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  1. #1
    Ghibellino
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    Predefinito Chiesa cristiane orientali

    Chiedo scusa e ospitalità ai fratelli greco-ortodossi, ma mi sembrava utile aprire quantomeno portare alla conoscenza l'esistenza di antichissime chiese cristiane che da millenni soffrono le persecuzioni nel Medio oriente. Parlo della chiesa ortodossa copta, di quella ortodossa siriaca, di quella assira, di quella apostolica armena.

    Non sapevo dove altro postare, se i moderatori volessero cancellare o spostare la discussione, capirò
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  2. #2
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Chiesa cristiane orientali

    Oggi, 6 gennaio 2011, è stato pubblicato questo interessante articolo di Maurizio Stefanini su “Il Foglio” intitolato: “Perché la chiesa più antica del mondo è attaccata dai fondamentalisti islamici”. Mi pare rilevante la descrizione della chiesa cristiana in Egitto, la storia, le ramificazioni, le caratteristiche linguistiche, ecc. D’altronde si parla anche delle diverse difficoltà che la chiesa copta ha incontrato con l’islam durante la storia. Personalmente ho visitato le chiese delle prime comunità cristiane del Cairo, anche quella che ricorda il posto dove la Sacra Famiglia rimasse durante il periodo della fugga in Egitto per colpa della persecuzione di Erode. La foto dell’articolo è stata scattata da me personalmente durante il mio viaggio in Egitto per ricerche sul mondo islamico. È emozionante esperimentare quel primo cristianesimo e non possiamo lasciare che scompaia per colpa delle bestie assassine in nome di Allah. Vi consiglio veramente, dunque, questo articolo; ecco il testo: “È diventato un’emergenza di ordine pubblico, purtroppo, il Natale copto che solo a Roma sarà festeggiato stanotte da seimilacinquecento fedeli. “Pure egiziane, hanno conservato lo stesso profilo delicato e gli stessi occhi allungati che avevano le dee di un tempo, la cui immagine è giunta fino a noi attraverso i bassorilievi scolpiti sui muri faraonici”. Così scriveva nel 1907 il grande viaggiatore e reporter della Belle Époque Pierre Loti, parlando delle donne che aveva trovato in preghiera in una chiesa copta.
    Tragicamente tornati alla ribalta per via del terrorismo jihadista, i copti sono innanzitutto la chiesa più antica del mondo. L’Egitto fu infatti la prima nazione a divenire in maggioranza cristiana nel IV secolo. “I vecchi culti faraonici, amalgamati in quel tempo con quelli ellenici, erano diventati talmente oscuri, sotto il cumulo dei riti e delle formule, da non aver più senso alcuno”, scriveva sempre Pierre Loti, “e pertanto, qui come nella Roma imperiale, covavano i fermenti di un misticismo appassionato. Il popolo egiziano, del resto, era più che ogni altro invasato dal terrore della morte, e ne è prova la sua follia imbalsamatoria. Era quindi inevitabile che accogliesse con avidità la Parola dell’amore fraterno e dell’immediata resurrezione”.
    Proprio per questi motivi fu Alessandria il principale fronte della persecuzione di Diocleziano. L’Egitto rimase comunque in maggioranza cristiano anche dopo la conquista araba, probabilmente fino al XII o XIII secolo. Egiziano era Sant’Antonio, fu la terra dove nacque il monachesimo e dove predicò per primo il Vangelo San Marco, che fu sepolto ad Alessandria fino a quando alcuni marinai veneziani non lo trafugarono, portando le sue spoglie in Laguna. All’Egitto si deve la classica iconografia della Madonna col Bambino, ricalcata su quella di Iside e Osiride. E furono i missionari copti a convertire al cristianesimo il Sudan e l’Etiopia, anche se la cristianità nubiana è stata cancellata dall’islamismo alla fine del Medioevo e le chiese di Etiopia e Eritrea si sono di recente resi indipendenti dal Patriarcato Copto di Alessandria.
    “Giovani madri dal fine e dolce viso di madonna”, raccontava Pierre Loti di una messa copta, “un buon vecchio prete che sorride paternamente (mentre fa) chiasso, percuotendo i cembali, e ricavando un ritmo del resto assai gaio per festeggiare la resurrezione di Cristo […] I muri logori, la volta tanto bassa che si potrebbe toccarla, le poche colonne di granito che sostengono gli archi informi, tutto è annerito e patinato dal fumo dei ceri e consumato tutto di innumerevoli mani […] Ogni cosa, qui, rivela un’irrimediabile decrepitezza. Le pietre sono tutte sconnesse, a causa del cedimento del suolo, e consunte dai passi di migliaia di generazioni morte. Tutto è cadente, pencolante, polveroso e in sfacelo”. Eppure Loti in questi templi che vanno a pezzi fotografava un cristianesimo così forte “che secoli di distruzioni non riuscirono a distruggere; risalendo il vecchio fiume, si incontrano parecchi di questi piccoli villaggi, gente dalle case di fango secco, ove la cupola imbiancata della chiesa è sormontata dalla croce anziché dalla mezzaluna: sono i villaggi copti, di quegli egiziani che, di padre in figlio, hanno conservato la fede cristiana sin dai tempi nebulosi dei primi martiri”.
