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    VERA ECONOMIA & PLUTOCRAZIA

    di Don Cursio Nitoglia






    L’Economia e il focolare domestico

    Economia significa “governo della famiglia o del focolare domestico” (dal greco “òikos, casa” e “némein, governare”). La famiglia – secondo Aristotele (Polit., A, 3, 1253b, 8-14) e San Tommaso (S. Th., II-II, q. 47, aa. 11-12; ivi, q. 50, aa. 1-3) – è la cellula che forma lo Stato, il quale è un insieme di più famiglie.
    L’Economia innanzitutto è la virtù del buon ordinamento familiare; quindi essa si occupa delle relazioni tra i membri di una famiglia o della convivenza nell’ambito del focolare domestico, cioè tra moglie e marito, genitori e figli, padroni e servitù (la pace e l’armonia interna alla famiglia). In secondo luogo l’Economia si occupa di tutto ciò che può essere posseduto e governato dalla famiglia, ossia delle relazioni, che derivano dalle condizioni di sussistenza della famiglia, cioè le relazioni tra le persone in ciò che concerne i loro bisogni di beni esterni o ricchezze reali (benessere comune temporale familiare).

    La ricchezza o il benessere materiale ha rapporto con la prudenza economica non come Fine ultimo, ma come causa strumentale, in ordine al raggiungimento del Fine ultimo, ossia la ricchezza è un mezzo di cui la famiglia si serve per vivere virtuosamente e unirsi a Dio (S. Th., II-II, q. 50, a. 3, ad 1; ivi, q. 47, a. 12). Sempre per l’Angelico è del tutto lecito avere una ordinata sollecitudine per procurare il necessario per sé e per la propria famiglia ed anche in previsione delle necessità future (S. Th., II-II, q. 55, a. 6, ad 2; ivi, a. 7). Solo la preoccupazione disordinata dei beni materiali è riprovevole poiché antepone i beni terreni a quelli ultraterreni.

    L’Economia classica studia prima la famiglia in sé considerata e poi il benessere comune materiale di essa (cfr. S. Th., II-II, q. 47, a. 11; ivi, q. 50, a. 3; Commento all’Etica di Aristotele, lez. 1). Il suo rovesciamento è l’Affaristica moderna, che è l’arte di arricchirsi come Fine ultimo dell’uomo e delle famiglie. Se alla sana Economia familiare segue l’ordine sociale o la Politica tradizionale, che si fonda sul Diritto naturale, all’Affaristica segue la Plutocrazia, che è il governo della Finanza su questo mondo in vista dei beni di questo mondo et non plus ultra.




    1) La natura e l’ordine interno della famiglia


    L’uomo tende naturalmente a formarsi una famiglia (S. Th. I-II, q. 105, a. 4). L’istinto di procreare è connaturale all’essere umano (S. Th., II-II, q. 154, a. 8). Quindi l’uomo cerca una moglie ed assieme a lei genera dei figli, costituendo così una famiglia (S. Th., II-II, q. 65, a. 2). Siccome l’Economia è la morale familiare, che studia in primo luogo la natura intrinseca della famiglia e solo in secondo luogo il suo benessere temporale, in questo capitoletto studiamo la famiglia in sé, nel secondo vedremo il benessere temporale del focolare domestico.
    L’atto che costituisce la famiglia è il matrimonio, ossia l’unione stabile e permanente di un uomo con una donna in ordine alla procreazione dei figli e alla loro educazione (S. Th., II-II, q. 154, a. 2), all’aiuto reciproco e al rimedio alla concupiscenza. La procreazione non è fine a se stessa, ma esige di essere completata con l’educazione (dal latino “e ducere”, far crescere ciò che si è generato) fisica, intellettuale e morale dei figli.

    Grazie al matrimonio il genere umano si mantiene in vita e si propaga continuamente sino alla fine del mondo. La tendenza naturale dell’uomo a procreare non va disgiunta dalla tendenza ad educare o far crescere i figli, non solo fisicamente ma anche intellettualmente e moralmente. Sarebbe un assurdo se l’uomo tendesse solo a generare i figli e poi non si curasse di farli vivere e crescere nel corpo e nello spirito. Ora il matrimonio e la famiglia stabile ed indissolubile sono il luogo che meglio assicura la crescita e lo sviluppo dei figli. Da parte loro i figli non spuntano come funghi, ma hanno bisogno di un padre e una madre per essere generati e poi per crescere (S. Th., Suppl., q. 41, a. 1). Inoltre moglie e marito uniscono le loro forze fisiche e psichiche complementari. Questa unione completa sia l’uomo che la donna e dà loro una armonia in cui ognuna delle parti trova ciò verso cui tende; lo stesso avviene analogicamente in natura tra materia e forma, potenza ed atto, essenza ed essere.

    La perennità del matrimonio deriva dall’esigenza naturale dell’uomo e della donna di procreare ed educare i figli. La prole lega maggiormente i genitori in una vita stabile ed ordinata, che esclude ogni evoluzione costante e disordine interno alla famiglia stessa. Il divorzio o la rottura del matrimonio lede e danneggia l’educazione della prole, l’amore reciproco dei coniugi che sono complementari e si perfezionano l’uno con l’altro, il benessere comune morale e temporale della famiglia ed infine la stessa Società civile che è composta da più famiglie unite. Ora, se le famiglie sono disunite ed in guerra intestina, lo Stato sarà composto da cellule cancerose e non sane e stabili.
    Siccome i genitori sono la causa efficiente dei figli o il principio della loro vita fisica e morale, hanno naturalmente sopra di essi un’autorità che li rende atti a comandare e governare o condurre al loro fine i figli e dirigere la famiglia sia in se stessa sia nel suo benessere temporale. La famiglia è una società gerarchica e non anarchica per natura, essendo ordinata innanzitutto al perfezionamento (fisico, intellettuale, morale) e secondariamente al benessere (temporale o materiale) dei genitori, della prole e della famiglia stessa. Ora senza autorità non sussiste una società. Quindi la famiglia per sussistere in sé e materialmente ha bisogno di chi comanda e di chi obbedisce.




    2) Il benessere temporale della famiglia


    La nostra natura umana composta di spirito e materia ci mette in relazione con i beni terreni, che con il lavoro trasformiamo in ricchezza reale capace di sovvenire ai nostri bisogni corporali. Questi sono i rapporti dell’uomo con i minerali, la flora e la fauna. Da questa utilizzazione dei beni esterni derivano delle relazioni personali e sociali tra i vari uomini all’interno di una stessa famiglia (per esempio tra moglie e marito, tra padre e figli) o tra più famiglie diverse (per esempio tra il coltivatore di un terreno e il proprietario del medesimo, tra operai e datori di lavoro, fra compratori e venditori). La sana Economia insegna che tutte queste relazioni intercorrono tra persone umane il cui benessere è legato alla vita familiare. Se le relazioni interpersonali della famiglia sono buone (armonia interna), normalmente anche la vita familiare è sana (benessere temporale); se invece nella famiglia regna la discordia ed il disordine, essa difficilmente potrà avere e mantenere un benessere comune temporale. Perciò l’organizzazione della vita domestica in vista di fornire ai suoi membri le risorse materiali sufficienti alla sussistenza della famiglia è un elemento molto importante dell’Economia, anche se secondario ai rapporti interni tra i suoi membri.

