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    Predefinito Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Yats To Washington: Please Buy Ukraine

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    Ukraine Prime Minister Arseniy “Yats” Yatsenyuk is lobbying Washington to convince American firms to buy up Ukraine in the country’s planned flea market of state controlled enterprises.
    “The Prime Minister of Ukraine has urged U.S. partners to actively use the investment opportunities offered by the privatization campaign in Ukraine, particularly in the energy sector,” a statement posted on Ukraine’s governmental website said on Monday.
    Yats met with U.S. Senator Dick Durbin recently to discuss the current state of economic reforms following an additional $1 billion pledge in official U.S. aid to the fledgling nation.
    Ukraine seems to be constantly embattled. The recent Euromaiden revolution took the country out of Russia’s sphere of influence and into Europe and the U.S. “loving arms.” However, the nation is not united on Kyiv’s newfound love for the west. And despite calls for Ukraine to be more pro-actively engaged with a capitalist Europe than with a mostly state controlled Russian economy, it is unclear just how attractive the country looks to Americans right now. The hub of Ukraine’s industrial east is largely controlled by separatist groups backed, in part, by the Russian military. Although Russia denies official support (they say its volunteer support), the AP has reported extensively on how local pro-Russia separatist groups receive off-the-reservation military aid from “Uncle Putin”.

    Yats, meanwhile, is teaming with president Petro Poroshenko in leading a nation of disbelievers. Their poll numbers are in the gutter. And so if Yats thinks that selling a state asset for a dime to foreigners is going to go off without protest, then it is clear that Ukraine is not disinterested in being controlled by foreign entities after all, so long as those foreign entities do not speak Russian.
    In March, the Ukrainian government approved a list of companies subject to privatization, putting up for sale predominantly energy-related firms. Natural gas giant Naftogaz was not one of them. Earlier this year, the Cabinet of Ministers approved the sale of 164 businesses slated for the auction block this year. The fund estimates the face value of these shares at 3 billion hyrvnia ($150 million) for companies that have an existing market value of 15 billion hyrvnia. Yats said that the 164 number given to him by his cabinet was too low. He wanted to increase the number to 1,200. In other words, it’s a fire sale.
    Besides the $2 billion from the U.S., Ukraine is getting most of its money from the European Union and International Monetary Fund. Around $40 billion is heading their way over a four year period some in the press have likened to the Marshall Plan, which helped rebuild Europe after World War II.
    ” One dollar? I’ll take it!” Ukrainian Prime Minister Arseniy Yatsenyuk is asking the U.S. to please join its privatization efforts this year as the struggling nation looks to raise capital as it reforms its economy. (Photo by Carsten Koall/Getty Images)

    fontelink







  2. #2
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    l'accaparramento delle risorse alimentari ed economiche alla base del neocolonialismo economico, applicato dalle potenze imperialiste ai danni dei popoli inermi!

    un articolo interessante per carpirne il meccanismo...

    Land Grabbing: l'Africa del nuovo colonialismo

    E’ in atto una silenziosa ricolonizzazione dell’Africa su vasta scala. Come? Con il consumo, anzi il furto di suolo. Ed è di questo che si parlerà alla prima Conferenza africana sul land grabbing che terrà in Sud Africa dal 27 al 30 ottobre prossimo.

    di Giovanni Fez - 6 Giugno 2014


    Proteste in Senegal contro il land grabbing. Foto Ndimby Andriantsoavina

    A raccontare con una lucidità esemplare quanto è accaduto e sta accadendo in Africa èBwesigye Bwa Mwesigire, scrittore e avvocato ugandese, co-fondatore del Center for African Cultural Excellence di Kampala. E mette subito il dito su una piaga aperta: «Si dice che una delle ragioni per le quali il sistema dell’apartheid in Sud Africa non è stato smantellato, malgrado gli sforzi di Mandela, sia la questione della terra». Perché? Perché «la decolonizzazione resta incompleta se la terra non ritorna ai proprietari di diritto, quelli che ne furono brutalmente defraudati». Mwesigire afferma senza ombra di dubbio che è in atto una «silenziosa ricolonizzazione su vasta scala», travestita da sviluppo economico e da lotta alla povertà ma la cui finalità è unicamente la soddisfazione degli interessi delle multinazionali che vogliono profitti sui mercati e più cibo da commercializzare, mentre agli africani vengono negati i diritti e i bisogni.
    La terra è fonte di vita e di morte
    La terra non è solo un bene materiale. Nel 1997 la Church Land Conference di Johannesburg ha attestato come la terra è e dovrebbe essere al di sopra e al di là dei mercati e della politica, perchè la terra è fonte di vita, come la madre che dà nutrimento ai figli i quali altrimenti morirebbero di fame. Come diceva Andile Mngxitama sul The Chimurenga Chronic nell’aprile 2013, «la terra è sempre con noi, ci dà la vita e, quando moriamo, ci riaccoglie». Nello stesso articolo Andile raccontava la storia di Sipho Makhombothi, fondatore del Landless People’s Movement, che aveva lasciato istruzioni affinchè alla sua morte lo si seppellisse vicino ai suoi antenati. I membri del movimento lo hanno accontentato sfidando le armi dei bianchi che rivendicavano la proprietà di quelle terre. Due anni dopo il corpo di Makhombothi venne riesumato per ordine del tribunale. Andile ci ricorda che «le ossa di Makhombothi, senza terra in vita e senza terra nella morte, chiedono ancora giustizia». Gli effetti del furto della terra non sono visibili solo in Sud Africa.Il Kenya, ad esempio, ci rimanda storie di famiglie che possiedono intere contee e che sostengono politici di ben definite idee. In Namibia gli europei che vi risiedono possiedono territori enormi, terre dalle quali i nativi sono esclusi. Da quando nel nord dell’Uganda sono state deposte le armi, la guerra ha virato verso la terra. I profughi che erano fuggiti avevano lasciato le loro terre e gruppi industriali vi hanno poi scoperto giacimenti di materie prime; sono quindi emersi nuovi conflitti che vedono i gruppi industriali e il governo da una parte e i cittadini dall’altra. Le donne del distretto di Amuru – dove la macchina del land grabbing utilizza metodi anche intimidatori – protestano senza abiti contro i leader politici in segno di spregio e rabbia. Nel sud dell’Uganda la gente non voleva che la foresta di Mabira venisse trasformata nell’ennesima piantagione di canna da zucchero. Ci fu una grandissima manifestazione a Kampala, durante la quale si sparò ai dimostranti. I giornali riportarono che il land grabbing era stato fermato ma in realtà interi pezzi di foresta furono disboscati per far posto alle coltivazioni.
    L’African Union è complice
    Mwesigire sostiene che il linguaggio dello sviluppo economico è la giustificazione che si tenta di dare al land grabbing. E’ un’azione ben pianificata e spesso presentata con finalità positive. «Ironicamente l’African Union è complice in questo nuovo piano – spiega l’avvocato ugandese – E questo piano prevede il “New Alliance for Food Security and Nutrition in Africa” del G8 and l’Alliance for a Green Revolution in Africa (AGRA)». Secondo l’African Centre for Bio-Safety, la nuova ondata di colonialismo è chiarissima. La pianificazione include l’omogeneizzazione delle leggi in Africa a favore degli investimenti stranieri in agricoltura, leggi di proprietà a favore delle multinazionali straniere e l’autorizzazione all’utilizzo di sementi geneticamente modificate. Tutto ciò danneggia irreparabilmente la stragrande maggioranza dei piccoli agricoltori e la cosiddetta agricoltura di sussistenza. Depauperare di tutto i piccoli agricoltori significa controllare le loro vite e trasformarli in consumatori di prodotti . L’uso di sementi ogm permette alle multinazionali di esigere le royalties dagli agricoltori e distrugge la biodiversità che aveva permesso di garantire un’agricoltura sostenibile nel continente. I piani per la ricolonizzazione stanno già funzionando. Un rapporto pubblicato nell’aprile scorso dall’inglese World Development Movement (WDM), intitolato Carving up a continent: How the UK government is facilitating the corporate takeover of African food systems , affermava che enormi tratti di terreni nei paesi africani con accesso al mare e alta crescita economica sono nel mirino di gruppi come Monsanto e Unilever con l’aiuto dei governi inglese e Americano. Secondo quel rapporto, gli accordi siglati con alcuni paesi africani chiave (Benin, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Costa d’Avorio, Malawi, Mozambico, Nigeria, Senegal e Tanzania) espongono enormi distese di terra africana al rischio di “furto” da parte delle multinazionali dietro la scusa di combattere la povertà e garantire il cibo. Come riporta l’African Centre for Bio-Safety, grandi progetti come il Pro-Savanna nel nord del Mozambico stanno già cacciando gli agricoltori dalle loro terre imponendo sistemi su larga scala per l’export. Come nel colonialismo del 19imo secolo, anche in questa nuova forma di colonialismo contemporaneo entità africane stanno collaborando, politici e governanti che firmano accordi e permettono alla macchina coercitiva delle miltinazionali di agire.

