TRA GEOGRAFIA, POLITICA E FRATTURE SOCIALI: LE MARCHE VERSO LE REGIONALI
Non particolarmente forte nelle Marche, la destra locale si presenta oggi completamente allo sbando: Forza Italia non ha fino ad oggi saputo indicare una prospettiva diversa dal convergere tatticamente sulla candidatura Spacca per cercare di contendere la regione al PD; Fratelli d’Italia guidata dall’ex deputato Carlo Ciccioli, è rimasta alla finestra, accettando eventualmente di poter convergere anch’essa su Spacca.
Rimane da vedere se Spacca, forte di una riforma elettorale che oggi permette il voto disgiunto, accetterà di caratterizzarsi apertamente verso destra o si limiterà a passare all’incasso, forte della totale confusione nel campo conservatore, presentandosi come l’unico candidato in grado di impensierire il PD e contando sul “voto utile”.
Quanto alla Lega Nord, i suoi due consiglieri sono stati espulsi (uno, accusato di eccessivo “razzismo”, è confluito in Forza Italia, laddove il suo collega Zaffini, responsabile della cacciata, è stato a sua volta estromesso dalla nuova dirigenza leghista): priva di un radicamento territoriale e di leader riconoscibili, la Lega potrebbe ottenere un nuovo successo di opinione in quelle aree territoriali che si percepiscono come marginalizzate dal resto della regione, come Pesaro e Fermo, ma non riuscirà probabilmente a capitalizzarlo in vista del futuro.
L’UDC regionale, in occasione delle primarie, si è addirittura spaccata in tre tronconi, tra chi come (come l’assessore Maura Malaspina e l’ex deputato Amedeo Ciccanti) ha puntato direttamente all’impegno con Spacca e Marche 2020, chi come l’assessore Luigi Viventi e il segretario regionale Pettinari ha sostenuto Pietro Marcolini, e addirittura una fazione, quella dell’UDC ascolana, che guidata da Valeriano Camela ha sostenuto il candidato della “sinistra interna” Ceriscioli. Quanto al Nuovo Centrodestra, prima di sposare definitivamente Area Popolare il gruppo di Francesco Massi ha oscillato in varie direzioni, e tuttora il vincitore Luca Ceriscioli tende la mano al piccolo raggruppamento conservatore, dopo aver incassato il sostegno di Italo d’Angelo, candidato alle Europee e in precedenza alle comunali di Ancona per il raggruppamento di Alfano.
Destino non migliore sembra attendere anche la sinistra radicale, radicata nelle Marche (10% nel 2005, 7% nel 2010),* ma fortemente ridimensionata negli ultimi anni (SEL + RC 5% nel 2013 e Lista Tsipras 4,1 alle Europee 2014), e che a un mese dall’avvio della campagna elettorale sembra ancora indecisa sia sulla formula organizzativa che sul candidato Presidente, pur avendo avviato da tempo i lavori per un “Cantiere delle Altre Marche”.
Il vero scontro sul cleavage destra-sinistra sembra quindi tutto giocato all’interno del PD e dell’ex coalizione di centro-sinistra, che alle Europee ha potuto contare sul voto del 45,5% dei Marchigiani, più un 6% di elettori che ha scelto NCD-UDC, Verdi o IdV, le altre forze della coalizione: una maggioranza assoluta che, nel vuoto di proposta dei suoi competitori di destra e di sinistra, sembra destinata a ristrutturare attorno alle sue tensioni interne l’intero scacchiere politico regionale.
Il centrosinistra delle Marche, dalla sua prima versione a guida socialista-democristiana, fino alle prime prove di compromesso storico (come la giunta DC-PCI di Jesi negli anni ’70), e alla nascita dell’Ulivo, è stato promosso sull’idea-forza dello “sviluppo senza fratture”, dell’impresa che si fa grande attraverso un distretto satellite, permettendo così di esternalizzare funzioni senza perdere il legame sociale col territorio.
Studiato e promosso dall’economista anconitano Giorgio Fuà, questo modello di modernizzazione ha innervato non solo l’azione politica regionale, ma anche quella imprenditoriale, grazie al ruolo di formazione svolto da enti come l’ISTAO, l’Istituto di alti studi economici patrocinato dalla Confindustria marchigiana e intitolato a Adriano Olivetti. Da questo albero, che fino all’esplosione della crisi del 2008 ha assicurato decenni di stabilità sociale e di progresso economico, troviamo oggi a confrontarsi due “rami” principali: l’asse tra la grande impresa esportatrice, una classe amministrativa che in questi anni ha guidato con piglio tecnocratico la riconversione dell’economia regionale, e un personale politico di ascendenza cristiano-democratica, incarnato in Marche 2020, sembra destinato a egemonizzare l’area di centrodestra, grazie all’abbraccio con UDC e NCD e alla convergenza, se non dei dirigenti quantomeno degli elettori di Forza Italia.
