Vorrei riprendere un vecchio 3D: https://forum.termometropolitico.it/...-olandese.html

Il modello olandese del mercato del lavoro è stato additato da Tommaso Padoa

Schioppa sul Corriere di domenica scorsa come un riferimento, un modello, nell'ambito
del quale il sindacato avrebbe saputo gestire la trasformazione del lavoro dal vecchio al
nuovo, ottenendo ottimi risultati in termini occupazionali e consolidando, di
conseguenza, la sua stessa forza. Un modello, una strategia, quindi da prendere ad
esempio.
Ricordiamone alcuni tratti. Il modello olandese nasce con l'accordo di Wassenaar del 1982 tra lavoratori e datori di lavoro. Questo accordo si basa su tre elementi 1. moderazione salariale
2. riduzione delle ore di lavoro per aumentare l'occupazione
3. misure attive per stimolare l'occupazione.

Prima di Wassenaar l'Olanda aveva un debito pubblico molto elevato e un tasso di disoccupazione maggiore di quello Italiano.
Ora ha un bassissimo debito pubblico e una bassissima disoccupazione.

Che cosa ha reso possibile questo miracolo ? Guardiamo per prima cosa l'andamento
dell'occupazione che, meglio di quello della disoccupazione, consente di dare una
valutazione di queste misure a livello di confronti internazionali.

In primo luogo è stata introdotta la settimana lavorativa a 36/38 ore. Ma non basta.

Negli anni 90 la media delle ore lavorate, in Olanda, è stata decisamente inferiore a
quanto sarebbe seguito alla semplice riduzione dell'orario pattuita a Wassenaaar, come
conseguenza della rapidissima diffusione del lavoro part-time e del così detto lavoro
flessibile. Si pensi che oggi poco meno della metà dei posti di lavoro, in Olanda, è
occupata da lavoratori a tempo parziale, tanto che la famiglia tipo è composta da 1
lavoratore a tempo pieno e un part-time. Il lavoro flessibile riguarda invece forme di
lavoro temporaneo fatte da giovani, in genere studenti, che uniscono studio a lavoro e a
questi rimane quasi esclusivamente confinato. Infatti sono molto pochi i lavoratori con
più di 20 anni che ricorrono a tali forme di lavoro flessibile.
Accurati calcoli mostrano come l'aumento dell'occupazione registrato in questo paese
negli anni novanta sia stato per la stragrande parte (per la totalità, secondo alcuni) il
risultato di questi tre fenomeni: la riduzione dell'orario, la diffusione del part-time e del
lavoro flessibil dei giovani.
Un trucco allora più che un miracolo ? No di certo ! Da alcuni sondaggi fatti di recente
risulta che la stragrande maggioranza dei lavoratori, l'80%, è soddisfatta del proprio
orario di lavoro e non desidererebbe cambiarlo e una certa quota desidererebbe lavorare
ancora di meno.
La paga oraria per questi tipi di lavoro è bassa in relazione al lavoro a
tempo pieno, ma la diffusione del part-time è stata facilitata da incentivi fiscali e in
materia pensionistica, senza un aggravio in termini di bilancio pubblico. Anzi è
avvenuto il contrario, perché l'aumento dell'occupazione che ne è conseguito ha ridotto
l'ammontare dei trasferimenti e dei sussidi erogati ai potenziali disoccupati.
E giusto additare al sindacato una strategia che ha avuto successo. Ma va ricordato che
la strategia olandese è stata una strategia globale, centrata sulla riduzione dell'orario e
sulla diffusione di alcune forme limitate di flessibilità del lavoro, e la responsabilità per
la mancanza di un progetto analogo in Italia non è solo del sindacato. Sarà anche stata
sbagliata la richiesta delle 35 ore, quando è stata fatta, ma siamo oggi, in compagnia di
Inghilterra, Spagna e Portogallo tra i pochi paesi in Europa dove più della metà dei
lavoratori dipendenti maschi, nel fiore dell'età, lavora 40 e più ore la settimana.

Avendo a riferimento il totale degli occupati alle dipendenze, le ore di lavoro sono
superiori, nel nostro paese, a quelle di Francia e Germania e la riduzione dell'orario di
lavoro in Italia, nell'ultimo decennio, e stata tra le più contenute. Nelle regioni di
piccola impresa uno straordinario di 10-20 ore la settimana è prassi assai diffusa. A
livello aggregato il 10% dei dipendenti, in Italia, dichiara di fare 50 ore la settimana.
La crescita salariale, l'altro punto dell'accordo di Wassenaar, è stata simile in Italia a
quanto è avvenuto in Olanda, con una dimostrazione di responsabilità da parte
sindacale degna di essere sottolineata. I profitti sono cresciuti, in entrambi i paesi, in
modo inequivocabile. In Italia, in termini di potere di acquisto il salario per occupato è
cresciuto di meno, negli ultimi dieci anni, che in qualsiasi altro paese europeo.

Sappiamo bene che il nostro mercato del lavoro è più complesso di quello della piccola
Olanda ed è fortemente segmentato in senso territoriale, con regioni in piena
occupazione che convivono con regioni con alta disoccupazione e si richiede quindi
una strategia articolata. Ma se si guarda al modello olandese per trarre dei suggerimenti
di moderazione, in questa situazione politica, si rischia di invocare la moderazione
esclusivamente in relazione alle parziali modifiche dell'art.18 dello statuto dei
lavoratori, che è l'unico argomento sul tappeto. E non si farà molta strada.

Il modello olandese sottolinea l'esigenza che tutte le parti sociali facciano uno sforzo
per riportare il dibattito su di un piano diverso, più alto e generale, e allo stesso tempo
meno arretrato, di quello che riguarda la parziale modifica dell'art.18.
Giuseppe Tattara

http://venus.unive.it/tattara/LAVORARE_MENO.pdf