    Dopo quelle del paganesimo romano alcune delle persecuzioni che subirono i copti vennero proprio da altri cristiani. In nome del culto della Vergine, la chiesa Copta si schierò infatti con quella teologia monofisita che considerava in Gesù solo la natura divina (in contrapposizione alla teologia nestoriana che considerando in Gesù la coesistenza di due nature faceva della Madonna la madre della sola parte umana e non di quella divina di Gesù, ma anche contraria alla via intermedia che era appoggiata dal potere bizantino, detestato in quanto straniero e in quanto spietato esattore di tasse). Per questi motivi, in principio i copti accolsero gli arabi come liberatori, ma presto le persecuzioni arrivarono anche dai musulmani.
    Il califfo Marwan II, ad esempio, domò col sangue una grande rivolta copta nell’VIII secolo; il “califfo pazzo” al-Mamun distrusse un cospicuo numero di chiese nel IX secolo e nel 1176 il fratello di Saladino al-Adil fece impiccare tremila cristiani agli alberi attorno a Qift, dopo l’ennesima sommossa. Più di recente si è scatenata contro i copti l’ira jihadista. Il potere egiziano, di fatto, li tratta come cittadini di serie B. Il copto Boutros Boutros-Ghali divenne nel 1992 segretario delle Nazioni Unite, la famiglia copta dei Siwairis – quelli di Wind – è la più ricca dell’Africa, ma in Egitto solo due ministri su trentasei sono cristiani, e solo un governatore su venticinque, nonostante i cristiani, in Egitto, siano almeno il 6 per cento della popolazione, secondo le stime delle autorità, e tra il quattordici e il venti per cento secondo gli stessi copti.
    Dunque sarebbero tra i tredici e i diciassette milioni gli adepti alla chiesa copta ortodossa, che riconosce l’autorità del “papa” Patriarca di Alessandria Shenouda III. Ci sono poi 275.000 fedeli della chiesa cattolica copta, tornata in comunione con Roma tra il 1741 e il 1895; 250.000 persone del Patriarcato Greco-Ortodosso di Alessandria; 200.000 protestanti, tra cui 140.000 di una chiesa Evangelica d’Egitto Sinodo del Nilo che si considera anch’essa in qualche modo erede della tradizione copta, e di cui fa parte Boutros-Ghali. Il Natale copto è stato riconosciuto come festa ufficiale solamente nel 2002, e nel 2005 è stata rimossa la legge per cui anche il minimo lavoro edilizio in una chiesa richiedeva un’autorizzazione esplicita del presidente della repubblica.
    Il termine “copto” deriva da “qubt”, pronuncia araba del greco “aiguptos”, che è poi un’antica trascrizione del nome locale della capitale faraonica Menfi: Hut-ka-Ptah, “la casa del Dio Ptah”. Il nome del paese è invece “Kemet” in antico egizio e “Keme” in copto: “terra nera”, fertilizzata dal Nilo, in contrapposizione alla terra rossa del deserto. E “Misr” in arabo, corrispondente all’ebraico “Mitzráyim”, vale a dire “i due stretti”. I copti si ritengono gli unici veri discendenti degli antichi egizi, e anche il copto è una lingua che si scrive con l’alfabeto greco ma che costituisce in effetti l’ultima fase dell’antico egizio. Perfino Jean-François Champollion dovette impararla prima di poter decifrare i geroglifici. Dal XII secolo, assieme all’islamismo e al cristianesimo, anche l’arabo prese il sopravvento sul copto, ma quando si sia realmente estinto come lingua viva, è materia di dibattito: alcuni dicono tra il XVII e il XVIII secolo, altri nel XIX. Ma di recente c’è l’evidenza che alcune famiglie continuerebbero a usarlo tuttora in casa. Ci sarebbero quindi ancora trecento parlanti: quasi tutti però tra Stati Uniti, Canada e Australia, e una o forse due famiglie in Egitto. La cosa che dicono di trovare più curiosa è l’uso del copto al cellulare. Il copto è comunque tuttora usato nella liturgia della chiesa copta, anche se assieme all’arabo, al greco e alle lingue dei paesi di diaspora, in particolare inglese e francese”.
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    Qualche informazione sui cristiani copti è molto utile in questi tempi? | P Miguel Cavallé Puig LC
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  3. #3
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Chiesa cristiane orientali

