sentono tutto il peso; ma, accecati dalla superbia, vogliono lottare fino alla fine contro colui ch'è la Sapienza del Padre, e si ostinano a non riconoscere in lui quella formidabile Pietra che sfracella chi la urta e stritola quello su cui cade. La Vigna è la Verità rivelata, la regola della fede e dei costumi, l'attesa del Messia Redentore, tutto l'insieme dei mezzi di salute; è la famiglia dei figli di Dio, la sua eredità, la sua Chiesa. Dio aveva eletto la Sinagoga ad essere depositarla d'un tale tesoro; ma voleva che la sua vigna fosse custodita fedelmente, che fruttificasse in mano ai coloni e la riconoscessero sempre sua per il loro proprio bene, l'oggetto delle sue compiacenze. Ma nel suo cuore sterile ed avaro, la Sinagoga volle appropriarsi della Vigna del Signore. Invano egli mandò a diverse riprese i suoi Profeti per rivendicarne i diritti: i coloni infedeli li mandarono a morte. Infine venne in persona l'erede, il Figlio di Dio: accoglieranno almeno lui con onore e e rispetto? renderanno omaggio al suo carattere divino? Tutt'altro! essi hanno macchinato d'ucciderlo e, dopo averlo cacciato via come uno straniero sacrilego, lo manderanno a morte.
    Il nuovo popolo eletto.
    Accorrete dunque, o Gentili ! venite ad eseguire il castigo del Padre; non lasciate pietra su pietra di questa rea città che gridò: "Cada il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli"! E non sarete solo i ministri della giustizia celeste: voi diventerete l'oggetto della predilezione del Signore. La riprovazione di questo popolo ingrato apre a voi le porte della salvezza. Siate d'ora in poi i custodi della vigna fino alla fine dei secoli e cibatevi dei suoi frutti, che sono vostri. Dall'Oriente all'Occidente, dall'Aquilone a Mezzogiorno, venite alla grande Pasqua che si sta preparando: c'è posto per tutti voi. Scendi nella piscina della salute, popolo nuovo, formato da tutti i popoli che stanno sotto il cielo, e sii la gioia della Chiesa tua Madre, che non cessa di partorire altri figli, fino a quando, raggiunto il numero degli eletti, non verrà di lassù il suo Sposo a condannare come giudice "coloro che non hanno conosciuto il tempo in cui sono stati visitati" (Lc 19,44).
    PREGHIAMO
    O Signore, concedi al tuo popolo la salute dell'anima e del corpo, affinché, intento alle opere buone, meriti d'essere sempre difeso dalla tua potente protezione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 550-553

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    Predefinito re: 31 marzo 2015: Martedì Santo

    7 marzo 2015: SABATO DELLA SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMA

    La Stazione è alla chiesa dei Santi Pietro e Marcellino, Martiri illustri di Roma sotto la persecuzione di Diocleziano, i nomi dei quali hanno l'onore d'essere iscritti nel Canone della Messa.

