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Discussione: spigolature...

  1. #61
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    Predefinito Re: spigolature...

    L'ARPA D'ERBA

    è considerato da molti il capolavoro di Truman Capote.
    Il giovane Truman, orfano di madre, viene affidato
    a due zitelle, Verena e Dolly Talbo, che vivono in un
    piccolo paese nel sud degli States. Tocca allo scrittore
    farsi voce dell’Arpa e raccontare un destino che si
    compone di mille frammenti; realtà e sogni infantili,
    pettegolezzi e crudeltà di paese, grandi amori e tragiche
    passioni. Con eccezionale forza evocativa, Capote illumina
    tutti questi frammenti, restituendoci nella loro vivezza
    persone e vicende, attraverso inflessioni di voci e sfumature
    di colore catturate con sorprendente esattezza.

    INCIPIT


    " Quando ho sentito parlare per la prima volta dell’arpa d’erba? Molto tempo prima di quell’autunno in cui andammo ad abitare sul sicomoro. In un autunno molto remoto, dunque; e certo fu Dolly a parlarmene, perché nessun altro avrebbe pensato a quel nome: arpa d’erba.
    Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia, i Talbo, i Fenwick. Mia madre riposa accanto a mio padre e le tombe dei parenti e degli affini, venti o più, sono disposte intorno a loro come radici prone di un albero di pietra. Sotto la collina si stende un campo di alta saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso ed i venti dell’autunno battono sulle sue foglie secche evocando il sospiro di una musica umana, di un’arpa di voci.
    Al di là del campo le tenebre del Bosco del Fiume. Fu certo in una giornata di settembre, mentre raccoglievano radici nel bosco, che Dolly disse: “Senti? È l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra.”

  2. #62
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    Predefinito Re: spigolature...

    ERASMO DA ROTTERDAM - ELOGIO DELLA FOLLIA


    ASTUTAMENTE LA FOLLIA HA AFFIANCATO ALL’UOMO L’ESSERE PIÙ FOLLE CHE CI SIA: LA DONNA

    Guardate con quanta previdenza la natura ebbe cura di spargere dappertutto un pizzico di follia. Se infatti, secondo i filosofi, la saggezza consiste nel farsi guidare dalla ragione, mentre la follia consiste nel farsi trascinare dalla passioni, proprio come rimedio al tarlo del pensiero la natura infuse nell’essere umano più passioni che ragione.
    Confinò la ragione in un angolo della testa, lasciando il resto del corpo ai turbamenti delle passioni. Così l’ira occupa il torace e la concupiscenza estende il suo dominio fino al basso ventre. Quanto possa la ragione contro queste due fiere avversarie ce lo dice la condotta abituale degli uomini. La ragione protesta fino a sgolarsi ed enuncia i princípi morali; ma quelle passioni la subissano di grida potenti finché lei è costretta a dichiararsi vinta.
    Ma la mia trovata più brillante è stata quella di aver affiancato all’uomo un animale deliziosamente spassoso che addolcisce, con un pizzico di follia, la gravità del temperamento maschile. Quando Platone, infatti, sembra in dubbio circa la collocazione della donna, se fra gli animali razionali o fra i bruti, vuole solo sottolineare la straordinaria follia di questo sesso. E se per caso una donna vuole passare per saggia, ottiene solo di essere due volte folle. Come la scimmia è sempre scimmia, anche se si veste con abiti preziosi, così le donne sono sempre donne, cioè folli, comunque si mascherino.
    Ma non così folli, voglio sperare, da aversene a male perché perfino io, la Follia in persona, le giudico folli. La donne, infatti, se ci pensassero bene, considererebbero un dono della Follia il fatto di essere, sotto molti aspetti, più fortunate degli uomini.
    In primo luogo, hanno il dono della bellezza, che giustamente mettono al disopra di tutto, contando su di essa per tiranneggiare gli stessi tiranni. Quanto all’uomo, di dove gli viene, se non dal senno, l’aspetto rude, la pelle ruvida, la barba folta, e un certo che di senile? Le donne, invece, con le guance sempre lisce, con la voce sempre sottile, con la pelle morbida, danno quasi l’impressione d’una eterna giovinezza. Ma che altro desiderano poi in questa vita, se non di piacere agli uomini quanto più è possibile? Non mirano forse a questo belletti, bagni, acconciature, unguenti, profumi, nonché tante arti volte ad abbellire, dipingere, truccare il volto, gli occhi, la pelle? C’è forse qualche altro motivo che le faccia apprezzare dagli uomini più della follia? In cambio di che, se non del piacere, gli uomini concedono tanto alle donne? Ma il piacere viene proprio dalla loro follia. Pensate a tutte le sciocchezze che un uomo dice quando parla con una donna, a tutte le stupidaggini che fa ogni volta che si mette in testa di ottenerne i favori.