    «Il colpevole mantra dello sviluppo e del mercato che soddisfa tutti i bisogni – dice Mwesigire – non considera il fatto che le popolazioni africane vengono nutrite grazie ai piccoli agricoltori e non dai grandi gruppi che invece pensano solo all’export e ai mercati ricchi. Si pensa all’Africa come alla macchina produttrice di ciò che andrà poi a soddisfare i bisogni dell’Occidente. Le multinazionali e i governi stranieri che le finanziano non hanno alcun interesse nella sicurezza alimentare e nella sovranità alimentare delle popolazioni africane».
    Nel 2012, l’Human Rights Watch ha riportato che il governo etiope ha costretto decine di migliaia di persone ad abbandonare le loro terre per darle agli “investitori”. La BBC ha spiegato come la terra sia stata acquistata dai cinesi e dall’Arabia Saudita che vogliono coltivarci oltre un milione di tonnellate di riso per esportarlo poi a casa loro. In Liberia, una comunità della contea Grand Bassa sta resistendo all’Equatorial Palm Oil (EPO), una società inglese che vuole ricavare in quelle terre l’olio di palma. Il governo ha concesso alla società 169.000 ettari di terreni senza consultare le oltre 7.000 persone del clan Jogbahn che vive in quelle terre da generazioni. Il presidente liberiano ha fatto promesse a quella gente, ma appunto sono solo promesse.
    A fronte di questa situazione, si terrà dal 27 al 30 ottobre 2014 la prima Africa Conference on Land Grab al Parlamento Pan Africano, in Sud Africa.

    fontelink



  3. #3
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    concessioni per 99 anni al modico prezzo di 1 euro ad ettaro ...il caso Mozambico è un emblema dell'insaziabile rapacità del grande capitale...

    Le terre usurpate dell’Africa povera

    Il «land grabbing» e il ruolo dell’Occidente. L’offensiva
    cinese. Il caso Mozambico: sfruttamento e cooperazione



    La crisi finanziaria e alimentare del 2007-2008, e il conseguente aumento e volatilità del prezzo del cibo, hanno accelerato la corsa alla terra come bene rifugio per grandi capitali privati in cerca di investimenti sicuri, mezzo per garantire la sicurezza alimentare di Paesi ricchi di liquidità ma poveri di risorse, strumento di influenza geo-politica a livello locale e internazionale. Tanto che gli investimenti in terra arabile promossi nell’anno fiscale 2012 dalla sola Banca Mondiale hanno superato i 9 miliardi di dollari. La terra in questione è quella dei Paesi più poveri o in via di sviluppo, soprattutto africani, i cui Governi, favorendo l’affluire di enormi capitali in entrata (attraverso investimenti privati e cooperazione internazionale), beneficiano di un posizionamento più favorevole nello scacchiere internazionale, consolidando così il ruolo dei vari leader al potere - senza che questi riescano mai neanche ad alleviare i problemi che sono chiamati a risolvere.
    Maputo, la capitale del Mozambico (Foto Chiaf e Anesi)


    MERCATO FERTILE - Il mercato della terra è fertile, e gli investitori non sono più soltanto le multinazionali del cosiddetto Nord del mondo. I Paesi del Golfo Arabo e le economie emergenti come Cina, Brasile o Sud Africa, ad esempio, giocano un ruolo sempre più preponderante, anche in nome di una cooperazione Sud-Sud dai tratti a volte ambigui. Per descrivere il fenomeno delle grandi acquisizioni su larga scala, la Banca Mondiale parla di «crescente interesse verso la terra» e promuove prospettive di crescita occupazionale e sicurezza alimentare. Contadini locali, associazioni e organizzazioni internazionali (come Oxfam, che recentemente ha rilanciato la sua campagna, o Slowfood che, oltre a una campagna, ha avviato diversi progetti in Africa sull’uso responsabile della terra, l’ultimo in Mozambico), denunciano invece il land grabbing, letteralmente «usurpazione della terra», un fenomeno che porta con sé lo sfollamento delle popolazioni rurali, la loro difficoltà o impossibilità di accedere a risorse primarie quali cibo e acqua, oltre a disequilibri sociali, economici e ambientali.
    CONFLITTI - Non tutte le acquisizioni di terra sono sinonimo di usurpazione. Tuttavia, come dimostrano diversi casi di studio riportati sempre dalla Banca Mondiale, troppo spesso si concretizzano nell’incapacità - da parte dei governi dei Paesi destinatari - di riconoscere tutelare e compensare i diritti terrieri delle comunità locali; l’incapacità di gestire i grandi investimenti, anche attraverso consultazioni realmente partecipative che scaturiscano in accordi chiari e attuabili; l’incapacità di elaborare proposte di investimento tecnicamente praticabili che non siano in contrasto con la visione locale e i piani di sviluppo nazionali; e il conseguente insorgere di conflitti – specie di genere - legati alla distribuzione e all’accessibilità delle risorse.
    MOZAMBICO - In Mozambico la terra non si vende, si dà in concessione. E il prezzo può scendere fino a 1 dollaro l’ettaro. All’anno. Le concessioni arrivano fino a 99 anni, e sono rinnovabili. In Mozambico la terra è praticamente gratis. Oltre che fertile e abbondante: 36 milioni di ettari di superficie arabile, secondo il Ministero dell’Agricoltura, di cui solo il 10% coltivato – sebbene, come concordano diversi esperti, solo di rado la terra è effettivamente inutilizzata e disponibile così come viene definita nei freddi report istituzionali piuttosto che nelle ammiccanti presentazioni delle aziende private, e la sua acquisizione su larga scala comporta sempre dei costi, siano essi ambientali o sociali. Land Matrix (un’iniziativa di monitoraggio promossa dalla International Land Coalition) finora ha tracciato 117 acquisizioni di terra nel Paese. I dati a disposizione relativi a 77 di queste (solo il 66%) parlano di un’estensione pari a oltre 2,4 milioni di ettari contrattualizzati. Per farvi un’idea, è come se il Mozambico avesse dato in concessione un’area estesa almeno quanto la Toscana. Un’idea approssimativa, naturalmente, perché nessuna raccolta dati può avere pretesa di esaustività in un ambito così controverso, in cui la condotta degli attori coinvolti è spesso opaca e poco è dato sapere dei processi di affidamento e gestione delle terre in cui dovrebbero svilupparsi i progetti. «È difficile poter affermare con certezza assoluta che una transazione sia realmente avvenuta, per quale superficie, quale durata e quale uso», confermano i ricercatori di Land Matrix.