Si avrebbe quindi la rinascita di un polo moderato in grado di uscire dal meridione della regione e dal populismo berlusconiano per tornare ad abbracciare quelle aree interne, montane e non solo, che in questi anni avevano voltato le spalle al centrosinistra “di partito”, preferendo appoggiarsi a liste civiche vagamente di centro, con personale che proveniva dalla sinistra, ma menti, volti e uno zoccolo duro elettorale che provenivano dalla destra moderata: dalla Jesi roccaforte della sinistra, conquistata dal moderato Bacci alle ultime amministrative, a Pergola, Cagli e la clamorosa “presa” di Urbino nel pesarese, fino alla Fabriano orfana del modello sociale merloniano e grande assente alle ultime Primarie, dove hanno partecipato al voto solo 343 persone.
A sinistra, il modello sociale dello “sviluppo senza fratture”, con la sua carica di riformismo tecnocratico, ha trovato nuova linfa dalla candidatura di Pietro Marcolini: nonostante la sconfitta, l’assessore al Bilancio e alla Cultura ha ottenuto una forte affermazione nell’area centrale delle Marche, tra Ancona e Macerata, con una campagna elettorale fondata sui temi della coesione sociale, della solidarietà tra aree interne in crisi e aree costiere più dinamiche, sulla buona programmazione dei fondi europei e nazionali, e su una forte carica ambientalista, che gli è valsa l’appoggio dell’area civatiana del PD.
Ceriscioli

A sostegno dell’assessore esterno maceratese della Giunta Spacca si è quindi coagulato un fronte inedito che mette assieme spezzoni di cultura cristianodemocratica (dal deputato renziano-popolare Carrescia a una quota dell’UDC, inclusa la forte area maceratese), vecchia guardia ex comunista (nella sua versione più sindacale e militante, incarnata dal consigliere jesino Enzo Giancarli, o più moderna e socialdemocratica, incarnata dal consigliere-ricercatore Gianluca Busilacchi), una tradizione di riformismo manageriale e burocratico evidente nell’ampio numero di docenti, tecnici, economisti e funzionari che si sono schierati a suo sostegno e che trovano una nuova ragion d’essere nell’abbraccio con un mondo ambientalista di governo – dando il profilo di un riformismo moderato e pragmatico, costruito su un ruolo centrale della Regione come ente programmatore e intermediario tra le diverse spinte della società regionale. Se Spacca si prepara a intestarsi il centrodestra, Marcolini sembra in grado di incarnare un nuovo centro laico-progressista che nelle Marche, a cavallo tra repubblicanesimo civico e cooperativismo operaio, gode di una lunga e gloriosa tradizione.
Al di fuori di questo schema, troviamo una nuova sinistra che è invece appannaggio della candidatura Ceriscioli, nata da molto più di un mero dato geografico, la rivincita del Pesarese sul resto delle Marche, o politico, la rivincita degli ex PCI sugli ex DC. A ben guardare, in effetti, quella di Ceriscioli non è tanto una vittoria della Provincia di Pesaro, che nelle sue aree interne già insidiate dal centrodestra ha scelto Marcolini, o dell’apparato ex PCI, con molti esponenti di primo piano che hanno scelto l’altrettanto ex PCI Marcolini: si tratta di un risultato che nasce dall’intreccio tra una serie di linee di conflitto, riassumibili nella triade di opposizioni Interno contro Costa, Centro contro Periferia, Mediazione dal Centro contro Diffusione verso il Basso.
Interno contro Costa: con l’eccezione di Ancona e dei centri limitrofi, il cui ruolo merita di essere analizzato a parte, Ceriscioli ha prevalso lungo tutta la più dinamica area costiera delle Marche, che gode di migliori trasporti e collegamenti e di una più spiccata vocazione internazionalistica.
Questa dimensione si intreccia con quella che vede contrapposti Centro e Periferie: nelle Marche, il potere politico ed economico è stato fino ad oggi centrato sui due poli della grande industria dei distretti, radicata nell’entroterra e con un polo di spicco tra Fabriano e la Vallesina, e del potere amministrativo, concentrato in Ancona e gestito con piglio efficientista e tecnocratico dalle classi dirigenti regionali; la stessa controversa riforma della Sanità, duramente attaccata da Ceriscioli, è stata impostata su* una riorganizzazione e centralizzazione delle funzioni, nell’ottica di realizzare economie di scala. La persistente contrapposizione tra enti locali del Pesarese e Giunta Regionale sulla localizzazione dell’area ospedaliera Marche Nord è solo la punta dell’iceberg di un conflitto sordo che ha visto moltissime piccole realtà in tutta la Regionie sollevarsi contro il declassamento dei propri poli ospedalieri.
