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  1. #21
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da Sentenza Visualizza Messaggio
    E i Francesi fanno verifiche prima di respingere?
    Mi pare che secondo il regolamento di Dublino spetti allo Stato su cui è avvenuto l'ingresso verificare identità ed eventuale status dell'immigrato .
    Regressista amante della pucchiacca.

  2. #22
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da King Z. Visualizza Messaggio
    Mi pare che secondo il regolamento di Dublino spetti allo Stato su cui è avvenuto l'ingresso verificare identità ed eventuale status dell'immigrato .
    E chi è che ha firmato una porcheria del genere? Berlusconi, Maroni, chi? Ma si può essere così imbecilli?
    Spaghetti e pistole

  3. #23
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da Sentenza Visualizza Messaggio
    E chi è che ha firmato una porcheria del genere? Berlusconi, Maroni, chi? Ma si può essere così imbecilli?
    Il Dublino II lo ha firmato il Cdx nel 2003 ma lo avrebbe firmato anche il Csx quindi non cambia nulla
    da questo punto di vista .
    Ultima modifica di King Z.; 14-06-15 alle 12:28
    Regressista amante della pucchiacca.

  4. #24
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da King Z. Visualizza Messaggio
    Non so quanto sia fattibile imporre "alla Libia" alcunché visto che oltre a due governi le coste sono in mano a jihadisti e banditi di ogni tipo ,alla fine il governo di Tobruk è a oriente i barconi partono presumibilmente da Tripoli , Misurata comunque dalla parte opposta .Ci vorrebbe sicuramente un intervento militare ma dovremmo accettare il rischio di ritorsioni , da valutare comunque .
    Si ma ritorsioni su cosa? cosa possono fare? e soprattutto uno stato nel caos più totale si prenderebbe la briga di opporsi davvero ad un blocco navale (al solo scopo di evitare di far partire barconi) e senza che venga attaccato!?

    La Francia ha chiesto il permesso per bombardare Gheddafi? non penso che il governo libico di allora fosse concorde!

    E l'Italia, qualora lo volesse davvero, non può piazzare le navi che ora fanno da taxi ai clandestini, davanti alle coste libiche?

  5. #25
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da Sentenza Visualizza Messaggio
    E chi è che ha firmato una porcheria del genere? Berlusconi, Maroni, chi? Ma si può essere così imbecilli?
    REGOLAMENTO (CE) N. 343/2003 DEL CONSIGLIO
    del 18 febbraio2003
    che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
    l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese
    terzo

    1. Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e
    delle prove indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all'articolo
    18, paragrafo 3, inclusi i dati di cui al capo III del regolamento
    (CE) n. 2725/2000, che il richiedente asilo ha varcato
    illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza
    da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo
    Stato membro in questione è competente per l'esame della
    domanda d'asilo. Questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la
    data di attraversamento clandestino della frontiera


    http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/...01:0010:IT:PDF

    Poi ci sono vari casi in cui la richiesta di asilo viene verificata da altri stati
    membri ma andrebbe letto tutto .
    Regressista amante della pucchiacca.

  6. #26
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Citazione Originariamente Scritto da dakota86 Visualizza Messaggio
    Si ma ritorsioni su cosa? cosa possono fare? e soprattutto uno stato nel caos più totale si prenderebbe la briga di opporsi davvero ad un blocco navale (al solo scopo di evitare di far partire barconi) e senza che venga attaccato!?

    La Francia ha chiesto il permesso per bombardare Gheddafi? non penso che il governo libico di allora fosse concorde!

    E l'Italia, qualora lo volesse davvero, non può piazzare le navi che ora fanno da taxi ai clandestini, davanti alle coste libiche?
    Visto che lucrano sul traffico di clandestini certo che si opporrebbero , comunque proprio in virtù del menefreghismo degli stessi che hanno contribuito a creare il caso libico io sarei pure favorevole ad un intervento militare anche solo quello che chiami un "blocco navale" che evitasse ai barconi di partire ma non sono uno stratega militare non posso valutarne fattibilità , risultati e conseguenze . Sul piano teorico sono d'accordo comunque .
    Ultima modifica di King Z.; 14-06-15 alle 12:46
    Regressista amante della pucchiacca.