    important]Lavoratori nella tenuta di Wanbao (Foto Chiaf e Anesi)

    IL CASO WANBAO – Nella provincia di Xai-Xai, poche centinaia di chilometri a Nord dalla capitale Maputo, l’azienda cinese Wanbao produce riso e mais dal 2011, dopo aver rilevato il progetto dalla Hubei Lianfeng, un’impresa statale precedentemente individuata da Mozambico e Cina per lo sviluppo della produzione di riso nel Paese africano. L’impresa si estende per 20mila ettari, conta su un investimento iniziale di 250 milioni di dollari (cui si aggiungono i 10 milioni appena ricevuti attraverso il Fondo di Cooperazione per lo Sviluppo tra Cina e Paesi di lingua portoghese) e dà lavoro a 1.340 persone, di cui 500 cinesi. Ma questo indotto occupazionale è pagato a caro prezzo dalle comunità locali. A fronte di poco più di mille nuovi lavoratori, infatti, sarebbero oltre 80mila le persone sfollate a causa del progetto Wanbao, secondo quanto riporta l’emittente televisiva Canal de Moçambique. Carlos Mhula, coordinatore della Lega Mozambicana per i Diritti Umani, ci ha parlato di «oltre 10mila famiglie sfollate, tutti contadini provenenti dai villaggi limitrofi che prima, attraverso l’agricoltura, provvedevano autonomamente alla propria sussistenza, e oggi hanno difficoltà ad accedere ad un bene primario come il cibo».


    Il caso Mozambico



    VITE STRAVOLTE - Uno studio condotto e segnalatoci da Fonga (il Forum delle Organizzazioni non governative della provincia mozambicana di Gaza) ha accertato il caso di 217 persone che, a causa del progetto Wanbao, hanno perduto 537 dei 582 ettari di terra che prima coltivavano, e alle quali restano oggi circa 45 ettari per la propria sussistenza (solo 0,2 ettari a testa). Ma ad essere stravolte non sono soltanto le vite delle comunità rurali mozambicane. Perfino un cimitero ha dovuto far posto all’ingombrante presenza di Wanbao, la cui attività procede senza sosta nonostante nessuno studio di impatto ambientale sia stato finora approvato dal Governo, come denuncia la società civile e come ci confermano candidamente i vertici aziendali. La società civile lamenta anche di non beneficiare della produzione agricola di Wanbao, e teme che questa sia destinata unicamente all’esportazione. Dall’azienda si difendono spiegando che la recente piena ha messo in ginocchio l’intera area, provocando ingenti perdite in termini di raccolti e investimenti proprio in avvio di produzione. «Abbiamo perso 10 milioni di dollari per via della piena, ma questo non ci ha spaventati e non ha fermato il nostro progetto», sostiene Luo Haoping, direttore di Wanbao. Anzi, i piani dell’azienda sono eloquenti: una volta messa a regime la produzione a Xai-Xai, infatti, il progetto prevede un’espansione sul territorio, sempre formalmente sotto l’egida dello scambio di conoscenze e tecnologie, nonché della collaborazione tra i due Paesi, i cui rapporti risalgono alla lotta per l’indipendenza del Mozambico dal Portogallo (1975).
    L’ITALIA - – Anche l’Italia ha rapporti di lunga data col Mozambico, tanto che la pace raggiunta nel 1992, dopo i circa 15 anni di guerra civile seguiti all’indipendenza, è stata firmata grazie ad una faticosa trattativa mediata dalla Comunità di Sant’Egidio e dal governo italiano. Il business tricolore in Mozambico è soprattutto quello dell’energia, con il colosso Eni che gioca un ruolo di primo piano. In termini di investimenti in terra, invece, la presenza italiana è piuttosto esigua: solo 5 quelli registrati da Land Matrix, tutti nel settore agricolo. (Guarda il grafico) Il gigante dell’energia Api, in partnership con SAB Mozambique/Inveragro e Gruppo Maccaferri, è titolare di un progetto per la coltivazione di jatropha, un biocombustibile, che richiede terreni cosiddetti sciolti, ovvero che favoriscono il fluire dell’acqua impedendone la stagnazione. A dimostrazione di una difficile quantificazione del fenomeno delle acquisizioni di terra su larga scala, Land Matrix ha potuto verificare un’estensione da contratto poco superiore ai 6mila ettari, mentre il console onorario del Mozambico in Italia, Simone Santi, già nel 2010 parlava di sperimentazioni su «terreni e colture in piantagioni molto grandi, fino a 30mila ettari». Oggi il progetto di Api è in stallo, a quanto pare a causa dell’eccessiva salinità del terreno su cui avrebbe dovuto svilupparsi. Il condizionale resta d’obbligo, poiché i responsabili del progetto, più volte sollecitati, non hanno rilasciato commenti. Anche la jatropha dei siciliani di Moncada non ha mai visto il sole del Mozambico: 15mila ettari per un investimento in biocombustibili mai realmente operativo. E anche in questo caso nessun commento dall’azienda.
    TERRA DI NESSUNO - Chilometri e chilometri di terra che giace inutilizzata, inutilizzabile. In un Paese fertile in cui l’agricoltura è la principale fonte di sostentamento per circa l’80% della popolazione attiva complessiva e che pure langue al 94° posto su 107 Paesi nell’indice di sicurezza alimentare dell’Economist. È una situazione comune in Africa. Proprio il Mozambico, secondo la World Bank, ha già provato a riappropriarsi di alcune delle terre cedute agli investitori (la legge lo consentirebbe, ma è una soluzione onerosa e molto osteggiata), «la metà delle quali non produce le colture promesse da questi ultimi, col risultato che le popolazioni locali perdono beni e risorse ricevendo in cambio pochi o nessuno dei benefici prospettati». Si tratta di un’ulteriore dimostrazione che – come sostiene Joseph Hanlon, ricercatore presso la London School of Economics, e come testimonia la controversa storia delle politiche agricole del Paese – «in Mozambico gli investimenti internazionali su larga scala finora non hanno mai funzionato». Ed è una spia allarmante del fatto che, anche laddove non si parli esplicitamente di usurpazione della terra, ma di regolari acquisizioni e investimenti su larga scala, le conseguenze sono comunque spesso nefaste per le comunità locali.
    BISOGNI DIVERSI - Eppure «il Mozambico ha bisogno sia di investimenti sia di tecnologie, sebbene di altra portata», spiega ancora Hanlon. Investimenti e progetti possibilmente supportati da studi di fattibilità orientati ai reali fabbisogni e capacità del Paese, in grado di garantire una governance effettivamente trasparente ed equilibrata tra i vari attori coinvolti. Un caso italiano, quello dell’imprenditore agricolo Michele Sammartini, può essere considerato un esempio di investimento responsabile, a detta anche delle associazioni locali di tutela del territorio che non hanno peli sulla lingua quando si tratta di denunciare abusi ai danni delle comunità locali. La sua è unamachamba («campagna» in portoghese) di mille ettari che produce mais e frumento, dà lavoro a 50 persone e, grazie a una adeguata consultazione preliminare con la comunità locale, è ben integrata nel territorio di Xai-Xai. Sammartini è consapevole del fatto che «occupare le terre, anche se disponibili e non coltivate, sconvolge equilibri e tradizioni locali». Per questo è importante condividere preventivamente i progetti e assicurare un contraccambio, non solo economico, ma anche in termini di occupazione e conoscenza volti a creare ulteriore sviluppo e ricchezza. Nel rispetto della dimensione rurale.





