Probabilmente per il Sig. Masi di RAI 2 quegli imprenditori sono rimasti sempre contadini, e probabilmente avrà immaginato che parlando di Campania lo avrebbero deriso.
Eh si! I pregiudizi giocano brutti scherzi a molti individui che occupano poltrone ai vertici delle nostre istituzioni.
Di seguito la cantina di uno di quei contadinotti che fanno schifo al direttore Masi di RAI2, forse è troppo modesta come cantina.
Lacryma Christi del Vesuvio
Il vino Lacryma Christi ha denominazione antica, che si perde nella leggenda. Storicamente il vino, già famoso presso gli antichi Romani, deve la sua fama ed il nome ai monaci che, a partire dal Medioevo, per secoli lo produssero stillando la lacrima dalle uve delle vigne vesuviane. La storia della regione Campania, la Campania Felix dell’epoca romana, deve la sua feracità al Vesuvio, il Dio e il diavolo di questa terra. Il vino nasce dal connubio vitigno – territorio, comprendendo in questo l’ambiente e il microclima. La presenza del Vesuvio ha avuto un’influenza determinante sulla ricchezza mineralogica dell’intera area, e di conseguenza sui frutti della terra che trasmette i suoi caratteri, i suoi sapori attraverso il nutrimento delle piante in essa radicate. D’altronde Plinio asserisce che “è il terreno e il paese dove nasce e non l’uva a fare la differenza nei vini”.
1) Varietà: rosso rubino intenso proveniente da vitigno Piedirosso 100%, con profumi e aromi di ciliegia, prugna, affumicato, cui si aggiungono note speziate di pepe e chiodi di garofano. Dal sapore caldo di grande struttura e morbidezza, dotato di tannini fini. Ripropone al gusto le note fruttate e speziate. E' un vino importante, che predilige abbinamento con i primi piatti saporiti quali paste o polente con sughi di carne; ideale con carni rosse elaborate; interessante l’abbinamento al pesce spada cotto alla griglia.
2) Varietà: Giallo paglierino, proveniente da vitigno Coda di volpe 100%. Nel profumo si percepiscono sentori di frutti maturi, ananas, pesca bianca, pera e aroma tipico di liquirizia. Vino di struttura equilibrata, in bocca riemergono i sentori di frutta fusi perfettamente con le note minerali. Di grande versatilità e di facile abbinamento, ideale con antipasti, primi piatti marinari e pesce arrosto.
Aglianico del Taburno
Vitigno di grande tradizione, l'Aglianico è il più nobile e importante dei vitigni del sud e rappresenta una matrice unificante dei grandi rossi meridionali collocandosi tra i migliori vitigni rossi italiani. Controversa è l'origine del suo nome. Diversi studiosi rimandano l'etimo di Aglianico (o Glianica) a Hellanico o Ellenico, accreditando l'origine greca, in particolare eubea, del vitigno. Il Porta (1592) identificava le viti Helleniche con le antiche Helvolae descritte da Columella e Plinio. Studi più recenti, rilevando un'assonanza Guaranico/Glianico ne fanno il continuatore dell'antico Guarano, citato da Plinio. Improbabile l'identità, sia pure solo lessicale, fra Aglianico ed Aleatico nonchè la derivazione del toponimo Elea/Velia. Più interessante il percorso etimologico di Andrea Bacci (1596) che risale al greco aglaos (chiaro) e aglaia (splendore), da cui Aglianico, vino rubino e splendente.
1) Varietà rosso: Il colore è rosso rubino con riflessi porpora. Al naso l’impatto iniziale è di frutta, confettura di visciola, mora matura e prugna, seguito da sfumature speziate e tostate. Tannini fitti e morbidi. Note balsamiche e di vaniglia si fondono in un finale persistente. Ideale con selvaggina, peperone crusco e baccalà.
2) Varietà rosato: Non si parla mai tanto del rosato. E non si parla mai tanto dell’Aglianico del Taburno Docg rosato.
