L`aumento esponenziale del numero degli immigrati ha avviato nella società europea drammatiche trasformazioni
La morale è una cosa troppo importante per farla dipendere da una religione Georg Lichtenberg I nuovi arrivati nel nostro Paese, gli extracomunitari senza documenti, senza denaro e senza un mestiere, hanno trovato sistemazione accanto ai disadattati delle ondate precedenti. Ne sono nati insediamenti-ghetto a impronta geografico-razziale che stanno progressivamente lacerando il tessuto sociale. I bisogni, i desideri e le pretese di centinaia di migliaia di individui che non hanno un'occupazione e che sopravvivono sfruttati da gente priva di scrupoli, non possono che tradursi in illegalità. In assenza di ogni serio controllo sanitario, amministrativo e di polizia, cresce il degrado estetico e urbanistico; aumentano, di pari passo, furti, rapine e delitti. È una violenza di gruppo della
quale la cronaca registra - con accettabile approssimazione - l'origine etnica. Negli assalti alle ville e nelle rapine si distinguono le feroci bande balcaniche. I furti e l'accattonaggio rientrano nella sfera di competenza degli zingari. Le truffe e le risse tra ubriachi vedono prevalere i sudamericani, il traffico e lo spaccio di stupefacenti i nordafricani. Romeni e albanesi si occupano tanto della falsificazione di permessi di soggiorno e carte di credito che di reclutamento e sfruttamento della prostituzione. Ma l'immigrazione è come il sasso gettato nell'acqua: i cerchi - i danni collaterali – sia allargano e arrivano a toccare tutte le rive dello stagno, ogni settore della convivenza civile. Per di più, gli effetti negativi del fenomeno si manifestano anche quando la loro origine non è di tipo criminoso. È così per il mondo del lavoro, dove l'afflusso di concorrenti a basso costo penalizza economicamente gli autoctoni e altera l'intero equilibrio sociale. La presenza del Lumpenproletariat
extracomunitario spinge infatti quello nazionale verso gradini più alti. Scalzati dalle attività manuali dei livelli più modesti e dalle occupazioni artigianali, i giovani prolungano negli studi una spensierata adolescenza. Quando però giunge il momento di affrontare le scelte decisive della vita, la realtà cancella l'ottimismo delle attese. L'idea di una scalata delle masse alle professioni liberali è pura utopia. E allora è fatale che i meno dotati vadano ad aumentare la disoccupazione intellettuale, il precariato, l'invidia e il disagio sociale. La democrazia fa da ammortizzatore: arruola legioni di questi nullafacenti e li piazza nelle sue nicchie parassitarie politiche, o nelle pletoriche amministrazioni statali e parastatali. Altri, nelle regioni meno ricche, s'arrangiano col lavoro nero o fanno carriera
nella malavita organizzata. I più abulici troveranno stabile collocazione tra i disoccupati organizzati, ma grazie ai partiti arrotonderanno il sussidio con lo stipendio relativo a fantasiosi "lavori socialmente utili". Fanno da salvagente anche le pensioni di invalidità elargite con larghezza da funzionari disonesti che gestiscono su larga scala il business del voto di scambio. Evidente è anche l'impatto dell'immigrazione sulla scuola pubblica, ove la presenza di allievi che non capiscono la nostra lingua costringe intere classi a muoversi al passo dei più lenti. Lo Stato spende inutilmente i soldi dei contribuenti e i genitori che possono permetterselo trasferiscono i figli nelle scuole private.