    Molto bello il tuo post, Ultima legione.

  5. #5
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    Ghibellino
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  7. #7
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Chiesa cristiane orientali

    Fino al 451 la Chiesa Universale si componeva essenzialmente di cinque grandi Chiese Madri: Gerusalemme, Alessandria, Roma, Antiochia e, dalla fine del IV sec., Costantinopoli (Bisanzio). Al concilio di Calcedonia (451 d.C.), un conflitto di natura politico-religiosa accompagnato da dispute teologiche e incomprensioni di terminologia oppose la Chiesa di Alessandria a quelle di Roma e di Bisanzio. Volendo scrollarsi il giogo bizantino e rifiutando allo stesso tempo che la Chiesa di Roma si attribuisse la supremazia sul resto della cristianità, la Chiesa di Alessandria rifiutò gli “accordi” politici romano-bizantini e le loro conclusioni teologiche.L’aspetto religioso del conflitto si cristallizzò su di una definizione cristologica:- durante il Concilio, Roma e Bisanzio definirono il Cristo come avente due nature: quella divina e quella umana, riunite in una sola persona;- la Chiesa di Alessandria rifiutò questa definizione ed insistette sull’unità del Cristo seguendo la formula di S.Cirillo d’Alessandria; quindi essa proclamò che il Cristo non ha che una sola natura e che essa è allo stesso tempo pienamente divina e umana, “senza mescolamento e senza confusione”. I Copti definiscono “natura” ciò che le Chiese romana e bizantina chiamano “persona”. Inoltre le due Chiese “occidentali” iniziavano piano piano a non occuparsi solamente di temi ecclesiastico-filosofici e della guida spirituale dei fedeli, ma si dedicavano sempre di più ad affari di stato e alla politica, cosa che non corrispondeva affatto, secondo gli “orientali”, alla missione affidata da Cristo agli apostoli. La conseguenza di tutte queste differenze, dissidi e anche sospetti, fu la separazione, o scisma, delle Chiese di Alessandria, apostolica Armena, ortodossa di Siria, ortodossa d’Etiopia e ortodossa d’India da Bisanzio e Roma. In seguito a ciò, le suddette Chiese sono anche conosciute come “Chiese ortodosse precalcedonesi” o “Chiese dei tre concili”. Ad esse va aggiunta la Chiesa ortodossa d’Eritrea, istituita da S.S. Papa Shenouda III nel 1994.La Chiesa copta ortodossa di Alessandria, unitamente alle altre Chiese “precalcedonesi”, professa la dottrina di S.Cirillo d’Alessandria “una sola natura incarnata di Dio il Verbo” approvata durante il terzo concilio ecumenico di Efeso (431), che significa che il Logos è carne. “E il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi” (Giov. 1,14).I Copti non hanno mai accettato la definizione calcedonese “delle due nature in Cristo” considerandola in contrasto con la professione di fede del concilio di Efeso nella quale si era definita “un’unione perfetta della divinità e dell’umanità di Cristo”; la divinità di Cristo e la sua umanità dimorano in lui in un’unità perfetta formando una natura unita, un’essenza, una sostanza ed un’esistenza indissolubile. Questa natura unica non è la divinità sola, né l’umanità sola, ma la natura del Verbo (logos) incarnato. La Chiesa copta ortodossa crede che mai, nemmeno per un momento, la natura umana del Signore sia esistita separata dalla sua natura divina. La separazione tra l’umanità e la divinità di Cristo è contro la teologia della Redenzione esigendo la deificazione della sua natura di uomo. Le conseguenze di questa separazione, avvenuta nel V sec., furono molto gravi per la Chiesa universale e per la Chiesa d’Egitto. Infatti, a partire da Calcedonia, i Copti conobbero, in relazione al mondo occidentale, un isolamento che sarebbe durato praticamente fino all’epoca contemporanea; essi subirono inoltre numerose persecuzioni da parte dei Bizantini.Il termine “monofisismo”La sua affermazione di una fede in una sola natura del Cristo le valse ad essere classificata come una Chiesa “monofisita”; ma questo termine ricopre in occidente un significato del tutto diverso: esso significa la negazione dell’umanità o della divinità di Gesù. Per quindici secoli gli storici e i teologi occidentali hanno dunque affermato che la Chiesa copta “monofisita” negasse l’umanità del Figlio di Dio; i Copti venivano considerati eretici dall’occidente cattolico. Tuttavia, la fede nell’incarnazione è costantemente affermata e attestata nella Chiesa d’Egitto, così come nei testi liturgici, nell’insegnamento dei padri e nell’uso del Credo, comune alle Chiese d’oriente e d’occidente, che è il Credo di Nicea e Costantinopoli.La tradizione iconografica costituisce un’altra prova, qualora fosse necessaria, dell’Ortodossia della fede dei Copti nell’incarnazione. Si è perfino colpiti, nello studiare la spiritualità copta, di vedere a qual punto essa è “incarnata”; è sufficiente per convincersene, leggere alcune opere contemporanee, come gli scritti di S.S. Papa Shenouda III o del Padre Tadros Malaty. D’altronde sarebbe quanto meno sorprendente che la Chiesa che ha formato un S.Atanasio, campione dell’ortodossia e autore di un’opera fondamentale intitolata “L’incarnazione”, abbia potuto in pochi decenni deviare verso un’eresia che nega un mistero così fondamentale quale è quello dell’Incarnazione divina.Dopo il disaccordo sulla supremazia della Chiesa di Roma e il fraintendimento sulla natura del Cristo, la rottura tra, da una parte, le Chiese romana e bizantina con le loro comunità occidentali e, dall’altra, le Chiese d’Egitto e d’Antiochia con le comunità armene, etiopi e dell’India, dà origine ad uno scisma in cui ciascuna parte nega di essere scismatica. La Chiesa copta, per insistere sull’autenticità della sua fede, prese il titolo di Chiesa “ortodossa” conservando allo stesso tempo la proclamazione preziosa della sua universalità espressa con il termine “catholicon” (cattolico) che figura in tutti i suoi atti liturgici in lingua copta.Oggi, dopo quindici secoli, S.S. il Papa di Roma Paolo VI e S.S. Shenouda III, Papa di Alessandria, hanno riconosciuto l’identità della loro fede nel mistero del Verbo incarnato, espressa con i termini del Concilio di Nicea, in una dichiarazione comune datata dal Vaticano il 10 maggio 1973 (segue testo integrale).OggiGli ultimi quarant’anni sono stati segnati da un’intensa e dinamica attività ecumenica. Questa politica di apertura, iniziata dal Papa Cirillo VI e continuata e intensificata dall’attuale Papa Shenouda III, ha portato a un notevole miglioramento delle relazioni, alla comprensione e all’avvicinamento tra le varie Chiese. Sono state stilate delle dichiarazioni comuni con la Chiesa anglicana (1988), con le Chiese ortodosse calcedonesi (1987, 1989, 1990) con la Chiesa cattolica (1973, 1988, 1990), con la Chiesa evangelica tedesca (1988) e con la Chiesa protestante olandese (1992).Di spirito ecumenico, S.S. Shenouda III è stato, nei tempi moderni, il primo Patriarca di Alessandria a far visita al Papa di Roma, S.S. Paolo VI, come pure ai principali capi delle Chiese ortodosse. La dichiarazione comune firmata nel 1973 da S.S. Paolo VI e da S.S. Shenouda III in Vaticano è stato un grande progresso verso l’unità. Questa dichiarazione è stata riconfermata nel 1979 da S.S. Giovanni Paolo II.

    Dichiarazione comune di S.S. Paolo VI e S.S Shenouda II
    S.S. Shenuda III e S.S. Paolo VI nel 1973 nella Basilica di San Pietro a Roma