  7. #27
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Ma il blocco è un’operazione militare dai contorni molto precisi, dicono gli esperti, e al momento non c’è possibilità che venga messa in atto. Il diritto internazionale parla chiaro: senza un esplicito assenso della Libia e delle Nazioni Unite, mettere in pratica un blocco navale lungo le sue coste è un atto di guerra.
    Senza un esplicito assenso della Libia, un blocco navale lungo le sue coste è un atto di guerra.
    Certo non aiuta il fatto che in Libia, al momento, ci siano due governi diversi e in lotta: uno dei due, quello di Tripoli – non riconosciuto da gran parte dei paesi occidentali – ha già detto che non accetterà raid aerei contro le imbarcazioni dei trafficanti sulle sue coste, figurarsi uno schieramento di navi militari autorizzate ad usare la forza a poche miglia dalla riva.
    Se poi guardiamo alla storia recente delle politiche messe in atto dal governo italiano (e non solo) in termini di azioni marittime, ci sono pochi precedenti confortanti: misure come il respingimento forzato sono risultate – e in altre parti del mondo risultano – in gravi violazioni dei diritti umani e condanne degli organismi internazionali, senza contare le tante tragedie che hanno causato in modo diretto o indiretto.
    Che cosa si è deciso a Bruxelles
    L’Europa non ha ancora deciso un chiaro cambiamento di politiche nel Mediterraneo. Giovedì 23 aprile si è tenuta a Bruxelles una riunione speciale del Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dell’Unione, per discutere le misure da prendere per contrastare il traffico illegale dei migranti attraverso il Mediterraneo ed evitare una nuova tragedia come quella del 19 aprile scorso, in cui oltre 700 persone sono morte nel Canale di Sicilia.
    Secondo quanto dichiarato dal presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, l’intesa di massima tra i 28 Paesi dell’Ue è stata raggiunta su alcuni punti fondamentali. Tra questi, gli stati europei hanno dato mandato all’Alta rappresentante per la politica estera Federica Mogherini di proporre azioni per «catturare e distruggere» le imbarcazioni utilizzate dai trafficanti «prima che queste vengano usate».
    A Bruxelles si è deciso soprattutto di «triplicare le risorse» destinate all’operazione “Triton”, partita il 1° novembre dello scorso anno con mezzi fortemente ridotti rispetto alla precedente “Mare Nostrum”: attualmente “Triton” costa circa 2,9 milioni di euro al mese, contro i 9,5 di “Mare Nostrum”, e l’aumento riporterebbe quindi l’operazione attuale più o meno agli stessi livelli di finanziamento. I Paesi europei, ha detto Tusk, hanno promesso «molti più vascelli, aerei ed esperti».
    13 maggio 2014, la bara una vittima di un naufragio viene scaricata al porto di Catania (MARCELLO PATERNOSTRO/AFP/Getty Images)
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    «Triton è un fallimento completo, ha fatto solo aumentare i morti»