    QUANDO NEGLI UOMINI CALA L’INTERESSE PER LA DONNA, LA FOLLIA METTE A DISPOSIZIONE I PIACERI DEI BAGORDI

    Vi sono uomini, specialmente anziani, che alle donne preferiscono il bere e provano il massimo piacere nel banchettare. Ma anche nei banchetti, perché riescano bene, c’è bisogno della follia. Infatti, se nella comitiva non c’è qualcuno capace di far ridere, s’invita qualcun altro che, con la sua amenità, garantisca che il banchetto non si trascini nel silenzio e nella noia. A che scopo, infatti, riempirsi il ventre di ghiottonerie e di vino se anche gli occhi, le orecchie e l’anima intera non si nutrissero di risa, di scherzi, di facezie? Ma cibi del genere solo io posso ammannirli.

    MA IL CAPOLAVORO DELLA FOLLIA È IL MATRIMONIO

    Quanto si è detto dell’amicizia a maggior ragione vale per il matrimonio. Quanti divorzi in più, e quanti fatti ancora peggiori si verificherebbero se la convivenza non si corroborasse con le adulazioni, le indulgenze e le dissimulazioni: tutte cose che hanno a che fare con me. Quanti matrimoni si celebrerebbero se il fidanzato prudentemente s’informasse dei passatempi a cui già molto prima delle nozze si dedicava la sua verginella così delicata e apparentemente pudica? E, a celebrazione avvenuta, quanti ne durerebbero, se tante imprese delle mogli non rimanessero ignorate per la negligenza e l’ingenuità dei mariti? Vale a dire che giustamente è merito della Follia se il marito ama la moglie e la moglie il marito, e se in casa regna la pace e il vincolo tiene.
    Si ride del cornuto, del becco (quanti nomi non gli si danno!) quando asciuga con i baci le lacrime dell’adultera. Ma quanto è meglio lasciarsi ingannare così che rodersi di gelosia e volgere tutto in tragedia!
    Insomma, senza di me nessun legame familiare, ma anche nessun altro legame potrebbe durare felicemente. Il popolo si stancherebbe del governo, il dipendente del datore di lavoro, il locatore dell’inquilino, l’ospite dell’ospite ecc. Per fortuna, io li induco a ingannarsi a vicenda, ad adularsi, a far finta di non vedere.
    Pensate che esagero, ma ne sentirete ancora delle belle.

    Continua...

  3. #63
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    Predefinito Re: spigolature...

    IL CONGRESSO DEI TOPI

    Jean de La Fontaine

    Un gatto chiamato Rodilardo faceva tale strage di topi che non se ne vedevano quasi più intorno, tanto grande era il numero di quelli che aveva mandato alla sepoltura. I pochi rimasti., mancando loro il coraggio di lasciare i rifugi in cui si celavano, erano ridotti a non mangiare nemmeno il quarto di ciò che occorreva loro per sfamarsi e Rodilardo era considerato fra quella povera gente, non un gatto, ma un vero e proprio demonio.

    Un giorno però, quel gatto si mise in viaggio per certe sue private faccende e, approfittando di questa lontananza, i topi superstiti si riunirono a congresso per discutere e trovare un rimedio al grande pericolo che li sovrastava. Dichiarata aperta la seduta, il decano, vecchio topo noto per la sua prudenza, espose che, a suo parere, si sarebbe dovuto trovare il modo di attaccare al più presto un sonaglio al collo di Rodilardo. Così, quando costui si sarebbe avviato alla solita caccia di roditori, i topi, preavvertiti dal suono avrebbero fatto in tempo a rifugiarsi nei loro buchi. Non sapeva suggerire altro ripiego migliore di questo e tutti i congressisti condivisero il saggio parere del signor decano.