    SCENARI - Tuttavia, il Mozambico non pare essere orientato nella direzione indicata da Hanlon e Sammartini, e auspicata da contadini e attivisti locali. Nel corso del G8 tenutosi a L’Aquila nel 2009, infatti, Giappone e Brasile hanno siglato un accordo per «promuovere lo sviluppo agricolo del Mozambico nell’ambito del Programma di Partenariato Giappone-Brasile», attraverso la realizzazione del ProSAVANA, un programma di cooperazione internazionale che coinvolge i tre Paesi. Il Programma non è ancora operativo, riguarderà un’area compresa tra 10 e 14 milioni di ettari (quella del Corridoio di Nacala, a nord del Paese) e, nelle parole del coordinatore Calisto Bias, «intende segnare il passaggio da un modello agricolo familiare a uno commerciale, nel rispetto della sovranità dei contadini». Peccato che i contadini non siano mai stati coinvolti in un reale processo di consultazione né di informazione. D’altronde, i mozambicani hanno appreso del programma solo attraverso una fuga di notizie che ha reso noto il Piano Generale e «tramite le informazioni provenienti dall’estero, ma non dalle istituzioni di Maputo», come conferma anche Fernando Lima, direttore di Savana, il principale giornale di opposizione del Paese. Non c’è quindi troppo da stupirsi se, nonostante gli sforzi (pochi) delle Istituzioni, contadini e società civile temono per i loro diritti, primo tra tutti quello alla terra.
    SOTTIGLIEZZE - Lo spettro agitato è quello del land grabbing ma, nel caso del ProSAVANA, i meccanismi sono più sottili e non si può parlare esplicitamente di usurpazione della terra. Il programma, infatti, non prevede acquisizioni dirette di terra, ma schemi di contract farming, in cui le grandi aziende investitrici trasferiscono a reti di agricoltori locali tecnologie e conoscenze per migliorare la produzione, che acquistano in stock per poi rivendere sul mercato. Tutto ciò avviene a fronte di prestiti ai contadini garantiti da specifici contratti. Si tratta di soluzioni teoricamente vantaggiose sia per l’investitore sia per i contadini, ma, come ci spiega Hanlon, richiedono supporto e garanzie adeguati, e finora il Mozambico ha espresso pochi esempi positivi in tal senso. Ricercatori come Isabela Nogueira de Morais, dell’Universita di Ginevra, infatti, proprio in virtù dei meccanismi asfittici di indebitamento e dipendenza ingenerabili da tali contratti, prospettano scenari neanche troppo futuristici di post land grabbing, con benefici solo potenziali e, comunque, potenzialmente molto destabilizzanti per gli equilibri sociali economici e ambientali a livello locale. E col rischio, inoltre, solo differito di mettere comunque il cappio al collo delle popolazioni rurali e, di conseguenza, delle intere economie nazionali dei Paesi destinatari degli investimenti. Nel frattempo i contadini mozambicani e la società civile dei tre Paesi chiedono con vigore che il processo di attuazione del Programma venga sospeso, per ridefinirne obiettivi e portata insieme alle autorità responsabili. Ma i numerosi appelli, fino a una lettera aperta indirizzata ai presidenti di Mozambico Giappone e Brasile, sono invariabilmente caduti nel vuoto. Anabela Lemos, dell’associazione mozambicana Justiça Ambiental, esprime efficacemente tutta la sua preoccupazione e frustrazione nei confronti delle autorità responsabili: «Se davvero i nostri timori sono infondati, dimostrateci pubblicamente che abbiamo torto!».

    fontelink
    Ultima modifica di Dogma; 27-05-15 alle 15:18

  4. #4
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Come le multinazionali stanno comprando, pezzo per pezzo, intere nazioni

    (Articolo tradotto da New Eastern Outlook) Guidati dalla Monsanto, i grandi conglomerati economici hanno iniziato ad acquistare miliardi di ettari di terreni idonei all'agricoltura, dall'Africa all'Ucraina. Perchè presto ci sarà un forte rialzo dei prezzi legati al cibo.

    scritto da Vladimir Platov il 27 aprile 2015 alle 10:22


    Si pensa che nel mondo ci siano circa 1,4 miliardi di ettari di terreni potenzialmente idonei all’agricoltura.