    Intervista a Mattia Toaldo di Davide Vannucci
    Infine, si è deciso un programma pilota per il reinsediamento di alcune migliaia di richiedenti asilo (si parla di 5 mila posti per la prima fase) nei Paesi europei, che parteciperanno però «su base volontaria» (e il Regno Unito, in cui sono prossime le elezioni, si è ad esempio già chiamato fuori).
    “Triton” è un’operazione di pattugliamento, che rimane a un raggio di 30 miglia nautiche dalle coste italiane. Non è un’operazione che blocca attivamente gli sbarchi e non ha i mezzi per soccorrere in modo efficace tutte le imbarcazioni in difficoltà tra Italia e Libia. Negli ultimi giorni, molti esponenti politici italiani hanno parlato anche di un altro tipo di azione che invece è presentata come risolutiva: il blocco navale.
    Perché si parla di blocco navale
    Il giorno prima della riunione di Bruxelles, la Camera dei deputati italiana ha approvato una risoluzione di maggioranza e un’altra presentata da Forza Italia. Le risoluzioni parlamentari hanno solo un generico valore d’indirizzo e non obbligano il governo, ma ha fatto notizia che in quella di Forza Italia si facesse riferimento agli articoli 41 e 42 dello Statuto delle Nazioni Unite, in cui si nominano, tra diverse misure possibili per contrastare «minacce alla pace», anche l’interruzione delle comunicazioni e i blocchi navali.
    Nelle ore successive, diversi esponenti di Forza Italia – ad esempio Giovanni Toti e Mariastella Gelmini – hanno espresso il loro sostegno al blocco navale. Un’apertura a questa soluzione c’è stata anche da parte del presidente della commissione Esteri del Senato Pierferdinando Casini e del sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, che però ha specificato che dovrebbe essere effettuato dalle autorità locali e dalle organizzazioni internazionali.
    Ma il più grande sponsor della misura è probabilmente il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che negli ultimi giorni ha più volte detto che si tratta, a suo dire, dell’unica soluzione possibile al problema degli sbarchi.
    Che cos’è il blocco navale?
    L’ammiraglio Fabio Caffio, tra i massimi esperti delle questioni di diritto marittimo in Italia, è molto netto: «Credo che ci sia un equivoco terminologico che magari giova a qualcuno. Credo che nessuno si riferisca a un “blocco in mare” intendendo un respingimento coattivo, forzato. Nessuno che abbia un minimo di cognizione del diritto si può immaginare qualcosa del genere». Per questo, prosegue Caffio, «il blocco in mare è irrealizzabile e illegale».
    Il blocco navale è «una classica misura di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante»
    Nel suo Glossario di diritto del mare, del 2007, Caffio spiega quali sono i termini della questione. Il blocco navale è «una classica misura di guerra volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante». I precisi termini della sua applicazione sono definiti dalla consuetudine, visto che in materia non ci sono trattati internazionali, ma si tratta in sostanza di una grande forza aerea e navale che opera a ridosso del Paese che subisce il blocco e che è pronta – anche con la forza – a impedire ogni arrivo o partenza dalle coste, attaccando ad esempio i mercantili che provano a forzarlo.
    Il blocco deve essere formalmente dichiarato e notificato agli Stati coinvolti, riguarda le navi di qualsiasi nazionalità e tipo, compresi i mercantili, con l’unica eccezione dei beni di prima necessità e degli aiuti umanitari.
    Lo Statuto delle Nazioni Unite citato nella risoluzione di Forza Italia, inoltre, stabilisce che può essere utilizzato solo nei casi di legittima difesa e in una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu del 1974 è compreso tra gli «atti di aggressione».
    I blocchi negli ultimi anni
    Un blocco navale vero e proprio è stato avviato anche molto di recente e il caso dà l’idea di quali siano i contesti in cui viene messo in pratica. All’interno dell’intervento militare in Yemen coordinato con diversi altri paesi arabi e sostenuto dagli Stati Uniti, l’Arabia Saudita ha annunciato il 30 marzo scorso un blocco navale delle coste del Paese vicino, cinque giorni dopo l’inizio di una campagna di bombardamenti contro i ribelli Houthi.
    Dopo quattro settimane di attacchi aerei l’operazione è stata dichiarata conclusa il 21 aprile, ma il blocco navale continua. Nonostante gli Stati Uniti abbiano sette navi militari nella zona, non partecipano al blocco.
    (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
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    Profughi e immigrati: tre imperdonabili ritardi della politica