    Paolo VI, Vescovo di Roma e Papa della Chiesa Cattolica, e Shenouda III, Papa di Alessandria e Patriarca della Sede di SanMarco, rendono grazie nello Spirito Santo a Dio per aver concesso, dopo il grande evento del ritorno delle reliquie di SanMarco in Egitto, un ulteriore sviluppo delle relazioni tra le Chiese di Roma e di Alessandria, cosicchè ora essi hanno potuto incontrarsi. Al termine dei loro incontri e dei loro colloquidesiderano dichiarare insieme quanto segue:
    “Ci siamo incontrati nel desiderio di approfondire le relazioni tra le nostre Chiese e per trovare strade concrete per superare gli ostacoli nel cammino della nostra reale cooperazione nel servizio di nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha dato il ministero della riconciliazione, al fine di riconciliare il mondo con Lui (2 Cor., 18-20). In linea con le nostre tradizioni apostoliche trasmesse alle nostre Chiese ed in esse conservate ed in conformità con i primi tre concilii ecumenici, confessiamo un’unica fede in un solo Dio, Uno e Trino, divinità dell’Unico Figlio Incarnato di Dio, la Seconda Persona della Santissima Trinità, la Parola di Dio, il fulgore della Sua gloria e l’immagine manifesta della Sua sostanza, che per noi si incarnò assumendo per Se stesso un corpo reale con un’anima razionale e che condivise con noi la nostra umanità, ma senza peccato. Confessiamo che nostro Signore, Dio, Salvatore e Re di tutti noi, Gesù Cristo, è Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità, e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità. In Lui la Sua divinità è unita alla Sua umanità in una reale, perfetta unione senza mescolanza, senza commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza separazione. La Sua divinità non si separò dalla Sua umanità neanche per un solo istante, neanche per il tempo di un batter d’occhio. Egli, che è Dio eterno ed invisibile, divenne visibile nella carne e prese su di sé la forma di un servo. In Lui sono conservate tutte le proprietà della divinità e tutte le proprietà dell’umanità, insieme fuse in un’unione reale, perfetta, indivisibile ed inseparabile.La vita divina ci viene data ed alimentata attraverso i sette sacramenti di Cristo nella Sua Chiesa: Battesimo, Cresima (Confermazione), Santa Eucaristia, Penitenza, Unzione degli Infermi, Matrimonio e Ordini Sacri. Noi veneriamo la Vergine Maria, Madre della Vera Luce, e confessiamo che Ella, sempre Vergine, è la genitrice di Dio. Ella intercede per noi e, come la “Theotokos”, eccelle nella Sua dignità fra le moltitudini degli angeli. Noi abbiamo, in ampia misura, la medesima concezione della Chiesa, fondata sugli Apostoli e nell’importante ruolo dei concilii ecumenici e locali. La nostra spiritualità è espressa adeguatamente e profondamente nei nostri riti e nella Liturgia della Messa, che comprende il centro della nostra preghiera pubblica ed il culmine della nostra incorporazione in Cristo nella Sua Chiesa. Noi osserviamo i digiuni e le feste della nostra fede. Veneriamo le reliquie dei santi e chiediamo l’intercessione degli angeli e dei santi, quelli viventi e quelli già defunti. Questi compongono una schiera di testimoni nella Chiesa. Con essi noi attendiamo, nella speranza, la Seconda Venuta di nostro Signore allorquando la Sua gloria si rivelerà per giudicare i vivi e i morti.Umilmente riconosciamo che le nostre Chiese non sono in grado di rendere una testimonianza più perfetta a questa nuova vita in Cristo a causa delle divisioni esistenti, che hanno dietro di sè secoli di storia difficile. Infatti, a partire dall’anno 451 dopo Cristo, si sono manifestate differenze teologiche alimentate ed accentuate da fattori di carattere non teologico. Tali differenze non possono essere ignorate. Tuttavia, nonostante siffatte differenze, ci stiamo riscoprendo come Chiese che hanno un’eredità comune e stiamo cercando, con decisione e con fiducia nel Signore, di raggiungere la pienezza e la perfezione di quell’unità che è il Suo dono. Come un contributo al perseguimento di questo scopo, istituiamo una commissione congiunta, che rappresenta le nostre Chiese e che ha la funzione di guidare lo studio comune nei campi della tradizione della Chiesa, della Patristica, della liturgia, della teologia, della storia e dei problemi pratici; in modo che attraverso la cooperazione si possa cercare di risolvere, in uno spirito di reciproco rispetto, le differenze esistenti tra le nostre Chiese e si riesca a proclamare insieme il Vangelo in modo confacente al messaggio autentico del Signore e alle esigenze ed alle speranze del mondo contemporaneo. Allo stesso tempo, esprimiamo la nostra gratitudine ed il nostro incoraggiamento agli altri gruppi di studiosi e di pastoriCattolici ed Ortodossi che dedicano i loro sforzi ad attività comuni in questi settori ed in altri ad essi collegati. Con sincerità e con insistenza ricordiamo che la vera carità, fondata sulla completa fedeltà all’unico Signore Gesù Cristo e sul reciproco rispetto per le tradizioni di ciascuno, è un elemento essenziale di questa ricerca della perfetta comunione. Nel nome di questa carità, respingiamo tutte le forme di proselitismo, inteso nel senso di azioni medianti le quali alcune persone cercano di disturbare le altre comunità al fine di reclutare nuovi membri da esse servendosi di metodi o assumendo atteggiamenti che sono in antitesi con le esigenze dell’amore cristiano o con ciò che dovrebbe caratterizzare le relazioni fra le Chiese. Abbandoniamo questi sistemi, laddove essi esistono. Cattolici ed Ortodossi devono sforzarsi di approfondire la carità e di sviluppare le consultazioni reciproche, la riflessione e la cooperazione nei campi sociale ed intellettuale, e debbono umiliarsi davanti a Dio, supplicandoLo affinchè, come ha cominciato la Sua opera in noi, così la porti a compimento.Mentre ci rallegriamo nel Signore che ci ha concesso le benedizioni di questo incontro, il nostro pensiero va alle migliaia di palestinesi sofferenti e senza dimora. Deploriamo gli abusi di argomenti religiosi per scopi politici in questo campo. Desideriamo ardentemente e cerchiamo una giusta soluzione per la crisi in Medio Oriente affinchè prevalga la vera pace nelle giustizia, in modo particolare in quella terra che fu santificata dalla predicazione, dalla morte e dalla risurrezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e dalla vita della Beata Vergine Maria, che insieme veneriamo come la “Theotokos”.Possa Iddio, donatore di ogni nostro bene, ascoltare le nostre preghiere e benedire i nostri sforzi.” In Vaticano, li 10 Maggio 1973tratto da Cenni storici sulla Chiesa Copta Ortodossa di Alessandria a cura di A. Balbis


    La Chiesa copta ortodossa è monofisita? (1)
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  8. #8
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Chiesa cristiane orientali