    LEZIONE (Gen 27,6-40). - In quei giorni: Rebecca disse a Giacobbe suo figliolo: Ho sentito tuo padre parlare con Esaù tuo fratello e dirgli: Portami della tua cacciagione, e fammi una pietanza, affinché io la mangi, e ti benedica dinanzi al Signore, prima di morire. Or dunque, figlio mio, attienti ai miei consigli: va' alla greggia e portami i due migliori capretti, affinché io ne faccia pel tuo padre quelle pietanze di cui si ciba con piacere; e poi, quando tu gliele avrai portate ed egli le avrà mangiate, ti benedica prima di morire. E Giacobbe rispose: Tu sai che Esaù mio fratello è peloso, ed io senza peli: se per caso mio padre mi tasta e mi riconosce, temo che pensi ch'io abbia voluto burlarlo, e cosi mi tiri addosso la maledizione, invece della benedizione. E la madre a lui: Ricada pure su di me questa maledizione, figlio mio, tu però ascolta la mia voce; va' e porta quanto ti ho detto. Egli dunque li andò a prendere, li portò e li diede alla madre, la quale ne preparò le pietanze che sapeva gradite al padre di lui. Poi fece indossare a Giacobbe il migliore vestito di Esaù, che teneva presso di sé in casa, e con le pelli dei capretti gli ravvolse le mani e gli coprì la parte nuda del collo; finalmente gli diede le pietanze e i pani che essa aveva fatto cuocere. Giacobbe, avendo portato ogni cosa ad Isacco, gli disse; Padre mio: Ed egli rispose: Ascolto. Chi sei tu, figliolo mio? E Giacobbe disse: Io sono il tuo primogenito Esaù: ho fatto quanto mi hai comandato: alzati, siedi e mangia della mia caccia, affinché l'anima tua mi benedica. E Isacco replicò al figliolo: Come, figlio! mio, hai potuto trovare così presto? L'altro rispose: Fu volere di Dio che m'imbattessi subito in ciò che bramavo. E Isacco disse: Accostati, che ti tasti, o figlio mio, e riconosca se tu sei o no il mio figlio Esaù. Allora egli s'accostò al padre, il quale tastato che l'ebbe, disse: La voce veramente sarebbe la voce di Giacobbe; ma le mani son quelle d'Esaù. Cosi non lo riconobbe, perché le mani di lui erano pelose come quelle del fratello maggiore. Benedicendolo disse: Sei tu proprio il mio figliolo Esaù? L'altro rispose: Sì. E il padre: Dammi le pietanze della tua caccia, o figlio mio, affinché l'anima mia ti benedica. Giacobbe lo servì, e, quando il padre ebbe mangiato, gli portò anche il vino. Bevuto che ebbe il vino, Isacco gli disse; Accostati a me e dammi un bacio, figlio mio. Giacobbe s'accostò e lo baciò. E Isacco appena sentita la fragranza del vestito di lui, benedì Giacobbe e disse: Ecco l'odore del mio figlio è come l'odore di un fiorito campo benedetto da Dio! Dio ti doni della rugiada del cielo e della pinguedine della terra, e abbondanza di frumento e di vino. A te servano i popoli, a te s'inchinino le genti. Sii il padrone dei tuoi fratelli. E s'inchinino davanti a te i figli di tua madre. Maledetto sia chiunque ti maledice e benedetto chiunque ti benedice. Appena Isacco aveva finite queste parole, e Giacobbe se n'era andato, tornò Esaù, e, preparate le pietanze della sua caccia, le portò al padre, dicendo: Alzati, padre mio, e mangia della caccia del tuo figliolo, affinché l'anima tua mi benedica. E Isacco gli disse: Ma chi sei tu? Egli rispose: Sono Esaù, il tuo figlio primogenito. Isacco inorridì, oppresso da grande stupore, e fuori di sé dalla meraviglia disse: E allora chi è colui che mi ha già portato la caccia fatta? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi; e l'ho benedetto, e sarà benedetto. Udite le parole del padre, Esaù diede in un grido spaventoso, e costernato disse: Benedici anche me, o padre mio ! Isacco rispose: Il tuo fratello è venuto con ingannò, e si è presa la tua benedizione. Ed Esaù: Con ragione gli fu posto il nome di Giacobbe, infatti mi ha soppiantato per la seconda volta: mi tolse già la mia primogenitura, ed ora mi ha tolta la mia benedizione. Poi disse: Non hai servato una benedizione anche per me? Isacco rispose: Io l'ho costituito tuo padrone, ed ho assoggettati al suo servizio tutti i suoi fratelli, l'ho provvisto di frumento e di vino; ed ora che potrei fare per te, o mio figliolo? Esaù gli disse; Non hai che una benedizione sola, o padre? Benedici anche me; te ne scongiuro! E siccome Esaù piangeva ad alte grida, Isacco, mosso a compassione, gli disse: La tua benedizione sarà nella pinguedine della terra e nella rugiada che scende dal cielo.

    Esaù e Giacobbe...