    Siccome l’uomo è composto di anima e corpo, ha dei bisogni materiali; inoltre è naturalmente socievole e deve vivere in famiglia, più famiglie formano un villaggio e più villaggi uno Stato. Perciò l’Economia è una virtù necessaria ad ogni persona, in particolar modo ad ogni famiglia umana e ad ogni Stato. Di qui la necessità di studiare la vera Economia e di distinguerla dalla sua degenerazione che è la moderna Pecuniativa, Affaristica o Finanziaria. La “economia” moderna o liberista è la deformazione della vera Economia, come la “politica” moderna o machiavellica è la deformazione della Politica classica di Aristotele e San Tommaso e come la “morale” autonoma kantiana è la sovversione della Monastica naturale e divina. Infatti l’Affaristica o Pecuniativa ha come fine la ricerca delle ricchezze per ottenere il massimo dei piaceri. Aristotele e San Tommaso la chiamano giustamente anche Crematistica, che è l’arte dell’arricchirsi come fine ultimo dell’uomo, per distinguerla dall’Economia come il vizio è distinto dalla virtù. La Crematistica non riconosce nessun obbligo morale, nessun ordine delle ricchezze come mezzi al fine (benessere comune temporale familiare). Essa è disordinata poiché scambia il mezzo (la ricchezza materiale) per il fine (che non è più l’ordine interno alla famiglia e il suo benessere temporale ordinati alla vita dello Stato). Insomma la Crematistica è l’Avarizia eretta a scienza ed ha avuto la sua sistematizzazione teoretica completa con il liberismo del XVIII-XIX secolo. Oggi più che mai l’uomo è sacrificato alla produzione e questa alla ricchezza monetaria. Ora la produzione della moneta per San Tommaso è un’arte ausiliaria al servizio del benessere temporale della famiglia. Lo scopo della moneta, in quanto misura stabile del valore dei beni di natura, è subordinato a facilitare la vita delle famiglie, che unite formano lo Stato. Perciò coloro che presiedono ai problemi monetari debbono essere subordinati a coloro che si occupano della sana Economia delle famiglie e della Politica o vita dello Stato.

    Se per Aristotele la moneta aveva solo una funzione di scambio con i beni di natura e non poteva mai essere mezzo di guadagno (Etica, V, 10, 1933a 20; Politica, III, 13, 1257a 35), per San Tommaso (S. Th., II-II, q. 77, a. 4; ivi, q. 78, a. 1) è lecito negoziare e guadagnare attraverso il commercio, vendendo un bene naturale ad un prezzo moderatamente più caro di quello a cui si è comperato (“lucrum moderatum”). Infatti se il commerciante ha apportato delle migliorie al bene comprato o si è esposto a dei pericoli nel trasporto della merce, è giusto che la rivenda ad un prezzo proporzionatamente più alto di quello a cui l’ha pagata. Il guadagno, in questo caso, è un compenso di un lavoro e non una ruberia. Se invece si commercia solo per procurarsi guadagno, senza corrispondenza alle necessità della vita ed al lavoro svolto nella compra-vendita, allora vi è un disordine poiché porta alla cupidigia del lucro, che non ha confine, ma tende all’infinito. In questo senso il commercio non è più Economia, ma Affaristica, Crematistica o Pecuniativa e contiene una certa malizia in se stesso (“quamdam turpitudinem habet”) in quanto non è ordinato a nessun fine onesto o necessario ma è fine a se stesso (cfr. Aristotele, Politica A, 3, 1258b 10 ss.;S. Tommaso, Commento alla Politica di Aristotele, lez. 7-8; B. Meerkerlbach, Summa Theologiae Moralis, II, n. 538).
    I banchieri ed i finanzieri sono i soggetti e non i dirigenti dello Stato. Oggi (specialmente in Italia) assistiamo al ribaltamento completo dell’ordine che dovrebbe regnare tra Economia, Politica ed Affaristica. Infatti sono i banchieri ed i finanzieri apolidi (Mario Monti e Mario Draghi) che governano apertamente, mentre sino a ieri lo facevano almeno con un po’ di pudore indirettamente o da dietro le quinte; la “dietrologia” è oramai sorpassata, si gioca a carte scoperte. Essi governano non per il bene comune della Società e delle famiglie che la compongono, ma per ammassare ricchezze illimitate nelle mani dei plutocrati apolidi impoverendo gli individui, le famiglie (specialmente i/le più deboli) e dissolvendo lo Stato e la Patria a favore della Banca e dell’alta Finanza mondiale. “Sopra la Banca la Patria campa, sotto la Banca la Patria crepa!”.

    Per vivere virtuosamente, secondo San Tommaso, è necessario un minimo sufficiente di benessere temporale, che possibilmente arrivi al conveniente. L’uomo non è un puro spirito e vive in famiglia. Quindi deve prima provvedere alle sue necessità materiali e a quelle della sua famiglia e poi potrà vivere virtuosamente. “Primun vivere deinde philosophari, prima di far filosofia bisogna poter vivere convenientemente” dicevano gli antichi Romani. Ma ciò non autorizza a vivere per arricchirsi o a far della ricchezza il proprio Fine ultimo.

    Oggi il denaro, la finanza e la banca sono diventati il “bene sommo” cui vanno sacrificati gli individui, le famiglie e lo Stato, che “sono tutti loggia, banca e sinagoga”. Questo è il ribaltamento o il rivoluzionamento dell’ordine individuale, familiare e sociale. L’uomo non ha più come fine ultimo Dio, ma Mammona. Questa è la Plutocrazia che rimpiazza le tre forme classiche di governo: la sana democrazia classica, l’aristocrazia e la monarchia. Il diritto di possedere cose ed animali e di poterne disporre per l’utilità individuale e familiare deriva dalla natura umana, come l’istinto di procreazione ed educazione della prole. Per conservarsi in vita e mantenere la propria famiglia, l’uomo ha bisogno di beni materiali mobili (animali, veicoli …) ed immobili (casa, terra …). Tali beni sono altresì necessari per facilitare lo sviluppo della parte spirituale dell’uomo. L’uomo tende per natura al dominio delle cose e le cose sono naturalmente ordinate a servire l’uomo; l’uomo tende al lavoro, ossia ad esercitare le sue potenze locomotrici, intellettuali e volitive. Ora è del tutto logico che chi produce qualcosa con il suo lavoro ne possa disporre a suo vantaggio. Infine l’uomo pensa al suo avvenire, essendo dotato di intelletto, e quindi non può soddisfare solo i bisogni del momento, ma deve poter provvedere anche a quelli del futuro e dei suoi figli che sono il suo prolungamento nella vita a venire[1].