    Secondo molti esperti Occidentali, i vantaggi derivanti dai terreni agricoli rappresentano un investimento altamente redditizio, ecco perché diversi paesi hanno programmato l’assegnazione di terreni agricoli per un ammontare di 150 miliardi di dollari, e questo solo nei prossimi anni. Tra le varie ragioni di tutto ciò, innanzitutto le previsione di un deciso rialzo dei prezzi legati al cibo. Ad esempio, per il 2017 ci si aspetta un aumento dei prezzi di grano e orzo di circa il 50%, ed un raddoppio del costo del girasole.
    In quest’ottica, l’acquisto di terreni agricoli al di fuori dei confini nazionali, per diversi paesi ha assunto il rango di politica nazionale. In particolare, è tipico per gli stati del Golfo Persico, Cina, Corea del Sud, India, Giappone, Stati Uniti ed altri. Di conseguenza, gli sceicchi Arabi sanno bene che “l’oro nero” gli permetterà di sopravvivere ancora per un paio di decenni durante i quali il petrolio perderà facilmente la sua posizione di risorsa energetica primaria; e così si stanno preparando in anticipo con dei piani di emergenza, acquistando terreni agricoli.
    Probabilmente, fino a poco tempo fa il territorio più attraente per la vendita di terreni a basso costo era l’Africa. Comunque, il “boom” attuale spetta all’Ucraina, che si trova in una profonda crisi economica e finanziaria in cui regna l’anarchia. E le ragioni stanno nei prezzi bassi, nell’assenza di leggi territoriali che difendano i diritti e gli interessi della popolazione locale, e nei bassi costi di produzione, che attirano potenziali acquirenti.
    Africa in vendita

    Secondo calcoli approssimativi, ad oggi nel solo continente Africano gli stranieri posseggono o hanno in affitto oltre 60 milioni di ettari, ovvero un’area grande più di due volte la Gran Bretagna.Di norma, in Africa i costi per affittare delle terre sono puramente simbolici. In particolare, in Etiopia il prezzo annuale è di 1,20 $ per ettaro. Anche comprare è conveniente, non oltre i 20-30 $ per ettaro. Negli ultimi anni sono stati i paesi sviluppati Occidentali a comprare terreni in Africa, primi fra tutti Germania e Stati Uniti. In genere, le aziende di questi paesi coltivano grano ed olio di palma OGM, i cui raccolti vengono poi usati nella produzione di biocarburanti. La compagnia America Monsanto, leader nella produzione di prodotti OGM, è stata molto attiva a questo proposito. Anche le università Americane sono diventate proprietarie di terreni in Africa: Harvard, Vanderbilt e molte altre università Americane stanno comprando terreni in Africa attraverso il mediatore Londinese Emergent Asset Management.

    L’università dello Iowa in collaborazione con la compagnia Americana AgriSol ha recentemente dato il via ad un progetto in Tanzania del valore di 700 milioni di $ , in seguito al quale 162.000 cittadini Africani sono stati spostati dai loro villaggi di Katoomba e Misham. E la cosa non dovrebbe sorprendere, visto che ai nuovi “padroni della terra” non sono mai interessati i problemi delle popolazioni locali: non interessavano nel Medio Evo, figuriamoci oggi.

    Visto l’insostenibile livello di corruzione nelle agenzie governative degli Stati Uniti, spesso questi nuovi “proprietari terrieri” sono Americani che hanno usufruito della loro posizione per questo fine. Ad esempio, il precedente ambasciatore Americano in Sudan, Howard Eugene Douglas, ha fondato la Kinyeti Development Company con “sede legale” in Texas, divenendo in questo modo proprietario di 600.000 ettari in territorio Africano. Sorprende che Douglas, all’inizio della sua attività di acquirente di terreni fosse anche coordinatore per i rifugiati in Sudan, visto che ha contribuito lui stesso a moltiplicare i rifugiati, avendoli cacciati dalle terre possedute dalla sua compagnia.
    Il nuovo colonialismo

    Oggigiorno, l’acquisto di terreni avviene su larga scala, e ad un osservatore poco attento passa inosservato, finché questo processo non viene centralizzato. Spesso il processo di acquisto non viene pubblicizzato ed avviene in maniera oscura, perché in molti paesi la vendita di terreni agli stranieri è vietata. In questi casi vengono create delle “joint ventures” ( associazioni in partecipazione ) che permettono di aggirare virtualmente le leggi di qualsiasi nazione. Alla fine, l’acquisto di terre rivelerà il suo vero scopo, il colonialismo: se in passato per creare una colonia occorreva prendere il territorio con la forza, ora è sufficiente comprarlo, ma il risultato è lo stesso, i nuovi proprietari comandano sui precedenti.
    Nel caso dell’Ucraina, secondo l’Ispettorato di Stato adibito al controllo e all’uso delle terre in questa nazione, e seguendo “ i consigli Occidentali sulla privatizzazione della proprietà di stato”, il 75% di terra arabile dei circa 33 milioni di terreni agricoli sono già in mani private. Dopo tutto, le nuove autorità di Kiev sono state spinte in questa direzione dal New York Times, che lo scorso Maggio scrisse che “ la rinascita dell’Ucraina può iniziare con l’industria agricola – tutto quello che serve è la rimozione di inutili barriere di controllo e allora, come detto, arriveranno gli investimenti.” Nonostante il fatto che la moratoria sulla vendita dei terreni in Ucraina ufficialmente era stata estesa al Gennaio 2016, dopo che la “ Kiev Maidan” ha preso il potere nel 2015, lo schema di affittare i terreni per oltre 50 anni è stato attivamente praticato al fine di arricchire le nuove autorità, risultando ora molto attraente per gli investitori “indipendenti”.
    Attualmente, la maggior parte delle terre è concentrata nelle mani di quegli oligarchi Ucraini che hanno stretti legami con le nuove autorità e l’Occidente, come Sergei Taruta, Vadim Novinsky, Victor Nusenkis, Yuri Kosyuk, Vladimir Shkolnik, Andrew Verevskiy; oltre alle grandi multinazionali agricole Europee ed Americane. Queste ultime sono attratte dalla conveniente e fertile terra nera dell’Ucraina – il miglior posto al mondo per coltivare prodotti OGM e frumento per i biocarburanti. Queste multinazionali Americane comprendono in primo luogo, la scellerata azienda criticata da molti paesi, Monsanto – tra le più grandi produttrici di semi OGM . Questa multinazionale ha già annunciato un investimento multimilionario nel settore agricolo Ucraino. Lo stesso verrà fatto da un altro produttore Americano, la Cargill Agrarian Holding, DuPont Chemical Concern.
    Se le aziende ucraine cambiano padrone