    La difficoltà consisteva nel fatto di riuscire ad appendergli il sonaglio al collo:
    Uno disse: “Io non ci vado; fossi pazzo!”.
    Un altro mormorò: “Non me ne sento capace”.
    La seduta fu sciolta senza venire a capo di nulla.

    Ne ho visti anch’io di simili congressi che si sono riuniti per non approdare ad un bel niente. Congressi non di topi, ma di scienziati, e persino capitoli di canonici. Non mancano i buoni consiglieri quando si deve discutere, ma se si tratta di eseguire le decisioni prese, allora tutti si ritraggono indietro con qualunque pretesto.

  4. #64
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    Predefinito Re: spigolature...

    tratto da "La rabbia e l'orgoglio" di Oriana Fallaci

    [..] E con i figli di Allah la faccenda sarà dura. Molto lunga e molto dura. Ammenoché il resto dell' Occidente non smetta di farsela addosso. E ragioni un po' e gli dia una mano.
    Sto parlando alle persone che pur non essendo stupide o cattive, si cullano ancora nella prudenza e nel dubbio. E a loro dico: sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d' andar contro corrente cioè d' apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All' annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci.

    Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo! Non vi rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v' importa neanche di questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare perché lo sono. Da vent' anni lo dico, da vent' anni. Con una certa mitezza, non con questa passione, vent' anni fa su questa roba scrissi un articolo di fondo per il «Corriere». Era l'articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, d' una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, d' una laica senza tabù. Ma era anche l' articolo di una persona indignata con chi non sentiva il puzzo di una Guerra Santa a venire, e ai figli di Allah gliene perdonava un po' troppe. Feci un ragionamento che suonava press' appoco così, vent' anni fa. «Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando loro disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra, e v' informo che Dante Alighieri mi piace più di Omar Khayan». Apriti cielo. Mi crocifissero. «Razzista, razzista!». Eh, furono gli stessi progressisti (a quel tempo si chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto quell' insulto me lo presi anche quando i sovietici invasero l' Afghanistan. Li ricordi quei barbuti con la sottana e il turbante che prima di sparare il mortaio, anzi a ciascun colpo di mortaio, berciavano le lodi del Signore? «Allah akbar! Allah akbar!». Io li ricordo bene. E a veder accoppiare la parola Dio al colpo di mortaio, mi venivano i brividi. Mi pareva d' essere nel Medioevo, e dicevo: «I sovietici sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra proteggono anche noi. E li ringrazio». Riapriti cielo. «Razzista, razzista!». Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità che i figli di Allah commettevano sui militari fatti prigionieri. (Gli segavano le braccia e le gambe, rammenti? Un vizietto a cui s' erano già abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei). Non volevano che lo dicessi, no. E pur di fare i progressisti applaudivano gli americani che rincretiniti dalla paura dell' Unione Sovietica riempivan di armi l' eroico-popolo-afghano. Addestravano i barbuti, e coi barbuti un barbutissimo Usama Bin Laden. Via-i-russi-dall' Afghanistaaaan! I-russi- devono-andarsene-dall' Afghanistaaaan! Bè, i russi se ne sono andati dall' Afghanistan: contenti? E dall' Afghanistan i barbuti del barbutissimo Usama Bin Laden sono arrivati a New York con gli sbarbati siriani egiziani iracheni libanesi palestinesi sauditi che componevano la banda dei diciannove kamikaze identificati: contenti? Peggio: ora qui si discute sul prossimo attacco che ci colpirà con le armi chimiche, biologiche, radioattive, nucleari.

  5. #65
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    Predefinito Re: spigolature...

    Le parole sono pietre...

    "Coloro che sanno usare la parola giusta
    non offendono nessuno.
    Le loro espressioni sono chiare e mai violente.
    Non si lasciano mai umiliare e non umiliano
    mai nessuno"
    (Buddha)

  6. #66
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    Predefinito Re: spigolature...

    La poverta è sempre in aumento e l'estrema disuguaglianza economica oggi non è uno stimolo alla crescita, ma un ostacolo al benessere dei più. "Finché i governi del mondo non agiranno per contrastarla, la spirale della disuguaglianza continuerà a crescere, con effetti corrosivi sulle istituzioni democratiche, sulle pari opportunità e sulla stabilità globale".