    Oscar Giannino
    Un altro blocco navale è stato messo in pratica nel marzo 2011, durante l’operazione Nato “Unified Protector” contro il regime di Gheddafi: oltre alla pioggia di missili Tomahawk su obiettivi libici e agli attacchi aerei, le navi militari hanno bloccato le navi rimanendo in acque internazionali.
    Altri esempi recenti sono quelli di Israele: alle coste e ai porti del Libano nel luglio-settembre 2006, e da anni alla Striscia di Gaza, al largo della quale la marina israeliana blocca tutte le imbarcazioni – comprese quelle da pesca – se si spingono oltre le 6 miglia marittime dalla costa.
    L’operazione di Israele è stata ripetutamente condannata dalle associazioni per i diritti umani, in particolare dopo che commando israeliani salirono a bordo della nave Mavi Marmara, di proprietà di una Ong turca e diretta verso la Striscia di Gaza, e uccisero nove attivisti che si opponevano all’attracco forzato nel porto israeliano di Ashdod per un’ispezione.
    Il precedente italiano del 1997
    Si parlò di blocco navale contro la Serbia anche nel 1999, durante l’operazione Nato in Kossovo, ma non se ne fece nulla per l’opposizione di Russia e Francia. E il Mediterraneo aveva visto un esempio di blocco – anche se sui generis – pochi anni prima, in un precedente poco fortunato citato a volte anche in queste ore.
    Il 25 marzo 1997 il governo italiano di Romano Prodi e quello albanese di Sali Berisha strinsero un accordo a Roma con il quale l’Italia si impegnava – su formale richiesta albanese, il che non lo rende un blocco navale in senso proprio – a impiegare uomini e mezzi a ridosso delle coste albanesi e nelle acque internazionali del canale di Otranto per fermare l’afflusso di migranti verso le coste italiane.
    L’operazione scattò già al momento della firma, senza aspettare i protocolli di applicazione (che sarebbero arrivati il 2 aprile); solo due giorni dopo, la motovedetta albanese Katër i Radës, carica di migranti, venne speronata in acque internazionali dalla nave italiana Sibilla: morirono 108 persone. Gli sbarchi, di fatto, non si fermarono, e l’operazione della Marina militare italiana proseguì ancora per qualche mese.
    L’accordo con Gheddafi
    Al di là dei blocchi navali in senso stretto e della loro fattibilità reale, c’è un altro precedente assai poco onorevole per l’Italia: nel 2009, il governo Berlusconi strinse un accordo con la Libia di Muammar Gheddafi per mettere in atto respingimenti forzati in mare.
    A partire dal maggio di quell’anno, le barche vennero trainate di nuovo nei porti libici da cui erano partite dalle unità italiane, senza procedere a nessuna identificazione o valutazione di situazioni che avevano bisogno di assistenza. Non è molto diverso da quanto fa l’Australia dalla fine del 2013 con le barche che provano a raggiungere le sue coste settentrionali – un altro “modello” citato in questi giorni – anche se i flussi migratori sono molto meno ingenti e la situazione non piace ai vicini verso cui vengono trainate le navi né alle Nazioni Unite (senza contare il fatto che l’Australia spende per l’operazione il quadruplo di “Mare Nostrum”).
    Nel 2012, la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la politica dei respingimenti in mare
    Quando venne stretto l’accordo con Gheddafi, l’allora ministro degli Interni Roberto Maroni, oggi governatore della Lombardia, parlò di «risultato storico» nel contrasto all’immigrazione clandestina. Le Nazioni Unite protestarono subito contro l’accordo, e presto emersero racconti drammatici – tra torture e maltrattamenti – delle condizioni in cui i libici tenevano i migranti riportati indietro, oltre 500 nel solo primo mese di respingimenti forzati.
    Nel 2012, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all’unanimità l’Italia per quella politica: violava il principio internazionale del non respingimento dei migranti e li portava, disse la Corte, in un paese che non garantiva il rispetto dei diritti umani (e che non ha mai ratificato le convenzioni internazionali sui migranti).
    In attesa di sapere quali saranno le azioni proposte da Mogherini per distruggere i barconi là dove stanno – in territorio libico, con tutti i problemi giuridici che questo comporta – il dibattito politico italiano gira intorno a soluzioni che, nella storia recente, hanno una lunga serie di precedenti poco edificanti.

    «Il blocco navale è irrealizzabile e illegale» | Linkiesta.it
    Regressista amante della pucchiacca.

  8. #28
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    cioè il governo non fa il blocco navale perché sarebbe un atto di guerra contro la libia?

  9. #29
    vae victis
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Il piano B di Renzi
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  10. #30
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    Predefinito re: Cosa sarebbe successo agli immigrati clandestini in Usa o Australia?

    Ma atto di guerra verso chi? La Libia non esiste.
    I vincenti hanno sempre una soluzione ad ogni problema, i no(n)euro hanno sempre una scusa.

 

 
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