    I due figli di Isacco ci manifestano a loro volta l'effetto dei giudizi di Dio nei riguardi d'Israele e della gentilità; e così l'iniziazione dei Catecumeni prosegue il suo corso. Ecco due fratelli: uno maggiore, l'altro minore; Esaù, il tipo del popolo giudaico, che possiede il diritto della primogenitura e perciò gli compete il destino più alto; e Giacobbe, nato dopo di lui, che, sebbene suo gemello, non ha diritto di fare assegnamento sulla benedizione riservata al fratello maggiore, figura la gentilità. Ma le parti s'invertono: Giacobbe riceve la benedizione e suo fratello ne rimane senza. Che è dunque avvenuto? Ce lo spiega il racconto di Mosè. Esaù è un uomo carnale, dominato dai suoi appetiti ; il piacere che trova in una banale vivanda gli fa perdere di vista i beni spirituali legati alla benedizione del padre, e nella sua golosità, cede a Giacobbe, per un piatto di lenticchie, i diritti che gli derivavano dalla sua primogenitura. Abbiamo visto come l'industria della madre serve gli interessi di Giacobbe, e come il vecchio padre, inconscio strumento di Dio, conferma e benedice inconsapevolmente la sostituzione avvenuta. Quando Esaù tornò da Isacco, comprese la gravita della perdita subita; ma ormai era tardi; e così divenne il nemico di suo fratello.

    ... figure dei Giudei e dei Gentili.

    Allo stesso modo il popolo giudaico, dominato da pensieri carnali, perdette il diritto di primogenitura sui Gentili. Non volle seguire un Messia povero e perseguitato, sognava trionfi di grandezze mondane, mentre Gesù non prometteva che un regno spirituale. Il Messia, dunque, che fu rigettato da Israele, fu invece accolto dai Gentili, e questi divennero i primogeniti. E siccome il popolo giudaico s'ostina a non riconoscere tale sostituzione, alla quale fu pure consenziente quando gridò: "Non vogliamo che costui regni su noi" (Lc 19,14), ora vede con dispetto che tutti i favori del Padre celeste sono per il popolo cristiano. I figli d'Abramo secondo la carne sono diseredati al cospetto di tutte le nazioni; mentre i figli di Abramo nella fede sono manifestamente i figli della promessa, secondo la parola del Signore a quell'insigne Patriarca : "Io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo, e come l'arena che è sul lido del mare..., e nella tua progenie saran benedette tutte le nazioni della terra" (Gen 22,17-18).

    VANGELO (Lc 15,11-32). - In quel tempo: Gesù disse ai Farisei e agli Scribi questa parabola: Un uomo aveva due figlioli, e il minore disse al padre: Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta. E divise tra loro il patrimonio. Dopo alcuni giorni, messa insieme ogni cosa, il figlio minore se ne andò in un lontano paese, e là scialacquò il suo, vivendo dissolutamente. E come ebbe dato fondo ad ogni cosa, infierì in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a sentir la miseria. E andò a mettersi con uno degli abitanti di quel paese, che lo mandò nei suoi campi a badare ai suoi porci. E bramava d'empire il ventre con le ghiande che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: Quanti garzoni in casa di mio padre han pane in abbondanza, mentre io qui muoio di fame! M'alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non son più degno d'essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi garzoni. E, alzatesi, andò da suo padre. E, mentre egli era ancora lontano, suo padre lo scorse e, mosso a pietà, gli corse incontro e gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non son più degno d'esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai suoi servi: Presto, portate qua la veste più bella, rivestitelo, e mettetegli al dito l'anello ed ai piedi i calzari; menate il vitello grasso e ammazzatelo; e si mangi e si banchetti, perché questo mio figlio era morto ed è risuscitato; era perduto ed è stato ritrovato. Così cominciarono a far grande festa. Or il figlio maggiore era in campagna e nel ritorno, avvicinandosi a casa, sentì musiche e danze, e chiamò uno dei servi e gli domandò che volessero dire quelle cose. Ed egli rispose: È tornato tuo fratello; e tuo padre ha ammazzato il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano. Allora costui montò in collera e non voleva entrare. Onde suo padre uscì fuori e si mise a pregarlo. Ma rispose al padre suo: Ecco, da tanti anni io ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando, eppure non mi hai dato neppure un capretto da godermelo con gli amici; ma appena è arrivato questo tuo figlio, che ha divorato tutto il suo con le meretrici, hai per lui ammazzato il vitello grasso. E il padre a lui: Figlio, tu stai sempre con me e tutto il mio è tuo; ma era giusto banchettare e far festa, perché questo tuo fratello era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato.

