A seguito della riduzione delle unità di lavoro e del blocco dei rinnovi contrattuali dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche introdotto nel 2010 dal Governo Berlusconi, in questi ultimi 5 anni la “Spesa per il personale” è diminuita del 5 per cento: in termini assoluti il “risparmio” per le casse pubbliche è stato di 8,7 miliardi di euro.
Nonostante la centralizzazione degli acquisti dei beni e dei servizi avviata da qualche anno dalla Pa, i “Consumi intermedi” – che includono anche le spese di manutenzione ordinaria, le spese energetiche, quelle di esercizio dei mezzi di trasporto, la ricerca/sviluppo e la formazione del personale acquistata all’esterno – sono saliti del 3,4 per cento. In valore assoluto l’aumento ha sfiorato i 3 miliardi di euro.
Oltre agli stipendi, l’altra voce che compone la spesa corrente ad aver registrato una variazione negativa è stata quella relativa a “Le prestazioni sociali in natura acquistate” ovvero gli acquisti dei medicinali, dei farmaci, l’assistenza medica, etc. La contrazione è stata pari a 2,5 miliardi di euro (-5,5 per cento).
Sottolineando che l’80 per cento circa della “Spesa per le prestazioni sociali in denaro” è assorbita dalle pensioni, le uscite per il welfare hanno registrato una vera e propria impennata: l’incremento ha sfiorato il 10 per cento, mentre in termini assoluti l’aggravio è stato di ben 29,6 miliardi di euro. Nonostante gli effetti prodotti dalla riforma Fornero, a condizionare in maniera determinante questa espansione ha contribuito soprattutto la spesa pensionistica e, in misura più contenuta, i provvedimenti a sostegno al reddito erogati a famiglie e lavoratori che in questi ultimi anni si sono trovati in difficoltà. Dal 2014, inoltre, tra le “Prestazioni sociali in denaro” è stato computato anche il bonus degli 80 euro (5,8 miliardi di euro). Infatti, come ha avuto modo di ricordare il Ministero dell’Economia e delle Finanze qualche giorno fa, le statistiche non classificano il bonus degli 80 euro come un taglio fiscale, bensì come una misura di spesa sociale.
Sentite questo ticchettio di sottofondo? E’ il conto alla rovescia al prossimo primo gennaio, quando potrebbe scattare la prima ondata di clausole di salvaguardia, del valore di oltre 12 miliardi di euro. Manca una vita, direte voi. Anche no, visto il modo molto
old fashion con cui si è intervenuti sulla spesa quest’anno. E visto che siamo da tempo in messianica ed ormai patologica attesa di un Godot alla spending review, dopo che
Piero Giarda gettò la spugna e dopo che
Carlo Cottarelli è stato agevolato all’uscita da
Matteo Renzi, che pure aveva spergiurato che compito della politica fosse fare delle scelte su un menù offerto dai tecnici e dalla tecnica. Ma al momento continua a non accadere.
Oggi, quindi, sul Messaggero, testata tradizionalmente vicina al Palazzo, si cerca di dare una risposta al rinvio della nomina a responsabili della spending review del consigliere economico di Renzi,
Yoram Gutgeld e di
Roberto Perotti, docente della Bocconi e collaboratore de
lavoce.info, da tempo impegnato in approfondite analisi delle dinamiche di spesa pubblica e di come e dove intervenire per riqualificarla. La formalizzazione della nomina del duo è scomparsa dall’ordine del giorno del consiglio dei ministri di giovedì scorso (c’era mai entrata?), ed ora gli interrogativi abbondano su questa sorta di
maledizione della spending review.
In particolare, c’è una frase del retroscena di
Alberto Gentili che ci colpisce:
A palazzo Chigi sostengono che «non ci sono problemi». Che «non esiste alcun giallo, manca solo la firma di Renzi al decreto di nomina». Ma un’altra fonte chigiana la mette più difficile: «Il premier sta riflettendo se nominare la settimana prossima un nuovo commissario nella persona di Gutgeld che insieme a Perotti si occupa da tempo della materia, oppure se individuare qualche forma nuova di governance della spending review, considerate le difficoltà che hanno incontrato prima Giarda e poi Cottarelli»
Questa frase, da chiunque provenga, è semplicemente incomprensibile. Se il problema,
illo tempore, era la copertura politica a scelte tecniche (chiamatela anche
governance, se vi piace la modernità), la medesima poteva venire solo da Renzi stesso, sul menù sottoposto da Cottarelli. Oppure, e detto in altri termini, se vogliamo risolvere il problema in radice, il premier non formalizzi alcuna struttura “tecnocratica”, neppure ibridata con presenze politiche, e decida autonomamente, senza astuzie (o più propriamente, furbate) del tipo “le Regioni hanno molto da farsi perdonare”. Questa è stata una mossa tattica piuttosto abile, per prendere a calci la lattina della spending review, che è in realtà un vaso di Pandora: ma servirà solo nel breve periodo. Presto capiremo se esistono margini di intervento entro l’assetto attuale di organizzazione dello stato e delle sue funzioni oppure se (come crede chi scrive) siamo arrivati al limite e possiamo solo cambiare struttura e funzioni di spesa pubblica,
come suggerito dalla Corte dei conti. Ovviamente, in questo secondo scenario, il conto politico per chi si trova a Palazzo Chigi sarebbe pesantissimo, al limite della cacciata dalla scena pubblica. Ma forse è proprio questo, l’inconfessabile segreto della spending review.
Per questo, come abbiamo detto più volte, il 2015 è l’anno dell’all-in, per questo paese. Se la congiuntura riprenderà, e con essa il gettito fiscale, sia pure di poco, potremo continuare a credere che il sistema tiene e qualcuno se ne intesterà il merito, esattamente come ora sta intestandosi il merito di una ripresa che ha genesi esclusivamente esogena al paese (“ripresa”che peraltro dobbiamo ancora quantificare: aspetto non da poco, anche nella attuale società dei tweet). Potremo, in caso “favorevole”, usare l’extra gettito per coprire i tagli da spending review: una Repubblica fondata sul “tesoretto”, vero o immaginario. Se invece “qualcosa” andrà storto, daremo il definitivo addio a questo paese come l’abbiamo conosciuto, ed a nulla serviranno le suggestioni salvifiche di ipotizzate uscite dall’euro o delle solite patrimoniali sugli odiati “ricchi” in formato mignon.
Sinora Renzi è stato un mix fatto in parti uguali da chiacchiere e botte di cul0. Forse egli è l’unico a non averlo pienamente afferrato, circondato com’è da
laudatoresdi ogni tipo. Ma pensare di costruire il futuro di un paese sulle botte di cul0 è troppo anche per uno come Renzi nel paese del (fu) Stellone.
Cari amici, sappiate che l’origine del male che sta uccidendo l’Italia è l’abnorme spesa pubblica collegata ad un debito gigantesco. Il problema è che in Italia il livello enorme di spesa, tutta concentrata sulla parte corrente è strutturale. Poi se volete credere che il cambio dell’unità di conto possa spostare di una virgola il problema, accomodatevi pure. Ci sarà tempo per ridere.