Ciò che c'è di veramente scandaloso nei cosiddetti scandali come quello di "Mafia Capitale" è la generale incapacità di trarne la benché minima conclusione pratica.

Il fatto che sia il PDL sia il PD vi siano strutturalmente coinvolti non è il frutto di un intreccio malato fra mondo degli affari e amministrazione pubblica, ma la normale gestione del potere. Il lestofante che, riferendosi a un politico messo sul suo libro paga, dice "qui non c'è maggioranza né opposizione, è solo Mio", parla per il capitale.

Le imprecazione da bar della cosiddetta gente comune fanno parte anch'esse del sistema. Non esiste nessun preteso scollamento fra politica e società civile. La maggior parte della gente, se posta nella condizione di poter arraffare con un elevato margine di impunità garantita, arrafferebbe. Si chiama capitalismo. E il capitalismo non è l'arroccata cittadella dei cattivi, ma un rapporto sociale mediato dal profitto. Nel mondo del profitto, la distinzione fra legale e illegale è solo uno specchietto per le allodole. La società sana che s'indigna è un'invenzione dei giornalisti. Se c'è da dare addosso ai Rom del mondo intero per le malefatte di qualcuno, i bravi cittadini sono tutti coraggiosi. I ladroni istituzionali, invece, si sentono ben protetti contro la collera popolare. Sanno che è molto più facile per il popolo ammansito e vigliacco prendersela con gli immigrati.

Ogni sistema di produzione parte da una materia prima. E la principale materia prima di questa vicenda sono proprio loro: gli immigrati.

Perché delle donne e degli uomini diventino "gli immigrati" è necessario che milioni di esseri umani siano sradicati dalle loro terre e costretti a spostarsi. Le cause di tutto questo non sono misteriose né hanno sempre la brutalità delle bombe. Un'intera comunità di pescatori senegalesi si trova senza mezzi di sussistenza perché la rapina perpetrata dai grandi pescherecci li ha lasciati senza pesce. Una comunità di pastori indiani deve trasferirsi perché la loro vita nomade è stata sconvolta dai pozzi tubolari azionati con i motori diesel: diventati sedentari per via della tecnologia esportata con la cosiddetta rivoluzione verde, una volta esaurite le falde acquifere non sanno più convivere con la scarsità d'acqua come avevano fatto per secoli. Una comunità di contadini nigeriani deve abbandonare le proprie terre ormai invase dal petrolio sparso e bruciato dall'Eni nel Delta del Niger. Chi fra loro prende le armi per difendere la propria terra è un "terrorista"; chi sale su un battello di fortuna per giungere in Europa è un pericoloso "clandestino".

A questa normale pratica di spoliazione si aggiunge, da oltre vent'anni, la guerra detta umanitaria condotta dagli Stati occidentali. L'attuale esodo di donne e uomini non è separabile dai bombardamenti cominciati nel 1991 in Iraq e allargatisi a sempre più zone della Terra. Anche i più imbecilli possono capire il nesso fra la guerra in Libia del 2011 (voluta anche dal governo italiano e benedetta dall'allora presidente del Trentino Dellai) e la fuga di massa da quelle terre. Persino un giornalista potrebbe capire che senza tener conto di questo stato di guerra permanente non si riesce a spiegare la presa crescente dell'islamismo radicale. La morte, la distruzione e l'umiliazione esportate in nome del Diritto e della Civiltà sono state benzina gettata sui bracieri in cui arde l'odio verso l'Occidente. (Andateci voi, professori di dialogo e di tolleranza che mai avete mosso un dito contro le bombe della democrazia, a spiegare a un ragazzino nato e cresciuto in un campo profughi che è sbagliato reagire con la violenza ai soprusi subiti. Nella generale assenza di prospettive rivoluzionarie, la "comunità universale" proposta dall'Islam attrae sempre più dannati della Terra. La spirale è infernale, perché al saccheggio capitalista risponde la propaganda islamista, che non distingue, fra i nemici da colpire con la guerra santa, il banchiere, il capo di governo o il semplice proletario occidentale.)

La materia prima - l'immigrato - che il capitalismo produce copiosamente va poi lavorata. La condizione di clandestino, creata con apposite leggi di sinistra e di destra, permette di procurarsi mano d'opera semi-schiava. L'impresario agricolo si assicura braccianti disposti a lavorare per 10 o 20 euro al giorno; l'impresario edile, manovali poco inclini a protestare per il salario magro e in ritardo, per i ponteggi montati alla bell'e meglio o per una giornata in cantiere di 12 ore; il proprietario di case, inquilini ammassati in dieci in un appartamento insalubre con il cesso sul ballatoio. Nessuno di loro vuole "chiudere le frontiere"; tutti vogliono che il tritacarne delle frontiere e il ricatto del permesso di soggiorno producano merce che rende e non si ribella.

Poi arrivano gli impresari della cosiddetta accoglienza: più immigrati vengono internati e più guadagnano con i fondi pubblici stanziati. "Clandestini", "profughi" "richiedenti asilo" sono categorie costruite proprio perché si differenzi l'affare della detenzione amministrativa. I "clandestini" nei centri di identificazione e di espulsione; i "profughi" nei centri di prima accoglienza; i "richiedenti asilo" nei CARA.

In fondo al ciclo di produzione, quale ingranaggio che permette alla macchina di continuare a funzionare, c'è l'impresario politico. Per costui raccogliere consenso sulla pelle dell'immigrato è una vera e propria manna. Che gli sfruttati se la prendano con chi è più povero di loro è il sogno di ogni governante. In nome della paura e della cosiddetta sicurezza si giustifica la militarizzazione della società, e allo stesso tempo si getta una cortina fumogena sui problemi reali.

Non a caso troviamo fascisti storici in combutta con novelli democratici per spartirsi la torta della cosiddetta accoglienza.

Se chi arriva in Italia sui barconi avesse la possibilità di spostarsi liberamente in Europa, la percentuale di immigrati che rimarrebbe nel Bel Paese sarebbe irrisoria. Toglietevi dalla testa, cari benpensanti, che la società italiana sia l'Eldorado da tutti desiderato. Se migliaia di persone arrivano qui dalla Libia è solo perché si tratta del passaggio più breve per l'Europa del Nord. Se qui vengono trattenute a forza, quando non muoiono in mezzo al mare, è perché l'economia prima e la politica dopo hanno bisogno di loro.

Il gioco è abietto, ma funziona: le cooperative rosse o nere ci guadagnano, i tromboni razzisti anche.

Ecco spiegata la telenovela chiamata "Mafia Capitale".