    Estratto dal saggio di Salvatore Natoli

    “Stare al mondo”


    -Diritti non elemosine-

    Il lessico recente della politica, specie di ispirazione conservatrice, ha messo in circolo
    una formula ormai corrente: capitalismo compassionevole. Adam Smith che di sentimenti se ne intendeva, aveva colto con grande finezza, il carattere ambiguo della compassione, aveva mostrato come l’egoismo fosse una componente-o comunque un aspetto collaterale- del comune e pur autentico sentimento di pietà.
    [..]A partire da qui, nel tempo, si è venuta formando l’idea – più che mai razionale - che fosse opportuno predisporre anticipatamente un’assistenza generalizzata, concepita come “bene sociale”, come un vantaggio “per tutti”. La “beneficenza” si è mostrata storicamente inadeguata per la soluzione dei problemi del bisogno. Tali problemi risultano al contrario meglio risolvibili se affrontati “in termini di giustizia”.
    [..] La “beneficenza” è cosa buona se viene fatta ma non è un obbligo e non reca danno ad alcuno se non viene fatta. In ciò differisce chiaramente dalla “giustizia” la cui osservanza non viene lasciata alla nostra libera volontà che può essere estorta con la forza e la cui violazione espone al risentimento e di conseguenza alla punizione. La giustizia a differenza della beneficenza è dunque obbligatoria e chi trasgredisce le leggi di giustizia è suscettibile di punizione.[..] Di qui la legittimità di rivendicare nei confronti dello stato e delle amministrazioni un benessere sociale garantito in tutti quei casi in cui gli individui non sono in condizioni di assicurarselo con il solo reddito da lavoro. La più grande invenzione politica del novecento,” il Welfare”, ha perseguito esattamente questo.[..] E’ plausibile sostenere che una politica economica di questo tipo oggi non è più possibile o quantomeno è necessario introdurre correttivi strutturali per poterla ancora praticare; quel che, però, resta in ogni caso in piedi è la “filosofia politica” da cui il “welfare” ha tratto ispirazione e che a tutt’oggi lo motiva: i diritti sociali sono esigibili da tutti e non è pensabile che certi servizi siano limitati ad un privato e meno che mai siano discrezionali.
    [..]Una democrazia è effettivamente tale solo se tende ad includere progressivamente gli esclusi o comunque coloro che non sono sufficientemente tutelati.
    [..]Il welfare come filosofia politica è il meglio che la storia ha selezionato nel corso del novecento, oggi insostenibile, e data la complessità della società non consente più allo stato e all’amministrazione di governare i deficit sociali e di ridurre l’esclusione. Taluni economisti sostengono si debba passare da uno “stato del benessere” ad una “società del benessere”: sarà la società stessa che attraverso le autonomie, il privato sociale, le attività non profit, il volontariato ecc. riuscirà a trasformare gli esclusi in cittadini.
    [..] Comunque la “solidarietà” non va confusa con l’assistenzialismo, ma si configura come un diritto per i cittadini e un obbligo per le istituzioni. Naturalmente bisogna per realizzare quanto detto evitare in tutti i modi il parassitismo e la burocrazia.
    [..]Il problema vero, però, è quello non solo fronteggiare ma evitare che si producano quelle condizioni di degrado che formano le “nuove povertà”: poveri invisibili sono tutti coloro che perdono il lavoro e non riescono a ritrovarlo e non sono mai stati davvero poveri e sono ancora più disagiati ad esserlo e per vergogna cercano di dissimularlo.
    E’ vero che queste nuove povertà possono essere eliminate con un incremento della ricchezza sociale media, non attraverso l’assistenza ma l’efficienza. Ma questa idea di per sé corretta è spesso maschera per altro. I poveri vengono facilmente ignorati e a volte sono” invisibili”…

  7. #67
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    Predefinito Re: spigolature...

    ALLE FRONDE DEI SALICI

    di Salvatore Quasimodo

    E come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
    d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo del telegrafo?
    Alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento.

    -------------------------------------

    Il poeta ammutolisce di fronte alla crudeltà
    della guerra e deli'invasore tedesco nella
    seconda quesrra mondiale.
    Ai rami del salice appende l'ispirazione
    poetica e la guarda oscillare al triste vento
    che essa porta con sé.....

  8. #68
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    Predefinito Re: spigolature...