    Il denaro e l’Economia


    San Tommaso insegna che l’arte di coniare moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, è una parte ausiliatrice dell’Economia e della Politica, cioè essa fornisce all’Economia e alla Politica lo strumento di cui esse hanno bisogno (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, capp. 5-6 ; S. Th., II-II, q. 47, a. 11; ivi; q. 50, a. 3).
    Per l’Angelico la moneta è finalizzata ad aiutare le famiglie per acquistare i materiali richiesti mediante un semplice scambio monetario e poter pensare meglio alla vita virtuosa. Invece nella Crematistica odierna l’uomo è subordinato alla produzione di beni reali e questi sono subordinati alla ricchezza “simbolica” o “rappresentata” dal denaro. Per esempio, l’euro è l’unità simbolica di misura che mi permette di quantificare o misurare il valore di un bene reale, vale a dire un cavallo è misurabile in 1000 euro. Il cavallo è un bene reale, l’euro è un valore o una ricchezza simbolica, alla quale l’uomo ha conferito il potere di misurare il valore delle cose reali, 1000 euro per un cavallo, 10. 000 per un’automobile, 100. 000 per una casa.

    Nel De regimine principum (lib. I, cap. 15) l’Angelico spiega ancor meglio che affinché l’uomo possa vivere virtuosamente son richieste due cose: “l’azione virtuosa in sé e una presenza sufficiente di beni materiali il cui uso è necessario per vivere bene”. Inoltre insegna che “per ottenere la felicità imperfetta in questa vita sono necessari anche dei beni materiali, non come essenziali alla felicità, ma in quanto servono come strumenti per ottenere la felicità di una vita virtuosa. Infatti in questa vita l’uomo che è composto di anima e corpo deve poter provvedere anche al mantenimento dei suoi bisogni materiali” (S. Th., I-II, q. 4, a. 7).
    Infine l’Aquinate dà la seguente ragione per dimostrare che il denaro o la ricchezza “simbolica” deve essere subordinato alla produzione e distribuzione della ricchezza “reale” o naturale: “la ricchezza naturale o reale è ciò per cui si sovviene ai bisogni naturali, per esempio il nutrimento, le bevande, i vestiti, le abitazioni e tutte queste cose simili. Invece la ricchezza artificiale o simbolica è quella che non viene direttamente dalla natura, come il denaro, che è un’invenzione umana per facilitare lo scambio delle cose naturali, servendo da misura comune delle cose destinate alla compra-vendita ” (S. Th., I-II, q. 2, a. 1; cfr. anche S. Th., II-II, q. 188, a. 7, ad 5; Aristotele, Politica, lib. I, capp. 5-6).

    L’Angelico aveva già previsto il lato pericoloso del denaro scrivendo: “La moneta o ricchezza simbolica e non reale perde ogni valore ed utilità per la soddisfazione dei bisogni umani, se cambia il concetto che l’uomo ha sulla misura di valore della moneta, ossia se coloro che la maneggiano cambiano il loro parere sulla di lei capacità di misurare il valore delle cose reali. Le monete divengono, allora, senza alcun valore per gli scambi della vita, se i dirigenti della Società decretano la loro svalutazione” (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7), negando il loro carattere di misura stabile del valore dei beni reali. Nella concezione affaristica moderna è il sigillo del Governo o peggio della Banca che rende un pezzo di metallo o di carta accettabile come moneta o mezzo di scambio di beni naturali o reali, come misura non più stabile del valore dei beni di natura. Si pensi alla costante svalutazione prima della lira e poi dell’euro, privi di una riserva di ricchezza aurea reale pari al valore cartaceo o simbolico. Non è più la materia di cui è fatta la moneta a conferirle valore di scambio, ma il sigillo o il timbro del Governo, che dipende dall’arbitrio dei Governatori, il quale è assai variabile e molto poco stabile. Il Governo o la Banca può quindi “creare” ricchezza rappresentativa, simbolica o artificiale dal poco mediante un suo semplice attestato al quale non corrisponde una ricchezza reale.
    San Tommaso (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7) spiega che l’arte di coniar moneta aiuta come causa strumentale (come il pennello aiuta il pittore) l’Economia dandole gli arnesi o gli strumenti di cui ha bisogno e non la aiuta come causa materiale (come il marmo aiuta l’artista per fare una statua). La moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, perciò, è lo strumento e non la materia dell’Economia.

    La causa materiale dell’Economia sono le relazioni mutue degli uomini riuniti in una famiglia, che usano i vari mezzi di ricchezza artificiale, di scambio, simbolica o monetaria per ottenere il benessere comune. Ora il possedere la ricchezza reale è connaturale all’uomo, poiché il nutrimento, il vestito, il terreno e l’abitazione sono necessarie alla vita umana; invece il possesso della moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, non proviene direttamente dalla natura dell’uomo, poiché la moneta è stata inventata dall’uomo per sovvenire alle necessità della vita.
    In effetti possedere la moneta somiglia ma non è identico al possedere una ricchezza reale poiché è grazie a questo mezzo che ci si può procurare facilmente ciò che è necessario alla vita umana individuale, familiare e sociale. Grazie alla moneta ci si può procurare i beni necessari alla vita più facilmente che con il baratto, inoltre la sufficienza di questi beni aiuta a condurre più facilmente una vita virtuosa.
    È necessario che la moneta abbia un valore stabile e permanente per essere scambiata con beni di natura necessari all’uomo. Infatti, spiega San Tommaso, “l’uomo che per il momento presente non ha bisogno di acquistare alcun bene naturale, dovrà poterlo acquistare nel futuro presentando la stessa moneta” (Commento all’Etica di Aristotele, lib. V, lez. 9). Ora la Crematistica moderna, con il sigillo o il timbro del Governatore dalla Banca d’Europa o Mondiale, rende per sua natura instabile la moneta e dissolve la sana vita economica delle famiglie, portando così il disordine anche nello Stato.

    Nel mondo moderno in cui lo scambio di beni reali avviene anche a grande distanza la moneta, come mezzo di scambio di beni tra due parti, è diventata indispensabile. All’inizio ci si è serviti di una determinata quantità di oro, argento o bronzo – utili dappertutto, non corruttibili e facilmente trasportabili – poi si è impresso un sigillo su di essi che indicasse il loro peso o quantità. Infine si è giunti all’arte di cambiare le valute di un Paese con la valuta di un altro Paese. Ora questa seconda maniera di cambiare la valuta con un’altra, che è sopraggiunta alla prima maniera di cambiare una valuta con un bene naturale e reale, può contenere l’insidia di essere praticata non per le necessità della vita, ma per il profitto (cfr. San Tommaso d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7; S. Th., II-II, q. 77, a. 4). Ma la cupidigia del profitto non conosce limite e tende a scambiare il mezzo con il fine e a fare della ricchezza lo scopo ultimo della vita umana. Quindi è necessario moderare l’uso del cambio delle monete in un commercio finalizzato al mantenimento onesto di sé, della propria famiglia, del bene comune della Società o del proprio Paese, senza fare del guadagno il fine del commercio, ma lo si deve concepire solamente come la legittima ricompensa o salario del proprio lavoro.