    Secondo il Direttore per le Strategie del Oakland California Institute, Frederic Mousseau, che si occupa di argomenti legati alla sicurezza alimentare e ai cambiamenti climatici, l’eccessiva crescita negli ultimi mesi degli investimenti Occidentali nel settore agricolo Ucraino “ è come se le multinazionali Occidentali si stessero comprando l’agricoltura Ucraina”. Nel frattempo, le organizzazioni finanziarie Occidentali, soprattutto la Banca Mondiale ed il FMI, collegando gli interessi del capitale Occidentale alle provvigioni sui nuovi affitti per le autorità Ucraine, hanno dettato le condizioni: soldi in cambio dell’allentamento dei controlli nel settore agricolo, incluso il passaggio agli OGM.
    Il risultato è che alcuni investitori esteri diventeranno proprietari delle aziende agricole Ucraine. Ad esempio, la multinazionale Americana Cargill già detiene oltre il 5% della più grande società Ucraina UkrLandFarming, e commercia attivamente in pesticidi, semi OGM e fertilizzanti; inoltre produce foraggio che conserva nei silos in loco. Oltre alle aziende Americane, circa 40 aziende agricole Tedesche sono rappresentate in Ucraina, la maggior parte delle quali opera su campi che vanno dai 2.000 ai 3.000 ettari. Secondo i dati ( Land Matrix ) dell’Istituto Tedesco per gli Studi Globali e di Zona ( GIGA ) di Amburgo, al momento circa 1,7 milioni di ettari di terreni agricoli Ucraini sono in mano agli stranieri. Da notare che, oltre alle aziende private e ai singoli proprietari, il territorio agricolo Ucraino viene osservato con sempre maggior interesse dal fondo pensionistico Americano NCH Capital, che ha preso in affitto 450.000 ettari di terreno ed è a sua volta coinvolto nella coltivazione di prodotti OGM.
    Pochi giorni fa alcuni membri del Parlamento Tedesco hanno espresso preoccupazione per l’uso massivo di terreni agricoli Ucraini da parte di multinazionali Americane che producono OGM, temendo che i nocivi prodotti OGM avranno un impatto molto negativo sulla sicurezza non solo di chi vive in Ucraina e aree confinanti, ma anche di tutti gli Europei.Sfortunatamente, questo problema non interessa minimamente le attuali autorità di Kiev che, consapevoli delle temporali limitazioni dei loro poteri ed in previsione di un collasso prossimo venturo, sono interessate solamente al loro beneficio, fregandosene della salute e del futuro dei loro concittadini, così come di quelli Europei.
    fontelink



  5. #5
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Anche nell'Europa orientale si verifica il fenomeno neocoloniale di depredazione del popolo per mano del Capitale internazionalista all'ombra del regime liberale imperante!

    Terreni agricoli europei preda delle multinazionali, soprattutto arabe

    EUROPA UElunedì, 6, maggio, 2013
    6 mag. – Il “land grabbing”, cioè l’alienazione dei terreni agricoli a favore delle multinazionali, non è un problema soltanto dei paesi più poveri dell’Asia e dell’Africa. Uno studio del Coordinamento europeo cia campesina (Ecvc) diffuso oggi rivela che il fenomeno sta interessando anche paesi come la Romania, l’Ungheria e la Polonia.
    In Europa dell’est la concentrazione della proprietà fondiara è stata particolarmente marcata dopo la caduta del Muro di Berlino”, ma ha registrato un’accelerazione dopo che molti di questi Paesi sono entrati nell’Ue nel 2004. A favorire questa concentrazione ha contribuito anche la politica agricola comune (Pac) col suo sistema di sussidi.
    UE: ok a progetto da 1,2 mld di euro su biocarburanti
    5 banche controllano il 70% degli scambi sui prodotti agricoli in tutto il mondo
    Gli investitori “comprano terreni a buon mercato sui quali producono a costi minori dei prezzi delle materie prime agricole e in più incassano le sovvenzioni”, ha commentato Attila Szocs, agronomo responsabile dell’associazione rumena EcoRuralis.
    “E’ una situazione tre volte favorevole” per questi investitori e i Paesi più esposti al “land grabbing” sono la Romania e l’Ungheria in tutta l’Unione europea. Budapest, dal canto suo, ha vietato da metà dicembre l’acquisto di terreni agricoli da parte di capitali stranieri fino al 2014, per proteggere questo “tesoro nazionale”, come l’ha definito il premier magiaro Viktor Orban, dagli speculatori.
    Ungheria: niente piu’ terreni agli stranieri
    In Romania, quinto Paese dell’Ue quanto a superficie agricola – con una quota di circa la metà di questi terreni che sono “terre nere” particolarmente fertili – si registra che “almeno il 6,5 per cento delle terre arabili, vale a dire 700mila ettari, sono nelle mani di investitori stranieri”, ha spiegato Szocs.
    Nel sud del Paese sono soprattutto investitori venuti dai paesi arabi: Qatar, Arabia saudita, ma anche fondi d’investimento libanesi”, ha sottolineato Stephanie Roth, coordinatrice della campagna Good Good Farming di Ecoruralis. Su questi terreni vengono coltivati principalmente cereali – grano e mais – che sono direttamente destinati all’esportazione. Inoltre si fa allevamento di pecore, anch’esse destinate ai Paesi del Golfo.
    I terreni in mano a speculatori potrebbero nutrire 1 miliardo di persone
    Di solito non si tratta di acquisti di terreni, ma di affitti di lungo periodo. “I contratti sono opachi, i contadini non capiscono i termini. Li si promette acquisti di materiali, cedono i loro terreni per 10 o 20 anni per 100 euro all’ettaro”, spiega Szocs, precisando che la Pac sovvenziona anche per 130 euro a ettaro. Il fenomeno è iniziato dopo la rivoluzione che ha rovesciato Nicolae Ceausescu. Nei primi anni ’90. “La terra è ormai diventata inaccessibile ai contadini”. (TMNews)

    fontelink

  6. #6
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Persino da noi, l'Italia permette la rinascita del LATIFONDO per mano del Capitale Internazionalista!


    Land concentration and green grabs in Italy:the case of Furtovoltaico in SardiniaAntonio Onorati and Chiara Pierfederici*Plan of solar greenhouse plantMeeting of the ‘S’Arrieddu for Narbolia’ Committee, 14 October 2012