Ceriscioli è stato capace di unire su di sé la protesta diffusa dei sindaci e delle comunità locali contro una Regione percepita come distante e avara, sbilanciata sui bisogni di alcune aree, con un dato politico di fondo, che è quello dell’opposizione crescente a un sistema di governo basato sulla costante mediazione degli interessi costituiti, e che costituisce la terza “faglia” su cui si sono giocate queste elezioni regionali: sull’idea che la Regione debba abbandonare il proprio ruolo tecnocratico e regolativo, rispettoso degli equilibri, per darsi una dimensione più dinamica, innovatrice, di rottura, Ceriscioli è riuscito a coagulare una sinistra interna ansiosa di liberarsi al contempo dell’egemonia degli ex democristiani costruita in questi dieci anni di Governo Spacca e di una leadership di “Partito” troppo legata a vecchie liturgie.
Tra i* grandi sponsor del cuperliano Ceriscioli troviamo del resto Mirco Ricci, vice-Presidente nazionale del PD e attuale sindaco di Pesaro, renzian-orfiniano; Emanuele Lodolini, neo-deputato ed ex segretario provinciale del PD di Ancona, catapultato alla ribalta dalle “Parlamentarie” di Bersani contro più blasonati competitori; il sindaco di Porto Recanati Fiordomo, renziano di origini moderate ma convinto “rottamatore”; la sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, avvocato estraneo al mondo della politica tradizionale. Il contenuto di rottura degli equilibri della piattaforma di Ceriscioli finisce peraltro per essere attraente anche a quel mondo conservatore-moderato più pragmatico, desideroso di spezzare la tradizionale egemonia del centrosinistra nelle sue versioni vecchie e nuove, con i già citati casi di Camela e D’Angelo.
Quella del candidato pesarese appare dunque la piattaforma di una nuova forma di sinistra, che mescola i temi della solidarietà sociale (l’annuncio di un nuovo piano di edilizia popolare) con tematiche liberali (l’annuncio di volerlo finanziare con una thatcheriana vendita delle attuali case popolari agli inquilini di lunga durata), prendendo come punto di riferimento non la rappresentanza e la mediazione degli interessi quanto la partecipazione dal basso e la redistribuzione delle risorse e delle competenze più vicino alle comunità locali e ai singoli individui, dall’enfasi sulle primarie a quella sui sindaci fino alla lotta contro l’accentramento sanitario e alla percepita invadenza della burocrazia regionale.
Per Ceriscioli si presenta comunque un compito non facile: nonostante il PD e i suoi alleati abbiano rappresentato, tra ultime regionali ed europee, ben oltre la metà dell’elettorato attivo, e le primarie siano state un salutare bagno di partecipazione, nella regione rimane molto forte l’incognita 5 Stelle.
Primo partito delle Marche nel 2013, con oltre il 32%, il Movimento ha subìto una forte battuta d’arresto nel 2014, perdendo 8 punti e quasi 100.000 voti: a livello regionale, tuttavia, i grillini rimangono radicati elettoralmente e strutturati organizzativamente nelle zone dove il disagio sociale della crisi è più alto, come Fabriano, e non hanno finora dovuto fronteggiare abbandoni o polemiche di rilievo, potendo contare anche sull’opportunità di una classe politica regionale colpita dallo scandalo dei fondi ai gruppi consiliari.
Il compito della nuova sinistra movimentista di Ceriscioli è al contempo di riallacciare i rapporti col centro riformista di Marcolini, per evitare che gli elettori più moderati e delle aree interne possano disertare verso il nascente centrodestra guidato da Marche 2020, trovando al contempo un modo per riallacciare con quegli elettori che si sono rifugiati nella “controcultura” incarnata dal Movimento 5 Stelle. Non sarà certo facile, sopratutto a fronte di un Partito Democratico che in questi mesi si è diviso nettamente al suo interno, e che dovrà sopportare quasi da solo l’onere della competizione elettorale, al netto dell’apporto dato da Verdi, IdV, Socialisti e liste civiche.
Il test marchigiano rimane comunque interessante per valutare un ulteriore fattore: la capacità del Partito a guida renziana di farsi effettivamente “Partito della Nazione”, al punto da non diventare più soltanto un partito interclassista in grado di rappresentare tutti i ceti della società, quanto l’arena stessa del gioco politico. Se grillini e centrodestra non riusciranno a incidere con forza nella competizione elettorale, il Partito Democratico delle Marche, dopo l’alleanza PD-UDC, sarà stato terreno di prova di un’altra, interessante sintesi elettorale: il Partito Democratico come il luogo reale nel quale si svolge la competizione tra centro, destra e sinistra.
Manfredi Mangano

Scritto da: Redazione
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