    È impossibile citare tutti i testi della liturgia, dei patriarchi e dei teologi copti che provano come, in realtà, la Chiesa copta professi la stessa fede delle Chiese calcedonesi. Gesù Cristo, il Verbo di Dio incarnato, è consustanziale al Padre e consustanziale all’uomo, perfettamente uomo e perfettamente Dio, in una perfetta unione senza confusione. La liturgia di san Basilio lo proclama solennemente nella confessione preparatoria alla comunione: «Io credo, io credo, io credo e proclamerò fino all’ultimo respiro che questo è il Corpo vivificante che il tuo unico Figlio, nostro Signore, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo ha preso dalla nostra Signore e Regina, la santa e pura Maria, Madre di Dio. Egli l’ha unito alla propria divinità senza commistione, senza mescolanza e senza cambiamento. Egli l’ha proclamato pubblicamente davanti a Ponzio Pilato. Egli ha sacrificato per propria volontà questo Corpo per noi tutti sulla santa Croce. In verità, io credo che la sua divinità non si è mai separata dalla sua umanità nemmeno per lo spazio di un attimo o di un battito di ciglio»1. Quest’ultima immagine, di grande forza, è stata ripresa nella dichiarazione dogmatica comune approvata dai papi Shenuda III di Alessandria e Paolo VI di Roma nel loro incontro fraterno del 10 maggio 1973: «Ci siamo incontrati nel desiderio di approfondire le relazioni tra le nostre Chiese e per trovare strade concrete per superare gli ostacoli nel cammino della nostra reale cooperazione nel servizio di nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha dato il ministero della riconciliazione, al fine di riconciliare il mondo con Lui (2 Cor., 18-20). In linea con le nostre tradizioni apostoliche trasmesse alle nostre Chiese ed in esse conservate ed in conformità con i primi tre concilii ecumenici, confessiamo un’unica fede in un solo Dio, Uno e Trino, divinità dell’Unico Figlio Incarnato di Dio, la Seconda Persona della Santissima Trinità, la Parola di Dio, il fulgore della Sua gloria e l’immagine manifesta della Sua sostanza, che per noi si incarnò assumendo per Se stesso un corpo reale con un’anima razionale e che condivise con noi la nostra umanità, ma senza peccato. Confessiamo che nostro Signore, Dio, Salvatore e Re di tutti noi, Gesù Cristo, è Dio perfetto riguardo alla Sua Divinità, e perfetto uomo riguardo alla Sua umanità. In Lui la Sua divinità è unita alla Sua umanità in una reale, perfetta unione senza mescolanza, senza commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza separazione. La Sua divinità non si separò dalla Sua umanità neanche per un solo istante, neanche per il tempo di un batter d’occhio. Egli, che è Dio eterno ed invisibile, divenne visibile nella carne e prese su di sé la forma di un servo. In Lui sono conservate tutte le proprietà della divinità e tutte le proprietà dell’umanità, insieme fuse in un’unione reale, perfetta, indivisibile ed inseparabile»2. Testo capitale che bisognava citare, perché respinge contemporaneamente il nestorianesimo (separazione dell’umanità e della divinità in Cristo) e il monofisismo reale eutichiano (commistione di umanità e divinità di Cristo). E’ soprattutto per una ragione terminologica – lo si è visto: l’impiego della parola physis per designare la doppia «natura» umana e divina di Cristo – che la Chiesa di Alessandria ha rifiutato la definizione di Calcedonia, che le sembrava contraddire la formula di san Cirillo: «Una sola physis (unità d’essere – persona) del Verbo incarnato». Recentemente, nel giugno 1989, nell’ambito della seconda riunione plenaria della Commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e le Chiese non-calcedonesi, tenutasi nel monastero di Amba Bishoy (Wādī el-Natrūn), il papa Shenuda III ha spiegato in termini particolarmente chiari e semplici la posizione della sua Chiesa: «Il termine “monofisita” è una falsa interpretazione che ha causato molte difficoltà per generazioni. Noi crediamo in nostro Signore Dio e Salvatore Gesù Cristo, perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità. Egli ha riunito la sua divinità e la sua umanità in un tutto senza confusione, né alterazione, né separazione; non parliamo di due nature (physis) dopo questa unione misteriosa di nostro Signore. Da sempre le nostre Chiese credono nella divinità e nell’umanità di nostro Signore. Lo si vede, ad esempio, quando affermiamo che sant’Atanasio di Alessandria è stato il campione della fede per aver difeso la divinità di nostro Signore contro l’arianesimo; e quando, nel contempo, aggiungiamo che gli ha chiaramente spiegato l’umanità di nostro Signore nella sua celebre opera L’incarnazione del Verbo. Questo Padre della Chiesa, in tal modo, ha parlato sia della divinità che dell’umanità del Signore. Quando parliamo di una natura (physis), non intendiamo la sola divinità, né tanto meno la sola umanità. Quando parliamo della sua unica natura (monē physis), nella nostra mente ciò significa la natura (nota dell’autore: “unità d’essere, persona”) del Logos incarnato. Come affermava il nostro Padre comune san Cirillo di Alessandria: Mia physis tou Theou Logou sesarkōmenē. Sosteniamo che nell’uomo, in ogni uomo, ci sono due nature unite insieme in una sola natura, spirito e carne. Ma quando parliamo di due nature degli esseri umani, non intendiamo solo lo spirito o solo la carne, intendiamo la natura umana3. Anatematizziamo la dottrina e gli insegnamenti tanto di Nestorio quanto di Eutiche. Se crediamo che nostro Signore è perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, ciò significa che crediamo in lui quale Dio Uomo, o Dio manifestato nella carne, come è scritto nella Prima lettera di san Paolo a Timoteo, capitolo 3, 16».
    La seconda riunione plenaria della commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e le Chiese orientali non-calcedonesi – che è stata l’occasione per il pronunciamento appena citato di papa Shenuda – approvava, al termine dei lavori, una Dichiarazione di accordo, da cui stralciamo un passo basilare: «Questa stessa ipostasi della Seconda Persona della Trinità, generata da tutta l’eternità dal Padre, in questi ultimi giorni è divenuta un essere umano e nacque dalla beata Vergine santa. In questo consiste il mistero dell’unione ipostatica che noi confessiamo in un’umile adorazione – l’unione reale del divino con l’umano, con tutti i tratti propri e tutte le funzioni della divina natura increata, ivi compresa la volontà naturale e l’energia naturale. Unite inseparabilmente e senza confusione alla natura umana creata con tutti i suoi tratti propri e tutte le sue funzioni, anche la volontà naturale e l’energia naturale. Il Logos incarnato è il soggetto di ogni “volere” e di ogni azione di Gesù Cristo»4. La rivista Irénikon (n. 2, 1989 [LXII], p. 217) giudicò tale scritto «uno dei più completi e precisi che sia stato firmato in simili contesti. Esso segna un progresso decisivo, menzionando non solo le “proprietà” o i “tratti propri” (idiotētai) e “funzioni” (leitourghiai), ma anche e soprattutto la volontà naturale e l’energia naturale dell’umanità a fianco della volontà ed energia naturali della divinità».