Non diverso il caso della sanità, il cui bilancio è appesantito da un'assistenza estesa a chiunque sia presente sul territorio dello Stato. Nel ricongiungimento familiare viene data addirittura la precedenza ai malati. Si arriva dunque in Italia, non per lavorare, ma per esser curati. E non basta, il ricongiungimento - così è stato deciso dalla Corte di Cassazione - deve essere concesso anche in caso di kafalah, una sorta di adozione islamica. Difficile risulta il mantenimento dell'ordine pubblico e
affannoso il funzionamento della giustizia. Il peggio sono le carceri: oltre il 50% dei detenuti è costituito da stranieri, per alloggiare e sorvegliare i quali sono necessari sempre nuove strutture e l'impiego di migliaia di agenti. Occorre ammettere a questo punto che la colpa di quanto accade non è tutta degli immigrati. Molti europei, vittime di malsane influenze ideologico-culturali, ritengono che la presenza di milioni di stranieri e la mescolanza razziale che ne deriva non siano un male. Agevolano così di fatto l'invasione. Un esempio di questa autolesionistica devianza è il capitolo dei
matrimoni misti. Queste unioni, un focolaio di infezione razziale ormai fuori controllo - ben 34.000 casi nell'ultimo anno - immergono puntualmente gli sprovveduti protagonisti e la loro disgraziata prole in una serie di guai senza fine. Le violenze, i sequestri di persona, i rapimenti dei figli vengono scaricati - è cronaca quotidiana - sulla collettività, con enormi spese e perdita di tempo per le forze dell'ordine, per la magistratura e persino per la diplomazia. Un fenomeno di complicità all'invasione assimilabile ai matrimoni misti è quello delle adozioni internazionali. Anch'esso, con la crescita dei "diversamente bianchi", produce effetti destabilizzanti. L'Italia, grazie anche alle provvidenze economiche elargite dallo Stato ai "genitori" registra purtroppo il primato mondiale, oltre 4.000 casi l'anno, nelle adozioni di stranieri. Che lo strumento delle adozioni internazionali sia parte del
progetto mondialista di generale imbastardimento è dimostrato dal recente intervento (28 aprile 2010) della Procura della Cassazione che, recependo una direttiva della Comunità europea, ha censurato il comportamento di una coppia di Catania che aveva chiesto le venisse assegnato un bimbo di razza bianca, la stessa dei genitori. Voler scegliere è solo una deprecabile pretesa razzista. Come reagiscono i partigiani dell'immigrazione di fronte all'inconfutabile elenco dei danni sociali ed economici, diretti e indiretti, da questa provocati? Continuano stucchevolmente a dipingerla da un lato come "indispensabile per la crescita", dall'altro come "un'opportunità di arricchimento culturale". Non rivedono insomma le loro posizioni; hanno addirittura l'impudenza di contrattaccare. Quando parlano di dialogo, di incontro, non esprimono la disponibilità a ridiscutere il
problema coi connazionali di parere diverso, si riferiscono agli stranieri. Nonostante la crisi
economica, i licenziamenti, la disoccupazione dilagante, si danno da fare per rendere più agevole l'arrivo e la sistemazione di nuovi lavoratori extracomunitari. Il presidente Napolitano, di recente, a Bruxelles, ha spiegato che non può esserci discussione: chi non è per la globalizzazione, per la società multietnica, è fuori dalla storia, fuori dalla realtà. Il messaggio è chiaro: non si vuole più tornare indietro. La deriva razziale - buona o cattiva che sia - deve continuare; gli stranieri, i milioni di stranieri e i loro familiari sono ormai indispensabili; otterranno maggiori diritti, in primis, appena possibile, la cittadinanza. Attraverso queste concessioni - ci viene raccontato - cesseranno di odiare
il Paese in cui vivono e i suoi abitanti, rispetteranno la legge, finiranno per integrarsi, gli zingari lavoreranno, i loro figli andranno a scuola, non ruberanno più. Corollario di queste banalità è la condanna più ferma nei confronti di chi preferirebbe non dover vivere circondato da gente estranea per razza e per cultura; di chi insomma, per dirlo con chiarezza, è assolutamente convinto che il problema non sia quello dei clandestini ma quello, più vasto, dell'immigrazione. Queste posizioni, politicamente scorrette - a prescindere da quanto siano diffuse - vanno censurate, criminalizzate, soffocate. Ma se il tentativo di dare sbocchi positivi alla società multietnica non produce - come