    Infatti senza il cambio delle valute molti Stati non potrebbero soddisfare certe necessità di avere merci naturali mediante il mercanteggiamento. Quindi l’arte del cambio delle valute deve essere autorizzato dallo Stato, non per il profitto personale come fine, ma solo nella misura in cui aiuta i bisogni reali dell’Economia e della Politica. I cambiavalute possono tirare un certo profitto dal loro sforzo lavorativo poiché esercitano un mestiere che è legale ed utile all’uomo, alla famiglia ed allo Stato (cfr. cardinal Tommaso de Vio detto Cajetanus, De cambiis, cap. 5). L’essenziale è che il commercio ed il cambio delle valute siano ordinati al bene comune della famiglia (Economia) e dello Stato (Politica) e non esclusivamente all’arricchimento personale concepito come il Fine ultimo dell’uomo (Crematistica) e alla “creazione” di ricchezza apparente mediante l’emissione di carta moneta alla quale non corrisponde una ricchezza reale di riserva aurea.
    In breve per l’Angelico il commercio non è intrinsecamente vizioso poiché può essere indirizzato ad un buon fine (bene comune della Società); se invece è ordinato all’arricchimento in se stesso come fine, allora diventa un vizio che si chiama Avarizia, mentre la ricchezza deve essere finalizzata a sovvenire alle necessità di questa vita (cfr. S. Th., II-II, q. 30, a. 4).

    Per l’Aquinate (S. Th., I-II, q. 9, a. 1) siccome la moneta è stata inventata per facilitare gli scambi, servendo da misura per la compra-vendita (S. Th., I-II, q. 9, a. 1), per natura essa è uno strumento (e non un fine) ordinato ad aiutare l’uomo a procurarsi i beni sufficienti richiesti per sé e per la sua famiglia affinché possano vivere virtuosamente. Quindi è contro la natura della moneta se la produzione e la distribuzione dei beni di natura dovessero conformarsi alle esigenze della produzione della moneta, mentre l’ordine naturale è tutto il contrario ossia la moneta - come misura stabile del valore dei beni di natura - deve conformarsi a facilitare lo scambio dei beni prodotti. La moneta e la Finanziaria sono serve o strumenti dell’Economia. Invece oggi ne son diventate i padroni, mentre le famiglie (Economia) e lo Stato (Politica) son divenuti gli schiavi della Crematistica o Finanziaria.
    Lo Stato ha il dovere di vigilare sulla stabilità del valore della moneta, la natura della quale è di essere misura stabile del valore delle cose naturali. Per esempio come lo Stato deve mantenere stabile la misura della lunghezza (metro) del peso (litro o chilo) così deve mantenere stabile la misura della compra-vendita, che è la moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura. San Tommaso insegna che “in quanto misura utilizzata per stimare il valore delle cose naturali, la moneta deve mantenere lo stesso valore, quando il valore delle cose comincia a venire espresso in termini monetari” (Commento all’Etica di Aristotele, lib. V, lez. 9). Quindi la fluttuazione del livello dei prezzi o la svalutazione della moneta rende estremamente difficile la vita familiare e sociale. È quello che stiamo sperimentando proprio in questo anno 2012.
    Lo Stato deve vigilare affinché la Finanziaria non si impadronisca del controllo del Governo. Infatti la moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, è uno strumento al servizio della famiglia e dalla polis e non è la padrona di esse. Se lo Stato non riesce ad obbligare la Finanziaria a praticare ed osservare la giustizia sociale, che ha per oggetto il bene comune e non l’arricchimento del finanziere, la Nazione ne soffrirà grandemente divenendo la schiava della Finanziaria e non garantendo più il benessere comune sociale. L’instabilità della moneta, la precarietà del lavoro, la disoccupazione costante, la svalutazione crescente sono le conseguenze ultime della Crematistica che ha sovvertito la sana Economia. Da questo disordine finanziario alla Rivoluzione sociale il passo è breve.




    La sana Economia aiuta la stabilità della Società civile


    Dove regna l’ordine e l’unione tra gli uomini (Monastica) e le famiglie (Economia), regna la stabilità anche nella vita sociale (Politica). La proprietà privata è un mezzo assai utile per il buon andamento della vita economica e sociale del Paese. Essa aiuta l’uomo ad usare dei beni materiali in maniera ordinata al benessere comune familiare e sociale.
    Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarum del 1891 spiega che la proprietà privata non solo deve essere garantita, ma moltiplicata affinché il maggior numero possibile degli uomini possa avere una piccola proprietà ed un’abitazione propria. Il Papa spiega che lo Stato non deve tassare eccessivamente, specialmente la piccola proprietà privata. Ciò porterebbe alla chiusura specialmente delle piccole imprese private e priverebbe i più deboli della protezione di una piccola proprietà e di una casa propria per renderli schiavi degli speculatori e dei finanzieri senza scrupoli. Il governo Monti-Draghi-Napolitano è la fotografia di questo stato anormale di cose, in cui si tartassa la classe media e minima e non si fa pagare l’Ici alle Banche poiché sarebbero enti di beneficienza.

    Pio XI nell’Enciclica Quadragesimo anno del 1931 riprende i temi trattati da Leone XIII ed aggiunge che la proprietà ha due aspetti: uno privato e l’altro sociale. Ossia l’individuo o il privato cittadino ha il diritto di possedere una certa proprietà di beni mobili ed immobili. Però i beni immobili hanno una funzione anche sociale, ossia il loro proprietario deve fare in modo che anche gli altri uomini possano – lavorando la sua proprietà – trovarvi un mezzo di sussistenza (cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 66, a. 2; ivi, q. 152, a. 2). Se si insiste solo sull’aspetto privato della proprietà si scivola verso l’errore dell’individualismo liberista, mentre se si insiste solo sull’aspetto sociale si scivola verso il collettivismo social-comunista. Quindi lo Stato non deve abolire la proprietà privata, ma difenderla, estenderla e fare in modo che sia usata in maniera tale da aiutare non solo il proprietario, ma anche i bisogni del bene pubblico.