    1. Introduction – Green grabbing: the case of NarboliaThe intertwining of climate change, environmental and economic crises and food price volatility andspikes raises serious concerns about the widespread model of agricultural production widespread inthe North. It suggests the urgent need for a more sustainable, decentralised and locally based farmingsystem that is capable of addressing current risks and challenges. This means a focus on reducingcarbon emissions, shortening food miles, enhancing local food-production systems and improvingaccess to land and the right of existing and future small-scale farmers and family farms to cultivate it.The value of agricultural land is changing in Europe, in particular in Italy, leading to increased land concentrationas ever more agricultural land is coming under the control of a small number of large-scalefarms or companies. The value of agricultural land is becoming de-linked from its actual agriculturaluse: financial capital is speculating on land for business purposes, mainly to grab the value of agriculturalrent, but also its environmental value (through carbon sequestration mechanisms, as well asthe production of ‘renewable energy’) and the value of natural resources associated with the land, inparticular water and biodiversity.In such a process, land use is shifting further towards an extractive model, and away from the familyfarms that could provide the basis for more sustainable and localised agrarian systems. Extractiveagriculture relies on the exploitation of resources, regardless of their need to regenerate themselves,on monoculture and high levels of energy consumption. It alienates people from the countryside andconcentrates wealth outside the area through practices that oscillate between the free market andprotectionism, which are an inherent part of how the dominant economic model functions.The trend towards land concentration exposes the crucial limitations of various mainstream policies,in particular:• Agricultural policy that favours larger farms or corporate units and an extractive model of agriculturerather than small-scale producers and agro-ecological methods. Both European and nationallegislation in Italy have supported the capitalisation and industrialisation of agricultural productionprocesses, thus encouraging capital-intensive, large-scale agro-industry.• Land policy that prioritises the ‘right of possession’ over the ‘right to produce’ and the ‘right to cultivate’.Access to land for young people and smallholders does not necessarily have to be securedthrough ownership: the sale and purchase of land can co-exist with a set of regulations aimed atpromoting and protecting the agricultural use of land rather than its possession.• Energy policy, with incentives for the ‘agri-production of renewable energy’ is reinforcing thetwo main trends in agricultural and land policies, both at the European and at the national level.These combined policies form the main means for obtaining control over the right to produce, not theinescapable decline of the agricultural sector. In addition to fostering the impoverishment of naturalresources and the land, this process is having a dramatic impact on the whole food-production system.To illustrate these concerns, this chapter presents a case of land grabbing in the name of environmentalprotection via the promotion of ‘renewable energy’ in the Italian region of Sardinia.The case concerns an Enervitabio Ltd project in the municipality of Narbolia in Oristano province. Asolar greenhouse plant for agricultural production was built, with an energy production target of 27megawatts (MW). The plant is a relevant example of a trend whereby hundreds of hectares of primefarmland are being used for solar greenhouse projects that have various negative impacts: not onlyare they undermining the rights of local communities to produce food and secure access to land, but also they are skirting the law and eroding the capacity of small farmers to contribute to resolving thecrisis affecting Italy. Moreover, such projects have been capturing financial resources intended for theagricultural sector.While there has been significant attention devoted to land grabbing in the South, the same phenomenonis also affecting small farmers in the North. There is a need to maintain a vigorous commitment andengagement in resisting this process. This is not about making occasional complaints or conducting anisolated campaign. This chapter will stress the urgent need to support the long-term processes neededto return the land those who work it.Defending land for agricultural use is the basis of solidarity, since land is a vital resource for all humanlife and provides the means through which present and future generations can access water and enjoya safe, prosperous and biodiverse natural environment. For this reason, we should react to every portionof land that is captured, wherever it might be, as if it was robbing something from everyone: this isnot about romantic ruralism or altruism, but about self-interest. Everyone is entitled to a future that isworth living, which cannot be surrendered. The destructive use of the land denies everyone this future.The reduction of cultivated land, involving millions of hectares being used for an array of non-agriculturaluses (such as residential, industrial, military, commercial and tourism activities, infrastructureand the production of renewable energy) must be a priority issue for each and every person. Solutionsare within reach as long as everyone accepts the responsibility to question, understand and engage.This chapter focuses first on various levels of land and agricultural policies, and the resulting land-grabbingpractices. The first section constitutes an overview of the global land-grabbing phenomenon andthe trends towards the shifting value and use of land, and the dynamics of shrinking access to landand land concentration. The second section explores the Italian dimensions of such trends, highlightingthat those who lose out from the concentration and capitalisation of agriculture are those who, despitepolicy constraints, most contribute to addressing major crises, providing food sovereignty and ruralemployment and also reducing carbon emissions. Finally, the paper turns to the regional level, focusingon patterns of land property and the agricultural situation, including in relation to the global food system,and the promotion of a ‘renewable energy’ project in Sardinia by both the central and local government.The next section examines the case study of the Municipality of Narbolia, the location of a mega-solargreenhouse development being undertaken by Enervitabio Ltd, and the local community’s opposition tothe project, its struggles and resistance.The concluding section summarises insights from the Narbolia experience, draws out lessons in relationto the broader trends and concerns identified in the introduction, and presents various policy recommendationsneeded to shape the necessary changes.

    2. Land and agricultural policy: common trends atthe international, European and national levela. The international contextI. A global land grabThe term ‘land grabbing’ entered the international stage in the context of converging economic, financial,energy and food crises between 2007 and 2008. At the time, the media spotlight was focused primarilyon emerging and relatively new players such as Saudi Arabia and South Korea, which were becoming involved in potential large-scale land acquisitions in countries in the South, for the purpose of producingfood crops. What is now clear is that framing the issue in this way overlooked, if not neglected, keydrivers and power dynamics and relations underlying and supporting land grabs.Our understanding of what constitutes a land grab in the contemporary context is based on Borras etal. (2012), namely the three interlinked specificities of contemporary land grabs: land grabbing as controllingresources; land grabbing involving large-scale transactions, in terms of the scale of acquisitionand/or of the capital involved; and land grabbing as a response to the convergence of multiple crises– food, energy/fuel, climate change, economic and financial, as well as the growing need for resourcesby BRICS (Brazil, Russia, India, China, South Africa) and middle-income countries (MICs).Land grabs therefore need to be placed ‘in the context of the power of national and transnational capitaland their desire for profit, which overrides existing meanings, uses and systems of management of theland that are rooted in local communities. The global land grab is therefore an epitome of an ongoing andaccelerating change in the meaning and use of the land and its associated resources (like water) fromsmall-scale, labour-intensive uses like subsistence agriculture, toward large-scale, capital-intensive,resource-depleting uses such as industrial monocultures, raw material extraction, and large-scalehydropower generation – integrated into a growing infrastructure that link extractive frontiers to metropolitanareas and foreign markets’ (TNI 2013).This chapter argues that agricultural land in Europe, as in many other countries across the globe,has become object of financial speculation as the value of land is moving away from its current agriculturaluse. Financial capital speculates on land, mainly to obtain the value of agricultural rent, butalso its environmental value, through allegedly sustainable practices such as carbon-sequestrationmechanisms and renewable energy production, along with the value of natural resources inherent inthe land, primarily water and biodiversity. The rapid growth in the demand for land is largely due to thelarge-scale acquisition of resources and land by mining and construction industries, and to the growingagro-industrial demand for flex-crop plantations – all of which contribute to land speculation.II. Shrinking access to land and land concentrationEvolving patterns in land use and land property highlight two concurrent trends, both at the Europeanand at the national level in Italy: shrinking access to land, especially for smallholders, and increasingland concentration, especially in the hands of businesses that are becoming more interested in obtainingagricultural land.

    As shown in Table 1, in 1995 the EU-15 had 7.4 million farms, which had dropped to 5.7 million by 2007;in 2003 the new EU-27 had 15 million farms, which had dropped to 13 million in 2007. In 1995 EU-15there were 4 million farms with less than 5 ha and by 2007 there were 3 million. The EU-27 had 11million farms in 2003 and less than 10 million in 2007. In total, this implies a loss of more than 70% ofthe total number of EU farms. The EU-27 accounted for approximately 12 million farms and 170 millionha of Used Agricultural Area (UAA).In 1995 there were 585,730 farms of over 50 ha were (EU-15), and 2007 saw an increase to 616,920.When taking into consideration EU-27 data of 2003, there were 688,420 large farms, which went upto 716,490 in 2010.