abbiamo visto - altro che danni reali, se il progetto risulta solo un vaneggiamento utopistico, quali sono allora le ragioni che spingono l'oligarchia finanziaria dominante a perseverare nel suo "errore"?Perché non si vuole prendere atto che la provenienza geografica, il colore della pelle, la fisiognomica, la lingua e l'educazione hanno costruito negli immigrati identità e visioni del mondo che non possono in alcun modo essere rimosse e perciò non possono combaciare con le nostre? Perché si respinge la logica conclusione che essendo l'identità e la concezione del mondo che ne consegue antropologicamente immodificabili, l'assimilazione risulta impossibile? Perché non si
ammette che, in tale quadro, la qualità di "regolare" o "clandestino" del singolo immigrato, così come il suo titolo di studio, sono fattori ininfluenti? Che qualsiasi armonica, organica convivenza di gruppi umani diversi sullo stesso territorio è destinata a fallire? Che è fatale e ineludibile l'insorgere di reciproche diffidenze e ostilità? Non voler prendere in considerazione tutto ciò dimostra la pervicace volontà di puntare - costi quel che costi - a obiettivi ritenuti essenziali. Quali sono questi obiettivi? È semplice: non quelli fumosi, dolciastri e irrealizzabili che vengono reclamizzati, ma quelli, assai concreti, provocati dagli stessi danni. In una scala di valori capovolta essi sono le tappe ambite,
previste e scandite nel tempo, di un progetto, quello demoplutocratico, che viene posto in atto grazie a una ragnatela mondiale di istituzioni autoreferenziali, non elettive, le quali devono render conto solo a chi le ha create e le tiene in vita. Il disegno finale, da realizzarsi sulla pelle dei popoli attraverso la globalizzazione, è quello di un mondo nominalmente libero e democratico, reso di fatto snervato e omogeneo per consentire alla lobby atlantico-sionista di privatizzarlo. Per schiacciare ogni resistenza, la grande finanza ha mobilitato e messo a libro paga un esercito di persuasori che
ha a sua disposizione tutti gli strumenti di formazione dell'opinione pubblica - editoria, cinema, televisione - e che si muove di concerto in tutti i Paesi della Terra. Ciascuno di questi, chi prima chi dopo, va colpito mercificando l'esistenza degli abitanti, eliminando, con campagne propagandistiche destinate a incidere sull'immaginario e sul costume, i legami di solidarietà etnica, culturale e sociale, i soli che possono efficacemente garantire la difesa della sovranità. Il messaggio unico trasforma gli Stati in mercati, i popoli in masse indifferenziate di consumatori. Quel che rimane negli individui di altruistico è convogliato in direzione delle emergenze internazionali. Il cittadino democratico non ha più una patria, ma può, a comando, commuoversi, intenerirsi, mobilitarsi per la sorte altrui. Terremoti, naufragi, profughi da guerre civili, sono le puntuali occasioni per accelerare l'accoglienza,
il travaso, l'adozione di altri disperati. Non ha importanza se il più delle volte le emergenze sono provocate dagli stessi che le sfruttano: le vicende della Palestina, del Kosovo, dell'Iraq e dell'Afghanistan non dicono nulla alle masse. L'informazione è distorta, la gente non legge e non riflette, abbocca e si adegua, i pochi cervelli pensanti si rendono conto che ogni spazio di libertà è precluso. Le idee che si ribellano al dogma multirazziale liberalcapitalista sono percepite come bestemmie, equiparate allo psicoreato, condannate all'ostracismo. Nessuna forza politica antagonista, espressione autentica dello spirito dei popoli può sperare di affermarsi quando le masse sono bloccate in un luogo diverso. È questa la situazione che si è determinata con l'infausto esito del secondo conflitto mondiale, e che da allora condanna l'Europa alla sudditanza; prima nei confronti delle due Superpotenze vincitrici, Usa e Urss, poi, con il crollo dell'Unione Sovietica, dei
soli Stati Uniti, i quali vogliono imbalsamare l'Europa nelle strutture della Nato per impedirle ogni iniziativa autonoma in tema di politica internazionale. In particolare, per quanto riguarda Vicino e Medio Oriente, dove l'Europa è costretta a condividere le posizioni filosioniste dagli atlantici. Quegli stessi persuasori occulti che, al servizio dei guerrafondai occidentali si erano inventati "le armi di distruzione di massa" irachene, agitano oggi la minaccia del terrorismo e dell'atomica iraniana. Ma lo sforzo maggiore della cupola internazionalista è oggi quello finalizzato a balcanizzare l'Europa.