    Conclusione:

    o Plutocrazia o Economia


    Come si vede esistono due concezioni diametralmente opposte dell’uomo, della famiglia e dello Stato. Da una parte la Plutocrazia o il Regno di Mammona, che fa della ricchezza materiale il fine ultimo dell’uomo e sottomette sia l’individuo che lo Stato alla Finanza. Il suo “dio” è l’oro. Essa è caratterizzata dal disordine delle passioni e specialmente all’Avarizia, che assieme all’Orgoglio e alla Sensualità è una delle tre Concupiscenze, triste retaggio del peccato originale e forza propulsiva del male e dell’errore. L’instabilità, la smania e la ricerca frenetica del benessere materiale contraddistinguono la Plutocrazia.
    Dall’altra parte vi è la vera e sana Economia, la quale dirige con Prudenza la famiglia o il focolare domestico al suo fine prossimo (ordine interno e benessere temporale) subordinatamente al Fine ultimo (Dio conosciuto, amato e posseduto). La famiglia in se stessa trova il suo ordine interno e la sua stabilità se si fonda sul matrimonio, in vista della generazione e dell’educazione della prole, in collaborazione gerarchica tra figli, madre e padre. Inoltre la famiglia ha bisogno come ogni creatura di questo mondo di un certo benessere materiale come mezzo per vivere virtuosamente e cogliere il Fine ultimo più facilmente. Di qui la necessità di scegliere i mezzi materiali o ricchezze reali e naturali che meglio si prestano a far cogliere alla famiglia il suo fine prossimo (benessere comune materiale/vita virtuosa) subordinato al Fine ultimo (Dio). La moneta viene intesa solo come mezzo e misura stabile di scambio dei beni naturali per aiutare le famiglie a procurarsi ciò di cui i loro membri hanno bisogno per vivere nel campo materiale sufficientemente bene e moralmente in maniera virtuosa onde cogliere la Beatitudine eterna. La ricchezza monetaria e naturale sono un aiuto alla sana costituzione e conduzione della famiglia e non il fine di essa. La sana Economia al contrario della Plutocrazia si fonda sull’ordine delle Virtù, sulla stabilità e il risparmio in vista della ricerca del Vero e del Bene che in sommo grado è Dio.

    L’Avarizia indica un attaccamento disordinato ai beni di questa terra, specialmente al denaro ed alle diverse forme di ricchezza materiale[2]. Essa è connessa con l’avidità, la bramosia, la cupidigia e l’invidia del bene altrui[3]. L’elemento più importante quanto all’Avarizia è l’atteggiamento deviato dell’uomo nei confronti dei beni materiali e del denaro, i quali non sono cattivi in sé, ma, se vi si è attaccati esageratamente, diventano viziosi a causa della nostra cattiva e disordinata volontà. Dunque è l’atteggiamento, normale o esagerato, della volontà umana riguardo ai beni materiali che è buono o cattivo a seconda che si faccia di essi un mezzo (virtù, che ordina i mezzi al fine, le creature al Creatore) o un fine (vizio, che scambia il Fine per i mezzi, il Creatore per le creature). Ora il fine dei beni materiali e specialmente del denaro è quello di essere usati dall’uomo per poter sussistere almeno sufficientemente. Dobbiamo servirci delle ricchezze e non servirle, averle nelle mani e non nel cuore!
    L’Avarizia porta, dunque, ad adottare nei riguardi dei beni perituri un atteggiamento disordinato e quasi patologico, conferendo loro un valore assoluto o per se stessi e non relativo o in relazione al Fine dell’uomo, godendo non del loro uso, ma del loro possesso, li si ha nel cuore e se ne diventa schiavi[4]. Invece la natura e la definizione dei mezzi è: “ea quae sunt ad finem (ciò che è ordinato al conseguimento del fine)”.

    Dio e Mammona, Economia e Plutocrazia sono due “amori” incompatibili e si escludono l’un l’altro: “Nessuno può servire due padroni contemporaneamente; poiché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure preferirà l’atro e disprezzerà il primo. Non potete servire Dio e Mammona” (Lc., XVI, 13). San Giovanni Crisostomo commenta: «l’uomo quanto più si attacca al denaro si allontana da Dio, questo amore vizioso dei beni finiti scaccia dall’anima umana ogni altro amore»[5]. Nella Somma Teologica (I-II, q. 84, a. 1) San Tommaso scrive che «L’Avarizia è “radice di ogni peccato (v. San Paolo, I Epistola a Tim., VI, 10)”» e spiega il perché: “l’amore smodato delle ricchezze aiuta a far crescere ogni altro cattivo desiderio [compreso l’Orgoglio]” (S. Th., I-II, q. 84, a. 1). Mentre «l’Orgoglio è “inizio o principio di ogni peccato, come dice l’Ecclesiastico, X, 45”» (a. 2), in quanto l’Orgoglio è un amore disordinato della propria eccellenza, che si ottiene soprattutto cercando il maggiore acquisto delle ricchezze temporali e così viene a coincidere con l’Avarizia, che è la radice di tutti i peccati. Come si vede Avarizia e Orgoglio, secondo S. Tommaso, “vengono a coincidere”. Perciò la Plutocrazia contiene in sé un orgoglio radicalmente luciferino.
    La Dottrina sociale della Chiesa propone come rimedio possibile a tanto sfacelo (Plutocrazia/Collettivismo) l’unica via che si deve e si può percorrere: la Frugalità contro il Consumismo che spinge a spendere e spandere, indebitarsi e rovinarsi l’esistenza.
    Il Liberalismo nasce dall’illusione prometeica del “Progresso e sviluppo all’infinito”. Pio IX nella sua Enciclica Quanta cura e nel Syllabus (entrambi dell’8 dicembre 1864) aveva condannato sia l’illusione social/comunista che quella liberal/liberista, e particolarmente la loro conclusione del “Progresso all’infinito” o del “Sol dell’Avvenire”.

    Secondo il buon senso (Economia come ‘Virtù della Prudenza applicata al focolare domestico’, Aristotele/S. Tommaso) per essere nell’abbondanza basta avere solo pochi, essenziali bisogni, che possono essere soddisfatti normalmente e da tutti. La vita dell’uomo (e di sua moglie) non può e non deve essere assorbita al 60% dal lavoro. Essi debbono essere presenti in se stessi, tra loro e con i figli nella famiglia, nella Società civile e nella Società religiosa, poiché l’uomo ha un’anima spirituale e deve nutrire pure e soprattutto anch’essa.
    Il Consumismo liberista vive e si regge sull’insoddisfazione dell’uomo borghese o “ricco”, proprio come il Social/Comunismo che si fondava sul proletario o povero. Senza povero, che odia il ricco, e senza borghese, che si sente insoddisfatto e cerca di ingozzarsi di beni consumistici del tutto superflui, scomparirebbero il Social/Comunismo e il Liberal/Liberismo.
    La “Pubblicità” è un’arma di ossessione mentale che crea bisogni inesistenti nella mente del borghese, come la “Propaganda” bolscevica creava l’odio di classe nella mente del povero. Sia il borghese liberale che il proletario socialista si sentono scontenti di ciò che sono ed hanno e desiderano essere ciò che non sono e possedere ciò che non è necessario. Essi sono perennemente frustrati. In più, non avendo la Fede, poiché sia il liberalismo che il socialismo sono materialisti ed atei o almeno agnostici, non hanno la Speranza soprannaturale che li aiuterebbe ad affrontare serenamente le difficoltà intrinseche alla vita umana.
    Bisogna, dunque, liberarsi della schiavitù della legge del “mercato” di destra (Liberismo) e anche di sinistra (Socialismo), per poter tornare ad essere veramente uomo, ossia “animale razionale” che conosce e ama, ed “animale sociale”, che dona, riceve e ricambia. Solo la Monastica, l’Economia e la Politica genuine potranno rimettere l’ordine nell’uomo, nella famiglia e nello Stato


    d. Curzio Nitoglia


    11/11/2012



    Vera Economia & Plutocrazia | don Curzio Nitoglia

    [1] Cfr. DENIS FAHEY, The Kingship of Christ and Organised Naturalism, Cork, Forum Press, 1943; The Mystical Body of Christ and the Reorganisation of Society, Cork, Forum Press, 1945, tr. fr., Le Corps Mystique du Christ et la reorganization de la société, Saint Rémi, Cadillac, 2011.