    Il grado raggiunto di intesa tra le due famiglie ortodosse di Chiese si è manifestato in tutta la sua profondità nel corso della terza riunione plenaria della stessa Commissione mista, tenutasi, questa volta, a Chambésy (Ginevra), presso il Centro del Patriarcato di Costantinopoli, dal 23 al 28 settembre 1990. La Commissione, presieduta dal metropolita Damaskinos di Svizzera (per le Chiese ortodosse bizantine) e dal metropolita Bishoy di Damietta, segretario del Santo Sinodo della Chiesa copta (per le Chiese ortodosse non-calcedonesi), ha sottoscritto un accordo cristologico che evidenzia la piena unità di fede tra i due gruppi di Chiese e getta le basi per il superamento della secolare divisione. Data l’importanza di tale Dichiarazione – alla cui stesura o discussione hanno partecipato, per parte copta, oltre al metropolita Bishoy di Damietta, il vescovo Serapione, il padre Tadros Y. Malaty e il dott. Joseph Moris Faltas – ne riportiamo per esteso i punti salienti:
    «1. Entrambe le famiglie concordano nel condannare l'eresia di Eutiche Entrambe le famiglie professano che il Logos, seconda Persona della Santa Trinità, unigenito del Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale, si è incarnato ed è nato dalla Vergine Maria, Madre di Dio (Theotokos); pienamente consustanziale a noi, pienamente uomo dotato di anima, corpo e ragione (nous) [...].
    2. Entrambe le famiglie condannano l'eresia nestoriana […] Esse concordano nel sostenere che non è sufficiente affermare che Cristo è consustanziale sia con il Padre sia con noi, Dio per natura e Uomo per natura; è necessario affermare anche che il Logos, che è Dio per natura, divenne per natura Uomo, mediante la sua incarnazione nella pienezza dei tempi.
    3. Entrambe le famiglie riconoscono concordemente che l’Ipostasi del Logos divenne composta (synthetos) grazie all’unione della sua natura divina increata (con la sua propria naturale volontà ed energia), che ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo, con la natura umana creata, che ha assunto al momento dell’incarnazione e ha fatto propria (con la sua propria naturale volontà ed energia).
    4. Entrambe le famiglie riconoscono concordemente che le nature, con le loro proprie energie e volontà, sono unite ipostaticamente e naturalmente, senza confusione, senza mutazione, senza separazione e senza divisione, e che esse sono distinte soltanto nel pensiero (tē theōria monē) [...]
    7. La Chiesa ortodossa è d'accordo che le Chiese orientali ortodosse continuino a mantenere la propria terminologia tradizionale cirilliana di unica natura del Logos incarnato (Mia physis tou Theou Logou sesarkōmenē), poiché esse riconoscono la doppia consustanzialità del Logos negata da Eutiche. Anche la Chiesa ortodossa usa questa terminologia. Gli ortodossi orientali riconoscono giustificato l'uso che gli ortodossi fanno della formula delle due nature, poiché questi riconoscono che la distinzione è soltanto nel pensiero (tē theōria monē) [...]
    9. Alla luce della nostra Dichiarazione di accordo sulla cristologia e delle osservazioni comuni di cui sopra, abbiamo ora compreso chiaramente che entrambe le famiglie hanno sempre mantenuto fedelmente la stessa e autentica fede cristologica ortodossa e l'ininterrotta continuità della tradizione apostolica, benché possano aver usato termini cristologici in modi differenti. Sono questa comune fede e fedeltà continua alla tradizione apostolica che possono costituire le basi della nostra unità e comunione»5.
    Tratto da Christian Cannuyer, I Copti, Libreria Editrice Vaticana, pp. 74-80
    1. Il sacro messale, pp. 75-76. Il lettore troverà la redazione greca dell’anafora alessandrina di san Baislio – testo arricchito da una breve analisi – in: C. GIRAUDIO, Eucaristia per la Chiesa. Prospettive teologiche sull’eucaristia a partire dalla «lex orandi». Editrice Pontificia Università Gregoriana-Morcelliana, Roma-Brescia, 1989, pp. 430-443 (Aloisiana 22). Ricordiamo che l’anafora copta di san Basilio e quella greca non differiscono che in minima parte (n.e..i.) [back]
    2. Il testo originale inglese della citata dichiarazione (con a fianco la traduzione italiana) è reperibile in: Enchiridion vaticanum. IV: Documenti ufficiali della Santa Sede 1971-1973, EDB, Bologna 1985, pp. 1614-1619. Nel contro dell’incontro tra il papa di Roma e quello di Alessandria si decise di creare una commissione mista internazionale di dialogo tra le due Chiese […] [back]
    3. Troviamo gli stessi concetti in una pagina del libro del papa Shenuda tradotta in italiano nel 1993 – la stampa è dell’Opera don Calabria di Roma -, dal titolo “La natura di Cristo”: «Noi ci domandiamo stupiti: quale delle due nature ha rinnegato la Chiesa di Alessandria? La natura divina? Sicuramente no, perché la nostra Chiesa, fra tutte, fu la più zelante contro l’eresia di Ario nel concilio di Nicea […] Si tratta forse della natura umana del Signore che la Chiesa di Alessandria ha negato? S. Atanasio di Alessandria risolse questo punto compiutamente nel suo libro “L’incarnazione del Verbo”. L’affermazione “una natura” non indica solo la natura divina, né soltanto la natura umana, bensì indica l’unità di quelle due nature in una sola natura che è la natura del Verbo incarnato! Esattamente come quando noi parliamo della nostra natura umana, che comprende l’unità di due nature (l’anima e il corpo): la natura dell’uomo non è solo la sua anima né soltanto il suo corpo. Ma la loro unità, congiunta insieme in una sola natura, viene chiamata natura umana» (p. 11) (n.e.i.) [back]
    4. Cf. Il Regno/Documenti, n. 626, 1 novembre 1989 [XXXIV], p. 628 (n.e.i.) [back]
    5. Il testo italiano è apparso ne Il Regno/Documenti, n. 654, 1 febbraio 1991 [XXXVI], pp. 105-108; esso riprende l’originale francese, riportato in Episkepsis, n .446, 1 octobre 1990 [XXI], pp. 17-22). La Dichiarazione si chiude con tutta una serie di proposte concrete che dovrebbero facilitare la ricomposizione dell’unità tra ortodossi bizantini e pre-calcedonesi (per es.: scambi di visite tra i rispettivi Primati, professori e studenti di teologia; scambi di visite tra i fedeli, specie nei giorni di festa, con partecipazione ai rispettivi culti eucaristici; pubblicazioni di ordine storico e teologico realizzate in comune; mutuo riconoscimento del battesimo…). Una concretizzazione di tali “raccomandazioni” si è prodotta l’anno successivo all’accordo: dal 20 al 26 maggio 1991, nel monastero copto di Amba Bishoy in Egitto, si è svolta la prima consultazione tra Syndesmos, federazione mondiale della gioventù ortodossa, e i rappresentanti dei movimenti giovanili delle Chiese ortodosse non-calcedonesi. Fine assegnato all’incontro: «Conoscersi meglio, imparare ad amarsi e a testimoniare la fede comune». Una breve cronaca di quei colloqui – che hanno visto la presenza anche del metropolita George Khodr, vescovo ortodosso del Monte Libano, e del vescovo Moussa, responsabile della pastorale giovanile delle Chiesa copta – si può leggere in Service Orthodoxe de presse, n. 159, juin 1991, pp. 8-9. Quanto allo scambio di visite tra i Primati delle due famiglie di Chiese, segnaliamo, in particolare, l’incontro che Bartolomeo I ha avuto al Cairo con il papa copto Shenuda III, in occasione di un viaggio che ha portato il patriarca ecumenico, dal 24 aprile al 5 maggio 1993, in Egitto, Siria e Libano; nel corso di quell’incontro veniva riaffermata la volontà di entrambe le Chiese di rendere una comune testimonianza di fede e rimuovere tutti gli ostacoli creati da secoli di divisione (cf. il quindicinale ateniese Ἐκκλησιαστικὴ Ἀλἠθεια del 16/06/1993, p.5). Tale volontà si è ulteriormente concretizzata nella quarta riunione plenaria della Commisione mista di dialogo tra le due famiglie di Chiese, tenutasi sempre a Chambésy (Ginevra), dal 1 al 6 novembre 1993