    LA LIBERTA'

    Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere come capi dei coppieri
    che gliene versano a volontà, sino ad ubriacarlo, accade che, se i governatori resistono alle
    richieste dei sempre più esigenti sudditi son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si
    dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere e servo;
    che il padre impaurito finisce col trattare il figlio come suo pari e non è rispettato, che il
    maestro non osa rimproverare gli scolari, e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani
    pretendono gli stessi diritti dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi, danno ragione
    ai giovani. In questo clima di libertà nel nome della medesima, non vi è più riguardo né
    rispetto per nessuno, e in mezzo a tanta licenza, nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.

    Platone

  9. #69
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    Predefinito Re: spigolature...

    Er grillo zoppo
    Trilussa

    Ormai me reggo su 'na cianca sola
    diceva un Grillo. - Quella che me manca
    m'arimase attaccata a la cappiola.
    Quanno m'accorsi d'esse priggioniero
    col laccio ar piede, in mano a un regazzino,
    nun c'ebbi che un pensiero:
    de rivolà in giardino.
    Er dolore fu granne...: ma la stilla
    de sangue che sortì da la ferita
    brillò ner sole come una favilla.
    E forse un giorno Iddio benedirà
    ogni goccia de sangue ch'è servita
    pe' scrive la parola Libbertà!

  10. #70
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    Predefinito Re: spigolature...

    Brano tratto da
    L'AGNESE VA A MORIRE
    di Renata Viganò



    Dopo l’8 settembre 1943, la notizia dell’armistizio che i rappresentanti del re avevano firmato con gli Alleati, ha come effetto immediato lo sgretolamento dell’esercito italiano: molti soldati finiscono nei campi di lavoro tedeschi, molti abbandonano i reparti. Inizia la lotta clandestina della Resistenza. Le vicende narrate nel libro, che ha per protagonista una contadina di mezza età, si svolgono tra la provincia di Ravenna e quella di Ferrara, nel periodo che va da settembre 1943 fino alla primavera del 1945, alle soglie della Liberazione. Salvare un soldato sbandato qualcuno di fuori bussò alla porta della cucina, e l’Agnese spense il lume ed aprì. Era la Minghina eccitata ed ansante: – Dovete subito
    mandar via quel soldato. Le mie figlie hanno detto che sono arrivati molti tedeschi in paese. Se trovano dei disertori portano via anche quelli che li hanno nascosti –. L’Agne se l’interruppe: – Quante storie. In casa mia tengo chi voglio. I tedeschi non c’entrano –. Dalla strada veniva un rumore sordo di carri , un rombo di camion fermi col motore acceso, e delle voci forti, aspre come fruste. – Sentite? – disse la Minghina. – Le mie figlie hanno detto che torna su il fascismo, e tutti quelli che hanno fatto festa il 25 luglio li porteranno in Germania. Mandate via quel soldato –. [...]
    S’appoggiò col suo grosso corpo al battente, chiuse fuori la Minghina con un colpo. Riaccese il lume, stette un poco a pensare, guardando il soldato che dormiva su un materasso. S’era levato soltanto la giubba e le scarpe, ed era là disteso con la faccia in giù, fermo e duro come se fosse morto. La gatta nera gli girava intorno con le sue zampe caute, gli leccò la piaga che aveva in un piede [...] L’Agnese disse: – Via! – e la gatta scappò nella camera vicina, dove c’era il respiro forte di Palita. [...] Appena si fece giorno, l’Agnese si vestì, preparò la colazione sulla tavola, svegliò il soldato, gli disse di partire subito, che c’erano i tedeschi in paese. Lui andò a lavarsi al pozzo e intanto l’Agnese portò a Palita la sua tazza di latte caldo. La porta era aperta sull’aia. Un gran silenzio occupa va la campagna, un’aria bianca di settembre senza sole. Qualcuno arrivò correndo coi piedi scalzi, era un ragazzo che abitava più lontano, verso la valle. Senza fermarsi disse: – I tedeschi. Vengono qui –. Il soldato diventò pallido, si mise in fretta la giubba e le scarpe. L’Agnese gli diede del pane: – Vai per questo sentiero. Più avanti c’è un fosso grande sotto l’argine. Nasconditi là. Stasera ritorna. Ti troverò un vestito da borghese –.

 

 
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