    [2] S. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla Carità, III, 17-18.

    [3] Ibidem, 18.

    [4] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a San Matteo, LXXXIII, 2;BASILIO DA CESAREA, Omelie contro i ricchi, VII, 2.

    [5] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorso: A colui che non nuoce a se stesso, in Opere complete, PG 47-64, 11 voll., Bar-le-Duc, 1863-1867.
    Ultima modifica di emv; 11-07-15 alle 01:47
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  2. #2
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    Predefinito Re: IL DENARO E L'ECONOMIA SECONDO LA CHIESA di Don Curzio Nitoglia

    L'articolo è interessante, se non sbaglio era stato postato da Giò tempo addietro. A mio avviso il vero spartiacque è la radice del valore dei beni economici. Ora, classicamente qualcosa è appetito in quanto ha valore, non viceversa (poiché il cibo mi perfeziona, desidero mangiare, non è che siccome desidero mangiare il cibo mi perfeziona). Non a caso gli economisti classici ebbero una formazione filosofica. la teoria del valore dell'economia politica odierna è invece soggettivistica, ciò ha implicazioni paradossali in sede di antropologia filosofica
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    Predefinito Re: IL DENARO E L'ECONOMIA SECONDO LA CHIESA di Don Curzio Nitoglia

    Citazione Originariamente Scritto da Platone Visualizza Messaggio
    L'articolo è interessante, se non sbaglio era stato postato da Giò tempo addietro. A mio avviso il vero spartiacque è la radice del valore dei beni economici. Ora, classicamente qualcosa è appetito in quanto ha valore, non viceversa (poiché il cibo mi perfeziona, desidero mangiare, non è che siccome desidero mangiare il cibo mi perfeziona). Non a caso gli economisti classici ebbero una formazione filosofica. la teoria del valore dell'economia politica odierna è invece soggettivistica, ciò ha implicazioni paradossali in sede di antropologia filosofica
    Forse c'è da porre una differenza tra beni primari e beni voluttuari ed anche all'interno di questi ultimi (facendo cioè differenza all'interno dei beni voluttuari in cui comunque il valore intrinseco è dato dalla perfezione dello stesso e quelli in cui è dato meramente da un valore creato da terzi, come possiamo vedere per i marchi, in cui la medesima borsa di Gucci , senza il marchio viene venduta ad un decimo del prezzo di quella marchiata)
    Preferisco di no.

  4. #4
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    Predefinito Re: IL DENARO E L'ECONOMIA SECONDO LA CHIESA di Don Curzio Nitoglia

    Citazione Originariamente Scritto da Platone Visualizza Messaggio
    L'articolo è interessante, se non sbaglio era stato postato da Giò tempo addietro.
    E' probabile! Essendo Don Nitoglia un importante riferimento per il tradizionalismo. Io l'articolo l'ho letto in "Forze della sovversione occulta" ultima fatica di questo sacerdote sempre molto lucido nelle sue esposizioni


    Citazione Originariamente Scritto da Platone Visualizza Messaggio
    A mio avviso il vero spartiacque è la radice del valore dei beni economici. Ora, classicamente qualcosa è appetito in quanto ha valore, non viceversa (poiché il cibo mi perfeziona, desidero mangiare, non è che siccome desidero mangiare il cibo mi perfeziona). Non a caso gli economisti classici ebbero una formazione filosofica. la teoria del valore dell'economia politica odierna è invece soggettivistica, ciò ha implicazioni paradossali in sede di antropologia filosofica
    A me ha colpito molto l'equiparazione della moneta al metro, quale misura stabile del valore dei beni di natura.
    Ultima modifica di emv; 17-07-15 alle 16:53
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    Predefinito Re: CATTOLICESIMO ED ECONOMIA articoli vari


    Questo sistema è radicalmente sbagliato


    Maurizio Blondet 25 giugno 2015


    Da pochi anni abito a Corsico, alle porte di Milano. Un abitante che è nato qui mi raccontava di quanto fabbriche c’erano: la Richard Ginori – il cui stabilimento lungo il naviglio sta sgretolandosi abbandonato – le cartiere Burgo, una grossa conceria, decine di aziendine metallurgiche. La Richard Ginori da sola occupava 1800 dipendenti, al Burgo ottocento, la conceria trecento. Ad occhio e croce, questa cittadina di 35 mila abitanti ha perso almeno 3 mila salari e decine di attviità produttive. Sostituiti da pensioni: adesso è una cittadina di pensionati, alcuni caporioni ndranghetisti in un quartiere marginale; e circondata di mega-centri commerciali esteri: Ikea, Auchan, magazzini di sei piani dei cinesi che vendono tutto. Alcuni dei supermercati però stanno chiudendo, l’affitto degli amplissimi spazi è diventato insostenibile data la caduta dei profitti.
    Il partito comunista governa ininterrottamente dal dopoguerra. Questa meravigliosa classe politica – sull’esempio di quella nazionale del resto – ha assistito a questa decadenza e arretramento operai, a questa desertificazione, non è stata capace né ha pensato di fare nulla per riconvertire in qualche modo l’abitato. Nè gli abitanti si sono ingegnati, si sono sforzati di migliorarsi. Si sono lasciati vivere – magari partecipando con convinzione agli scioperi e sostenendo i ricatti dei loro sindacati, ovviamente corresponsabili della perdita di competitvità delle fabbriche.
    Adesso sembra che la caduta sia all’accelerazione finale. Una quarantenne che lavora in una azienda ai margini della cittadina, dice: il contratto mi scade il 30 giugno, non so se me lo rinnovano. Una sua amica, cinquantenne, faceva la donna delle pulizie, aveva messo sù un gruppetto di pulitrici per le ditte: niente da due anni, nessuna ditta la chiama, nessun reddito.
    Sua figlia, sposata con una bambina di due anni, nemmeno lei ha lavoro. Il marito, un giovanotto tatuato, è stato licenziato, anche lui aveva un lavoro di bassa professionalità: quel tipo di lavori che prendono gli immigrati(che sono spesso più istruiti, e sempre più svegli di un italiano come il tatuato cresciuto a Nutella). La mamma non riesce più ad aiutarli, ovviamente. La coppia, sostanzialmente, non ha più da mangiare, figurarsi pagare le bollette. E nemmeno osa chiedere aiuto al Comune, perchè teme le assistenti sociali gli toglierebbero la bambina per metterla in un istituto.
    Io temo che un giorno si apprenderà che la coppietta s’è uccisa. Magari per la vergogna di non poter più permettersi l’ultimo smartphone, o la partenza per le vacanze o il pantalone da palestra orribile e costoso, di cui questa classe di poveracci si adorna.
    Ma tutto si addiziona alla disperazione di “umili” (una volta si chiamavano così) a cui è stato fatto balenare il paradiso consumistico in terra, e li si è illusi che hanno “diritti”: diritto al lavoro, diritto alla felicità, diritto all’orgasmo, alla sessualità. Adesso i diritti non esistono più. E gli ex umili non hanno nemmeno più la fede che valorizzava l’esser poveri, che dava un senso al sacrificarsi, il duro lavoro, che prometteva un compenso eterno all’abnegazione, la dignità della croce. Non c’è più un “perché” a quel che ti si rovescia addosso, la sofferenza non ha più senso. Il suicidio è ovviamente la via d’uscita accettabile. Si uccidono piccoli imprenditori perché non possono più andare in giro col Suv e sono pieni di debiti con la banca: sono stati operai di successo, quindi stessa testa delle donne delle pulizie, nessuna visione più alta. Adesso, temo, cominceranno i suicidi dei disoccupati di lunga data, dei giovani con poca scuola a cui i genitori o i nonni non possono più dare soccorso.
    Ora, io che sono vecchio, sono nato in una Milano diversa: aziende chimico farmaceutiche, fabbriche di auto e di industrie fini, un premio Nobel per la chimica; se ben ricordo, non ci si lasciava vivere, ci si sforzava di migliorare, le maestre e i professori sferzavano perchè non dovevamo dormire sugli allori.
    Ci si insegnava – giuro, alle elementari – che l’Italia non avendo materie prime, doveva puntare sulle attività trasformatrici complesse (non si diceva ancora “ad alto valore aggiunto”), al turismo (che era allora la prima voce del Pil) e quindi non si dovevano sporcare le città perché ciò offendeva i visitatori turisti.