    La Chiesa copta ortodossa è monofisita? (2)
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    Predefinito Re: Chiesa cristiane orientali

    I talentidi Sua Santità Shenuda III


    Mi trovavo al funerale di un sacerdote quando fu letta la parabola sui talenti (Mt 25): a uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno. A chi li impiegò guadagnando il Signore disse: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».
    Oggi guardiamo al talento come a un dono di Dio e ognuno di noi ha ricevuto diversi talenti: ragione, coscienza, sensi, cuore. Talvolta il talento della leadership. Ognuno di noi è chiamato a curare i talenti datigli da Dio.

    La ragione

    Dio ti ha dato una ragione perciò non puoi trascurarla. La ragione serve a pensare, capire, dedurre, memorizzare e ha anche altre funzioni. Devi curare tutto ciò che Dio ti ha dato. Devi rafforzare la ragione, farla sviluppare. Devi curare l'uso della ragione perché ci sono persone che hanno una ragione ma non la usano. A essi si dice "fai funzionare il cervello" e la risposta è come se fosse "non ci riesco" o "non voglio". Simili persone hanno interrato il loro talento! Come rafforzare la ragione? Con lo studio, per esempio. Ricordo che quando eravamo piccoli studiavamo algebra, architettura, chimica e scienze. Ci si potrebbe chiedere: a che mi servono queste materie se poi nella vita faccio dell'altro? La risposta è che tutte queste materie scolastiche ti sono state imposte per farti pensare e, in presenza di un problema, per far funzionare il cervello perché tu possa trovare la soluzione adatta. Tutto questo ci è stato dato per sviluppare il talento del pensiero, della comprensione e dello studio. Potresti non continuare a studiare queste matiere ma il talento della comprensione e del pensiero e il talento di risolvere i problemi restano.
    Dio ti ha donato il talento della comprensione. La comprensione è di diversi tipi. Come giungere, infatti, a una comprensione rapida, precisa e corretta? Sulla rapidità si dice che un tale "capisce al volo" o addirittura "capisce prima che voli" cioè coglie una cosa molto rapidamente. C'è anche chi, prima ancora di parlare di un argomento, ti dice "ho già capito cosa vuoi dire". Uno dei talenti della mente è infatti la deduzione. Se, dunque, vuoi sviluppare la tua ragione devi certamente sviluppare il pensiero, l'intendimento e la deduzione.
    Per quanto concerne il pensiero, devi ampliare il campo del tuo pensiero e svilupparlo. Non devi pensare a un aspetto e tralasciare un altro. Bisogna che il tuo pensiero sia onnicomprensivo, che comprenda ogni aspetto. Pensando ottieni il dono del discernimento tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra l'obbligatorio e il facoltativo, tra l'adatto e l'inadatto. Nei libri sul monachesimo il discernimento è chiamato "virtù della vagliatura", cioè il saper vagliare le cose. Quanto alla forza del pensiero, ci riferiamo alla superficialità e alla profondità. C'è chi pensa in modo superficiale tale da non riuscire ad arrivare al fondo delle cose. Sulla profondità, ci riferiamo alla realtà e al risultato. C'è chi pensa al risultato di ciò che farà prima di farlo, pensa alle reazioni delle persone e all'effetto che l'azione farà sulla gente. Pensa a risolvere i problemi e a curare gli errori, a star lontano dalle fantasticherie. Questo punto si lega alla tecnica del pensiero. Una tale persona, infatti, si allontana dall'irrazionale e non realizza ogni idea che gli viene in mente ma la vaglia prima di accoglierla nella mente. Se la ritiene inadatta non le apre la porta della ragione. Come dice il Canto dei Cantici: «La mia sorella, la mia sposa è un giardino chiuso, una sorgente chiusa» (CC 4:12). Ciò significa che ogni pensiero non riesce a penetrarla e così ogni passione. Essa è un giardino chiuso. Come diciamo nel Salterio: «Loda il Signore o Gerusalemme, Colui il quale ha rafforzato i chiavistelli delle tue porte», vale a dire che le tue porte non sono aperte agli errori, sia che si tratti delle porte dei sensi che di quelle del pensiero, di modo che la mente non sia come l'ha definita il principe dei poeti, Ahmad Shawqi: «calunniatore / falso / oh che pappagallo / ha la mente nelle orecchie».
    Bisogna dunque che tu purifichi la mente e che non faccia come i pappagalli. Purifica la mente dalle fantasticherie, dalle illusioni, dall'irrazionale, dalle menzogne e dalle invenzioni delle menti degli altri. Fai funzionare il cervello.
    Certe persone non vogliono far funzionare il cervello. Se parli con una di loro ti dirà: «Ne parlo con papà. Ne parlo con mia moglie. Ne parlo con la guida spirituale». Questa persona non utilizza la propria ragione ma quella degli altri.
    Altre persone, quando fanno funzionare il cervello, lo fanno funzionare male o in modo contorto. Da qui derivano la cattiveria e la furbizia, coloro che truffano le persone e realizzano complotti. Costoro utilizzano la loro mente per il male. Il saggio, invece, fa funzionare la sua mente solo per il bene.
    Devi ampliare la mente, con la conoscenza e lo studio, fino a farla diventare un'enciclopedia così da sapere molte cose. Mentre sviluppi la tua mente, lavora anche sulla tua memoria: memorizza, usa sempre le informazioni che hai, esercitati a dedurre. Se riesci a sviluppare i tuoi talenti mentali, potrai muoverti su un piano più elevato: l'intuizione, vale a dire che quando qualcuno di porge una domanda rispondi subito correttamente e brillantemente.
    Tutti questi risultati mentali dipendono dal saper ben impiegare il talento della mente in modo da guadagnare come ha fatto la persona a cui sono stati dati i cinque talenti. Allora dirai al Signore "tu mi hai dato il talento della mente, l'ho impiegato e ho guadagnato tutto questo. Sono riuscito ad avere successo nella vita, a essere dedito al lavoro, esempio per la gente. Con il talento della mente sono riuscito a capire le cose spirituali così che i demoni non mi sconfiggono perché ho capito le loro macchinazioni. Con la mente approfondisco la comprensione dei tuoi comandamenti e medito le Scritture.

