Carlo Petrini: "La produzione industriale di carne è un disastro. Alleviamo meno e rispettiamo di più gli animali" (VIDEO)
Carlo Petrini, il fondatore dell'associazione Slow Food, invita gli allevatori a non badare solo al profitto, ma piuttosto alla qualità dei prodotti che ci offrono, rispettando i diritti degli stessi animali. I consumatori, a loro volta, devono essere disposti a pagare di più. Solo in questo modo può avvenire una rivoluzione delle stalle e, di conseguenza, un miglioramento della qualità della vita di animali e umani.
Il fondatore di Slow Food sulla Repubblica, ci spiega che, in realtà, alla base del disastro che la produzione industriale di cibo ha creato, c'è un problema di relazioni.
"La carne prodotta nel rispetto della vita e dalla dignità degli animali che alleviamo è il frutto di un sistema di relazionale, prima che economico o produttivo. Per cui, prima di distruggere ambiente, salute pubblica, diritti e coscienze, il modello di produzione industriale distrugge la relazione. Con gli altri umani, con gli animali e con gli ecosistemi."
Carlo Petrini, fa notare che la responsabilità di questo problema è anche nostra, perchè:
"Statisticamente mangiamo molta più carne di quella che ci farebbe bene. Circa 7 volte di più. Statisticamente buttiamo via un terzo ella carne che produciamo. Quindi fatto 100 gli animali che alleviamo, potremmo allevarne 65. E di questi 65, che sono quelli che davvero mangiamo, in realtà ne dovremmo mangiare circa 10".
Fortunatamente, in Italia esiste qualcuno che rispetta la dignità degli animali, come Mauro Oliviero che ha cambiato l' allevamento della sua famiglia, in provincia di Cuneo, già nel 1996. Conosce a memoria i nomi di tutto il suo bestiame, nel suo allevamento ha creato box più grandi, lasciando i propri bovini liberi e ha piantato prati polifiti per far nutrire il proprio bestiame con prodotti naturali.
Un altro esempio è Alessandro Varesio che ha un allevamento di polli e dal 200 ha deciso di confezionare e etichettare la propria carne: "Costa fino a quattro volte di più di quella dei polli tenuti nelle stie, ma è sana, perché i polli che vivono liberi non si ammalano e non prendono medicine".
In Italia sono meno del 10 per cento su tutto il mercato gli allevamenti e le aziende che rispettano la vita degli animali, i quali dicono di non volere neanche andare nella grande distribuzione, perchè non possono competere con i prezzi dei grandi produttori. Però, presto le leggi europee vieteranno di tenere i polli ammucchiati nel capannoni.
Petrini conclude osservando che:
"Se allevassimo solo gli animali che possiamo consumare, evitando il rischio di infarti, diabete, ischemie e il resto del catalogo delle "malattie da benessere", se li allevassimo rispettandoli, se chi li alleva potesse venderli al loro vero valore, nel rispetto del proprio lavoro e dei servizi ecosistemici che esso comporta, probabilmente riusciremmo a ornare ad una relazione con quel tipo di cibo che salvaguardi la dignità di tutti".