    Era la Milano delle possibilità. Era la Milano delle fabbriche: e i meridionali entrando nelle fabbriche acquistavano civiltà, e dignità di lavoratori. Sì, le fabbriche, le industrie, sono molto più che entità economiche: sono civilizzatrici. Il salario è molto più che un introito contabile, è il compenso di un dovere svolto bene. C’è un valore morale- “qualitativo” – in un’economia industriale, che abbiamo gettato nel cesso perché – ci hanno detto gli ideologi del liberismo – non aveva un valore, anzi era inefficienza da abolire.
    La globalizzione del sistema liberista ci ha insegnato questo: le cose che producevate, è meglio se le comprate da chi le sa produrre con “vantaggio competitivo”; voi concentratevi nelle produzionie nelle attività terziarie dove avete “il vantaggio competitivo”; vendete queste a loro, e loro vi vendono le loro cose a voi.
    Siete inderdipendenti ma efficientissimi.
    Secondo questa dogmatica liberista, insomma, uno stato, un popolo, una nazione non sono altro che una azienda, il cui scopo è la “vendita”,ossia l’export, e da cui trae il profitto.
    Ma uno stato non potrà mai essere un’azienda. Una ditta, una finanziaria, un a SpA non deve mantenere vecchi, invalidi e ammalati, non deve insegnare a leggere e scrivere a dei bambini pagandone gli insegnanti; una ditta espelle queste bocche inutili, questi costi – e le mette a carico della società, dello Stato. Il quale non può gettarle fuori, se le deve mantenere.
    Ovviamente il liberismo risponde: e perché mantenerle?
    Si mettano a lavorare questi ignoranti, malati, vecchi, bambini, coglioni fancazzisti: si mantengano. Il mercato assegnerà loro il salario che meritano, data la forte concorrenza degli immigrati, dei disoccupati che non fanno i difficili – 400 euro mensili, e di che vi lamentate? Sono le paghe correnti in Germania per i minijob. Non bastano? Ma a forza di abbassare i salari, anche le merci in vendita caleranno di prezzo. Il colsto della vita diminuirà. E’ matematico. E’ la teoria liberista, infallibile.
    I sindacati e i rossi, che quando Milano era piena di industrie facevano i leoni, indicevano milioni di scioperi dannosissimi, sputavano sulle necessità del mercato, pretendevano dai “padroni” le paghe come “variabile indipendente”, da quando il globalismo è instaurato si sono fatti conigli. Anzi, nemmeno conigli: servi del sistema, hanno abbandonato gli operai e si danno alle “lotte” per gli statali, (che guadagnano il 20 per c ento in più dei privati, e sono illicenziabili) , per i “diritti” dei gay…