    Il ritorno del figliol prodigo.

    È ancora il mistero che abbiamo rilevato poc'anzi del racconto del Genesi. Sono di fronte due fratelli, di cui il maggiore si lamenta del trattamento che la bontà del padre ha fatto al più giovane. Questi se n'era andato via dal tetto paterno ed era fuggito in lontano paese, per abbandonarsi più liberamente ai suoi disordini; ma vistosi ridotto all'estrema miseria, si ricorda di suo padre e torna a chiedergli umilmente l'ultimo posto nella casa che un giorno avrebbe dovuto essere sua. Il padre accoglie il prodigo con la più viva tenerezza: e non solo lo perdona ma gli restituisce anche tutti i diritti di figlio anzi fa di più: gli offre un banchetto per celebrare il suo felice ritorno. Ora questo modo di fare del padre irrita la gelosia del fratello. Ma invano Israele si ribella alla misericordia del Signore: è giunta l'ora in cui tutte le nazioni della terra sono chiamate ad entrare nell'ovile universale. Per quanto siano stati dai loro errori e dalle passioni trascinati lontano, i Gentili udranno la voce degli Apostoli: Greci e Romani, Sciti e barbari, tutti, percuotendosi il petto, s'affolleranno a domandare d'essere ammessi a godere dei favori di Israele. E non saranno date loro solamente le briciole che cadranno dalla mensa, come supplicava la Cananea; ma saranno trattati alla stessa maniera dei figli legittimi ed onorati. Le invidiose lagnanze d'Israele non saranno accolte e se esso rifiuta di prender parte al banchetto, la festa si celebrerà ugualmente. Ora tale festa è la Pasqua; i figli che ritornano ignudi ed estenuati alla casa paterna sono i Catecumeni, ai quali il Signore sta per estendere la grazia dell'adozione.

    L'infinita misericordia del Padre.

    Questi figli prodighi che si arrendono e si raccomandano alla pietà del padre che hanno offeso sono anche i pubblici Penitenti, ai quali la Chiesa in questi giorni offre la riconciliazione. Pur avendo mitigata la sua severa disciplina, la Chiesa presenta oggi questa parabola a tutti i peccatori che si dispongono a rappacificarsi con Dio. Essi prima non conoscevano l'infinita bontà del Signore che avevano abbandonato: comprendano dunque oggi, quanto la misericordia prevalga sulla giustizia, nel cuore di colui che "ha amato il mondo fino a dare il suo Figlio Unigenito" (Gv 3,16). Per quanto lontano siano fuggiti da lui, per quanto profonda sia stata la loro ingratitudine, tutto è pronto nella casa paterna, per festeggiare il loro ritorno. Il padre ch'essi abbandonarono li aspetta sulla porta, pronto a correre incontro a loro per abbracciarli; sarà loro restituita la prima veste, la veste dell'innocenza; l'anello che portano soltanto i figli della "sua casa sarà dato ad ornare di nuovo la loro mano purificata. La mensa del festino è imbandita per loro, e gli Angeli faranno sentire le loro melodie celesti. Gridino dunque dal fondo dei loro cuori: "O padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non son più degno d'esser chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi". Il dispiacere sincero dei traviamenti passati, l'umiltà della confessione e la ferma risoluzione d'essergli d'ora innanzi fedeli, sono le uniche, facili condizioni, che il padre dei figli prodighi esige, per farne dei figli di predilezione.

    PREGHIAMO

    Custodisci, o Signore, con incessante misericordia la tua famiglia, affinché, appoggiandosi solo nella speranza della grazia celeste, sia sostenuto dalla celeste protezione.


    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 553-557

 

 
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