Al naso sprigiona un profumo abbastanza intenso e persistente, emergono note vinose e richiami degli immancabili frutti rossi, a cominciare dalla ciliegia. Si avverte una sensazione di freschezza, che rappresenta anche la prima caratteristica che salta al gusto, dove la ciliegia si ricollega al naso, anche se con una tendenza più verso il maturo. Altra caratteristica distintiva è nella sua sapidità, quella che rappresenta un altro elemento di unione tra le varie “anime” rosato del Taburno. Un vino che ben si presta anche ad abbinamento con la cucina di mare: primi piatti ai crostacei con presenza di pomodoro oppure zuppa di baccalà e patate, sempre con pomodoro.
Greco di Tufo
Il vitigno più antico dell'Avellinese è senza dubbio il Greco di Tufo, da cui si ricava l'omonimo vino, importato dalla regione greca della Tessaglia, dai Pelagi.
La conferma dell'origine millenaria di questa vite è data dal ritrovamento a Pompei di un affresco risalente al I secolo a.C. dove si menziona esplicitamente il "vino Greco". La coltivazione del vitigno Greco fu diffusa all'inizio sulle pendici del Vesuvio e successivamente in altre zone della in provincia di Avellino, dove prese il nome di Greco di Tufo.
Di colore giallo paglierino più o meno intenso, con una caratteristica profumazione ai sentori fruttati di albicocca, pesca, cedro, mandorla amara e sfumature di salvia.
Sapore fresco, minerale, fruttato e di buona persistenza.
Indicato con crostacei, grigliate di pesce, pollame, piatti freddi. Ottimo come aperitivo.
Falanghina
La Falanghina è un vitigno autoctono di pregio dalle antiche, nobili, gloriose tradizioni: vigoroso e produttivo, derivante da ceppi greco-balcanici, venne introdotto in Campania dagli Aminei, popolo pelagico.
Attualmente, si estende su un’area pari al 5% dell’intera superficie vitata regionale: i territori maggiormente vocati alla produzione sono il Sannio Beneventano, i Campi Flegrei e il Casertano.
Insigni studiosi, quali il Frojo e il Fiorito, individuano nella falanghina l’antenato del Falernum Gauranum, famoso come vino degli imperatori, elogiato da Plinio il Vecchio, celebrato da illustri poeti, immancabile sui sontuosi deschi della magnifica corte reale di Napoli ed inserito nella prestigiosa carta dei vini papale; l’Acerbi, nel 1825, lo cita tra i “finissimi fautori di piaceri sublimi della gola”.
Il nome deriverebbe dal latino phalanx, o palo, al quale le viti erano sostenute secondo il sistema di allevamento puteolano, tuttora diffuso, tipico degli antichi campi ardenti dei greci, terra magica e leggendaria, sfondo dell’epica Gigantomachia.
Prodotto enologico seducente, esprime intatta la sua tradizione di classe nella vinificazione in purezza, servito tra gli 8 e i 10 gradi: è un eccellente vino bianco dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; all’olfatto si apre in un ricco ventaglio aromatico di delicate note floreali e fruttate dai profumi intensi e persistenti, con lieve sentore di ginestre, fiori della macchia mediterranea, banana, mela verde, pera, mandorla, sambuco e basilico; il sapore è secco, fresco, armonico, morbido, di buona acidità; il retrogusto amarognolo, ampio e piacevole, rammenta il melograno.
La falanghina, le cui uve a buccia bianca partecipano, con percentuali diverse, agli uvaggi di molti vini Doc e Igt campani, possiede un’incredibile versatilità: “Nessun vitigno riesce ad esprimere meglio l’anima del palato partenopeo”, afferma con convinzione il noto giornalista Luciano Pignataro.
Condor ha deciso di farmi diventare enologo nonostante sia astemio.
Trollhunter delle 2 Sicilie.