    Ora non ci sono più industrie. E i poco istruiti non trovano lavoro nemmeno come addetti alle pulizie delle aziende: logico, visto che le aziende sono molto diminuite. Il lavoro minorile non è ancora fiorito nella sua bellezza. I disoccupati anziani, una volta espulsi dal lavoro,non ne trovano. Ma guarda un po’.
    Non sarà che quando mancano le industrie mancano anche quasi tutte le attività terziarie? E peggio: che i bambini diventano più ignoranti, che il “capitale umano” si degrada, perché gli manca la scuola delle fabbriche, del lavoro aziendale, del lavoro che dà dignità, competenze e saperi pratici che nessuna scuola può insegnare.
    A voi giovani parrà impossibile, ma io che sono vecchio lo ricordo: l’Italia era un paese di industrie. Tante industrie diverse, non solo quelle “competitive sui mercati mondiali”. Specie la Lombardia. Ed erano le industrie che facevano nascere “i servizi”, specie quelli “avanzati”. Le tante industrie diverse davano ai lavoratori – alti e bassi, ingegneri e dattolografe e muratori – “competenze”. Queste competenze erano coltivate e ci si sforzava di mantenerle. Davano cittadinanza e dignità; quella dignità che il “reddito di cittadinanza” non darà – anzi la toglierà, trasformando definitivamente gli italiani in una torma “romana”, quella dei tempi di Roma, dipendente dalle elargizioni, frumentationes, e daicircenses.
    Sarebbe la fine della dignità del lavoro. Precisamente per questo ve la daranno, alla fine, la paga “di cittadinanza”: perché vi rende meno cittadini, vi priva di potere politico, quel poco che vi resta.
    Era il lavoro che vi rendeva cittadini, non la paga. Vedete che l’economia non è “quantità”, è “qualità”. Che non è aritmetica né matematica; è storia umana, umanesimo. Vedete che il sistema liberista applicato nel suo massimo rigore dogmatico, è un sistema radicalmente sbagliato, perché dà valore solo a ciò cui può assegnare un prezzo. E nel sistema, voi siete un costo. Il sistema punta alla massima efficienza, che vuol dire questo: alla massima efficienza per il capitale. Ossia: il capitale chiama chiama “efficienza” qulla che compensa sempre più il capitale, e sempre meno il lavoro (un costo).
    Il capitale per avere più capitale, taglia i costi. I costi, siete voi. vi stanno tagliando.
    Io che sono vecchio, prima di morire devo assolutamente trasferirivi qualcosa della esperienza che a voi giovani è negata: Milano era piena di fabbriche e quindi di centri di ricerca, di banche che finanziavano industrie, e trovare il lavoro era facile. Il tessuto economico vivo e complesso richiedeva competenze alte, laureati in ingegneria, chimica industriale, nucleare, spaziale, aeronautico. Vi farà ridere, ma a abbiamo avuto industrie aeronautiche eccellenti che gli americani ci hanno segato perché avevano vinto al guerra. Vi posso assicurare che anche nel dopoguerra erano piene di competenti che erano pieni d i idee. …
    Da dove venivano tutte queste competenze? Queste idee? Di quale economia era frutto questo vasto tessuto industriale? Di quale filosofia?
    Ve lo dico, per trasferirivi una conoscenza che vi viene negata: Era il residuo di un sistema che considerava lo Stato non un’azienda, ma un motore dela continuità storica di un popolo nei secoli. I secoli passati, e i secoli – soprattutto – futuri (1). Uno Stato che cercava di insegnare ai bambini meglio, che li sferzava con la tremenda “severità”, perché non degradassero in inoccupabili, in cittadini senza dignità e senza abnegazione che si lasciano v ivere, contentandosi di essere quello che già sono. Uno stato che rendeva obbligatorio l’insegnamento della religione, perchè i meno favoriti non si vergognassero della povertà, e dessero un senso ai loro sacrifici.
    Uno stato che si occupava di economia: non per mantenere aziende non-competitive (quello l’ha fatto, ma solo quando è diventato democratico ossia irresponsabile verso di voi come popolo), ma per salvaguardare competenze che riteneva preziose per reggersi collettivamente con decenza nella storia: ingegneri, ricercatori che, chiuse le aziende, magari sarebbero emigrati; avrebero trovato lavoro, loro, ma avrebbero depauperato la nazione con la loro emorragia di cervelli.
    Uno Stato che, vivendo in tempi di enorme crisi internazionale, puntò a ridurre le importazioni. Scandalo!
    Mirava all’autosufficienza, a produrre il grano all’interno invece di comprarlo all’estero. Sapete perché? Perché non è la stessa cosa: il grano comprato all’estero lo devi pagare in dollari, in una moneta che lo stato non stampa; il grano prodotto in patria (scusate, m’è scappata la parola) magari costa di più di quello offerto sui mercati; ma lo pagate in lire, la vostra moneta. E date lavoro ai vostri agricoltori, non a quelli stranieri. E i vostri agricoltori imparano a lavorare meglio, se sono occupati, magari diventano competitivi. Da disoccupati, perdono le competenze che hanno.
    E questo che vale per l’autosufficienza agricola valeva, in quello Stato, per tutte le attività economiche: è il vantaggio del puntare all’autosuffficienza. Anche se non la si raggiunge mai completamente, si dà lavoro all’interno, si creano idee competente e possibilità, e si pagano nella moneta nazionale che lo Stato stampa.
    Che poi non è solo la moneta che stampa, ma la moneta che vi somiglia. Perché la moneta non è una “unità di conto”, una mera quantità, come vi hanno detto; è una foto segnaletica di quello che siete come popolo. Le sue debolezze sono esattamente le vostre, i suoi difetti sono quelli che non volete curare in voi, collettivamente. Le sue qualità sono anche le vostre: la flessibilità, l’ingegno improvvisatore che a volte – nei migliori di voi – diventa arte.



    Per questo anche l’euro, come il capitalismo globale dell’interdipendenza, è un sistema radicalmente sbagliato. Avete adottato il marco; dovevate diventare tedeschi. Con le virtù dei tedeschi, la disciplina dei tedeschi. Dei sindacati tedeschi che hanno trattato col governo, senza un giorno di sciopero, la Hartz, la normativa di riduzione dei salari che li ha resi competitivi nel mondo –a nostro dano. Siete forse diventati tedeschi? Avete mai voluto diventarlo? E allora perché volete l’euro? E’ una moneta che non i somiglia, e che – giustamente -. non vi appartiene. Cretini.
    Avete accettato un sistema radicalmente sbagliato, con la globalizzazione. Avete applaudito l’adesione ad una Europa radicalmente sbagliata. Avete adottato una moneta radicalmente sbagliata per voi. Ed ora non avete prospettive. Il sistema vi offre la sola prospettiva di rientrare dal d ebito pubblico a suon di ipertassazione, e di tagliarvi i salaari, per tutti i prossimi cinquant’anni e più. Miseria senza uscita, riduzione dei consumi senza speranza di vittoria. Anni in cui generazioni di vostri figli e nipoti non troveranno lavoro perché saranno sempre meno competitivi, istruiti, responsabili verso la nazione (m’è scappatala parola). In cui un intero popolo non solo ha dimenticato quel che sapeva fare bene, ma nemmeno più capisce cosa gli è successo. E non sa come uscirne, il che è più terribile di una guerra perduta.
    E’ la china per cui si diventa selvaggi. Le tribù africane o del Mato Grosso non sono “primitive”; sono residui degradati di popoli che millenni fa’ partecipavano a grandi civiltà. Voi, avendo rinunciato allo stato che vi ho descritto, siete destinati a quello. Se devo giudicare dagli sgorbi con cui riempite i muri delle vostre città – città d’arte lasciatevi dai vostri antenati – siete a buon punto nella discesa verso lo stato selvaggio. Anche i vostri ragionamenti sempre più rozzi e semplicistici, il vostro obbedire senza vergognarvi un po’ alla pancia come ultima istanza (o anche a quello che sta sotto la pancia), testimoniano il vostro degrado come ben avanzato. Già siete pieni di tatuaggi come i Maori…anzi i Maori hanno smesso di tatuarsi. Siete rimasti voi e i forzati nelle galere.


    Note


    • Qualcosa che il pensiero dominante disprezza, chiama populismo, autarchia, dirigismo, magari fascismo; crede di ravvisare le idee di Keynes. Ma quale Keynes. Per lui, in tempo di crisi bastava che lo stato impiegasse i disoccupati a scavare buche, qualunque cosa inutile; era ancora, come britannico, un monetarista. Ma quale Keynes. La teoria di cui parlo fu applicata senza teorizzarla da Alexander Hamilton (1755-1804), il segretario al Tesoro di George Washington, per sviluppare i neonati Stati Uniti da economia agricola a potenza industriale. Il teorico ne fu Friedrich List (1789-1846), che chiamò questa ricetta per lo sviluppo, ironico ricordarlo, il Sistema Americano. In Italia, fu praticata durante il fascismo, da Beneduce; dopo, da Mattei e Fanfani. In Germania fu applicata genialmnente dal Terzo Reich, e risollevò la Germania dal baratro dopo la disfatta. Ma di quale Keynes parlate, fatemi il piacere.

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