Lo tsunami migratorio è stato individuato come lo strumento più adatto. Più minoranze ci sono, più il vecchio Continente risulterà instabile. Alla fine dovrà somigliare a una Jugoslavia su grande scala, privo di compattezza etnica e di tradizioni condivise. L'Europa sarà tenuta in permanenza sull'orlo della guerra civile, una guerra già latente fra i vari gruppi razziali. È la debolezza auspicata e orchestrata da chi vuole giustificare la supervisione politica ed economica del mondialismo e la spada di Damocle dell'intervento umanitario. Ma quanto sopra argomentato non appare sufficiente a spiegare il successo dei nemici dell'Europa e le difficoltà incontrate da chi ha capito la strategia
mondialista e vuole battersi per bloccare e invertire l'attuale deriva anti-identitaria. A minare la resistenza contribuisce in modo subliminale ma determinante la religione. La "compassione cristiana", la spinta verso un generico amore universale, si traduce infatti nella proposta da parte della Chiesa di un modello di umanità privo di connotazioni nazionali e razziali. Comprendiamo benissimo il fatto che l'azione della Chiesa nasce da una visione spirituale tesa verso il bene; oggi però lo sforzo risulta controproducente, perché va a confondersi, a inglobarsi col disegno rapace e irrispettoso dell'uomo perseguito dall'oligarchia atlantica. Nei secoli passati la disponibilità del clero
all'aiuto, all'assistenza, si indirizzava ai poveri, ai malati, agli orfani della parrocchia, del paese, o tutt'al più della regione. Erano azioni solidali circoscritte, che non uscivano dai limiti geopolitici della comunità. Si trattava dunque di interventi non solo eticamente apprezzabili, ma di indubbia utilità sociale. Il declino della potenza europea, la sostituzione del colonialismo con l'imperialismo economico, l'esplosione demografica della popolazione mondiale provocata dall'azione antiselettiva della medicina, il disastro dell'Africa vittima della corruzione, delle monoculture e delle guerre tribali, hanno condotto a un'emergenza generale nella quale i bisognosi non sono più casi isolati, ma sono decine di milioni. La Chiesa ha affrontato impreparata un simile cambiamento, ha solo pensato ad
allargare, per quel che poteva, il suo intervento assistenziale; non ha afferrato la gravità del problema, le devastanti implicazioni, la responsabilità di trasformare - agevolando l'arrivo e l'inserimento degli stranieri - l'Europa in pochi decenni, in una società multietnica e multireligiosa.Quello stesso altruismo che nel passato era la fisiologica applicazione della dottrina, favorisce oggi l'ingresso destabilizzante degli stranieri e il meticciato. Quando la Chiesa si batte perché gli immigrati siano equiparati - addirittura anteposti - nei diritti, agli autoctoni la sua solidarietà assume caratteristiche anarchiche. Con questa forzatura, il cristianesimo fa proprie le caratteristiche eversive dell'internazionalismo marxista. Diventa comunismo, si mette addirittura in gara per superarlo. Nell'Unione Sovietica, infatti, il partito unico, nonostante i suoi demagogici proclami ugualitari, non era mai giunto a mettere le nazionalità associate sullo stesso piano dell'etnia russa.
L'azione della Chiesa costituisce insomma non una tutela, ma una minaccia per l'esistenza dei popoli europei. Questi, se un tempo ritenevano meritorio aiutare i religiosi nelle loro opere assistenziali oggi soppesano lo stesso tipo di partecipazione con diffidenza. Senza regole, senza un preciso criterio-guida gli interventi sono peggio che inconcludenti, possono risultare dannosi. Come insegnano il cuoco col sale e il guastatore con l'esplosivo, è proprio il quantum, la misura, a dare senso ed equilibrio al fare. La Chiesa oggi mostra purtroppo di disprezzare la volontà del suo popolo
di rimanere se stesso, condanna chi cerca di respingere l'assalto che la finanza mondialista conduce attraverso l'immigrazione, declassa il nazionalismo, l'amor di patria, a deprecabile xenofobia. Spingendo le vittime dell'invasione a non reagire, a subire passivamente, addirittura a collaborare, la religione si pone di fatto fra gli ausiliari dei poteri forti. È superfluo sottolineare quanto tale orientamento torni utile ai nemici dell'Europa. Il contributo non proviene infatti da ambienti
politici o economici interessati, ma da un potere spirituale, ufficialmente imparziale, cui le masse attribuiscono da sempre grande autorevolezza. Lo schieramento della Chiesa non potrà restare senza conseguenze: la secolarizzazione dei Paesi europei (Galli della Loggia nel Corriere della Sera del 21 marzo 2010 parla di scristianizzazione) e il calo delle vocazioni dipendono, e sono quindi destinati ad aggravarsi, a causa del progressivo allontanamento della religione dai legittimi, vitali interessi dei fedeli. La Chiesa, incredibilmente, non si oppone neppure alla formazione in Europa di minoranze religiose e ciò anche se dovrebbe essere evidente il rischio per la convivenza civile se sul medesimo territorio sono installati, e si mettono in concorrenza, più monoteismi, tutti
ovviamente con pretesa di essere l'unica verità. Già David Hume, nel settecento, metteva in guardia contro questo pericolo consigliando i politici saggi di appoggiare e mantenere un'unica organizzazione religiosa e reprimere tutti i suoi avversari. Pare un controsenso ma a volte sono i laici a capire meglio degli ecclesiastici quale può essere l'interesse della Chiesa. Un interesse che forse in futuro potrà essere meglio tutelato da chiese nazionali.