    La coscienza

    Dio ti ha dato una coscienza che devi curare di modo che sia buona, che non inghiottisca il cammello, e filtri il moscerino, che giudichi correttamente. Rafforza la coscienza con la lettura delle Scritture e delle agiografie. Purifica la coscienza dalle influenze esterne quali le abitudini, le tradizioni e la volontà di far contenti gli altri. Fai in modo che la tua coscienza domini le tue passioni e i tuoi desideri. Come ho detto altrove, la coscienza è un governatore giusto ma non è incapace di applicare sentenze.
    Devi esercitare, quindi, la coscienza ad avere dominio sui tuoi comportamenti, sul tuo pensiero, sulle tue sensazioni e sui tuoi sentimenti. Fai in modo che la coscienza non sia influenzata dalle adulazioni. Non adularti, non adulare chi ami a danno della coscienza. La coscienza, infatti, ti giudica e li giudica tutti.

    La responsabilità

    Tra i talenti che dona Dio a coloro che hanno mansioni legate alla leadership c'è il talento della responsabilità a patto che usino il potere con giustizia per il bene della gente. Essi, infatti, non sono che degli affidatari di Dio di questo potere. Bisogna che il potere sia usato per il benessere delle persone e per la loro felicità. Perciò dice Dio in Lc 12 «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro».
    Così il responsabile di altri non deve temporeraggiare, non può dire "venite domani perché il vostro problema è complicato". Ricordo che il primo giorno in cui mi riunii con il comitato per le opere caritatevoli che si riunisce al Cairo ogni giovedì, feci memorizzare ai presenti due versetti dei Proverbi, capitolo 3, che dicono: «Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno, se è in tuo potere il farlo. Non dire al tuo prossimo: "Va' e ritorna; te lo darò domani", quando hai la cosa con te». Perciò chi ha a che fare con i poveri deve essere pietoso e non deve angosciarli con esami e rinvii.
    Ricordo che una volta dissi in una riunione generale: «C'è chi trova una soluzione a ogni problema mentre c'è chi trova un problema a ogni soluzione».
    Dio non accetta che il talento della leadership che Egli ha dato sia usato per complicare le cose o per maltrattare le persone. Fai in modo che la gente ti ami amandola. Ricordati che un giorno lascerai la tua posizione: cosa dirà di te la gente quel giorno? Saranno contenti o scontenti quando te ne andrai? Il bene che fai non verrà dimenticato e lo stesso vale per le complicazioni e i problemi che hai creato, perché la gente non li dimenticherà e tu ne darai conto a Dio a tempo debito.
    Se parliamo di responsabilità parliamo anche di sacerdozio: esso è infatti responsabilità e non soltanto leadership. Un consiglio che do ai sacerdoti è: non interessatevi a voi stessi ma ai vostri parrocchiani perché il Signore dice in Ez 34: «Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto». Di loro dice "hanno reso le mie pecore una preda". Dice il poeta: «Chi pascendo in una terra infestata di leoni / tralascia la custodia / lascia le pecore in balia dei leoni». Tu, sacerdote, eri responsabile solo di te stesso prima di essere ordinato. Ora, invece, sei responsabile di te e della tua parrochia. Dio ti domanderà di ogni parrocchiano e del suo sangue come si legge anche in Dn 3 e 33. Il sacerdote deve stare anche molto attento a usare il suo potere perché certi lo usano senza attenzione alcuna! Parlando di responsabilità, il sacerdote deve ricordarsi di ciò che dice Cristo al Padre: «E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17).
    Queste condizioni, gli obiettivi e gli strumenti della responsabilità valgono per tutte le persone caricate di una responsabilità, siano essi i genitori che devono educare i loro figli, o i catechisti nell'espletare il proprio servizio.
    tratto da al-Kiraza


    I talenti (di S.S. Shenuda III)
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