    There are many actors involved in such acquisitions, which can be classified under different legalcategories and business interests. Some of the main corporations involved include Allianz RCM GlobalAgricultural Trends, Baring Global Agriculture Fund (Crédit Agricole and Société Générale – France)and Robeco Agribusiness Equities D EUR (Rabobank – the Netherlands).

    fonte: Transnational Institute (TNI) for European Coordination Via Campesina and Hands off the Land network



    per una lettura completa del documento scaricare il rapporto in pdf: DOWNLOAD rapporto
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  7. #7
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Purtroppo su queste questioni c'è un'indifferenza mostruosa...

    Poi si lamentano se abbiamo l'immigrazione...
    «The world is less explainable than we would like to admit» Jeff Jarvis
    «Io non capisco come si possa passare davanti a un albero e non essere felici di vederlo» - Fëdor Dostoevskij

  8. #8
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    La colpa è del socialismo africano Non è uno scherzo, i poveri contadini vengono spossessati delle loro terre per il semplice fatto che legalmente non sono loro, non ci sono diritti di proprietà riconosciuti altrimenti se volessero potrebbero anche non vendere.
    Succede pure in India o in Cambogia, praticamente ovunque la proprietà privata sia debole.
    "la Le Pen col 40% avrà incassato una grande vittoria" (Candido)


  9. #9
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Citazione Originariamente Scritto da Qassim Visualizza Messaggio
    La colpa è del socialismo africano Non è uno scherzo, i poveri contadini vengono spossessati delle loro terre per il semplice fatto che legalmente non sono loro, non ci sono diritti di proprietà riconosciuti altrimenti se volessero potrebbero anche non vendere.
    Succede pure in India o in Cambogia, praticamente ovunque la proprietà privata sia debole.
    se non ci sono diritti di proprietà le terre sono di tutti e quindi anche ciò che ne nasce e i profitti, ma qui la proprietà è delle multinazionali mica collettiva... che poi siano stati dei partiti sedicenti socialisti o di sinistra a dare queste concessioni non c'è niente di strano, sono tali e quali alla maggior parte dei partiti che si dicono di sinistra occidentali

  10. #10
    Сардиния
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    Predefinito Re: Land Grabbing: come colonizzare l'Africa ...e l'Ukraina

    Citazione Originariamente Scritto da Qassim Visualizza Messaggio
    La colpa è del socialismo africano Non è uno scherzo, i poveri contadini vengono spossessati delle loro terre per il semplice fatto che legalmente non sono loro, non ci sono diritti di proprietà riconosciuti altrimenti se volessero potrebbero anche non vendere.
    Succede pure in India o in Cambogia, praticamente ovunque la proprietà privata sia debole.

    Veramente è in epoca di privatizzazioni conformi alla "ricetta" NEOLIBERALE che si realizzano le spoliazioni dei beni pubblici a danno dei popoli ... ...esattamente come accade in italia nel settore industriale e ...e persino nel settore agricolo, dove si progetta di realizzare piantagioni di canna da zucchero (pianta altamente infestante e pericolosa) per la produzione di bioetanolo, in aree come il Sulcis, del tutto priva di terreni comunali, ma per mezzo di contratti con la pubblica amministrazione che vincola le aree a coltivazione monocoltura.
    Altro che resistenza della proprietà privata ...in pratica i proprietari non saranno padroni della destinazione d'uso del proprio terreno e le acque irrigue saranno interamente destinate alla nuova produzione!!!

    Bioetanolo nel Sulcis, ennesima monocultura sciagurata?


    A Portovesme, contiguo allo stabilimento Alcoa s.p.a.[1], il Gruppo Mossi-Ghisolfi (fatturato dichiarato 3 miliardi di dollari, 2.300 dipendenti, seconda azienda chimica in Italia, pioniere delbio-etanolo) intende produrre un eco-carburante di seconda generazione, grazie a un brevetto innovativo: si tratta di un carburante per autoveicoli derivato dalla cellulosa estratta dalle canne (Arundo donax).
    La promessa è allettante, a prima vista: 100-150 posti di lavoro, altrettanti nell’indotto in agricoltura, per un investimento di 220-250 milioni di euro. 600-800 posti di lavoro in fase di costruzione.
    Sarebbe un colpo di fortuna in una delle zone socialmente più disgraziate d’Italia: 5.500 lavoratori in cassa integrazione o mobilità su 125 mila abitanti, disoccupazione giovanile superiore al 60%. Altri due impianti simili sarebbero realizzati in Sicilia, a Gela.
    Ognuno dei tre impianti progettati produrrà 80 mila tonnellate di bioetanolo all’anno (e tratterà 400 mila tonnellate di biomassa secca). La produzione totale di 240 mila tonnellate sarà pari a circa un terzo della domanda italiana di biocarburante al 2020. L’obiettivo, quindi, è contribuire al raggiungimento del 10% di carburanti verdi (direttiva n. 2003/30/CE) rispetto al totale fissato dall’Unione europea per il 2020.
    Portoscuso, polo industriale di Portovesme

    720 milioni di euro l’investimento totale, in buona parte fondi pubblici. Per l’impianto di Portovesme il 55% dei fondi sarà assicurato da prestiti pubblici a tasso agevolato, da rimborsarsi in 8 anni, mentre il 45% da investitori privati (in particolare il Texas Pacific Group).
    Il progetto – rientrante nel Piano Sulcis – pare in dirittura d’arrivo, come afferma il delegato del presidente della Regione autonoma della Sardegna Pigliaru per l’attuazione del Piano Sulcis, Tore Cherchi.
    Tutto rose e fiori, quindi? Nemmeno per sogno.
    A parte il fatto che seppur ridotto rispetto a quelli di prima generazione, non sarebbe trascurabile l’impatto sui cambiamenti climatici degli eco-carburanti di seconda generazione, sembra, infatti, che per produrre il quantitativo di canne necessario per il funzionamento dell’impianto di Portovesme sarebbero necessari ben 5.000 ettari di coltivazione, cioè l’intero comparto irriguo del Sulcis, attualmente incentrato nella zona di Tratalias-Giba. Sembra poi che ilfabbisogno idrico annuo sia pari a 5 mila metri cubi per ettaro, cioè ben 25 milioni di metri cubi di acqua all’anno.
    acqua
    Una follìa, la fine di qualsiasi prospettiva di crescita – ma anche di mantenimento – delsettore agricolo sulcitano.


    Ancora oggi i dettagli progettuali non sono stati scandalosamente pubblicizzati ufficialmente, ma impianti simili devono essere preventivamente assoggettati al procedimento di valutazione di impatto ambientale(V.I.A.).
    Vi interverremo, per difendere ambiente e salute, fin troppo massacrati nel Sulcis delle disgrazie, in attesa di quelle necessarie bonifiche ambientali che ormai interessano solo lecronache giudiziarie.
    Gruppo d’Intervento Giuridico onlus



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